Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4899, del 2 ottobre 2014
Acque.Legittimità diniego ampliamento fabbricato colonico per potenziale inquinamento delle falde acquifere

E’ legittimo il diniego di concessione edilizia per la realizzazione di alcuni annessi agricoli da destinare all’allevamento di bestiame, in quanto localizzati in “zona di rispetto ristretta” a salvaguardia igienico-sanitaria delle risorse idrominerali. Nel caso di specie, né il parere della ASL, né il parere dell’Arpa avevano fornito elementi in ordine alla consistenza del terreno e alla sua porosità e, conseguentemente, ai pericoli per i giacimenti di acque minerali. Anche se detti pareri erano stati forniti anteriormente all’entrata in vigore della variante allo strumento urbanistico che vietava qualsiasi attività che potesse recare pregiudizio alle risorse acquifere, incombeva comunque sul Comune prima di pronunciarsi sulla domanda di concessione edilizia, l’obbligo di esaminare questo aspetto rilevante visto, altresì, il divieto di installare impianti zootecnici di tipo intensivo-industriale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04899/2014REG.PROV.COLL.

N. 11781/2003 REG.RIC.

N. 11837/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11781 del 2003, proposto da: 
Regione Umbria, rappresentata e difesa dagli avv.ti Fulco Ruffo e Paola Manuali, con domicilio eletto presso l’avv. Goffredo Gobbi in Roma, via Maria Cristina 8;

contro

Astolfi Francesco, Astolfi Gregorio, rappresentati e difesi dagli avv. Filippo Lattanzi, Piero Peppucci, con domicilio eletto presso Filippo Lattanzi in Roma, via G.P. Da Palestrina,47; Comune di Acquasparta;




sul ricorso numero di registro generale 11837 del 2003, proposto da: 
Comune di Acquasparta, rappresentato e difeso dall'avv. Alarico Mariani Marini, con domicilio eletto presso l’avv. Goffredo Gobbi in Roma, via Maria Cristina 8;

contro

Astolfi Francesco, Astolfi Gregorio, rappresentati e difesi dagli avv. Filippo Lattanzi, Piero Peppucci, con domicilio eletto presso Filippo Lattanzi in Roma, via G.P. Da Palestrina,47;

nei confronti di

Regione Umbria;

per la riforma

quanto ad ambedue i ricorsi:

della sentenza del T.a.r. Umbria n. 738/2003, resa tra le parti, concernente diniego rilascio concessione edilizia per ampliamento fabbricato colonico per inquinamento falde acquifere minerali;



Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Francesco e Gregorio Astolfi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 luglio 2014 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Goffredo Gobbi su delega degli Avv. Paola Manuali ed Alarico Mariani Marini, Filippo Lattanzi e Piero Peppucci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso al TAR dell’Umbria Francesco Astolfi, titolare di azienda agricola nel Comune di Acquasparta, e suo figlio Gregorio nella qualità di affittuario della stessa azienda, avevano impugnato il diniego di concessione edilizia per la realizzazione (in frazione Portaria, loc. Malacina) di alcuni annessi agricoli da destinare all’allevamento di bestiame.

Con la sentenza n. 738 del 23 settembre 2003 il TAR accoglieva il ricorso, sulla scorta del riscontro della conformità urbanistica del progetto e dell’avvenuta acquisizione dei pareri della A.S.L. n. 4 di Terni e dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (A.R.P.A.), della diffida dei ricorrenti a rilasciare la concessione edilizia ed infine del solo rilascio della concessione limitatamente alla ristrutturazione e l’ampliamento del fabbricato colonico da destinare ad agriturismo.

Il diniego era intervenuto a seguito di pressione negativa esercitata dalla “Sangemini” s.p.a., la quale nel frattempo aveva rappresentato al Comune che l’area in questione non poteva consentire un insediamento di annessi agricoli per l’allevamento di bestiame in quanto ricompresa in “zona di rispetto ristretta” a salvaguardia igienico-sanitaria delle risorse idrominerali sfruttate dalla predetta società in virtù di apposita concessione.

Il Comune di Acquasparta aveva dapprima richiesto che il progetto edilizio fosse sottoposto a valutazione di incidenza ambientale da parte della Regione, poi aveva modificato l’art. 51 della N.T.A del P.R.G., stabilendo che nelle aree di tutela e di concessione delle acque minerali e delle sorgenti minerali era vietata l’installazione di impianti zootecnici di tipo intensivo-industriale; poi, dopo l’acquisizione di ulteriori pareri (legale e sanitario) richiesti per chiarire la natura dell’allevamento in questione, aveva sollecitato la Regione a prendere posizione sulle iniziative da assumere in ordine alla segnalazione della “carta delle aree di salvaguardia”inviata in data 4 dicembre 2002 dalla Società Sangemini sia al Comune, sia alla Regione; infine, acquisita la diffida regionale di cui alla nota del 23 dicembre 2002, aveva definitivamente negato il rilascio della concessione edilizia per i capannoni da adibire ad allevamento del bestiame, ritenendo che l’orientamento negativo espresso dalla Regione con detta diffida fosse assolutamente ostativo per il rilascio di tale concessione.

Il giudice di primo grado riteneva evidente che tale diniego – nel richiamare la predetta diffida come unica ragione ostativa per il rilascio della concessione edilizia – incorresse in una duplice incongruenza, sia procedimentale, sia sostanziale.

La prima incongruenza (procedimentale) risiedeva nel richiamo alla diffida regionale quale ragione assorbente per giustificare tutto l’iter istruttorio che il Comune aveva seguito per circa tre anni al fine di acquisire ogni necessario parere per la corretta definizione della pratica edilizia in questione: non era giustificabile che il Comune – dopo avere positivamente riscontrato la compatibilità urbanistica e ambientale del progetto edilizio dei ricorrenti (con l’avallo anche di un circostanziato parere favorevole dell’A.R.P.A. dell’Umbria) – avesse poi ritenuto da sola decisiva la diffida regionale del 23 dicembre 2002, senza nulla aggiungere in ordine ai pareri già acquisiti in sede istruttoria in senso favorevole all’accoglimento dell’istanza di concessione.

Quanto all’incongruenza di ordine sostanziale, il Comune ha illegittimamente trascurato che l’accoglimento o il diniego della concessione edilizia dipendesse soltanto da un’autonoma e ponderata valutazione di sua esclusiva spettanza; sicché, in caso di diniego, era suo potere – dovere evidenziare in motivazione tutte le ragioni giuridiche (di natura urbanistica e ambientale) che risultavano di ostacolo all’accoglimento della relativa istanza; soprattutto andava considerata la normativa richiamata nella predetta diffida regionale, ma se il provvedimento doveva essere negativo, era doveroso precisare come e perché tale normativa fosse effettivamente da considerare nel caso concreto preminente e decisiva rispetto a tutti gli altri pareri positivi acquisiti ed in particolare, rispetto al cennato parere positivo dell’A.R.P.A. che è poi l’organo regionale deputato alla protezione ambientale.

Senza ignorare poi che la disciplina concreta sulla tutela dei giacimenti e sulla delimitazione delle aree di protezione igienico sanitaria ai sensi dell’art. 33 della L.R. n. 48/1987 e dell’art. 21 del D.Lgvo n. 152/1999 non risultava all’epoca ufficializzata in alcun provvedimento regionale, sicché la predetta diffida doveva considerarsi supportata soltanto da un documento privato elaborato dalla stessa “Sangemini” ed individuato come “carta delle aree di salvaguardia dei bacini delle acque minerali Sangemini Fabia e Aura” e ciò senza un chiarimento con la stessa Regione sull’evidente contrasto emergente tra il parere favorevole espresso in concreto dell’A.R.P.A e l’orientamento negativo espresso in detta diffida dal Servizio regionale difesa del suolo – Cave – Miniere ed Acque minerali – per ciò che concerne l’allevamento di bestiame in discussione.

Con appelli in Consiglio di Stato notificati rispettivamente il 28 novembre 2003 ed il 10 dicembre 2003, il Comune di Acquasparta e la Regione Umbria impugnavano la sentenza in questione, sostenendo complessivamente che il progetto aveva sì ricevuto il parere favorevole dell’ARPA, ma detto parere aveva omesso di considerare che il progetto stesso sarebbe ricaduto in zona di rispetto ristretta, area nella quale vietata la stabulazione del bestiame, essendo l’area interessata dal bacino di alimentazione dell’acqua Fabia e dunque la Sangemini S.p.A. era intervenuta in qualità di concessionario di sorgenti di acque minerali patrimonio indisponibile della Regione, tutelate dal D. Lgs. 152/1999 e dalle norme comunitarie in materia. Il parere fornito dalla Sangemini S.p.A. e redatto da Istituto universitario copriva un vuoto di valutazione che avrebbe posto a rischio acque sotterranee poco profonde e defluenti in zone ad alta porosità e quindi vulnerabili.

Gli appellanti concludevano per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.

Si costituivano in giudizio gli appellati, sostenendo l’infondatezza dei ricorsi e chiedendone il rigetto.

Alla odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.

DIRITTO

I due appelli vanno riuniti ex art. 96 c.p.a., poiché sono rivolti avverso la stessa sentenza.

Ambedue, contenenti in buona sostanza censure analoghe, devono essere accolti.

In breve la Regione Umbria ed il Comune di Acquasparta lamentano che il TAR dell’Umbria, nell’accogliere il ricorso dei signori Astolfi avverso il diniego di concessione edilizia per la costruzione di capannoni destinati all’allevamento di bovini ed ovini, abbia escluso qualsiasi valore procedimentale e sostanziale della diffida regionale al rilascio della concessione e del documento sul quale la stessa diffida si è basata, ossia il parere del Dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il Territorio dell’Università degli Studi del Molise prodotto dalla Sangemini s.p.a., concessionaria dei giacimenti delle note acque minerali presenti nella zona.

A un ’sommario esame le ragioni espresse dal giudice di primo grado sembrerebbero formalmente e sostanzialmente corrette: la conformità urbanistica del progetto era stata riscontrata, erano stati acquisiti i pareri favorevoli della competente ASL e dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale e, dunque, il procedimento edilizio in questione doveva ritenersi esaurientemente definito; perciò il diniego non poteva essere giustificato da un parere esterno fornito da un privato senza un’autonoma valutazione ad opera dell’autorità competente a pronunciarsi, vale a dire dello stesso Comune.

Ma si deve tenere presente che l’area oggetto della richiesta era comunque destinata dallo strumento urbanistico vigente all’ estrazione delle acque minerali Sangemini, Fabia ed Aura e che inoltre la variante allo stesso strumento perfezionata il 20 agosto 2002, e in ogni caso prima dell’emanazione del diniego impugnato davanti al TAR, aveva vietato nelle aree di tutela delle acque minerali qualsiasi attività che potesse recare pregiudizio alle risorse acquifere e l’installazione di impianti zootecnici di tipo intensivo-industriale.

La Sangemini s.p.a. non può essere ritenuta nella fattispecie alla stregua di un mero soggetto privato che agisce uti cives, ma essa è il concessionario di beni pubblici, dotata quindi di diritti e doveri inerenti alla tutela di tali beni.

Va aggiunto ancora che i pareri favorevoli della ASL ternana e dell’Arpa, nonostante il sopraddetto divieto di ogni attività pregiudizievole per le risorse acquifere, avevano del tutto omesso la valutazione dell’interesse alla conservazione ed alla protezione del sottosuolo e delle acque minerali sottostanti, tra l’altro ad una profondità intorno ai 20 m., quindi nemmeno particolarmente distante dalla superficie e quindi dalle attività zootecniche.

Nella sostanza si deve rilevare che lo stesso parere indica la presenza di un sottosuolo composto maggiormente di strati di travertino, pietra marmorea ben nota per la sua elevata porosità, dunque con l’evidenziazione di una consistenza ambientale del sottosuolo particolarmente fragile per quanto concerne i rischi di infiltrazioni.

Se perciò la diffida regionale è ampiamente logica e giustificata dai fatti ed è conforme alle regole di governo del territorio, si deve aggiungere che il Collegio non rinviene nemmeno vizi di carattere procedimentale.

Il procedimento amministrativo è lo strumento finalizzato alla raccolta degli elementi necessari per la migliore realizzazione dell’interesse pubblico ai sensi dell’art. 97 della Costituzione: esso non può considerarsi in linea generale governato come una struttura chiusa ed impermeabile, a meno che una norma concreta non stabilisca tassativamente l’adozione di quei soli atti preparatori specificamente indicati.

Dunque, ove l’amministrazione procedente venga a conoscenza di dati acquisiti mediante passaggi non obbligatori ed “innominati”, appare del tutto conforme a legge che nel caso in cui questi vengano ad apportare fondamenti per la definizione del procedimento, si debba forzosamente prenderne atto.

Nel caso di specie, né il parere della ASL, né il parere dell’Arpa avevano fornito elementi in ordine alla consistenza del terreno e alla sua porosità e, conseguentemente, ai pericoli per i giacimenti di acque minerali di chiara fama per la loro alta qualità; se detti pareri erano stati forniti anteriormente all’entrata in vigore della variante allo strumento urbanistico che vietava qualsiasi attività che potesse recare pregiudizio di risorse acquifere, incombeva sul Comune, prima di pronunciarsi sulla domanda di concessione edilizia, l’obbligo di di esaminare questo aspetto tanto rilevante, visto anche il divieto di installare impianti zootecnici di tipo intensivo-industriale.

Per le suesposte considerazioni gli appelli devono essere accolti con il conseguente rigetto del ricorso di primo grado.

La risalenza della vicenda e la possibilità per gli interessati di apportare modifiche al progetto al fine di giungere ad una eliminazione degli scarichi nel terreno rende opportuna la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti,

li riunisce, li accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente FF

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/10/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)