Quando le case mobili sono in realtà strutture permanenti
di Stefano DELIPERI
Pronuncia di rilevante importanza da parte del Consiglio di Stato in merito alla legittimità della presenza di case mobili all’interno di campeggi autorizzati.
La sentenza Cons. Stato, Sez. VII, 8 marzo 2024, n. 2276 ha innanzitutto ritenuto applicabile il fondamentale principio second cui tempus regit actus, secondo cui “la fattispecie va regolata dalla disciplina vigente al momento in cui il procedimento era iniziato”, pertanto l’avvenuta risalente realizzazione di case mobili all’interno di campeggi autorizzati non può giovarsi di una successiva normativa che consente la realizzazione di simili strutture all’interno di campeggi autorizzati sotto il profilo urbanistico e paesaggistico.
In proposito, osserva il Consiglio di Stato, se così fosse, “si darebbe … a codesta modifica/aggiunta normativa un’impropria portata condonistica che non traspare affatto dall’intentio legis e che comunque non potrebbe invocarsi, dovendo una legge di sanatoria, in quanto norma eccezionale, essere sempre espressamente prevista dal legislatore e non potendosi desumere in via indiretta”.
Gli accertamenti concreti hanno portato a verificare le caratteristiche della permanenza delle strutture, in quanto “si trattava di organismi stabilmente ancorati al suolo, non tutti dotati di un meccanismo funzionante di rotazione, completi di verande e privi di un sistema di rapida attivazione per l’allaccio e/o il distacco dalle condotte fognarie ivi installate. Soprattutto quei manufatti risultano presenti sull’area da lungo tempo, dunque non possono definirsi precari e, a maggior ragione, non possono dirsi diretti” al soddisfacimento di esigenze solo temporanee, così come autorevolmente indicato dalla giurisprudenza in materia (vds. Cass. pen., Sez. III, 13 aprile 2023, n. 33408).
Secondo la giurisprudenza costante (vds. Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10235, Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2012, n. 4850), per essere legittima la natura precaria di un’opera dev’essere connessa a un uso effettivamente limitato nel tempo – non superiore a 90 giorni – e per fini legati a un utilizzo contingente, dovendosi poi provvedere a un’effettiva sollecita rimozione. Non è sufficiente la presenza dei requisiti dell’amovibilità e della temporaneità: è necessario valutare l’aspetto della permanenza nel tempo, anche in assenza del requisito dell’immobilizzazione al suolo e della presenza di collegamenti a eventuali sottoservizi (fognature, energia elettrica, gas, ecc.).
Nel caso di specie, se è vero che l’art. 20, comma 4 bis,della legge regionale Sardegna n. 21/2011 prevede (al pari di altre normative regionali) le “case mobili e pertinenze ed accessori funzionali all'esercizio dell'attività … dirette a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee, anche se collocate in via continuativa, non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici”, in quanto prevedano meccanismi di fruizione a rotazione, non siano collegate permanentemente al suolo e gli allacci alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze siano rimovibili in ogni momento, è anche vero che tali caratteristiche non erano state riscontrate nel concreto.
Inoltre, è stata verificata la realizzazione “di più di centocinquanta unità abitative”, avvenuta “tra gli anni 2006 e 2008”, così da perdere anche la “qualifica di ‘campeggio’, ai sensi del comma 1 e del comma 6 dell’art. 15 della L. R. n.16 del 2017, per assumere quella diversa di ‘villaggio turistico’.”.
I provvedimenti di demolizione e ripristino ambientale nei confronti di ben “136 manufatti tipo casa-mobile, distribuite in tutta l’area della struttura”, pertanto, sono da ritenersi legittimi.
Dott. Stefano Deliperi
N. 02276/2024REG.PROV.COLL.
N. 01249/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1249 del 2023, proposto da Società Cooperativa Cooreyturs S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Lubrano, Filippo Lubrano e Nicola Norfo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Enrico Lubrano in Roma, via Flaminia 79
contro
Comune di Muravera, non costituito in giudizio
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima) n. 490/2022
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2023 il Cons. Sergio Zeuli e udito l’avvocato Filippo Lubrano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dalla parte appellante avverso l’ordinanza del 23 aprile 2021, n. 2, prot. n. 6195 e le note 3 aprile 2019, n. 3696 e 21 aprile 2021, n. 5999 del Comune di Muravera, in provincia di Cagliari, aventi ad oggetto “demolizione/sgombero case mobili posizionate dalla Cooreyturssoc. coop. presso il campeggio comunale «Le Dune» loc. Piscina Rei nelle aree distinte in catasto OF.38 mappali 664-666 – art. 6 e 9 della L. R. 27/85 e s.m.i.”.
A supporto del gravame la parte espone le seguenti circostanze:
- la Società Cooperativa Cooreyturs S.r.l. ha gestito per oltre venti anni il campeggio comunale “Le Dune” sito nel comune di Muravera, Area metropolitana di Cagliari, località Piscina Rei, con concessione rilasciata con contratto stipulato il 14 luglio del 1999 e prorogato per otto anni, con contratto stipulato il 19 luglio del 2012;
- con deliberazione della Giunta Comunale n.4 del 15 gennaio del 2019 l’amministrazione ha dato avvio ad una gara per l’affidamento del servizio di gestione del campeggio che veniva aggiudicata alla Società Cooperativa Cooreyturs;
- nelle more della procedura di gara, il Comune, il 3 aprile del 2019, avviava nei confronti della società la procedura diretta all’emanazione dell’ordinanza di demolizione e sgombero di circa 136 manufatti tipo casa-mobile, distribuite in tutta l’area della struttura;
- la procedura andava avanti per lungo tempo e, nonostante gli elementi messi a disposizione dalla Cooperativa, il 23 aprile del 2021 il Comune emanava l’ordinanza n.2 prot. n.619 con la quale era disposta la demolizione/sgombero di tutte le opere ed il ripristino dello stato dei luoghi.
La parte appellante ha impugnato questa ordinanza innanzi al TAR della Sardegna che, con la sentenza impugnata, ha rigettato il ricorso.
Avverso quest’ultima sono dedotti i seguenti motivi di appello:
Violazione art. 10 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni nella legge 11 settembre 2020, n. 120, nonché degli artt. 3 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 146 d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, 2 d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, 20 legge Regione Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 e 1 e seguenti legge Regione Sardegna 23 aprile 2015, n. 8. Eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto. Motivazione illogica e contraddittoria.
2. Benché sia stato ritualmente citato, non si è costituito in giudizio il Comune di Muravera.
DIRITTO
3. In via preliminare va disattesa l’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse in capo alla esponente, opposta dalla parte appellata.
Infatti, seppure è vero che il contratto che ha affidato alla parte appellante la gestione del campeggio comunale “Le Dune” sia scaduto e che sia stata revocata la relativa aggiudicazione dell’area, va anche considerato che l’eventuale accoglimento del gravame fonderebbe un’autonoma, e pur sempre proponibile, richiesta di risarcimento danni, il che, di per sé solo, sostiene l’attualità dell’interesse alla coltivazione del presente appello.
4. Primariamente la parte appellante contesta alla sentenza gravata di non aver ritenuto applicabile alla fattispecie l’art.3 comma 1 lett. e5) del D.P.R. n.380 del 2001, introdotto dal d.l. n.76 del 2020, convertito con legge n.120 del 2020.
Osserva che se avesse applicato questa norma – in vigore al momento dell’ordinanza - il Comune non avrebbe potuto disporre la demolizione dei manufatti, in quanto unità mobili che non potevano considerarsi “nuove costruzioni” e che pertanto non necessitavano del permesso di costruire. Per altro verso, avendo il campeggio ottenuto, in epoca risalente, sia l’autorizzazione edilizia che quella paesaggistica, sarebbe stata integrata anche l’altra condizione prevista dalla norma.
A tutto concedere viene invocata l’applicazione dell’art. 20 della legge regionale n.21/2011 che ha introdotto il nuovo comma 4 bis dell’art.6, legge regionale n.3 del 2009, a norma del quale, a date condizioni, le case mobili “non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici”.
Tanto meno – aggiunge infine la parte – l’ente avrebbe potuto disporre la demolizione delle strutture lignee presenti sull’area, trattandosi di interventi leggeri, realizzati al solo scopo di offrire zone d’ombra agli avventori, che pertanto rientrerebbero nella categoria dell’edilizia libera di cui all’art.6 del D.P.R. n.380 del 2001.
4.1. Il motivo è complessivamente infondato.
Il procedimento terminato con l’ordine di demolizione impugnato ha avuto inizio con la comunicazione del 4 marzo del 2019, con cui il Comune rappresentava alla parte di aver accertato la presenza di centotrenta case mobili abusive sull’area, prive altresì del necessario nulla-osta paesaggistico, installate sull’area da epoca risalente.
In base al principio “tempus regit actus” la fattispecie va regolata dalla disciplina vigente al momento in cui il procedimento era iniziato e quindi la sopravvenienza rappresentata dal comma 1 lett. E5) dell’art.3 del D.P.R. n.380 del 2001, diversamente da quanto opinato, non è applicabile al caso di specie.
Né la circostanza che questa disposizione fosse in vigore al momento dell’emanazione del provvedimento definitivo può rilevare in senso contrario. A voler diversamente opinare, tenendo conto che quelle unità erano state realizzate anni addietro, si darebbe infatti a codesta modifica/aggiunta normativa un’impropria portata condonistica che non traspare affatto dall’intentio legis e che comunque non potrebbe invocarsi, dovendo una legge di sanatoria, in quanto norma eccezionale, essere sempre espressamente prevista dal legislatore e non potendosi desumere in via indiretta.
4.2. Sarebbe in ogni caso discutibile l’inquadramento degli edifici di cui si discute nella tipologia di “case mobili” contemplata dal ricordato comma 1 lett. e5) dell’art. 3 del Testo Unico Edilizia: gli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza hanno infatti dimostrato che si trattava di organismi stabilmente ancorati al suolo, non tutti dotati di un meccanismo funzionante di rotazione, completi di verande e privi di un sistema di rapida attivazione per l’allaccio e/o il distacco dalle condotte fognarie ivi installate.
Soprattutto quei manufatti risultano presenti sull’area da lungo tempo, dunque non possono definirsi precari e, a maggior ragione, non possono dirsi diretti “… a soddisfare esigenze meramente temporanee” come richiesto dalla disposizione invocata.
In questo senso, anche Cassazione penale sez. III, 13 aprile 2023, n. 33408, secondo cui “la natura “precaria” dell'opera non deriva dalla tipologia dei materiali impiegati per realizzarla, né dalla sua facile rimovibilità, bensì dalla natura delle esigenze che l'opera stessa intende soddisfare. Ciò è chiaramente evincibile dal tenore testuale degli artt. 3, comma 1, lett. e.5, e 6, comma 1, lett. e-bis, t.u.ed., nei quali si fa esplicito riferimento alle “esigenze meramente temporanee” (art. 3) e alle “esigenze contingenti e temporanee” (art. 6).
Ma anche “La natura temporanea e contingente delle esigenze non è di per sé sufficiente a sottrarre l'opera al regime “concessorio” se la stessa non sia comunque di facile amovibilità. Lo stabile e permanente collegamento al terreno esclude sempre la natura precaria dell'opera; lo si evince chiaramente dal fatto che anche le “unità abitative mobili”, per non essere considerate “nuove costruzioni”, devono comunque essere dotate di meccanismi di rotazione funzionanti e non devono essere collegate al terreno in maniera permanente (art. 3, lett. e.5, seconda parte). Il che si spiega con il fatto che le opere destinate a soddisfare esigenze non temporanee e quelle comunque stabilmente collegate al suolo condividono con gli “interventi di nuova costruzione” la loro attitudine alla trasformazione edilizia e urbanistica del territorio in via permanente. Prova ne sia il fatto che le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, sono soggette ad attività edilizia libera a condizione che siano tempestivamente rimosse al cessare dell'esigenza: l'opera “precaria” non rimossa è una “nuova costruzione” e necessita, in quanto tale, di permesso di costruire.” Consiglio di Stato sez. IV, 24 luglio 2012, n.4214.
4.3. Né può fondatamente sostenersi che l’avere il campeggio, nel suo complesso, ottenuto sia l’autorizzazione edilizia che quella paesaggistica, escludesse la necessità di munirsi dei singoli titoli edilizi per ciascuna unità, innanzitutto perché confonde due oggetti: altro è ottenere il nulla-osta relativo ad un intero campeggio, inteso come complesso, altra è la necessità che i singoli interventi siano individualmente autorizzati, allorquando, come in questo caso, creano nuovi volumi edilizi.
A maggior ragione laddove si tenga conto che quando dette autorizzazioni generali furono ottenute, quegli edifici non esistevano né erano contemplati dal progetto sulla cui base fu ottenuta la concessione edilizia.
Aggiungasi che, in considerazione della notevole estensione che la struttura ricettiva aveva avuto, con la erezione di più di centocinquanta unità abitative (questo è il numero risultante dall’ultimo accesso), essa aveva anche verosimilmente perso la qualifica di “campeggio”, ai sensi del comma 1 e del comma 6 dell’art. 15 della L. R. n.16 del 2017, per assumere quella diversa di “villaggio turistico”.
Questa modifica, a sua volta, prospettando una nuova configurazione tipologica della struttura ricettiva, necessitava verosimilmente di ulteriori provvedimenti autorizzatori.
Infine, e comunque, una volta esclusa, per le ragioni sopra viste, la possibilità di applicare a dette unità la previsione di cui al citato comma 1 lett.e5) dell’art.3 D.P.R. 380 del 2001, conseguiva la necessità della richiesta di permesso di costruire, e, con essa, la qualifica come abusive delle opere che ne erano sprovviste.
5. Come detto, la parte appellante denuncia ancora che alle unità presenti nell’area non sia stato ritenuto applicabile il comma 4 bis dell’art.20 della L.R. n. 21/2011 a norma del quale, le “case mobili e pertinenze ed accessori funzionali all'esercizio dell'attività…dirette a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee, anche se collocate in via continuativa, non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici” purché conservino i meccanismi di rotazione in funzione, non abbiano collegamenti di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alla reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze siano rimovibili in ogni momento.
5.1. Il motivo è infondato innanzitutto perché le descritte caratteristiche delle unità abitative – per come emerse dagli accertamenti di Polizia Giudiziaria - non collimano perfettamente con quelle indicate da quest’ultima disposizione.
In secondo luogo perché la collocazione in via continuativa non coincide con la non precarietà dell’opera, che rimane una condizione negativa per l’irrilevanza urbanistica e che nel caso di specie, come detto, non ricorreva.
Tanto meno vi è prova che questi edifici siano stati costruiti in epoca successiva all’entrata in vigore della modifica, introdotta il 29 novembre del 2011, ed anzi – alla luce degli accertamenti esperiti dalla Guardia di Finanza – poiché risulta che la loro edificazione si è avuta tra gli anni 2006 e 2008, anche in questo caso, in considerazione della data dell’edificazione abusiva, a quest’ultima non è applicabile la normativa sopravvenuta.
Infine, detta norma si applica “alle aziende ricettive all’area aperta regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività autorizzata”, mentre, per quello che si diceva, la struttura, dopo la contestata edificazione, aveva oltrepassato i limiti di ricettività previsti per il campeggio dal comma 1 e dal comma 6 dell’art. 15 della L. R. n.16 del 2017, quindi mancherebbe comunque l’ulteriore condizione necessaria per l’applicazione della previsione invocata.
6. Anche il motivo che reclama la legittimità dell’installazione delle strutture lignee è infondato.
Le costruzioni di cui si discute consistono in dieci manufatti lignei, pali infissi al terreno stabilmente installati al suolo, coperti da canne destinate ad ombreggio per una superficie totale di circa 1100 mq.
Queste loro caratteristiche, in particolare l’estensione e lo stabile collegamento con la superficie escludono che siano ad essi applicabili la lett. A17 del D.P.R. n.31/2017, ma tanto meno – anche in questo caso in considerazione della data dell’edificazione abusiva – il comma 1 lett. E5) dell’art.6 del D.P.R. n.380 del 2001.
7. Questi motivi conclusivamente inducono a rigettare il gravame. Non vi è pronuncia sulle spese mancando la costituzione della parte appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Nulla spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Claudio Contessa, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Daniela Di Carlo, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere, Estensore