LA DISCIPLINA GENERALE DEGLI SCARICHI ED IL PRINCIPIO DELL’ASSIMILABILITA’ di Bernardino Albertazzi IN TEMA DI MALTRATTAMENTO DI ANIMALI

* Il presente articolo è tratto, con modifiche, dal volume “Gestione e tutela delle acque dall’inquinamento”, di B. Albertazzi e F. Trezzini, ed. E.P.C., novembre 1999.

** Consulente legale A.N.P.A. Roma - Roma

Studio in Imola (Bo) -Via Machiavelli 3 tel.fax. 0542/26463

E-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

La nuova disciplina degli scarichi

La disciplina del Dlgs 152/99 è caratterizzata da una pluralità di parametri in base ai quali sono individuati gli scarichi, quali: 1) la tipologia del refluo scaricato (acque reflue domestiche, urbane e industriali), 2) la destinazione del refluo (suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, reti fognarie, corpi idrici ricadenti in aree sensibili) , 3) le eventuali sostanze pericolose presenti nel refluo. In relazione a tali parametri sono individuati dalla legge diversi limiti di emissione e/o prescrizioni di vario tipo (divieti, tempi di adeguamento, ecc. ) .

Si ricorderà come la normativa previgente in materia (la legge “Merli”) fosse sostanzialmente imperniata sulla bipartizione tra scarichi da insediamenti civili e scarichi da insediamenti produttivi, laddove, ai sensi dell’art. 1 quater della legge n° 690  del 08/10/1976 (c.d. “Merli bis”) si intendeva:

“a) per «insediamento o complesso produttivo», uno o più edifici od istallazioni collegati tra di loro in una area determinata dalla quale abbiano origine uno o più scarichi terminali e nella quale si svolgono prevalentemente, con carattere di stabilità e permanenza, attività di produzione di beni;

b) per «insediamento civile», uno o più edifici o installazioni, collegati tra di loro in un'area determinata dalla quale abbiano origine uno o più scarichi terminali, ed adibiti ad abitazione o allo svolgimento di attività alberghiera, turistica, sportiva, ricreativa, scolastica, sanitaria, a prestazione di servizi ovvero ad ogni altra attività, anche compresa tra quelle di cui alla precedente lettera a), che dia origine esclusivamente a scarichi terminali assimilabili a quelli provenienti da insediamenti abitativi.

Le imprese agricole di cui all'articolo 2135 del codice civile sono considerate insediamenti civili.”

 

 

 

 

 

 

 

 La giurisprudenza relativa agli insediamenti civili e produttivi

 

Sotto il vigore della legge “Merli” una delle questioni interpretative-applicative più rilevanti riguardò proprio l’individuazione della linea di demarcazione tra insediamenti civili e produttivi, ai sensi dell’art. 1-quater sopra riportato.

Il problema riguardava soprattutto l’individuazione degli scarichi provenienti da insediamenti produttivi assimilabili  a quelli provenienti da insediamenti abitativi.

In dottrina si fronteggiavano due diverse interpretazioni, che così vengono esplicate in un passaggio dell’importante  Sentenza  del 10/10/1987della Corte di Cassazione Penale, a Sezioni  Unite.

Il problema, che questo collegio è chiamato a risolvere, concerne il contrasto interpretativo circa le nozioni di "insediamento o complesso produttivo" e di "insediamento civile" ai sensi e per gli effetti della L. 10 maggio 1976 n. 319.

Com'è noto, la citata legge, dettando norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, stabilì una rigorosa regolamentazione degli scarichi provenienti dagli insediamenti produttivi, mentre concesse agli insediamenti civili ampi spazi permissivi, sia sul piano autorizzativo che su quello dei limiti di accettabilità degli scarichi, diretti ad un lento e progressivo adeguamento alla disciplina generale di risanamento idrico, che, secondo le finalità enunciate dall'art 1, dovevano concernere "gli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti ed indiretti, in tutte le acque pubbliche superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo"

Con l'obiettivo implicito di fornire l'interpretazione autentica delle espressioni "insediamento produttivo" e 'insediamento civile", le quali, sin dalla data di entrata in vigore della L. n. 319, avevano dato luogo ad interpretazioni contrastanti tra gli operatori del diritto, il legislatore inserì, nella legge di conversione del D.L. 10 agosto 1976 n. 544, concernente la proroga dei termini di taluni adempimenti previsti dalla L. 319/76, l'art. 1 quater, ….

Lo scopo che il legislatore si era prefisso non poté dirsi raggiunto, però, a causa dell'ambigua struttura letterale della disposizione, che fu interpretata in modo discorde da dottrina e giurisprudenza.

Secondo un primo orientamento, si sarebbe voluta limitare la nozione di insediamento produttivo a quello volto esclusivamente alla produzione di beni materiali, in contrapposizione alla produzione di servizi la cui attività sarebbe stata, indipendentemente dalla natura e qualità degli scarichi, compresa nella nozione di insediamento civile.

Tale soluzione, si afferma, discende dall'interpretazione letterale del testo normativo, considerando che l'ultimo periodo della lett. b) non introduce un quadro di riferimento con la funzione di limitare la nozione di insediamento civile alle attività già elencate ed alle altre analoghe, le quali abbiano tutte il comune denominatore di produrre scarichi terminali assimilabili a quelli provenienti da insediamenti abitativi; bensì ha la circoscritta funzione di inquadrare tra gli insediamenti di cui alla lett. b) anche gli scarichi provenienti da insediamenti produttivi di beni di cui alla  lett. a), qualora essi siano assimilabili "esclusivamente" a quelli provenienti da insediamenti abitativi.

L'ultimo periodo introdotto dalla congiunzione "ovvero" riguarderebbe, in altri termini, solo gli scarichi "civili" degli insediamenti produttivi di beni (bagni, mense aziendali).

L'interpretazione testuale sarebbe sorretta da quella logica, considerando, anzitutto, che, diversamente opinando, sarebbe gioco-forza ammettere "un tertium genus d'insediamenti, relativi ad attività di prestazione di servizi assimilate a quelle produttive, in contrasto con la determinazione categoriale degli insediamenti produttivi di beni, effettuata dalla lett. a) in termini rigidi" ; e considerando, altresì, che l'opposta interpretazione si porrebbe in conflitto con le finalità della legge diretta a circoscrivere ad un numero limitato i soggetti immediatamente destinatari della normativa per l'onerosità e complessità degli adempimenti richiesti nella prima fase di attuazione della disciplina di risanamento idrico, ciò che si evincerebbe dalla successiva disposizione (2° comma), in virtù della quale le imprese agricole, pur producendo beni, sono considerate insediamenti civili (Cass.  Pen.  Sez.  III, n. 7810 del 28 settembre 1984, ud. 4 giugno 1984, imp.  Dorigoni, "Foro It.", Rep. 1985. voce Acque pubbliche e private, n. 236; n. 3318 del 3 maggio 1986, ud. 4 marzo 1986, imp.  Rimondini).

Secondo l'opposto orientamento, invece, per dare l'esatta definizione di "insediamento produttivo" occorre riferirsi al quadro complessivo detta normativa ed ai principi costituzionali, tenuto conto che dalla produzione di servizi possono derivare gravi forme di inquinamento idrico, e considerando altresì, che la corretta esegesi letterale del citato art. 1 quater sarebbe nel senso che debbono ritenersi inclusi nella nozione di insediamento civile quelli, a qualsiasi attività adibita, che diano origine esclusivamente a scarichi terminali abitativi (Cass.  Sez.  III, n. 10048 del 5 novembre 1984, ud. 30 novembre 1984, ud. 30 maggio 1984 imp.  Cava, ibid., n. 186).  Scendendo all'esame della questione, la distinzione tra insediamento produttivo e civile potrebbe sembrare, in effetti, incentrarsi sul tipo di attività svolta: se nell'insediamento si svolgono prevalentemente, con carattere di stabilità, attività di produzione di beni, esso rientra nella nozione di insediamento produttivo, se, invece, l'insediamento è adibito ad abitazione o ad attività alberghiera, turistica, sportiva, ricreativa, scolastica, sanitaria o a prestazioni di servizi, esso è da qualificarsi civile.

Senonché il legislatore, evidentemente consapevole che la classificazione si fonda su tipi di normalità degli scarichi non sempre aderenti al concreto, ha soggiunto che sono insediamenti civili quelli adibiti "ad ogni altra attività anche compresa tra quella di cui alla precedente lett. a), che dia origine esclusivamente a scarichi terminali assimilabili a quelli provenienti da insediamenti abitativi".

Ciò modifica indubbiamente il quadro di riferimento di cui s'è detto, spostando dalla natura dell'attività a quella degli scarichi il criterio discretivo dell'appartenenza degli insediamenti all'una od all'altra nozione.

Occorre, dunque, verificare se ed entro quali limiti le caratteristiche degli scarichi assurgono a parametro di classificazione degli insediamenti.”.

La conclusione raggiunta dalla Corte fu che: “si deve ritenere che, non avendo l'elencazione delle attività di cui all'art, 1 quater, 1° comma, carattere tassativo, ma esemplificativo in ordine all'appartenenza di esse alla categoria degli insediamenti produttivi o civili, il criterio discretivo va ricercato in concreto sulla base dell'assimilabilità dei rispettivi scarichi a quelli provenienti da insediamenti abitativi, secondo le regole e la disciplina di cui all'art. 14, L. 10 maggio 1976 n. 319.”

 

 

 

 

 

L’articolo 28 del Dlgs 152/99.

L’articolo 28 (1) del Dlgs 152/99 si occupa di porre in essere i criteri generali della disciplina degli scarichi, che trovano poi puntuale specificazione nei successivi articoli da 29 a 33 (in relazione alla tipologia del corpo recettore, con la sola eccezione dell’art. 32 che disciplina gli scarichi di acque reflue urbane in corpi idrici ricadenti in aree sensibili, combinando quindi il  criterio  della natura dello scarico  con quello del corpo recettore), e nell’art. 33 (in relazione alla natura delle sostanze contenute negli scarichi).

Il comma 1 stabilisce un principio generale di rispetto del valori limite di emissione previsti nell’allegato 5 (“Limiti di emissione degli scarichi idrici”).

Principio che però viene immediatamente derogato dal disposto di cui al comma 2, che consente alle regioni di fissare valori limite di emissione “diversi” per quanto con una pluralità di  limitazioni esplicite:

1)    “ Ai fini di cui al comma 1” e cioè “ in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”;

2)    tenendo conto dei carichi massimi ammissibili;

3)    tenendo conto delle migliori tecniche disponibili (che non sono definite, neanche “per relationem”).

Per come è stato formulato il disposto ci sembra che l’unico significato possibile sia che la deroga è consentita solo nei casi in cui comporti limiti più restrittivi,rispetto a quelli di cui all’Allegato 5, a meno che non si voglia ipotizzare che possa essere opportuno fissare limiti meno restrittivi “ai fini del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”, cosa che sembra logicamente, prima che giuridicamente, inconcepibile.

(1) Che dispone: “Articolo 28 (Criteri generali della disciplina degli scarichi)

1. Tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite di emissione previsti nell’allegato 5.

2. Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili, delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all’allegato 5, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Per le sostanze indicate nelle tabelle 1, 2, 5 e 3/A dell’allegato 5, le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nel medesimo allegato 5.

3. Gli scarichi devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell’autorità competente per il controllo nel punto assunto per la misurazione. La misurazione degli scarichi, salvo quanto previsto al comma 3 dell’articolo 34 , si intende effettuata subito a monte del punto di immissione in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo.

4. L’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare all’interno degli stabilimenti tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 2, 4, 5, 12, 15 e 16 della tabella 5 dell’allegato 5 , subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale.

 

5. I valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo. Non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali contenenti le sostanze indicate ai numeri 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 della tabella 5 dell’allegato 5, prima del trattamento degli scarichi parziali stessi per adeguarli ai limiti previsti dal presente decreto. L’autorità competente, in sede di autorizzazione può prescrivere che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia, sia separato dallo scarico terminale di ciascun stabilimento.

6. Qualora le acque prelevate da un corpo idrico superficiale presentino parametri con valori superiori ai valori-limite di emissione, la disciplina dello scarico è fissata in base alla natura delle alterazioni e agli obiettivi di qualità del corpo idrico recettore, fermo restando che le acque devono essere restituite con caratteristiche qualitative non peggiori di quelle prelevate e senza maggiorazioni di portata allo stesso corpo idrico dal quale sono state prelevate.

7. Salvo quanto previsto dall’articolo 38 e salva diversa normativa regionale, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche quelle che presentano caratteristiche qualitative equivalenti, nonchè le acque reflue provenienti da:

a) imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del fondo o alla silvicoltura;

b) imprese dedite ad allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione;

c) imprese dedite alle attività di cui ai punti 1 e 2 che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi esclusivamente dall'attività di coltivazione dei fondi di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;

d) impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio di acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo.

…..”

 

 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, interpretando in tale modo i commi 1 e 2 dell’art. 27,  diventerebbe poi incomprensibile il disposto testuale di cui all’ultimo periodo del comma 2, che si preoccupa di escludere dall’ambito di applicazione dei valori-limite “meno restrittivi” fissati dalle regioni, quelli di cui alle “ sostanze indicate nelle tabelle 1, 2, 5 e 3/A dell’allegato 5”.

Da tale disposto  si dovrebbe desumere, a contrario, che le regioni possono fissare limiti meno restrittivi rispetto a quelli di cui all’Allegato 5, con la sola eccezione rappresentata dalle sostanze indicate nelle tabelle sopra indicate.

Si può ancora rilevare che l’Allegato 5 richiamato, a propria volta, contiene deroghe ai limiti fissati dalle tabelle citate.

Tali deroghe sono disposte, ad es., nelle note (sic!) 1 e 2 della “Tabella 5.  Sostanze per le quali  non possono essere adottati da parte delle regioni(1), o da parte del gestore della fognatura(2), limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3 rispettivamente per lo scarico in acque superficiali e per lo scarico in fognatura.”. Tali note, infatti, dispongono:

(1) Per quanto riguarda gli scarichi in corpo idrico superficiale, nel caso di insediamenti produttivi (tale ultima locuzione, che è oggi priva di significato, dimostra che anche dopo la correzione del 22 luglio 1999 sono presenti nel testo tracce evidenti della terminologia della “Merli”n.d.s.) aventi scarichi con una portata complessiva media giornaliera inferiore a 50 m3,  per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 15, 16, e 17 le regioni e le province autonome nell’ambito dei piani di tutela, possono ammettere valori di concentrazione che superano di non oltre il 50% i valori indicati nella tabella 3, purché sia dimostrato che ciò non comporti un peggioramento della situazione ambientale e non pregiudica il raggiungimento gli obiettivi ambientali.

(2) Per quanto riguarda gli scarichi in fognatura, purché sia garantito che lo scarico finale della fognatura rispetti i limiti di tabella 3, o quelli stabiliti dalle regioni ai sensi dell’articolo 28 comma 2,  l’ente gestore può stabilire per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 11, 14, 15, 16 e 17, limiti di accettabilità i cui valori di concentrazione superano quello indicato in tabella 3.

 

 

 

Dunque, riassumendo, sembra possibile sostenere che i valori limite di emissione di cui alla Tabella 3, per talune sostanze, in acque superficiali ed in fognatura (rectius: rete fognaria) di acque reflue, anche industriali, possano essere derogati anche  in peggio da parte delle regioni, con propria legge.

 

 

La rilevante novità rispetto al regime previgente non può passare sotto silenzio, in quanto capace di determinare impatti notevoli in materia di tutela del’ambiente e di libertà di iniziativa economica privata.

Si ricorderà in primo luogo che, la legge “Merli”, nel suo art. 12 disponeva che :

Art. 12. Gli scarichi dei nuovi insediamenti produttivi sono soggetti alle seguenti norme:

1)     nel caso di recapito in corpo d'acqua superficiali, debbono essere conformi, sin dall'attivazione, ai limiti di accettabilità di cui alla allegata tabella A;

2) nel caso di recapito in pubbliche fognature debbono, prima dell'entrata in funzione dell'impianto centralizzato di depurazione, essere conformi ai limiti di accettabilità di cui alla tabella C e, successivamente all'entrata in funzione del medesimo, adeguarsi ai limiti di accettabilità, alle norme ed alle prescrizioni regolamentari stabilite dai comuni, dai consorzi e dalle province che provvedono alla gestione del pubblico servizio mediante le forme anche obbligatorie previste dalla legge 8 giugno 1990, n.142, come integrata dall'articolo 12 della legge 23 dicembre 1992, 498. I suddetti limiti di accettabilità, norme e prescrizioni sono stabiliti sulla base delle caratteristiche dell'impianto centralizzato di depurazione in modo da assicurare il rispetto della disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature definita dalla regione ai sensi del successivo articolo 14

3) possono avere recapito sul suolo…”

 

Dunque nell’ambito della “Merli”,

a) gli scarichi da insediamenti produttivi in corpi d’acqua superficiali

dovevano essere conformi, sin dall'attivazione, ai limiti di accettabilità di cui alla tabella A, valida su tutto il territorio nazionale e non soggetta a deroghe da parte delle regioni; e

b) gli scarichi da insediamenti produttivi in pubblica fognatura, dovevano, prima dell'entrata in funzione dell'impianto centralizzato di depurazione, essere conformi ai limiti di accettabilità di cui alla tabella C e, successivamente alle norme ed alle prescrizioni degli enti gestori del servizio pubblico locale .

 

Tornando ad esaminare nel merito il disposto di cui al secondo comma dell’articolo 28 del nuovo decreto legislativo, dobbiamo necessariamente dedurre che il legislatore del 1999 ha mutato radicalmente prospettiva consentendo alle regioni, tramite propria normativa, di porre in essere limiti agli scarichi di acque reflue anche industriali (che possiamo dire riassumono, anche se solo grossomodo, la precedente categoria degli scarichi da insediamenti produttivi) in deroga, anche "in peius" rispetto ai limiti posti dalla normativa statale (allegato V), sia con riferimento a quelli che recapitano in corpi d’acqua superficiali, che a quelli che recapitano in reti fognarie.

 

Come anticipato ciò sembra idoneo a determinare impatti non positivi sotto almeno due rilevanti profili:

1)    La tutela delle acque dall’inquinamento. Essa non sembra facile da garantire, in quanto la legislazione regionale sarà inevitabilmente molto diversificata. In particolare non sembra improbabile che le regioni che aspirano ad attirare sul proprio territorio nuovi insediamenti produttivi potranno essere indotte a derogare “in peggio”, in maniera anche molto rilevante, ai limiti di emissione statali degli scarichi sopra menzionati.

2)    La libertà di iniziativa economica privata, sub specie della libera concorrenza. Si può facilmente rilevare come le imprese che si trovano o si troveranno ad operare in regioni in cui sono state poste in essere rilevanti deroghe in peggio alla disciplina degli scarichi di cui sopra, acquisiranno, automaticamente, un vantaggio competitivo (che si concretizza nei minori costi per i sistemi di depurazione) rispetto alle imprese che esercitano le medesime attività sul territorio delle regioni che non hanno inteso porre in essere deroghe “in peius” alla disciplina degli scarichi di acque reflue industriali, sopra richiamata. Dunque non sembra improbabile il delinearsi, in prospettiva, di violazioni del principio della libera concorrenza (che è alla base del Trattato dell’Unione Europea).

 

 

 

Il punto di prelievo dei campioni per le analisi

 

In relazione al disposto di cui al comma 3 dell’articolo in esame, rilevante ci sembra   la  violazione, da parte del decreto legislativo da poco entrato in vigore, delle norme comunitarie sulla determinazione del punto di prelievo per il controllo sul rispetto dei limiti : il nuovo dlgs (come tutte le bozze di decreto che si sono succedute nel tempo) lo mantiene «subito a monte del punto di immissione in tutte le acque…” “ salvo quanto previsto al comma 3 dell’articolo 34” ( 2) ad eccezione, cioè,  delle acque di processo contenenti le sostanze delle tabelle 3/A e 5 dell’allegato 5”, mentre tutte le direttive CEE, inclusa quella n. 271 (3)

lo prescrivono, indipendentemente dal punto di immissione, subito all’uscita (“sbocco”) dell’impianto, per evitare difficoltà di controllo e diluizioni.

 

(2 ) “Scarichi di sostanze pericolose”, che dispone: “3. Per le acque di processo contenenti le sostanze delle tabelle 3/A e 5 dell’allegato 5, il punto di misurazione dello scarico si intende fissato subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. L’autorità competente può richiedere che tali scarichi parziali siano tenuti separati dallo scarico generale e trattati come rifiuti, ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22, e successive modifiche e integrazioni.”

 

(3) “All. I, lett. D. Metodi di riferimento per il controllo e la valutazione dei risultati, punto 2, che dispone: “ I campioni su ventiquattro ore o proporzionali alla portata sono raccolti nel medesimo punto, esattamente definito, allo sbocco e, se necessario, all'entrata dell'impianto di trattamento per controllare la loro conformità con i requisiti alle acque reflue scaricate specificati nella presente direttiva. Si applicano le buone prassi internazionali di laboratorio al fine di ridurre al minimo il deterioramento dei campioni nel lasso di tempo che intercorre tra la raccolta e l'analisi”.


 

Sotto tale profilo si può anche richiamare la sentenza della  Corte europea di Giustizia del 13 dicembre 1990, in causa C 79-80, relativa al mancato recepimento da parte dell’Italia della direttiva 83/153/CEE (“Direttiva del Consiglio del 26 settembre 1983 concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di cadmio” ) che ha condannato il nostro paese proprio per questa stessa disposizione.

“…La normativa italiana prevede che la misurazione dei valori limite deve essere effettuata a monte del punto di immissione nei corpi ricettori, mentre l’art. 3, n. 2 della direttiva prescrive che queste misurazioni vengano effettuate nel punto di emissione delle acque di scarico, ossia all’uscita delle stesse dallo stabilimento industriale o dall’impianto di trattamento”(4).

 

(4)Si ricorda, in proposito, anche l’analoga disposizione di cui al terzo comma

dell’art. 9 della legge “Merli” che dettava:

 La misurazione degli scarichi si intende effettuata subito a monte del punto di immissione nei corpi ricettori di cui all'articolo 1, lettera a) della presente legge, salvo quanto prescritto al penultimo comma del presente articolo. Tutti gli scarichi devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell'autorità competente per il controllo nel punto assunto per la misurazione.”

 

 

 

 

La disposizione di cui al quarto comma dell’art. 28 del Dlgs 152/99, che conferisce all’autorità di controllo la facoltà di richiedere che gli scarichi parziali contenenti le seguenti sostanze: Cadmio, Cromo esavalente, Mercurio, Idrocarburi totali, Composti organici alogenati (compresi i pesticidi clorurati), Pesticidi fosforati, subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale,

è del tutto analoga a quella di cui al comma  dell’art. 9 della “Merli”, che disponeva:

“L'autorità competente per il controllo ….può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui al punto 10 delle tabelle A e C, allegate alla presente legge subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale”. Le sostanze indicate erano:

“Metalli e non metalli tossici totali (As-Cd-Cr (VI)(Cu-Hg-Ni-Pb-Se-Zn)”.

 

 


 

Il divieto di diluizione

 

Il primo periodo del comma 5 dispone che non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali contenenti Arsenico, Cadmio, Cromo totale, Mercurio, Nichel, Piombo, Rame, Selenio, Zinco.

Tale disposto è del tutto analogo al disposto dell’Art. 9 dell’ormai abrogata legge “Merli”, che dettava:

I limiti di accettabilità non potranno in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo.”, ed inoltre “ Non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali contenenti le sostanze di cui al numero 10 delle tabelle A e C prima del trattamento degli scarichi parziali stessi per adeguarli ai limiti previsti dalla presente legge.”

 

Rilevante ci sembra poi la potestà conferita dalla legge, mediante l’ultimo periodo del comma 5 in esame, all’autorità competente, in sede di autorizzazione,di prescrivere che  lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia, sia separato dallo scarico terminale di ciascun stabilimento, con l’evidente finalità di eliminare alla radice la ricerca, da parte dell’azienda, di qualunque tipo di scappatoia o di diluizione abusiva.

 

 

Anche il sesto comma della disposizione in esame è assolutamente analogo a quanto disposto dall’articolo 9 della “Merli” che, sotto tale profilo, dettava:

Qualora le acque prelevate da un corpo idrico superficiale presentino parametri con valori superiori ai limiti tabellari, la disciplina dello scarico è fissata dall'autorità di controllo in base alla natura delle alterazioni e agli obiettivi di tutela del corpo idrico ricettore fissati dalle regioni, fermo restando che le acque debbono essere restituite con le medesime caratteristiche qualitative e senza maggiorazioni di portata allo stesso corpo idrico dal quale sono state prelevate.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il comma 7 dell’art. 28 e il principio dell’assimilazione

 

 

Ai sensi del settimo comma dell’art. 28 (vedi nota 1), un’altra tipologia di acque va ad aggiungersi e ad integrare la categoria delle acque reflue domestiche (definite dall’art. 2, come acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività

domestiche ), appunto quelle ad esse assimilate in base alla disposizione in commento. Come è noto il concetto di assimilazione è tutto italiano e non trova riscontro nelle direttive comunitarie.

A tale proposito si legge nella relazione del Governo allo schema di decreto legislativo (poi pubblicato con n. 152/99) “E’ stata mantenuta l’assimilabilità agli scarichi civili, ora scarichi di acque reflue domestiche, degli scarichi derivanti da aziende agricole secondo la nozione già data a suo tempo dalla legge 690/76 e dalla delibera 8 maggio 1980 del comitato interministeriale per la tutela delle acque dall’inquinamento. Pertanto ove l’esercizio dell’attività agricola dia luogo a scarico diretto, anziché a spandimento sul suolo degli affluenti conseguenti le relative attività di coltivazione del fondo, allevamento di bestiame, etc., di cui all’art. 38, si applica la disciplina autorizzatoria e i limiti di emissione stabiliti ai sensi dell’art. 28 per le acque reflue domestiche. Del pari sono assimilate alle acque reflue domestiche quelle che presentano caratteristiche qualitative equivalenti (art. 28, comma 7) e cioè soprattutto le imprese artigiane che per la tipologia qualitativa dell’acqua di scarico sono soggette alla stessa disciplina delle acque reflue domestiche”.

 

Nel merito si osserva che il comma in esame ha una strutturazione che è stata ripresa dall’art. 1 quater della legge  n° 690  del 08/10/1976  (5).

I disposti di cui alle lettere a), b) e c) sono analoghi alla disciplina di cui alla Delibera del Comitato Interministeriale  del 08/05/1980 ( “Definizione, prevista dall'ultimo comma dell'art. 17 della legge 24 dicembre 1979, n. 650, delle imprese agricole da considerarsi insediamenti civili”) (6) .

 

 (5) “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 1976, n. 544, concernente proroga dei termini di cui agli artt. 15, 17 e 18 della L. 10 maggio 1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall'inquinamento”, che disponeva:

“Ai sensi e per gli effetti della legge 10 maggio 1976, n. 319, si intende:

a) per «insediamento o complesso produttivo», uno o più edifici od istallazioni collegati tra di loro in una area determinata dalla quale abbiano origine uno o più scarichi terminali e nella quale si svolgono prevalentemente, con carattere di stabilità e permanenza, attività di produzione di beni;

b) per «insediamento civile», uno o più edifici o installazioni, collegati tra di loro in un'area determinata dalla quale abbiano origine uno o più scarichi terminali, ed adibiti ad abitazione o allo svolgimento di attività alberghiera, turistica, sportiva, ricreativa, scolastica, sanitaria, a prestazione di servizi ovvero ad ogni altra attività, anche compresa tra quelle di cui alla precedente lettera a), che dia origine esclusivamente a scarichi terminali assimilabili a quelli provenienti da insediamenti abitativi.

Le imprese agricole di cui all'articolo 2135 del codice civile sono considerate insediamenti civili.”

(6) Che disponeva (anche se ricordiamo che essa deve ritenersi abrogata soltanto per le parti incompatibili e/o esplicitamente sostituite dal dlgs 152799): “ Ai sensi e per gli effetti della legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni, sono considerati insediamenti civili le imprese agricole che diano luogo a scarico terminale e abbiano le seguenti caratteristiche:

a) imprese con attività diretta esclusivamente alla coltivazione del fondo e/o alla silvicoltura;

b) imprese dedite ad allevamento di bovini, equini, ovini e suini che dispongono in connessione con l'attività di allevamento, almeno di un ettaro di terreno agricolo per ogni 40 q di peso vivo di bestiame;

c) imprese dedite ad allevamenti avicoli e cunicoli che dispongano, in connessione con l'attività di allevamento, almeno di un ettaro di terreno agricolo di 40 q di peso vivo di bestiame;

d) imprese di cui ai precedenti punti a), b), c) che esercitano anche attività di trasformazione e di lavorazione della produzione, che siano inserite con carattere di normalità e di complemetarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale; in ogni caso la materia prima lavorata dovrà provenire per almeno 2/3 dall'attività di coltivazione del fondo.”

 

 

 

 

 

 

Niente di nuovo, dunque, in merito alla lettera a), mentre il disposto di cui alla lettera b) ci sembra analogo, nella sostanza, se non nella forma, all’omologo disposto della Delibera richiamata, anche se ora vi compare una specificazione tecnica per “addetti ai lavori” (“un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione”), dove i parametri da valutare ai fini dell’individuazione dell’assimibilabilità o meno alle acque reflue domestiche sono molti e di non semplice specificazione.

E’ tuttavia importante che sia stato esplicitamente richiamato il “nesso funzionale” che deve sussistere tra le attività di allevamento e di coltivazione del fondo.

 

Molto oscuro risulta il richiamo all’art. 38 che compare nell’incipit del comma 7 dell’articolo in esame. Infatti  tale richiamato articolo consta di tre commi, di cui:

-         il primo si riferisce alla comunicazione relativa all’applicazione al terreno degli effluenti di allevamento zootecnico,

-         il secondo fa riferimento ad un emanando decreto (che “stabilisce le modalità per la comunicazione, i criteri per il controllo, le norme tecniche per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento,