Consiglio di Stato Sez. VII n. 7146 del 29 agosto 2025
Urbanistica.Concetto di pertinenza

Occorre distinguere tra il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza in senso urbanistico, con la conseguenza che ai fini urbanistici non possono ritenersi beni pertinenziali gli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, non sono tuttavia coessenziali ma ulteriori ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo in modo autonomo e separato, oppure poiché occupano aree e volumi diversi. 

Pubblicato il 29/08/2025

N. 07146/2025REG.PROV.COLL.

N. 04782/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4782 del 2022, proposto da Alessandro Frova, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio Sala, Maria Sala e Luigi Vernile, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Claudio Sala, in Milano, via Hoepli, n. 3;

contro

Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Bognetti, Cozzi, Lepore, Mandarano, Montagnani Amendolea, Pavin, Schiavelli e Ferradini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lepore, in Roma, via Polibio, n. 15;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 2603/2021, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 4 giugno 2025 il Consigliere Annamaria Fasano e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Alessandro Frova proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, per l’annullamento del provvedimento del Comune di Milano prot. 222680/2014 del 2 aprile 2014, avente ad oggetto “Via Francesco Brioschi 65 – Richiesta di permesso di costruire del 3.02.2014, in atti P.G. 839481/2013 – pratica n. 12696/2014. Motivato diniego, ex art. 38 L.R. 12/2005”, ricevuto il 17 aprile 2014.

Il ricorrente, proprietario di alcune unità immobiliari collocate nella Palazzina “A” del complesso residenziale “Le Terrazze”, situato a Milano in Via Brioschi n. 65, aveva presentato, con riguardo alle predette unità immobiliari, una richiesta di permesso di costruire per la realizzazione di un intervento finalizzato all’utilizzo del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’art. 3 della l. reg. n. 4 del 2012 (c.d. Piano Casa). Le opere da realizzare consistevano in “trasformazione di depositi ex condominiali al PT ad uffici non aperti al pubblico e non soggetti a collocamento obbligatorio. (…) le opere da realizzare consistono nella costruzione di tavolati interni divisori ed adeguamento del servizio igienico esistente, già allacciato alla fognatura, oltre ad adeguamento di impianto elettrico”.

Con comunicazione del 14.2.2014, gli Uffici comunali riscontravano motivi ostativi all’accoglimento della richiesta, sotto il profilo del computo della s.l.p. (superficie lorda di pavimento), rilevando la necessità di un atto di pertinenzialità circa le superfici dei locali interessati dall’intervento edilizio (palestre, sale fitness, sale riunioni di pertinenza del condominio, ecc.), pena l’inapplicabilità delle premialità di cui alla legge regionale n. 4 del 2012, visto che l’art. 5, comma 3, lett. c, della legge regionale n. 13 del 2009, richiamato dall’art. 3 della legge regionale n. 4 cit., escludeva l’applicazione delle disposizioni del c.d. “Piano Casa” agli “edifici realizzati in assenza di titolo abilitativo o in totale difformità, anche condonati”. Il ricorrente produceva, in data 5 marzo 2014, una memoria con la quale contestava le conclusioni cui era pervenuto il Comune. L’Ente municipale non riteneva di condividere le osservazioni di Alessandro Frova e, con provvedimento del 2 aprile 2014, respingeva la richiesta di permesso di costruire.

Con il ricorso introduttivo, il ricorrente denunciava violazione e/o errata applicazione dell’art. 5, comma 3, della legge regionale n. 13 del 2009, in combinato disposto con l’art. 3, comma 5, della legge regionale n. 4 del 2012, e l’eccesso di potere per carenza di motivazione, nonché violazione dell’art. 10 del Regolamento edilizio del Comune di Milano.

2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con sentenza n. 2603 del 2021, respingeva il ricorso.

Il Collegio di prima istanza osservava che il dante causa del ricorrente, con la d.i.a. del 2 maggio 2001, aveva realizzato i locali interessati dall’intervento edilizio di cui al permesso di costruire oggetto di diniego (palestre, sale fitness, sale riunioni di pertinenza del condominio, deposito biciclette e carrozzine, atrio e locale tecnico) in base all’art. 10.2.4. del Regolamento edilizio, in applicazione del quale tali superfici avrebbero dovuto essere escluse dal computo della s.l.p..

Tuttavia, il predetto dante causa, pur essendosi impegnato a produrre l’atto di pertinenzialità riguardante siffatti locali entro la fine dei lavori, non aveva dato alcun seguito a tale impegno. Secondo gli Uffici comunali, la carenza dell’atto di pertinenzialità rendeva non conforme al titolo e quindi abusiva la superficie realizzata e, pertanto, doveva escludersi l’applicabilità al caso di specie delle disposizioni del c.d. “Piano Casa”, trattandosi di “edifici realizzati in assenza di titolo abitativo o in totale difformità”.

Secondo il T.A.R. ‘esaminando la concreta fattispecie oggetto di giudizio, emergeva che la d.i.a. del 2 maggio 2001 non è mai divenuta efficace, in assenza del vincolo unilaterale di pertinenzialità’.

Tale vincolo risultava necessario al fine di rendere conforme alla vigente regolamentazione urbanistica ed edilizia l’intervento correlato alla realizzazione di locali pertinenziali, posto che diversamente gli stessi sarebbero stati computati nella s.l.p. e avrebbero determinato il superamento della superficie ammessa, con il correlato dovere in capo al Comune di inibire l’intervento.

3. Frova Alessandro ha impugnato la suddetta pronuncia, chiedendone l’integrale riforma, sulla base delle seguenti censure: “I. Errata comprensione ed applicazione dei presupposti di fatto e di diritto – Errata interpretazione ed applicazione dell’art. 10 R.E. 1999 – Violazione ed errata interpretazione dell’art. 1117 c.c.; II. Errata comprensione ed applicazione dei presupposti di fatto e di diritto – Vizio di ultrapetizione”.

L’appellante ripropone nel presente giudizio le critiche non esaminate dal Tribunale amministrativo adito.

4. Il Comune di Milano si è costituito con memoria, concludendo per il rigetto del gravame.

5. All’udienza straordinaria del 4 giugno 2025 la causa viene assunta in decisione.

DIRITTO

6. Con il primo mezzo, l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui il T.A.R. afferma che la d.i.a. del 2 maggio 2001 non si sarebbe mai perfezionata, in assenza del vincolo unilaterale di pertinenzialità dei locali condominiali, il quale si configurerebbe ‘come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale’, con conseguente difformità dell’intervento edilizio concretamente posto in essere dal precedente proprietario.

Secondo il ricorrente, la presentazione di un atto di vincolo può costituire uno dei requisiti per la realizzazione di un intervento edilizio, atteso che il concreto contenuto del predetto atto assume rilievo sotto diversi punti di vista, aventi portata: i) talvolta generale, come nel caso di un atto di vincolo planivolumetrico; ii) altra volta specifica, ovvero afferente ad un singolo aspetto progettuale/edilizio. Con il risultato che, mentre nel primo caso la formalizzazione ed il rispetto dell’atto di vincolo condiziona la legittimità dell’intero intervento edilizio, nel secondo caso non sussiste alcuna ragione per ritenere che la mancanza dell’atto determini la illegittimità dell’intero intervento e non solo della parte interessata dall’atto medesimo. Quest’ultima evenienza è proprio quella verificatasi nella fattispecie, nella quale: i) l’atto di vincolo richiesto dal Comune al dante causa dell’appellante aveva ad oggetto la sola destinazione dei locali condominiali, costituenti, per espressa indicazione del Comune medesimo i locali condominiali poi di proprietà Frova, sin dalla costruzione e tuttora, rispetterebbero pienamente, nello stato di fatto, la destinazione alla quale erano vincolati; ii) l’utilizzo di tali locali, se ritenuto abusivo, può comunque essere eventualmente inibito.

Sotto altro profilo, le conclusioni della sentenza di primo grado sarebbero errate dal momento che la normativa vigente all’epoca della presentazione della d.i.a. del 2001 (R.E. 1999 e Norme di Attuazione del P.R.G. 1976/80) non richiedeva alcun atto di vincolo avente ad oggetto la destinazione dei locali condominiali: né al fine di escludere detti locali dal computo della s.l.p. (ai sensi dell’art. 10 del suddetto R.E. 1999), né per il perfezionamento del relativo titolo abilitativo. Il c.d. atto di vincolo era, invece, assunto a norma dell’art. 1117 c.c., come indicato nella relativa impegnativa e aveva, dunque, valenza di carattere meramente civilistico/privatistico e non urbanistico/pubblicistico. L’atto di che trattasi era, in altri termini, secondo l’esponente, destinato ad identificare gli spazi condominiali, per regolamentarne l’utilizzo tra i condomini, e non a ratificarne lo “scomputo” urbanistico dalla s.l.p..

7. Con il secondo mezzo, l’appellante ribadisce, contrariamente a quanto sostenuto dal T.A.R., di non nutrire alcun “affidamento (…) in ordine ad interventi abusivi”, non avendo realizzato nessun intervento abusivo. Sarebbe stata, invece, al più omessa dal dante causa la presentazione di un atto formale, il cui contenuto concreto (ovvero la destinazione dei locali a utilizzo condominiale) sarebbe stato comunque garantito sin dal completamento dell’intervento. Le stesse argomentazioni varrebbero anche con riferimento alla supposta “non conformità dell’intervento correlato alla DIA del 2001”.

Il ricorrente ribadisce che l’intervento di interesse, recante realizzazione delle palazzine residenziali ove è collocata la sua proprietà, sarebbe del tutto legittimo, fatta salva, a tutto voler concedere, la formalizzazione dell’atto di vincolo (che non determinerebbe, però, alcuna illegittimità, non essendo richiesto da alcuna norma in allora vigente). Di tal che il suo preteso carattere abusivo, dal quale il Comune (e il T.A.R. Milano) fa discendere la impossibilità di dare applicazione alla legge regionale n. 4 del 2012, sarebbe privo di giustificazione. L’appellante lamenta, altresì, che se la pronuncia impugnata fosse da intendere come dichiarativa della illegittimità per intero della d.i.a. del 2001, risulterebbe violato il proprio diritto di difesa e si verificherebbe, altresì, un vizio di ultrapetizione, essendosi il T.A.R. Milano espresso al di là dei limiti della propria cognizione. In altri termini, posto che il Comune non ha mai inteso eccepire la completa inefficacia del titolo abilitativo a suo tempo presentato, e per l’effetto l’appellante non ha mai contestato in giudizio tale profilo, né alcuna delle parti ha richiesto di qualificare diversamente la fattispecie (a migliore giustificazione dei provvedimenti impugnati), il T.A.R. Milano avrebbe errato nell’assumere una conclusione eccedente il contenuto del contenzioso sottoposto alla sua delibazione.

8. Le critiche, come sopra sintetizzate, da esaminarsi congiuntamente in quanto attinenti a profili connessi, sono infondate.

8.1. Il Collegio rileva che l’Ufficio comunale ha correttamente ritenuto, nella specie, la sussistenza di motivi ostativi all’accoglimento della richiesta di permesso di costruire ex art. 3 legge regionale Lombardia n. 4 del 2012, in quanto i locali interessati dall’intervento edilizio (palestre, sale fitness, sale riunioni di pertinenza del condominio, denominati dalla parte ex condominiali) risultano essere stati realizzati, a suo tempo, in base alle disposizioni dell’art. 10.2.4 del Regolamento Edilizio, il quale, per i suddetti locali condominiali, prevedeva l’esclusione delle relative superfici dal computo della s.l.p..

Le denunce prospettate dal ricorrente si scontrano con la circostanza di fatto, rimasta incontestata, secondo cui la qualificazione attuale dei predetti locali ‘come abitabili’, determinerebbe un ampliamento dell’edificio con conseguente eccedenza dell’indice di edificabilità del lotto.

Orbene, l’originario dante causa, titolare della d.i.a. 2001, si era impegnato a produrre un atto di pertinenzialità entro la fine dei lavori, senza tuttavia ottemperare a tale obbligo.

Ne consegue che, come condivisibilmente osservato dal Collegio di prima istanza, in mancanza dell’atto di pertinenzialità, i predetti locali non erano conformi al titolo abilitativo, che aveva previsto l’esclusione dal computo della s.l.p., trattandosi di locali condominiali, con conseguente violazione dell’indice di edificabilità del lotto.

Tale vincolo risultava necessario al fine di rendere conforme alla vigente regolamentazione urbanistica ed edilizia l’intervento correlato alla realizzazione di locali pertinenziali, posto che, al contrario, questi locali sarebbero stati computati nella s.l.p., determinando il superamento della superficie ammessa. Invero, per una superficie massima ammissibile pari a 2.144,51 mq, nel 2001 veniva realizzata una s.l.p. pari a 2.140,12 mq, cui doveva aggiungersi la superficie di 144,83 mq relativa ai locali non asserviti.

Ciò in quanto si è trattato di locali realizzati in base alle disposizioni contenute nell’art. 10.2.4 del Regolamento Edilizio ratione temporis vigente che, pur possedendo i requisiti materiali dell’abitabilità, non hanno concorso al raggiungimento dell’indice di edificabilità e al computo della s.l.p. solo in virtù della destinazione che il costruttore avrebbe loro impresso attraverso l’impegno di un atto di asservimento alla destinazione di locali condominiali.

Il Comune di Milano ha osservato correttamente, anche con memoria, che le disposizioni della legge regionale Lombardia n.13 del 2009, art. 5, c. 3 lett. c), richiamate dalla legge regionale Lombardia n. 4 del 2012, escludono dalle disposizioni del c.d. “Piano Casa” gli edifici realizzati in assenza di titolo abilitativo o in totale difformità, anche condonati.

Appare all’evidenza che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la d.i.a. del 2001 non è mai divenuta efficace, in assenza del vincolo unilaterale di pertinenzialità, che, come si è detto, era necessario al fine di rendere conforme alla vigente regolamentazione urbanistica ed edilizia l’intervento correlato alla realizzazione dei locali pertinenziali, posto che diversamente gli stessi sarebbero stati computati nella s.l.p. e avrebbero determinato il superamento della superficie ammessa.

Invero, il precedente proprietario ha realizzato locali comuni oltre l’indice di edificabilità consentito nel comparto, beneficiando della deroga disposta dall’art. 10.2.4 del Regolamento Edilizio, che stabilisce l’esclusione dal calcolo della s.l.p. delle superfici degli spazi per attività comuni di pertinenza del fabbricato, ma ha omesso di produrre il vincolo di destinazione “ad attività comuni di pertinenza del fabbricato” così come, invece, si era impegnato a fare al momento della presentazione del titolo.

Ne consegue che la realizzazione dei locali di pertinenza del fabbricato, come sostenuto dall’Amministrazione comunale, con requisiti di abitabilità, senza l’apposizione del vincolo di destinazione, è stata effettuata in difformità del titolo edilizio, con conseguente inapplicabilità delle disposizioni del “Piano Casa”.

La tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui la pertinenzialità dei locali deve essere intesa in senso civilistico ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1117 c.c., non coglie nel segno, posto che, invece, la valutazione è di natura urbanistica, tenuto conto che i predetti locali non hanno le caratteristiche di unità pertinenziali nel senso inteso dal codice civile, ma le avrebbero assunte dal punto di vista urbanistico a seguito di disposizione espressa, ossia a mezzo di un atto unilaterale d’obbligo.

La giurisprudenza di settore ha, infatti, chiarito che occorre distinguere tra il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza in senso urbanistico (Cons. Stato, n. 2723 del 2010; id. n. 1842 del 2010), con la conseguenza che ai fini urbanistici non possono ritenersi beni pertinenziali gli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, non sono tuttavia coessenziali ma ulteriori ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo in modo autonomo e separato, oppure poiché occupano aree e volumi diversi.

Non può essere condiviso l’assunto sostenuto dall’appellante, secondo cui la normativa all’epoca vigente non richiedeva alcun obbligo di presentazione dell’atto di pertinenzialità per la realizzazione dei locali condominiali, tenuto conto invece delle disposizioni dell’art. 10 del Regolamento Edilizio citato, che all’epoca dei fatti per cui si procede avrebbe consentito all’originario proprietario di realizzare i locali condominiali, con caratteristiche di abitabilità, oltre la s.l.p. a disposizione, solo in quanto accessori all’edificio e a mezzo di un atto con il quale si sarebbe impegnato nei confronti del Comune, ai fini del rilascio del titolo, a conferire una particolare destinazione a determinate superfici.

In assenza di tale dichiarazione, che non costituisce un contratto di diritto privato, ma è un atto accessivo al titolo edilizio “che lo ingloba” (Cons. Stato, n. 579 del 2021), i locali in esame non sono conformi agli strumenti urbanistici, con conseguente inapplicabilità delle disposizioni sul “Piano Casa”.

L’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 4 del 2012 prevede che: “ai fini dell’attuazione degli interventi di cui al presente articolo, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 5, commi da 1 a 5, della l.r. 13/2009, nonché le deliberazioni assunte dai comuni ai sensi dell’articolo 5, comma 6, della stessa l.r. 13/2009”, mentre l’art. 5, comma 3, lett. c., della legge regionale n. 13 del 2009 stabilisce che le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4, relative al recupero edilizio e all’ampliamento degli edifici, non si applicano con riferimento ad edifici realizzati in assenza di titolo abilitativo o in totale difformità (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 25 maggio 2017, n. 1169; id. 26 maggio 2016, n. 1098).

8.2. Va respinto anche il secondo mezzo.

Nella specie, come precisato dal Collegio di prima istanza, non può essere riconosciuto un affidamento legittimo del ricorrente in ordine ad interventi edilizi abusi, anche se risalenti nel tempo, atteso che la non conformità dell’intervento correlato alla d.i.a. del 2001 era evidente.

Né si può ritenere che l’effettiva destinazione di fatto dei locali o la circostanza che l’abuso non è stato mai contestato dal Comune possa avere determinato un qualche affidamento legittimo nel ricorrente, atteso che sul punto la giurisprudenza consolidata da tempo afferma che: “va escluso qualsiasi affidamento legittimo in ordine ad interventi abusivi anche risalenti nel tempo (non si può ammettere l’esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare” (Cons. Stato n. 4534 del 2021; id. n. 1552 del 2021).

Da siffatti rilievi consegue che la sentenza appellata non merita censura, dovendosi rilevare la legittimità dell’operato dell’Amministrazione comunale che ha dichiarato inammissibile l’applicazione della normativa del “Piano Casa” al caso di specie, stante l’abusività dei locali in ragione del mancato perfezionamento della d.i.a. del 2001.

Le ulteriori denunce prospettate dall’appellante devono ritenersi assorbite atteso che il provvedimento impugnato reca una motivazione plurima, sicché, come dedotto dal T.A.R., all’infondatezza delle scrutinate doglianze segue l’irrilevanza dell’esame delle ulteriori censure, posto che “al cospetto di un provvedimento fondato su una pluralità di motivazioni, idonea ciascuna, singolarmente intesa, a fondarne la legittimità, l’accertata immunità da vizi di quella in precedenza scrutinata determina la reiezione del ricorso”.

Né si può predicare un vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata, atteso che il Collegio di prima istanza si è pronunciato nei limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti e su questioni relative all’oggetto del giudizio, che hanno riguardato l’illegittimità del provvedimento di diniego della richiesta di permesso di costruire per contrasto dell’intervento prospettato con la Circolare comunale n. 1/2010, nonché per la mancanza dell’atto di pertinenzialità dei locali condominiali oggetto della prevista trasformazione in uffici, che avrebbe determinato il loro carattere abusivo e, dunque, l’impossibilità del “Piano Casa”, come disposta dall’art. 5, comma 3, della legge regionale n. 13 del 2009.

9. In definitiva, l’appello va respinto, e la sentenza impugnata va confermata.

10. Le spese di lite del grado seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite a favore del Comune di Milano che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2025 tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, d.l. 9.6.2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6.8.2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:

Daniela Di Carlo, Presidente FF

Davide Ponte, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere

Annamaria Fasano, Consigliere, Estensore

Massimo Santini, Consigliere