Lo scarico indiretto dopo il D.Lgs. 152/1999: una morte solo apparente? Luca Prati avvocato in Milano VERIFICA GIURIDICA DELLE DENUNCE AMBIENTALI

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Uno dei punti cardine della riforma sulle acque era stato individuato, come è noto, proprio nella da più parti auspicata scomparsa della discussa figura dello "scarico indiretto".

 

Come è noto, la legge Merli disciplinava infatti gli “scarichi di qualsiasi tipo... diretti o indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo”. Lo "scarico" veniva quindi qualificato sia come diretto che come indiretto, e poteva altresì essere "di qualsiasi tipo", senza cioè che rilevassero le modalità (che potevano essere le più varie) con le quali il refluo giungeva nel corpo recettore[1].

 

La giurisprudenza di legittimità, sulla base di tale dettato normativo, aveva poi a sua volta avallato una definizione estremamente ampia di “scarico”, ricostruendo la stessa in modo da comprendervi qualsiasi sversamento di reflui e di rifiuto liquido o a questo assimilabile, in acque di fognatura, sul suolo o nel sottosuolo, in qualunque modo esso avvenisse.

 

In base a detta definizione, nonostante il parere contrario di parte della dottrina, e fatte salve alcune pronunce giurisprudenziali, lo scarico poteva perciò essere diretto o indiretto, continuo o saltuario, episodico o isolato, senza che ne venisse meno la natura, anche quando lo scarico stesso derivasse non già da immissioni realizzate tramite opere stabili, ma bensì per fenomeni di percolamento o tracimazione, ovvero fosse effettuato a valle di un  trasporto di reflui tramite autobotti che recapitassero in un qualsiasi corpo recettore[2].

 

La situazione pareva invece essere radicalmente mutata a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. 152/1999. Come é stato infatti subito evidenziato dai primi commentatori del decreto, la definizione legale contenuta nel D. Lgs. 152/1999 introduce, almeno a livello letterale,  un basilare mutamento di prospettiva  rispetto a quanto previsto dalla legge 319/1976 .

 

Lo scarico è ora definito[3]  all'art. 2 lett. bb), del D. Lgs. 152/1999 come "qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 40". L’art. 2, lettera bb), si riferisce quindi  nel definire lo "scarico" esclusivamente alle immissioni dirette tramite condotta e comunque convogliabili. Al successivo punto cc) vengono invece definite le “acque di scarico”, indicate come tutte le acque reflue (domestiche, industriali, urbane) provenienti da uno scarico (definizione tautologica e di scarsa utilità).

 

Accanto alle definizioni di “scarico” e “acque di scarico”  va poi ricordata  anche quella della lettera z) del medesimo articolo 2, di derivazione comunitaria, e relativa alla nozione di "inquinamento", descritto come ”lo scarico effettuato direttamente o indirettamente dall'uomo nell'ambiente idrico di sostanze o di energia le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque”.

 

La nuova definizione di scarico dovrebbe comunque riguardare solo le immissioni che raggiungono il corpo recettore direttamente e tramite opere connotate da una certa stabilità, in quanto il riferimento è alle immissioni per il tramite di una "condotta", ossia di tubatura, fognatura  pubblica o privata, canalizzazione, etc...

 

La definizione legale richiede altresì che tali immissioni siano comunque a base acquosa, come si ricava immediatamente  dal fatto che si deve trattare di acque reflue,  e per di più  convogliabili, e cioè che abbiano caratteristiche minime di fluidità (quindi liquide o semiliquide)[4]. Sembrano, per converso, restare escluse le immissioni di materiale solido, per quanto queste possano in qualche modo essere incanalate al fine della immissione nel corpo recettore.

 

La nuova definizione di scarico avrebbe quindi dovuto comportare inequivocabilmente l'esclusione dalla disciplina del D. Lgs. 152/1999 di ogni diverso tipo di immissione,  come quelle effettuate tramite autobotti, o quelle che si originano per percolamento o tracimazione da una vasca in cui siano stati versati rifiuti liquidi. Tale tipo di immissioni dovrebbero ora, in via generale, ricadere integralmente nell’ambito della disciplina del decreto Ronchi sullo smaltimento dei rifiuti, in quanto norma quadro del settore ambientale, relativa a tutti i residui non espressamente esentati dal suo campo di applicazione. La prima versione del D. Lgs. 152/1999 comportava peraltro la (problematica) eccezione della “immissione occasionale”, prevista in origine dagli artt. 54 comma 1 e 59 comma 5 del D. Lgs. 152/1999, e costituita  da immissione episodica di rifiuti, o comunque di sostanze inquinanti, in un corpo recettore; il D. Lgs.  258/2000 ha però eliminato anche tale eccezione.

 

In effetti, anche le prime pronunce della  giurisprudenza successive all’entrata in vigore del D. Lgs. 152/1999 sembravano avere riconosciuto chiaramente la scomparsa dello scarico indiretto, affermando che “non sembra dubitabile la scomparsa di quello che la giurisprudenza qualificava come scarico indiretto, ovvero la sua trasformazione in rifiuto liquido. Più esattamente, dopo l'entrata in vigore del D. Lgs. 152/1999, se per scarico si intende il riversamento diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra fonte di riversamento e corpo ricettore è interrotto, viene meno lo scarico (indiretto) per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido[5].  L’orientamento è stato poi ribadito in tempi più recenti[6].

 

Con riferimento al “collegamento diretto” tra fonte di riversamento e corpo recettore, La Cassazione ha poi precisato che, pur non essendovi necessità di una tubazione in senso stretto per configurare lo "scarico diretto", é comunque necessaria (e sufficiente) una "condotta", cioè, secondo la Corte, qualsiasi sistema con il quale si consente il passaggio o il deflusso delle acque reflue (inclusi quindi canali scavati nel terreno e opere simili)[7].

 

Tuttavia, altre decisioni della Suprema Corte, di segno parzialmente contrario a quelle sopra citate, sembrano avere riaperto la questione, riconducendo, in modo più o meno implicito, alla disciplina del D. Lgs. 152/1999 forme di riversamento dei reflui che difficilmente paiono poter rientrare nella nuova definizione letterale che lega  lo "scarico"  alla "condotta", intesa come opera stabile atta a consentire senza interruzione il deflusso delle acque al corpo recettore.

 

La Cassazione ad esempio, in una pronuncia[8] successiva al D. Lgs. 152/1999, ha sorprendentemente  sostenuto la necessità di autorizzazione per lo sversamento di reflui a seguito del lavaggio di autobotti (e quindi non tramite “condotta”!) in una vasca a tenuta stagna (che in quanto tale potrebbe, a sua volta, tutt’al più presentare il pericolo di uno scarico nel corpo recettore per percolamento o tracimazione).

 

In un’altra pronuncia la Cassazione riconfermando in modo opinabile la necessità di autorizzazione ai sensi del D. Lgs. 152/1999 anche per lo scarico di reflui in vasche a tenuta stagna, ha poi espressamente dichiarato l’assoggettamento anche degli “scarichi indiretti” al D. Lgs. 152/1999, in contrasto con l'orientamento che vuole espunta tale fattispecie dal decreto sulle acque[9].

 

Ed infatti nella decisione da ultimo citata la Corte, spostando il fulcro del ragionamento dal concetto di “scarico” esplicitato nell’art. 2, comma 2, lett. bb) del D. Lgs. 152/1999 a quello di “inquinamento”, definito dalla lett. z) del medesimo comma come «lo scarico effettuato direttamente o indirettamente dall'uomo nell'ambiente idrico di sostanze o di energia le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque”, afferma che anche lo scarico “indiretto”, effettuato in una vasca a tenuta stagna[10], resterebbe soggetto alla nuova normativa sulle acque, con l’eccezione della sola fase di trasporto del refluo, che ricade nel campo di applicazione della legge sui rifiuti (salvo riproporsi il problema dell’autorizzazione allo scarico dopo il trasporto, quando il collegamento funzionale con il corpo recettore viene ripristinato). Va da sé che l’assoggettamento alla disciplina dei rifiuti  durante la fase del trasporto del refluo non rappresenta certo una novità, essendo la stessa già stata affermata con chiarezza dalle sezioni unite già con la nota sentenza Forina[11] del 1995.

 

Nel medesimo solco, diretto a ricondurre nell'ambito del D. Lgs. 152/1999 lo "scarico indiretto" privo di condotta, va poi ricordata anche una recente pronuncia in materia di scarichi da percolamento ed acque meteoriche, secondo cui integrerebbe  gli estremi dello scarico "il percolamento intrinseco di cumuli di vinacce, derivanti dalla distillazione, e di ceneri depositate sul terreno prospiciente la distilleria e il dilavamento di tale complessivo materiale per effetto delle acque meteoriche”[12].

 

Infine, la Cassazione[13] ha più recentemente affermato che la definizione di scarico dell’art. 2, lettera bb), non prescriverebbe particolari modalità di esecuzione, né prevederebbe la presenza di speciali apparecchiature, in particolare della condotta, come mezzo essenziale per l’esecuzione dello stesso, non potendo considerarsi sufficiente in tal senso  l’espressione “comunque convogliabili”,  che  avrebbe invece il significato contrario di “assenza di qualsiasi prescrizione limitativa della conduzione delle acque”; è stato così riconosciuto, in modo anche qui opinabile,  rientrare nel concetto di scarico anche uno sversamento di reflui inquinanti confluiti liberamente in un pozzetto di scarico di un piazzale.

 

Non vi è dubbio che queste sentenze, togliendo rilievo all'unico elemento che potesse davvero fungere da spartiacque tra la nuova definizione di scarico e tutti le altre possibili forme di sversamento, e cioè la necessità della "condotta" (sia pure intesa come qualsiasi sistema stabile con il quale si consente il passaggio o il deflusso delle acque reflue, e non già solo come "tubazione") smentiscono in buona parte l’affermata portata innovativa della nuova definizione di scarico contenuta nel decreto del 1999.

 

E’ opportuno ricordare come l’inclusione dello scarico “indiretto” nel campo di applicazione della disciplina sulle acque sia stata affermata anche dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee,  nelle note sentenze van Rooij (C – 231/97) [14]  e Nederhoff  (C - 232/97), proprio sulla base della definizione di “inquinamento” contenuta nella direttiva 76/464/CEE (art. 1, n.2, lett. e), ed identica a quella trasposta nel D. Lgs. 152/1999 (che, dopo l’abrogazione del D. Lgs 133/92, costituisce attuazione anche della succitata direttiva 76/464/CEE)[15]. Le questioni affrontate dalle sentenze van Rooij e Nederhoff  riguardano infatti principalmente la nozione di «scarico» in relazione al campo di applicazione della direttiva 76/464/CEE[16], per la quale qualsiasi scarico che contenga sostanze di cui all'Allegato I o II di detta direttiva deve essere assoggettato ad una autorizzazione preventiva rilasciata dall'autorità competente dello Stato membro interessato.

 

In entrambe le pronunce del giudice europeo  sono state prese in esame forme piuttosto particolari di immissione di inquinanti nel corpo recettore. La Corte, in relazione al procedimento van Rooji, ha così affermato che la nozione di «scarico» di cui all'art. 1, n. 2, lett. d), della direttiva 76/464/CEE, deve essere interpretata "nel senso che in essa rientra sia l'emissione di vapori inquinati che si condensano e cadono su acque di superficie, sia l'emissione di vapori inquinati che dapprima si condensano su terreni e tetti e successivamente raggiungono le acque di superficie attraverso un canale di deflusso delle acque piovane, essendo irrilevante che il canale di cui trattasi appartenga allo stabilimento considerato o a un terzo".

 

Anche nella sentenza resa nella causa Nederhoff, la Corte si è pronunciata  dando rilievo di uno «scarico» del tutto particolare, ritenendo che la medesima nozione di «scarico» dovesse addirittura comprendere l'installazione in acque di superficie di paletti di legno trattati al creosoto.

 

Per arrivare alle conclusioni di cui sopra (vedi in proposito soprattutto la sentenza van Rooij) il giudice europeo ha egualmente richiamato la definizione di scarico dell'art. 1, n. 2, lett. d) della succitata direttiva, che fa riferimento alla «immissione, nelle acque di cui al paragrafo 1, delle sostanze enumerate nell'elenco I o nell'elenco II dell'Allegato (...)»; per comprendere tale definizione, sempre secondo la Corte, sarebbe però necessario prendere in considerazione anche la correlata  nozione di «inquinamento» contenuta nella direttiva 76/464/CEE (art. 1, n.2, lett. e); quest’ultima esplicitata come «lo scarico effettuato direttamente o indirettamente dall'uomo nell'ambiente idrico di sostanze o di energia le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque», ed è identica a quella recepita nell'art. 2 lett bb) del D. Lgs. 152/1999.

 

In questo senso, la sentenza europea presenta una marcata similitudine logico - argomentativa con la citata pronuncia della Cassazione del 14 giugno 1999, che richiama proprio la medesima definizione di inquinamento, mutuata dalle direttive europee, per estendere a forme di immissione svicolate da condotta la disciplina degli scarichi.

 

Non c'è dubbio quindi che la Corte, tramite il collegamento concettuale tra “scarico” e “inquinamento”, abbia considerato rilevante, per determinare il campo di applicazione della direttiva 76/464/CEE, una definizione di scarico tale da comprendere anche scarichi certamente svincolati da qualsiasi “condotta”.  E' importante poi notare come sia stato altresì precisato dal giudice europeo che la direttiva 76/464 riguarderebbe gli scarichi di tutte le sostanze nocive menzionate nel suo Allegato, indipendentemente dal loro stato, e non già soltanto di quelle che si trovino allo stato liquido (cfr. punti 24 e ss. della sentenza van Rooij). Anche in tal senso la definizione si discosta da quella del D. Lgs. 152/1999. Infine, nella sentenza da ultimo citata la Corte mantiene nel concetto di scarico quello originato dal deflusso delle acque piovane contaminate, anche qui ponendosi in contrasto con l’esclusione operata dall’art. 39 del D. Lgs. 152/1999 (a cui si rinvia) delle acque meteoriche dalla disciplina degli scarichi.

 

In sintesi, la nuova definizione legale di scarico, nonostante i primi favorevoli accoglimenti da parte della dottrina e della giurisprudenza, non sembra certo aver risolto tutti i problemi interpretativi sorti nel vigore del regime precedente, e neppure sembra del tutto in linea con le direttive che intende attuare, così come interpretate dal giudice europeo.

 

Il problema alla radice di pronunce del tipo di quelle sopra ricordate, dirette a resuscitare il (forse prematuramente) dichiarato morto “scarico indiretto” sembrerebbe derivare dal timore di una insufficienza intrinseca della nuova definizione[17] a coprire tutte le potenziali forme immissione di reflui nell'ambiente necessitanti di preventivo controllo amministrativo, senza che la norma - quadro sui rifiuti riesca a colmare adeguatamente le lacune di tutela che sembrerebbero talora emergere.

 

Mentre infatti casi come quelli dello scarico da autobotti in vasca stagna possono essere agevolmente ricondotti allo stoccaggio e gestione di rifiuti liquidi (e quindi al relativo regime autorizzatorio), altre ipotesi (come il deflusso di acque meteoriche inquinate) molto più difficilmente potrebbero rientrare nella disciplina del D. Lgs. 22/1997.

 

Ad ogni modo, allo stato attuale della normativa, e stante la inequivocabile definizione letterale di scarico, le lacune (o presunte tali) del sistema dovrebbero essere colmate, nel rispetto del principio di legalità e tassatività della norma sanzionata penalmente, tramite una più ampia applicazione del decreto  Ronchi, ed in particolare dell'art.. 14 (sanzionato dal  successivo art. 51) del D. Lgs. n. 22/1997,  norma  di chiusura  in materia di tutela ambientale, la quale vieta in modo generalizzato l'abbandono  ed il deposito incontrollati di rifiuti (quindi anche quelli liquidi) sul suolo e nel suolo.

 

 



[1]Anche il D. Lgs. 132/1992, concernente la protezione delle acque sotterranee all'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose, dava rilievo a tale concetto, e prevedeva che le operazioni di eliminazione e di deposito ai fini dell'eliminazione di acque reflue e di rifiuti contenenti determinate sostanze pericolose, che potessero comportare uno “scarico indiretto”, dovessero essere autorizzate specificamente. Lo scarico indiretto veniva definito come "l'immissione nelle acque sotterranee di sostanze degli elenchi I e/o II dell'allegato dopo percolazione nel suolo o nel sottosuolo".

[2] Mentre secondo un orientamento minoritario lo scarico occasionale non canalizzato, volontario o colposo, di rifiuti in corpi recettori (generalmente effettuato da autobotti) non avrebbe costituito “scarico” ai sensi della legge Merli (vedi Cassazione penale sez. III, 23 febbraio 1995, in Foro it. 1996, II, c. 230, e Cassazione penale sez. III, 7 maggio 1996, in Foro it. 1997, II, c. 33) secondo un altro orientamento per “scarico” avrebbe invece dovuto intendersi qualsiasi versamento di reflui, a prescindere dagli scopi perseguiti, dalla frequenza e dalle modalità con le quali fosse effettuato, rientrando nell’ambito della legge 319/76 anche le immissioni  saltuarie ed occasionali (tra le tante, cfr. Cassazione penale sez. III, 23 settembre 1993, in Foro it., 1994, II, c. 596 con nota di V. Paone; Cassazione penale sez. III, 17 novembre 1995, in Rivisita Giuridica Ambiente, 1996, p. 482; Cassazione penale 4 dicembre 1995, in Riv. pen., 1996, 887; Cassazione penale sez. III, 23 maggio 1997, Bacchi, in Rivisita Giuridica Ambiente, 1998,  p. 289, con nota di L. Prati.

[3] Per un'attenta analisi della definizione, cfr. A. L. De Cesaris, Scarichi di acque reflue: nuove definizioni, in Rivista Giuridica dell'Ambiente, 2000, p 919.

[4] Si veda a riguardo F. Giampietro, Scarico, immissione e rifiuto liquido nel D. Lgs. 152/1999: disciplina complessa o eterogenea?  in  Ambiente - Consulenza e pratica per l'impresa, Ipsoa 1999, p. 751.

[5] Cassazione penale sez. III, 24 giugno 1999, in Foro it., 1999, II, c. 691, con nota di G. Amendola: Acque di scarico e rifiuti liquidi: i nuovi confini.

[6] Si veda ad esempio Cassazione penale sez. III, 1 dicembre 2000, Frediani, in Ambiente & Sicurezza, 2001, f. 1, p. 112. 

[7] Cassazione penale sez. III, 3 settembre 1999, Rivoli.

[8] Cassazione penale sez. III, 14 giugno 1999, in  Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2000, p. 84.

[9] Cassazione penale sez. III, 5 novembre 1999 (28 settembre 1999), n. 12576, RV215105.

[10] La sentenza peraltro, pur dichiarando incidentalmente l’assoggettamento al D. Lgs. 152/1999 anche degli scarichi “indiretti”, (“... la situazione giuridica risulta ancora più chiara alla luce della nuova legge 152/1999, che definisce l'inquinamento, come "scarico effettuato direttamente o indirettamente dall'uomo nell'ambiente idrico di sostanze o di energia, le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse viventi o al sistema idrico, compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque". Da questa nozione risulta evidente che anche lo scarico "indiretto" è soggetto alla normativa, salva la fase del trasporto soggetta alla legge sui rifiuti”) afferma poi la natura di “immissione diretta” dello sversamento del refluo nella vasca a tenuta stagna. Ciò non pare condivisibile, in quanto i corpi recettori sono costituiti dalle  acque superficiali, dal suolo, dal sottosuolo e dalla  rete fognaria, e questi solo indirettamente (per tracimazione o percolamento dovuto a perdita della tenuta) possono essere raggiunti dai reflui scaricati in una vasca a tenuta stagna, e non certo tramite un’immissione diretta tramite “condotta” (salvo non equiparare, con ragionamento azzardato, la vasca all’”opera stabile” attraverso cui verrebbe effettuato lo svasamento).

[11] Cassazione sez. unite, 27 settembre 1995, Forina, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 1996, p. 678, con nota di P. Giampietro, ed in Foro it., 1996, II, c. 150.

[12] Cassazione penale sez. III,  26 ottobre 1999, n. 12186, Bosso.

[13] Cassazione penale sez. III, 23 maggio 2000, Banelli, in Foro it, 2001, II, c. 164, con nota di V. Paone.

[14] In Ambiente – Consulenza e pratica per l’impresa, Ipsoa, 1999, p. 267, con nota  di L. Prati. 

[15]Anche nella direttiva 91/676, formalmente recepita dal D. Lgs. 152/1999, per «inquinamento», si intende “lo scarico effettuato direttamente o indirettamente nell'ambiente idrico di composti azotati di origine agricola, le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse viventi e all'ecosistema acquatico, compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque”.

[16] La direttiva 76/464/CEE era stata recepita per la prima volta in Italia dal D. Lgs. n. 133 del 1992; detto decreto è stato anch’esso abrogato dal D. Lgs. n. 152/1999 che ha incluso al suo interno anche le norme concernenti gli scarichi contenenti le sostanze pericolose  precedentemente soggetti al decreto  n. 133/1992.

[17] Di effetti “perversi”  della nuova definizione parla V. Paone, in Foro it, 2001, II, c. 164.