Consiglio di Stato Sez. VI n. 2665 del 14 marzo 2023
Elettrosmog.Divieti di localizzazione

Dall’assimilazione degli impianti di telecvomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria e, dunque, dalla loro compatibilità con qualsiasi destinazione urbanistica e, in ultima analisi, con ogni zona del territorio comunale, si è desunto il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni, essenziale per garantire la copertura dell’intero territorio (comunale e, per sommatoria, nazionale). Pertanto, i divieti di localizzazione devono ritenersi illegittimi nella misura in cui vadano a pregiudicare la copertura del territorio nazionale, incidendo sull’esigenza di garantire la completa realizzazione della rete di infrastrutture per le telecomunicazioni. Siffatti divieti, di contro, non possono ritenersi incompatibili con la normativa settoriale, se non influiscono sulla capillarità della localizzazione degli impianti e, dunque, sulla possibilità di usufruire dei relativi servizi in qualsiasi area del territorio nazionale, nonché se si mantengono entro i limiti delineati dall’art. 8 legge n. 36 del 22 febbraio 2001 (per quanto di interesse, nella formulazione ratione temporis applicabile alla specie), risultando funzionali al perseguimento degli obiettivi di interesse generale ivi divisati.

Pubblicato il 14/03/2023

N. 02665/2023REG.PROV.COLL.

N. 03915/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3915 del 2016, proposto da
Comune di Bordighera, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Manzi e Pietro Piciocchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Vodafone Omnitel BV, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Nicola Lais, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00906/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Vodafone Omnitel BV;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2022 il Cons. Francesco De Luca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con provvedimento del 14.11.2014 (p.e. n. 6989) il Comune di Bordighera ha rigettato la domanda di autorizzazione presentata dalla società Vodafone Omnitel (oggi Vodafone Italia s.p.a.), diretta ad ottenere l’autorizzazione ex D. Lgs. n. 259/2003 per la realizzazione di una nuova stazione radio base.

A sostegno del proprio diniego l’Amministrazione: a) ha richiamato gli artt. 7 e 9 del Piano Comunale di organizzazione degli impianti di teleradiocomunicazione, in forza dei quali, “nelle zone in ambito urbano possono essere realizzati esclusivamente impianti di potenza, in singola antenna, non superiore a 20 watt, di cui all’art. 87, comma 3, ultimo periodo del D.Lgs. n. 259/2003” (art. 7); b) ha rilevato che il nuovo impianto progettato dall’istante superava i 20 watt e, dunque, si poneva in contrasto con gli artt. 7 e 9 del predetto piano comunale, senza potere godere della deroga di cui all’art. 16 del piano, riferita ad impianti di potenza massima, in singola antenna, non superiore a 20 watt; c) ha rappresentato che la pratica risultava carente del nulla osta ARPAL.

2. La società Vodafone, ricorrendo dinnanzi al Tar Liguria, ha impugnato il provvedimento di diniego e il presupposto piano comunale di organizzazione degli impianti di teleradiocomunicazione, deducendone l’illegittimità con l’articolazione di plurime censure.

2.1 In particolare, la ricorrente ha rilevato che i divieti di localizzazione previsti dal Piano comunale non trovavano fondamento nel D. Lgs. n. 259/2003 o nella L.R. n. 10/2012 e, comunque, si ponevano in contrasto con la L. n. 36/2001 e il D.P.C.M. 8.7.2003, tenuto conto che, da un lato, gli impianti in esame rivestivano carattere di pubblica utilità e risultavano compatibili con qualsiasi destinazione di zona prevista dallo strumento urbanistico; dall’altro, la tutela sanitaria della popolazione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici risultava assicurata a livello statale, senza rientrare nella competenza comunale.

Per l’effetto, doveva ravvisarsi l’illegittimità delle disposizioni contenute nel Piano Comunale di Organizzazione degli Impianti, facendosi questione di inammissibili divieti di installazione di impianti oltre una certa potenza nelle aree urbane.

2.2 L’Amministrazione comunale aveva errato, altresì, nell’omettere l’indizione della conferenza di servizi ai sensi dell’art. 10 L.R. n. 10/2012, stante la mancata acquisizione del nulla osta ARPAL e l’esigenza di provvedere ad un’eventuale approvazione di una variante urbanistica per la modifica del piano comunale di organizzazione.

2.3 Il Comune aveva pure errato nel trattare il procedimento ex artt. 86 e ss. D. Lgs. n. 259/03 quale pratica edilizia ex DPR n. 380/01, sebbene non fosse necessario ottenere nella specie il rilascio (altresì) del permesso di costruire ai fini della realizzazione dell’intervento programmato.

3. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, resistendo al ricorso.

4. Il Tar ha accolto il ricorso, rilevando che:

- alla stregua di quanto precisato dalla giurisprudenza costituzionale, i Comuni non possono rendere di fatto impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformando i criteri di individuazione in limiti alla localizzazione, con prescrizioni aventi una natura diversa da quella consentita dalla L. n. 36/01;

- i Comuni non potrebbero, in particolare, adottare misure costituenti una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quale il divieto generalizzato di installare stazioni radio base per telefonia cellulare in intere zone territoriali omogenee, in quanto una tale previsione, da un lato, non sarebbe funzionale al governo del territorio, ma alla difesa della salute dai rischi dell’elettromagnetismo, dall’altro, darebbe luogo ad una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche che l’art. 4 L. n. 36/2000 riserva allo Stato, attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità;

- trattandosi di impianti assimilati alle opere di urbanizzazione primaria e aventi carattere di pubblica utilità, dovrebbe riconoscersi la loro compatibilità con tutte le destinazioni urbanistiche, compresa quella residenziale;

- per l’effetto, dovrebbe distinguersi tra criteri di localizzazione (ammessi) e divieti generali di installazione comprendenti intere zone omogenee del territorio comunale (preclusi), configuranti limiti di esposizione non rientranti nella competenza dell’autorità comunale;

- nella specie si faceva questione di un piano comunale recante un’inammissibile zonizzazione del territorio per funzioni di tutela della salute pubblica, riguardando il piano l’intero ambito urbano; del resto, il riferimento agli impianti con potenza superiore a 20 watt comprovava che la ratio del divieto risiedeva nella minimizzazione dei campi elettromagnetici;

- l’istituzione di apposite zone ITR, destinate all’allocazione di tale tipologia di impianti, non avrebbe potuto condurre a risultati differenti, non essendo stato riferito il numero e l’estensione di tali aree, né dimostrata l’idoneità delle stesse a garantire una qualità del servizio analoga a quella assicurata dal sito prescelto dalla ricorrente;

- per l’effetto, doveva ravvisarsi l’illegittimità del piano comunale, limitatamente alle disposizioni ostative alla realizzazione di impianti di potenza superiore a 20 watt in ambito urbano e, di conseguenza, del provvedimento di diniego fondato su tali previsioni di piano;

- le censure riguardanti il parere dell’Arpal dovevano ritenersi superate, in quanto era stato espresso il parere positivo, mentre l’ultimo motivo di appello poteva essere assorbito.

4. L’Amministrazione comunale ha appellato la sentenza pronunciata dal Tar, deducendone l’erroneità con l’articolazione di plurime censure.

5. La ricorrente in prime cure si è costituita in giudizio, resistendo al ricorso.

6. In vista dell’udienza pubblica di discussione, la società Vodafone ha prodotto nuova documentazione attestante la mancata installazione della stazione radio nel sito per cui è causa, avendo l’operatore economico realizzato un altro impianto all’interno del territorio comunale; sulla base di tali risultanze, Vodafone ha depositato una memoria conclusionale, rappresentando che “persiste l’interesse alla decisione in relazione alle spese di lite, che si chiede vengano poste integralmente a carico della parte appellante” e svolgendo argomentazioni controdeduttive rispetto ai motivi di appello.

7. L’Amministrazione comunale ha replicato alle avverse deduzioni, insistendo nelle proprie conclusioni.

8. Le parti, con istanze depositate in data 7 ottobre 2022 (quanto alla società Vodafone) e 8 ottobre 2022 (quanto all’appellante), hanno chiesto la decisione della controversia senza discussione orale.

9. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 13 ottobre 2022.

10. L’appello è articolato in quattro motivi di impugnazione (oltre che nella riproposizione di difese svolte avverso il terzo motivo di ricorso di primo grado), suscettibili di trattazione congiunta per ragioni di connessione.

10.1 In particolare, con il primo motivo di appello viene censurato il capo decisorio con cui il Tar ha ritenuto che le misure approvate dal Comune costituissero illegittime deroghe ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dalla legislazione statale, cui spettava esclusivamente la difesa della salute dai rischi dell’elettromagnetismo.

A giudizio dell’appellante, i Comuni potrebbero legittimamente, ai sensi dell’art. 8, comma 6, L. n. 36/2001, fissare anche limiti di carattere generale all’installazione degli impianti de quibus, a condizione che sia comunque garantita una possibile localizzazione alternativa degli stessi, al fine di consentire la copertura di rete del territorio nazionale.

Nella specie, le disposizioni di piano non integravano un divieto assoluto di localizzazione degli impianti di telefonia mobile nell’area in contestazione, tenuto conto che, da un lato, in tale area era ammessa la realizzazione di impianti di potenza inferiore a 20 watt, dall’altro, a garanzia della copertura di rete, gli impianti di potenza superiore ai 20 watt avrebbero potuto essere realizzati nelle aree rurali, in quelle extraurbane e nelle zone ITR previste dal Piano.

Peraltro, con riferimento al territorio comunale, dalle misurazioni dell’Arpal emergeva che, in ragione dei valori di campo generati dagli impianti esistenti, in alcune zone risultavano già superati i limiti di cui al D.P.C.M. dell’8 luglio 2003, ragion per cui occorreva differenziare le singole aree sulla base della relativa capacità di accogliere nuovi impianti nel rispetto delle soglie legali.

10.2 Con il secondo motivo di appello è impugnato il capo decisorio con cui il Tar avrebbe invertito l’onere della prova in capo alle parti, imponendo all’Amministrazione di dimostrare che il diniego opposto fosse inidoneo a pregiudicare la copertura di rete.

Di contro, secondo quanto dedotto dall’appellante, sarebbe spettato all’operatore economico dimostrare che il divieto di installazione pregiudicava la qualità del servizio e la generale copertura di rete; prova nella specie non fornita, essendo a tali fini irrilevante la relazione tecnica prodotta dalla ricorrente in primo grado.

10.3 Con il terzo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha ritenuto che il Comune, illegittimamente, avesse dettato disposizioni volte a minimizzare i campi elettromagnetici, esorbitando dalle proprie attribuzioni.

Secondo quanto dedotto in appello, una tale decisione contrasterebbe con l’art. 8, comma 6, L. n. 36/2001, che consentirebbe di regolamentare l’installazione di impianti di teleradiocomunicazione anche per minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

In ogni caso, nella specie i criteri fissati dal Comune risultavano tesi anche a garantire la riduzione dell’impatto negativo degli impianti sotto il profilo urbanistico, avendo riguardo ad un discrimine, dato dai 20 watt, preso in esame anche dalla legislazione di settore per individuare i diversi iter procedurali all’uopo applicabili.

10.4 Con il quarto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar, qualificando gli impianti de quibus quali infrastrutture assimilate ad opere di urbanizzazione primaria, ha ritenuto che le stesse fossero compatibili con qualsiasi parte del territorio.

Invero, secondo la prospettazione attorea, così ragionando, si addiverrebbe allo svuotamento della funzione della regolazione comunale, funzionale a garantire il rispetto dei parametri di esposizione fissati dal legislatore statale e a conciliare la realizzazione di nuove strutture con l’impianto urbanistico dell’area; come peraltro evincibile anche dall’art. 11 L.R. n. 10/2012.

10.5 Non configura un motivo di impugnazione idoneo ad introdurre apposita questione delibabile in sede di gravame la riproposizione delle difese svolte dall’Amministrazione avverso il terzo motivo di ricorso assorbito dal Tar, incentrato sul trattamento dell’autorizzazione in esame come pratica edilizia.

Difatti, come correttamente rilevato dalla stessa società Vodafone nella propria memoria conclusionale, tale censura non è stata riproposta dall’operatore economico in appello, non componendo, pertanto, il thema decidendum dell’odierno giudizio: ne deriva che non vi è luogo a provvedere su difese reiterate dall’appellante in relazione a motivi di impugnazione non delibabili in sede di gravame.

11. Ciò rilevato, prima di procedere alla disamina delle censure impugnatorie proposte dall’Amministrazione comunale, giova precisare che le deduzioni svolte dalla società Vodafone in sede di memoria conclusionale, in relazione alla mancata realizzazione della stazione base per cui è causa, non sono idonee ad impedire la definizione nel merito dell’odierna controversia.

Come osservato nella descrizione dei fatti di causa, la società Vodafone, in vista dell’udienza di discussione dell’appello, ha dichiarato che “L’impianto di via Verrando non è mai stato installato da Vodafone, che ha in seguito realizzato un altro impianto all’interno del territorio comunale (v. documento depositato da parte appellata in data 1.09.2022). Malgrado ciò, in capo alla stessa persiste l’interesse alla decisione in relazione alle spese di lite, che si chiede vengano poste integralmente a carico della parte appellante” (pag. 7 memoria conclusionale).

Una tale dichiarazione non può essere utilmente valorizzata quale manifestazione di sopravvenuta carenza di interesse al ricorso (che, promanando dall’appellata ricorrente in prime cure, avrebbe integrato una causa di improcedibilità del ricorso di primo grado, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza gravata).

Difatti:

- da un lato, manca una espressa dichiarazione della Vodafone di carenza di interesse alla decisione, avendo (di contro) la parte appellata diffusamente controdedotto alle avverse censure, chiedendo (anziché la dichiarazione di improcedibilità del ricorso di primo grado) la dichiarazione di inammissibilità o di irricevibilità dell’appello e, comunque, il suo rigetto per infondatezza (cfr. conclusioni svolte nella memoria conclusionale, richiamate nell’istanza di passaggio in decisione della causa), a dimostrazione del persistente interesse dell’appellata ad una decisione che permetta il consolidamento delle statuizioni di prime cure (per effetto della definizione in rito dell’odierno giudizio o del rigetto nel merito dell’avverso appello);

- dall’altro, il rigetto dell’appello risulterebbe, comunque, idoneo ad arrecare all’operatore economico un’utilità effettiva sul piano sostanziale, data dalla confermata possibilità di realizzare in loco l’impianto di telecomunicazioni originariamente progettato (per scelte imprenditoriali comunque riesaminabili, allo stato, non ancora installato dalla società appellata).

Ne deriva che, non emergendo una sopravvenuta carenza di interesse al ricorso della società appellata, non sussistono motivi ostativi all’emissione di una pronuncia di merito.

12. Ciò precisato, al fine di statuire sulle censure impugnatorie svolte dal Comune, giova richiamare le pertinenti disposizioni normative applicabili alla specie, avuto riguardo, alla stregua del principio del tempus regit actum, alla disciplina vigente al momento di adozione degli atti impugnati in prime cure.

12.1 In primo luogo, rileva la legge n. 36 del 22 febbraio 2001 («Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici»), costituente la base giuridica del regolamento comunale reputato illegittimo con la sentenza gravata.

Come recentemente osservato dalla Sezione (27 giugno 2022, n. 5283), tale legge distingue le competenze dello Stato, delle Regioni e dei Comuni precisando in particolare, all’articolo 4 che “Lo Stato esercita le funzioni relative : a) alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall’art. 3, comma 1, lettera d) numero 2), in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizioni di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all’articolo 1”.

Il successivo articolo 8 (rubricato «Competenze delle regioni , delle province e dei comuni») prevede, in particolare, al comma 1, che “Sono di competenza delle Regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché delle modalità e dei criteri fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile…”.

Il successivo comma 2 dispone che “Nell’esercizio delle funzioni di cui al comma 1, lettere a) e c), le regioni si attengono ai principi relativi alla tutela della salute pubblica, alla compatibilità ambientale ed alle esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio”.

Il comma 4 prevede che “Le regioni, nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province e ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249”.

Il comma 6, nella formulazione ratione temporis applicabile alla specie, vigente al tempo di adozione degli atti impugnati in primo grado, disponeva che “I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.

Il comma 6 è stato successivamente sostituito dall'art. 38, comma 6, D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, in forza del quale “I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell'articolo 4”.

Lo jus superveniens, recato dall’art. 38, comma 6, D.L. n. 76/20 cit., in quanto non avente valenza interpretativa ma innovativa, come reso palese (anziché dall’interpretazione) dalla sostituzione del comma 6 della L. n. 36/01 con uno di nuova formulazione (con un effetto, dunque, innovativo, discendente dalla modifica del quadro regolatorio di riferimento), non può trovare applicazione nella specie, in quanto sopravvenuto rispetto all’adozione dei provvedimenti impugnati in prime cure.

12.2 Nella ricostruzione del quadro normativo vigente in materia, giova richiamare, altresì, gli artt. 86 e 90 D. Lgs. n. 259/03 che, nella formulazione vigente al tempo del diniego impugnato in prime cure, qualificavano gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico e le opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti impianti quali opere di pubblica utilità, assimilandole alle opere di urbanizzazione primaria.

13. Alla stregua del quadro normativo di riferimento, si è osservato (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 6 dicembre 2021, n. 8141 e sez. VI, 3 agosto 2018, n. 4794), da un lato, che l'assimilazione delle infrastrutture di reti pubbliche di TLC alle opere di urbanizzazione primaria implica la loro compatibilità, in via generale, con ogni destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale; dall’altro, che i criteri per la localizzazione, suscettibili di essere adottati dalle Amministrazioni comunali, non possono essere adoperati quale misura, più o meno surrettizia, di tutela della popolazione da immissioni elettromagnetiche, che l'art. 4 L. n. 36 del 2001 riserva allo Stato.

In particolare, il legislatore statale, nell’inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha inteso esprimere un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall’articolo 8, comma 6, della legge 22 febbraio 1981, n. 36, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 687).

Alle Regioni ed ai Comuni è, dunque, consentito - nell’ambito delle rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.), mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).

Alla luce di tali rilievi, è stato precisato (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 gennaio 2021, n. 374) che la scelta di individuare un’area specifica ove collocare gli impianti, anche se in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato, non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito).

14. Tali principi, tuttavia, sono stati espressi tenendo conto dell’interesse nazionale, costituzionalmente rilevante in quanto afferente pure alla libertà della comunicazione, alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio, non potendo la potestà comunale di individuare aree dove collocare gli impianti impedire la realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI, 13 marzo 2018, n. 1592).

In specie, dall’assimilazione degli impianti de quibus alle opere di urbanizzazione primaria e, dunque, dalla loro compatibilità con qualsiasi destinazione urbanistica e, in ultima analisi, con ogni zona del territorio comunale, si è desunto il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 agosto 2017, n. 3891), essenziale per garantire la copertura dell’intero territorio (comunale e, per sommatoria, nazionale).

Pertanto, i divieti di localizzazione devono ritenersi illegittimi nella misura in cui vadano a pregiudicare la copertura del territorio nazionale, incidendo sull’esigenza di garantire la completa realizzazione della rete di infrastrutture per le telecomunicazioni.

Siffatti divieti, di contro, non possono ritenersi incompatibili con la normativa settoriale, se non influiscono sulla capillarità della localizzazione degli impianti e, dunque, sulla possibilità di usufruire dei relativi servizi in qualsiasi area del territorio nazionale, nonché se si mantengono entro i limiti delineati dall’art. 8 legge n. 36 del 22 febbraio 2001 (per quanto di interesse, nella formulazione ratione temporis applicabile alla specie), risultando funzionali al perseguimento degli obiettivi di interesse generale ivi divisati.

15. Un tale risultato esegetico, in primo luogo, sembra coerente con la giurisprudenza costituzionale formatasi in materia.

15.1. In particolare, con la sentenza n. 331 del 2003, la Corte costituzionale è stata chiamata a statuire sulla legittimità di una legge regionale che recava una serie di prescrizioni incentrati sulla necessità di rispettare una predefinita distanza tra luoghi di emissione e luoghi di immissione.

Al riguardo, la Corte ha rilevato che si era in presenza di una disciplina illegittima, perché fondata su un criterio:

- da un lato, contrastante con quello alla base della disciplina statale a garanzia delle esigenze di protezione ambientale e sanitaria dall'esposizione a campi elettromagnetici, incentrato esclusivamente su limiti di immissione delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti e teso a garantire un equilibrio tra esigenze plurime, necessariamente correlate le une alle altre, attinenti alla protezione ambientale, alla tutela della salute, al governo del territorio e alla diffusione sull'intero territorio nazionale della rete per le telecomunicazioni;

- dall’altro, non giustificabile sulla base della materia del governo del territorio, cui non potrebbero “ricondursi divieti come quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da «criteri di localizzazione» in «limitazioni alla localizzazione», dunque in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa interpretazione, d'altra parte, non è senza una ragione di ordine generale, corrispondendo a impegni di origine europea e all'evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi”.

Ne deriva che la Corte, nel dichiarare l’incostituzionalità della disposizione censurata, ha pure valorizzato la necessità di garantire “la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni”, alla cui stregua sembra debbano scrutinarsi le diposizioni (regionali e comunali) dettate a regolazione della localizzazione degli impianti per cui è causa.

15.2 Con altra pronuncia (n. 307 del 2003) la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata una questione di legittimità riferita a disposizioni regionali che:

- definivano "aree sensibili" le aree per le quali le amministrazioni comunali, su regolamentazione regionale, potevano prescrivere localizzazioni alternative degli impianti, in considerazione della particolare densità abitativa, della presenza di infrastrutture e/o servizi a elevata intensità d'uso, nonché dello specifico interesse storico-architettonico e paesaggistico-ambientale;

- attribuivano alla Regione il potere di dettare i criteri generali per la localizzazione degli impianti, nonché i criteri inerenti l'identificazione delle 'aree sensibili' e la relativa perimetrazione, nel rispetto dei limiti previsti dal d.m. n. 381/1998 e tenendo conto degli strumenti della pianificazione territoriale, paesaggistica e ambientale, a livello regionale e locale.

Secondo il ricorrente, una tale disciplina eccedeva dalla competenza regionale, in quanto definendo le "aree sensibili" e prevedendo i criteri per la loro identificazione e perimetrazione, avrebbe introdotto nozioni estranee alla legislazione statale di principio e in contrasto con essa.

La Corte, invece, ha ritenuto la questione non fondata, in quanto “[l]e "aree sensibili" sono definite dalla legge regionale con riguardo a situazioni e interessi (tutela della popolazione nelle aree densamente abitate o frequentate, interesse storico-artistico o paesistico dell'area) di cui la Regione ha certamente titolo per occuparsi in sede di regolazione dell'uso del proprio territorio. Soprattutto, poi, la definizione e la perimetrazione di tali aree, nel sistema della legge regionale, hanno l'unico scopo di fondare la previsione di "localizzazioni alternative", cioè un tipo di misura che, fermo restando il necessario rispetto dei vincoli della programmazione nazionale delle reti e della pianificazione del territorio, rientra appieno nella competenza regionale in tema di governo del territorio, e specificamente nella competenza regionale, riconosciuta dalla legge quadro (art. 8, comma 1, lettera a), per la "individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione". Essa non prelude dunque alla fissazione di valori-soglia diversi e contrastanti con quelli fissati dallo Stato, ma attiene e può attenere solo alla indicazione di obiettivi di qualità non consistenti in valori di campo, ma in criteri di localizzazione, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni all'utilizzo della miglior tecnologia disponibile, o alla cura dell'interesse regionale e locale all'uso più congruo del territorio, sia pure nel quadro dei vincoli che derivano dalla pianificazione nazionale delle reti e dai relativi parametri tecnici, nonché dai valori-soglia stabiliti dallo Stato”.

15.3 Con altre pronunce la Corte costituzionale ha ulteriormente valorizzato:

- “l'autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali” di regolare l'uso del proprio territorio, purché i criteri localizzativi e gli standard urbanistici all’uopo definiti rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli stessi (n. 303 del 2007);

- l’impossibilità per la legge regionale di ostacolare gli obiettivi di insediamento sottesi ad interessi ascrivibili alla sfera di competenza legislativa statale e, al contempo, la necessità per lo Stato di preservare uno spazio alle scelte normative di pertinenza regionale, che può essere negato solo nel caso in cui esse generino “l'impossibilità, o comunque l'estrema ed oggettiva difficoltà, a conseguire il predetto obiettivo, caso in cui la norma statale si atteggia, nelle materie concorrenti, a principio fondamentale, proprio per la parte in cui detta le condizioni ed i requisiti necessari allo scopo” (n. 278 del 2010);

15.4 La giurisprudenza costituzionale sembra, dunque, confermare l’impossibilità, per le Amministrazioni territoriali, di disciplinare la localizzazione degli impianti in esame attraverso l’imposizione di divieti di localizzazione, ove siano derogati i valori soglia definiti dalla legislazione statale o siano pregiudicate le esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica e la copertura con essa dell'intero territorio nazionale.

Di contro, ove tali esigenze di tutela non siano compromesse, perché la loro realizzazione non è resa impossibile o estremamente difficile dalla disciplina locale, non sembra possa negarsi uno spazio regolatorio alle scelte di competenza delle Amministrazioni territoriali.

16. Anche la Sezione, con la richiamata sentenza n. 5283 del 2022, ha precisato che:

- il regolamento previsto dall'art. 8, comma 6, l. n. 36/2001, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti stazioni radio base, può contenere regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o anche per la protezione dall'esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali, ecc.), ma non può imporre limiti generalizzati all'installazione degli impianti; ciò, tuttavia, “se tali limiti sono incompatibili con l'interesse pubblico alla copertura di rete nel territorio nazionale”;

- è consentito ai Comuni, nell'esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, di raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell'impatto elettromagnetico, ai sensi dell'ultimo inciso del comma 6 dell'art. 8, “prevedendo con regolamento anche limiti di carattere generale all'installazione degli impianti, purché sia comunque garantita una localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale”, con la conseguenza che possono ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono, in generale, la localizzazione degli impianti nell'area del centro storico (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole e ospedali), purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree.

17. In definitiva, alla luce della normativa di riferimento (ratione temporis applicabile alla specie) e delle precisazioni fornite nei citati precedenti giurisprudenziali, deve ritenersi che previsioni regolamentari (dettate a livello comunale alla stregua della pertinente disciplina statale e regionale), recanti divieti di localizzazione in talune aree del territorio comunale, siano illegittime, salvo che:

- la interdizione di allocazione di impianti in specifiche aree del territorio comunale risponda a particolari esigenze di interesse pubblico, tendendo alla tutela di interessi sensibili, di regola costituzionalmente rilevanti;

- non siano pregiudicate le esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica, non impedendosi – per effetto del limite o del divieto posto dall'ente locale – la capillare distribuzione del servizio all'interno del territorio;

- non siano derogati i valori soglia definiti dalla legislazione statale.

In tale modo, non soltanto si garantisce un equo contemperamento tra gli obiettivi di interesse generale perseguiti dal Comune e l'interesse pubblico alla piena ed efficiente copertura di rete, ma si assicura anche il rispetto della stessa disciplina primaria che (nella formulazione ratione temporis applicabile nella specie, l’unica rilevante per la soluzione dell’odierna controversia) consentiva espressamente alle Amministrazioni comunali di adottare apposito regolamento sia per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, sia per “minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici” (art. 8, comma 6, L. n. 36/01), costituente, dunque, un obiettivo di tutela legittimamente perseguibile in sede regolamentare.

18. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, è possibile soffermarsi sul caso di specie.

19. L’odierno giudizio ha ad oggetto un provvedimento di diniego assunto dall’Amministrazione comunale sulla base di due autonome rationes, ciascuna idonea a sorreggere la decisione negativa in concreto adottata.

In particolare, il Comune di Bordighera ha ritenuto che:

- da un lato, l’impianto progettato dall’istante, in quanto avente una potenza superiore ai 20W, non potesse essere realizzato nell’area designata, trattandosi di zona in ambito urbano destinata ad ospitare, ai sensi degli artt. 7 e 9 del piano comunale di organizzazione degli impianti di teleradiocomunicazione, i soli impianti di potenza, in singola antenna, non superiore a 20 watt;

- dall’altro, non risultasse acquisito il nulla osta ARPAL.

A fronte di un atto plurimotivato, “è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale; in sostanza, in caso di atto amministrativo, fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le una dalla altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910; sez. V, 12 settembre 2017, n. 4297; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045)” (Cons. Stato, IV, 30 marzo 2018, n. 2019)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2019, n. 6190).

Pertanto, ove venisse confermata la legittimità della ratio decidendi riferita all’incompatibilità dell’istanza di parte rispetto alla disciplina regolamentare comunale, dovrebbe giungersi, in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza gravata, alla conferma del provvedimento impugnato in prime cure, in quanto sorretto da un’autonoma ragione giustificatrice immune dai vizi censurati in giudizio.

20. Provvedendo, dunque, ad una tale disamina, giova evidenziare come, attraverso l’atto di diniego per cui è causa, l’Amministrazione abbia applicato la presupposta disciplina regolamentare, che inibiva l’installazione di impianti di telecomunicazioni con potenza, in singola antenna, superiore a 20 watt nelle zone in ambito urbano.

20.1 In particolare, tale regolamento è stato emanato ai sensi dell’art. 8, comma 6, della L. n. 36 del 22 febbraio 2001, e dell’art. 72 undecies della L.R. n. 18 del 21 giugno 1999, che regolava il potere comunale di adozione del Piano di organizzazione del sistema di teleradiocomunicazioni, da esercitare acquisiti i programmi di sviluppo reti dei gestori e al fine di minimizzare il rischio di esposizione della popolazione.

Il piano comunale de quo risultava orientato verso l’organizzazione e la pianificazione delle installazioni di nuovi impianti, nonché l’adeguamento alla normativa in vigore degli impianti esistenti.

20.2 L’Amministrazione, in particolare, prima di procedere alla predisposizione della relativa normativa, aveva esaminato le caratteristiche tecniche degli impianti esistenti, desunte dalle relative perizie giurate e comunicazioni, nonché aveva valutato le misurazioni di campo elettromagnetico eseguite dai tecnici incaricati dai gestori degli impianti; ulteriori rilevazioni erano state eseguite da ARPAL nell’ambito dei controlli periodici previsti dalla normativa regionale.

Le valutazioni e le misure indicavano che si erano verificati superi dei limiti vigenti, limitatamente ad una area presso Via degli Inglesi, Via Corombeire e zone limitrofe, nelle vicinanze di alcuni impianti di radiodiffusione. Tale area era stata oggetto di bonifica, coordinata da ARPAL, mediante procedura di riduzione a conformità. Per attuare una significativa riduzione dei campi elettromagnetici era necessario adottare strategie di adeguamento, in particolare modo nei confronti degli impianti di maggiore potenza. Tali strategie avrebbero dovuto concretizzarsi con la riduzione di potenza e con l’ottimizzazione delle caratteristiche radioelettriche (al fine di minimizzare i campi generati).

Acquisiti i programmi di sviluppo reti dei vari gestori, nonché eseguiti i necessari sopraluoghi e rilevamenti, l’Amministrazione ha, dunque, provveduto alla predisposizione delle norme tecniche attuative per regolare la realizzazione di nuovi impianti, mediante una opportuna zonizzazione dell’intero territorio comunale.

Sono state individuate diverse tipologie di zone, definite in base all’urbanizzazione attuale e quella futura prevista a P.R.G., alla distribuzione della popolazione, alla dislocazione ed alla potenza degli impianti preesistenti, ai campi elettromagnetici da essi generati; ogni zona è stata oggetto di specifiche norme.

In ambito urbano ed extraurbano si è applicato un criterio di minimizzazione dei campi elettromagnetici pari ai valori limite del D.P.C.M del 08/07/2003, con la raccomandazione di contenere le emissioni entro la metà dei sopra citati limiti, compatibilmente con la qualità del servizio reso; a tale fine è stata permessa l’installazione impianti di potenza non superiore a venti watt. Non sono state previste particolari restrizioni nelle zone rurali.

Per bilanciare le limitazioni introdotte sono state individuate alcune zone ITR, destinate all’installazione di nuovi impianti, distribuite sul territorio in modo da garantire, mediante l’utilizzo congiunto di più siti, una efficace copertura con buona qualità di servizio. Da tali zone è stata consentita una trasmissione con potenze paragonabili a quelle degli impianti in esercizio, incrementando in modo poco significativo i campi elettromagnetici negli ambiti urbani ed extraurbani.

20.3 Per quanto di maggiore interesse ai fini dell’odierno giudizio, la disciplina regolamentare prevedeva:

- una suddivisione del territorio comunale in otto differenti tipologie di zone in ragione delle prevalenti destinazioni d’uso: zone in ambito urbano, zone in ambito extraurbano, zone in ambio rurale, zone A E3 e F6, zone idonee all’installazione di nuovi impianti (ITR), zone interdette all’installazione di nuovi impianti, zone sature, zone soggette a bonifica (art. 6);

- per la zona urbana rilevante nell’odierno giudizio (caratterizzata prevalentemente da un’alta densità abitativa e da un alto numero di edifici), la possibilità di realizzare impianti con potenza, in singola antenna, non superiore a 20 W (artt. 7 e 9);

- la delimitazione, nell’ambito delle zone in ambito urbano, di specifiche zone idonee all’installazione di nuovi impianti, con potenza superiore a 20 watt (ITR – art. 12 e quadro riassuntivo).

21. Alla stregua della complessiva disciplina regolamentare, emerge che l’Amministrazione comunale, dapprima, ha esaminato le caratteristiche degli impianti esistenti, ha valutato le misurazioni elettromagnetiche eseguite (tanto dai tecnici incaricati dai gestori degli impianti quanto da Arpal), nonché ha acquisito i programmi di sviluppo reti dei vari gestori, procedendo pure a svolgere i necessari sopralluoghi e rilevamenti; all’esito, sulla base dell’accurata istruttoria svolta, ha emanato il regolamento di organizzazione degli impianti di teleradiocomunicazione, con lo scopo di assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici e di conseguire il rispetto degli obiettivi di qualità definiti dalla L.R. 41/1999.

Si è di fronte, dunque, ad una disciplina regolamentare dettata all’esito di un’adeguata istruttoria, incentrata sulla disamina dello stato attuale della rete infrastrutturale e del suo programmato sviluppo, tendente a bilanciare contrapposti interessi, al fine di garantire, al contempo, la capillare distribuzione del segnale sull’intero territorio comunale, nonché la minimizzazione dell’impatto urbanistico e dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, costituente un obiettivo di interesse generale legittimamente perseguibile dall’ente locale (per quanto sopra osservato).

Al fine di realizzare tali esigenze di tutela, l’Amministrazione ha provveduto alla zonizzazione del territorio, dettando una specifica disciplina per ciascuna delle aree così delimitate.

Con riferimento all’ambito urbano, pure prevedendo una disciplina generale tesa ad impedire la realizzazione di impianti con potenza superiore a 20 watt, ha individuato alcune aree (sempre in ambito urbano) idonee all’installazione di nuovi impianti con potenza maggiore di 20 Watt. Tali impianti avrebbero potuto essere realizzati anche in altri ambiti (cfr. rurale).

22. Una tale disciplina regolamentare, alla luce delle considerazioni sopra svolte, non può ritenersi illegittima.

22.1 Le limitazioni poste dall’Amministrazione tendevano, infatti, da un lato, a garantire il corretto e armonioso sviluppo del territorio in una zona già caratterizzata da numerosi edifici, dall’altro, a minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici in una zona densamente abitata.

Tali limitazioni non derogavano i valori soglia definiti dalla legislazione statale, né pregiudicavano le esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica, non impedendo la capillare distribuzione del servizio all'interno del territorio.

Sotto tale ultimo profilo, si osserva che il Comune non ha posto un divieto assoluto di installazione degli impianti con potenza maggiore di 20 watt, ma ha ammesso la loro realizzazione non soltanto nelle zone in ambito rurale, ma anche in ambito urbano, con riguardo alle zone ITR appositamente deputate all’installazione di nuovi impianti, con la conseguenza che l’odierna appellata ben poteva procedere alla realizzazione dell’impianto progettato in numerosi altri siti territoriali.

A fronte di una disciplina regolamentare che, da un lato, risultava emanata all’esito di un’approfondita istruttoria (riferita allo stato attuale della rete e al suo programmato sviluppo, nonché condotta sulla base di specifiche misurazioni all’uopo eseguite), dall’altro, garantiva la possibilità di localizzazioni alternative (anche nello stesso ambito urbano) in maniera da non pregiudicare la distribuzione del segnale su tutto il territorio comunale, incombeva in capo all’operatore economico, al fine di dimostrare la fondatezza delle censure svolte in giudizio, fornire adeguati elementi di prova in ordine all’inidoneità dell’installazione dell’impianto in tali zone alternative a garantire la capillare copertura del territorio comunale.

22.2 Tali elementi non risultano acquisiti al giudizio.

22.3 In proposito, non potrebbe neppure valorizzarsi la consulenza tecnica prodotta dalla ricorrente in prime cure.

22.3.1 In primo luogo, si osserva che la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio (tra gli altri, Cass. civ. Sez. VI - 3, Ord., 26 maggio 2021, n. 14469): essendosi in presenza di un mero atto difensivo, recante allegazioni tecniche a loro volta da dimostrare mediante la produzione degli occorrenti mezzi di prova, tale consulenza non poteva ritenersi idonea all’assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla parte ricorrente.

Nella specie, in particolare, occorreva dimostrare il difetto di istruttoria alla base della disciplina comunale, con particolare riguardo all’inidoneità delle localizzazioni alternative ammesse dal regolamento per cui è causa ad assicurare l’adeguata erogazione del servizio di telecomunicazione in tutto il territorio comunale: si trattava di una circostanza, da un lato, rientrante nella disponibilità dell’operatore economico, da ritenere, in ragione dell’opera professionale svolta, in condizione di valutare l’adeguatezza dei siti alternativi consentiti dalla disciplina comunale; dall’altro, idonea a disvelare l’ipotetica illegittimità del regolamento comunale (per difetto di istruttoria), costituente la causa petendi della domanda proposta, da dimostrare, per l’effetto, a cura della parte ricorrente in prime cure.

In secondo luogo, si evidenzia che la consulenza in atti valorizzava la copertura conseguibile con un impianto di potenza rispettivamente superiore e inferiore a 20 W (pag. 5-7 relazione sub doc. 12 produzione attorea di primo grado), ma non prendeva adeguatamente in esame la differente questione tecnica, rilevante ai fini della soluzione dell’odierna controversia, riferita all’inidoneità della localizzazione di un impianto di potenza superiore a 20 W nelle zone alternative previste dalla regolamentazione comunale a garantire la copertura dell’intero territorio comunale.

22.4 In definitiva, non facendosi questione di divieti assoluti, né di deroghe ai valori soglia stabiliti con legislazione statale, ma di una disciplina comunale, da un lato, tesa a tutelare interessi sensibili (relativi allo sviluppo armonioso del territorio comunale e la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici), dall’altro, abilitante l’installazione, oltre che di impianti con potenza non superiore a 20 W su tutta la zona urbana, anche di impianti di potenza superiore (attraverso la puntuale individuazione di localizzazioni alternative sempre nell’ambito della stessa zona), il piano comunale per cui è causa non poteva considerarsi pregiudizievole per le esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica.

In altri termini, in quanto le limitazioni poste dall'ente locale non impedivano la capillare distribuzione del servizio all'interno del territorio – circostanza non comprovata dalla documentazione in atti e, comunque, incoerente rispetto alla previsione di zone di installazione anche in ambito urbano– il Comune ha legittimamente operato, perseguendo l'interesse urbanistico e di minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, senza incidere sull'interesse alla piena ed efficiente copertura di rete o sui valori soglia riservati alla legislazione statale.

23. Alla luce di quanto osservato, deve ritenersi che l’Amministrazione abbia negato l’istanza di parte in fedele applicazione di una disciplina regolamentare immune dai vizi di legittimità (erroneamente) riscontrati dal Tar.

L’appello comunale deve essere dunque accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado deve essere rigettato con conferma degli atti impugnati dinnanzi al Tar.

Emerge, infatti, un’autonoma ratio alla base del provvedimento di diniego – confermata in giudizio e riferita all’incompatibilità dell’istanza di parte rispetto alla presupposta (legittima) disciplina comunale – idonea a sorreggere la decisione negativa assunta dall’Amministrazione appellante.

24. La particolarità della controversia impone l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.

Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere, Estensore

Marco Poppi, Consigliere