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La tutela penale dell’ambiente marino dagli inquinamenti

A cura di Cristian ROVITO

per www.lexambiente.com

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La protezione degli ecosistemi marini e delle risorse ivi presenti, si colloca in diversi ambiti dell’alveo generale della “tutela ambientale”. La tutela del mare dall’inquinamento è anche uno degli obiettivi predominanti del “VI Piano di tutela ambientale” dell’Unione Europea.

E’ noto che le fonti del diritto produttive di un complesso e vasto “corpus legis”, sono originate dal parlamento nazionale e comunitario e dagli organi internazionali all’uopo preposti, fra tutti l’Organizzazione Internazionale Marittima di Londra (IMO – International Maritime Organization).

Benché ciò rivesta indubbiamente una notevole rilevanza in termini di “prevenzione” e di “ripristino”, non può sottacersi come non esista purtroppo una cultura penale “repressiva” e meglio ancora “dissuasiva” da attuarsi in caso di accertamento dei “reati per inquinamento”.

Nonostante le numerose misure adottate negli ultimi dieci anni nell'Unione europea per incrementare la sicurezza, le acque europee continuano ad essere solcate da navi di dubbia qualità che trasportano carichi inquinanti, ed i responsabili di sinistri marittimi, anche di vaste dimensioni, non vengono adeguatamente puniti.

Si sottolinea che a livello mondiale, l'inquinamento da idrocarburi causato dalle navi è principalmente dovuto allo scarico deliberato in mare. Infatti, l'inaccettabile prassi di effettuare scarichi cosiddetti "operativi", ossia intenzionali, dalle navi, comprese le operazioni di pulizia delle cisterne e lo smaltimento del petrolio residuo, è ancora ampiamente diffusa nelle acque costiere degli Stati membri. Se da un lato è vero che i vari provvedimenti adottati in ambito internazionale e dall'UE, a cui precedentemente si è fatto riferimento, uniti ad una serie di iniziative condotte dall'industria marittima per ridurre l'inquinamento causato dalle navi, hanno effettivamente ridotto queste pratiche, dall'altro il problema rimane purtroppo ancora molto diffuso.

Per rendere l’idea di quanto asserito si pensi che nel 2001, le operazioni di sorveglianza aerea nel Mar Baltico e nel Mare del Nord, hanno consentito di rilevare rispettivamente 390 chiazze di petrolio e 596. Per quanto riguarda il “mare nostrum” uno studio della ”Commissione sul Mare Mediterraneo ha significato ben 1638 scarichi illeciti in mare soltanto nel 1999”. Di queste cifre, solo una ridotta percentuale delle navi che effettuano scarichi illeciti in mare viene effettivamente rilevata ed altrettanto poche sono quelle soggette ad un provvedimento penale.

È ormai un dato ampiamente riconosciuto che lo scarico deliberato in mare di rifiuti e residui del carico delle navi è un fenomeno troppo comune. Gran parte degli scarichi avviene illecitamente, nel senso che contravviene alle norme internazionali sugli scarichi delle navi contenute nella convenzione Marpol 73/78 (la Convenzione internazionale del 1973 per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi e il relativo protocollo del 1978 e successive modifiche), che è stata ampiamente ratificata a livello mondiale. Nonostante ciò, si procede solo nei confronti di una piccola percentuale di responsabili ed i motivi adducibili sono molteplici.

Gli scarichi illeciti sono dapprima favoriti dalla mancanza di adeguate strutture per la raccolta dei rifiuti nei porti; poi, l'osservanza delle prassi tecnico – operative statuite dalla Marpol 73/78 non è omogenea in tutto il mondo ed all'interno dell'UE; inoltre, non sempre è possibile scoprire in tempo gli scarichi e, anche se lo scarico viene rilevato e attribuito ad una determinata nave, raramente si avvia un procedimento giudiziario. Anche quando ciò avviene, spesso non ci sono prove sufficienti per condannare il responsabile e qualora lo stesso venisse condannato, molti Stati applicano pene lievi per questo tipo di reato, talvolta indirizzate esclusivamente al comandante della nave e non anche al proprietario, che è colui che direttamente impartisce le istruzioni a cui il comandante deve ottemperare.

La Convenzione Marpol 73/78 fissa norme precise e condizioni rigide per lo scarico in mare di rifiuti e residui; le disposizioni sono ancora più severe per quelle zone designate come "zone speciali" (che comprendono, per l'inquinamento da idrocarburi, il Mar Baltico, il Mare Mediterraneo e il Mare del Nord). Visto che le norme sono rigide e vengono accettate in maniera generale, il frequente verificarsi di scarichi illeciti può sinteticamente spiegarsi con una mancata applicazione ed esecuzione delle norme applicabili e non con una carenza delle norme in quanto tali. In campo internazionale ci sono pochi meccanismi per imporre l'applicazione della stessa norma: se i comandanti delle navi, i proprietari o gli Stati decidono di ignorare le disposizioni in vigore, la comunità internazionale in quanto tale dispone di pochi strumenti per imporne l'osservanza e, in quel caso, si affida a provvedimenti nazionali e regionali (in merito, deve farsi riferimento alla Legge 31/12/1982, n. 979 recante “disposizioni per la difesa del mare”).

La Commissione Europea aveva già rilevato le discrepanze esistenti tra le norme in vigore e la prassi in questo settore sicchè nella comunicazione che modifica una politica comune sulla sicurezza dei mari del 24 febbraio 1993, dichiarò che si poteva migliorare l'osservanza delle disposizioni della Marpol 73/78, di cui tutti gli Stati membri erano parti firmatarie e che servivano altre iniziative per migliorare l'attuazione di regole e norme internazionali. Da allora, a livello comunitario sono state adottate varie iniziative in tal senso. In primo luogo, questo tipo di reato rientra nella direttiva 95/21/CE sul controllo dello Stato di approdo (Port State Control – Paris Mou – Memorandum of understanding), che prevede che ad ogni ispezione vengano verificati il registro degli oli minerali e altri registri; in caso di discrepanze o dubbi è possibile effettuare altre ispezioni o procedere al fermo della nave. In secondo luogo, per lottare contro l'inquinamento marino causato dagli scarichi operativi (deliberati) delle navi, la Comunità ha adottato la direttiva 2000/59/CE (recepita con il Decreto Legislativo 182/2003 – decreto sui rifiuti portuali) che istituisce, da un lato, l'obbligo per i porti di dotarsi di adeguati impianti di raccolta dei rifiuti delle navi e, dall'altro, l'obbligo per le navi di utilizzare tali impianti. La direttiva intende così disincentivare le navi a scaricare sostanze inquinanti in mare, fornendo norme dettagliate per il conferimento dei rifiuti e dei residui del carico nei porti; il testo introduce inoltre ispezioni specifiche per i rifiuti che, come quelle previste nell'ambito del controllo dello Stato di approdo, sono controlli a campione. Infine, la direttiva sul monitoraggio del traffico navale (2002/59/CE) migliorerà ulteriormente le informazioni di cui dispongono gli Stati costieri sulle navi presenti nelle loro acque e sui carichi che queste trasportano; la direttiva istituisce anche le procedure per rilevare gli scarichi illeciti in mare e per le successive misure che gli Stati membri devono adottare in mare in caso di scarichi di questo tipo.

Pur rappresentando misure rilevanti per eliminare gli scarichi illeciti, questi strumenti non riescono ad affrontare e risolvere completamente il problema a livello comunitario, perché nel quadro normativo delineatosi è assente una tipicità del reato, essendo la violazione delle norme, non disciplinata dal diritto comunitario. L'applicazione della convenzione Marpol 73/78 da parte degli Stati membri presenta altresì delle diversità tanto a livello pratico quanto a livello giuridico.

Ogni Stato membro esegue ispezioni e procede nei confronti dei potenziali responsabili con modalità e strumenti molto diversi; inoltre, anche l'applicazione delle sanzioni varia da uno Stato membro all'altro, sia per quanto riguarda le persone a cui comminare le sanzioni, sia per l'entità e la natura delle sanzioni applicate.

Garantire la sicurezza dei trasporti marittimi e proteggere le acque comunitarie dall'inquinamento causato dalle navi è indubbiamente uno degli obiettivi della Comunità, che deve essere perseguito dalla politica comunitaria ai sensi del Titolo V del trattato, ed in particolare dell'articolo 80, paragrafo 2. La Comunità ha il diritto di regolamentare il comportamento per realizzare un obiettivo comunitario e ha la competenza per legiferare al fine di individuare e tipicizzare quei comportamenti meritevoli di disciplina e soggetti (o la mancata conformità a tali comportamenti) ad un regime sanzionatorio di rango anche nazionale.

Purtroppo si deve sottolineare l’inesistenza di una competenza sostanziale esplicita della Comunità rispetto alle problematiche di rango penale in sé; tuttavia, all’uopo di conseguire gli obiettivi la stessa Comunità può imporre agli Stati membri di prevedere sanzioni penali. Inoltre, anche qualora il diritto comunitario non contempli espressamente sanzioni o pene, gli Stati membri possono essere costretti ad intervenire per far applicare il diritto comunitario.

Nei casi in cui il diritto penale rappresenti l'unico modo per garantire l'efficace esecuzione del diritto comunitario, gli Stati membri possono essere obbligati a prevedere sanzioni penali. Le questioni pertinenti da porsi per determinare se una misura proposta rientra o meno nelle competenze della Comunità riguardano, pertanto, la natura e la finalità dell'azione prevista. Ne consegue che, se un provvedimento emanato in questa direzione, dovesse essere mirato ad aumentare la sicurezza marittima o, ancora, a proteggere l'ambiente, la Comunità risulterebbe verosimilmente competente in materia.

In linea con la sua politica in materia di reati ambientali, si ritiene quindi che solo l'applicazione di sanzioni penali rappresenti uno strumento sufficientemente efficace per garantire che le norme contro l'inquinamento causato dalle navi abbiano gli effetti desiderati.

Non c’è dubbio che un provvedimento di natura penale costituirebbe un importante deterrente a livello comunitario per tutti i soggetti direttamente ed effettivamente coinvolti nel trasporto di merci inquinanti per mare. Gli effetti di una misura sarebbero sufficientemente dissuasivi solo se gli scarichi illeciti fossero considerati “illecito penale” o “reato”, ad indicare una disapprovazione a livello sociale diversa, sotto il profilo qualitativo, dai meccanismi di indennizzo previsti dal diritto civile o dai provvedimenti amministrativi. Si invierebbe certamente un segnale forte e pregno di una forza dissuasiva di gran lunga superiore rispetto a quanto è stato fatto in passato, ai potenziali criminali.

Oltre a queste considerazioni, deve citarsi un'altra importante caratteristica del diritto marittimo esistente che vale in qualche modo a giustificare quei provvedimenti di natura penale in materia di inquinamento causato dalle navi: si tratta dei regimi internazionali di responsabilità civile applicabili agli incidenti di inquinamento provocati dalle navi, che presentano rilevanti lacune a livello di dissuasione.

Per quanto riguarda l'indennizzo dei danni causati dall'inquinamento da idrocarburi, (in campo marittimo ed in tema di inquinamenti il concetto di danno ambientale viene inteso in questi termini) attualmente l'inquinamento provocato dalle petroliere è regolamentato, in ambito internazionale, dal regime istituito dalla Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi (CLC) e dalla Convenzione internazionale sull'istituzione di un fondo internazionale per l'indennizzo dei danni derivanti da inquinamento da idrocarburi (convenzione FUND), modificate dai rispettivi protocolli del 1992, di cui tutti gli Stati membri costieri sono firmatari.

Le due convenzioni istituiscono un sistema di responsabilità civile a due livelli, fondato sulla responsabilità oggettiva, ma in pratica limitata, per il proprietario registrato della nave e su un fondo, finanziato collettivamente da chi riceve gli idrocarburi, che garantisce un indennizzo supplementare alle vittime degli incidenti da sversamento di idrocarburi che non riescono ad ottenere il risarcimento totale dei danni dal proprietario della nave.

L'elemento centrale del regime internazionale sull'inquinamento da idrocarburi (e da altre

sostanze pericolose e nocive, disciplinato da una convenzione che deve ancora entrare in

vigore) è pertanto l'indennizzo delle vittime, mentre la responsabilità di chi inquina rappresenta una caratteristica decisamente meno importante, in quanto la responsabilità personale dell'inquinatore è "annacquata" da un diritto praticamente inviolabile del proprietario della nave di limitare la propria responsabilità civile e dall'indennizzo collettivo di chi riceve il carico attraverso i fondi istituiti, a prescindere dal ruolo effettivamente svolto nell'incidente. I regimi di responsabilità civile e di indennizzo per l'inquinamento marittimo, così come sono concepiti oggi, forniscono pertanto pochi elementi di dissuasione per scoraggiare i soggetti coinvolti nel trasporto per mare di merci pericolose o inquinanti dall'agire con negligenza e hanno dunque scarso valore quando si tratta di contribuire alla prevenzione degli incidenti. Tuttavia, a causa di vincoli giuridici internazionali, tali regimi non possono essere modificati dalla normativa dell'Unione Europea.

Dopo questa dettagliata premessa, necessaria al fine di dare un’idea chiara del problema dell’inquinamento marino, qualche commento sull’attività legislativa della Commissione Europea relativamente alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale, è quanto mai essenziale.

Allo stato attuale esistono due importanti proposte di direttiva e di decisione ove si stabilisce che gli scarichi effettuati in violazione delle normative comunitarie costituiscono un illecito penale e, come tali, soggette a delle “pene” qualora i soggetti coinvolti siano ritenuti responsabili di aver causato l'evento o di avervi partecipato deliberatamente o per negligenza grave.

Nel caso delle persone fisiche e nei casi più gravi, la sanzione penale potrebbe assumere un carattere detentivo con la conseguente privazione della libertà. L'introduzione di adeguate sanzioni per i reati di inquinamento costituisce un elemento di particolare importanza in riferimento all'inquinamento causato dalle navi, in quanto i regimi internazionali di responsabilità civile, ut supra menzionati, applicabili in caso di incidenti da inquinamento prodotto dalle navi, presentano notevoli lacune, discutibili sotto il profilo di “strumento di dissuasione”.

Le proposte avanzate, certamente rispondono all’esigenza sentita da tutti gli Stati membri di disporre di una disciplina giuridica che specifichi il reato e le sanzioni applicabili agli scarichi in mare delle navi. Tra l’altro, si faciliterebbe enormemente l'istituzione di altre misure di cooperazione per l'attuazione di tali norme, anche perché è ormai un dato di fatto che tutti i membri UE debbano cooperare più strettamente in vari settori correlati, compreso il monitoraggio degli sversamenti di petrolio, l'identificazione dei responsabili dell'inquinamento e la raccolta di prove efficaci nei procedimenti giudiziari.

Un tale strumento costituirebbe, in ultima analisi, la piattaforma giuridica per consentire all'Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) di intervenire in questo contesto. L'EMSA ha tutte le capacità necessarie per seguire le questioni legate al monitoraggio e alla rilevazione di scarichi illeciti e a livello politico c'è un ampio sostegno per attribuirle questo tipo di attività, ma attualmente manca ancora la base giuridica contemplata dal diritto comunitario. Resta fermo che ormai la rotta è stata impostata e ci sono tutte le premesse per poter approdare sull’obiettivo di garantire la sicurezza dei trasporti marittimi e proteggere le acque comunitarie dall'inquinamento causato dalle navi.

La direttiva proposta disciplina quindi tanto l'inquinamento causato da qualsiasi tipo di nave, petroliere e non, quanto quello provocato dagli scarichi illeciti di sostanze liquide nocive. Attraverso l’adozione di un tale provvedimento, si assolverebbe alla funzione di garantire un nesso sufficientemente evidente tra la causa dell'inquinamento e la responsabilità dei soggetti che l’hanno provocato. Considerati i vincoli giuridici a livello internazionale e la necessità di garantire il risarcimento efficiente e totale delle vittime quindi, soltanto attribuendo un carattere penalistico si disporrebbe di un valido strumento per gli scopi di cui sopra. L'articolo 6 della proposta di direttiva è pertanto un elemento indispensabile per garantire una politica comunitaria efficace di protezione ambientale e di sicurezza marittima. E’ bene evidenziare come la misura de qua non imponga agli Stati membri di modificare il proprio sistema di base di diritto penale, compresa, tra l'altro, la dottrina della responsabilità penale o le definizioni generali di colpevolezza perchè i provvedimenti che ravvicinano i suddetti principi e definizioni generali non riguardano specificamente gli obiettivi comunitari in questione né, d'altra parte, il campo di applicazione arriva a stabilire disposizioni (di minima) in materia di sanzioni penali o a toccare principi generali di diritto penale, amministrazione della giustizia e/o giurisdizione e procedure penali. Lo stesso articolo 6 stabilisce che le violazioni delle norme prescritte dalla direttiva devono considerarsi “reati”, in linea con quanto già contenuto nella proposta di direttiva della Commissione relativa alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale. Il concetto generale di “tutela” attraverso il diritto penale nasce ancor prima di quello oggetto della presente trattazione. Il punto di partenza era stato costituito dal principio generale da introdurre nel diritto comunitario secondo il quale, le sanzioni vengono comminate se le persone sono riconosciute responsabili di aver causato, di aver partecipato o di aver istigato l'incidente deliberatamente o per negligenza grave.

L'articolo 6 specifica inoltre che le sanzioni per questi reati devono essere adeguate alla finalità di dissuasione che perseguono, elemento di ovvia importanza se si vuole che il divieto di scarico abbia un valido riscontro nella pratica.

Considerato però che nei vari Stati membri vigono prassi divergenti riguardo all’applicazione ed al tipo di sanzioni applicabili di reati di inquinamento, l'articolo armonizzerebbe indubbiamente l'approccio comunitario ai reati connessi agli scarichi in mare, con riguardo ai soggetti che devono incorrere in questo tipo di sanzioni, soprattutto le società proprietarie/armatrici delle unità mercantili. La realtà ha dimostrato che l’applicazione di sanzioni poco severe ha prodotto scarsi risultati, pertanto le violazioni connesse allo sversamento deliberato di sostanze inquinanti, ad esempio il mancato utilizzo di un separatore di acqua/idrocarburi o la falsificazione dei registri, devono, di per sé essere puniti con pene ingenti. Allo stesso modo deve avvenire per un atto di negligenza grave che porta ad uno sversamento notevole di petrolio e a ingenti danni se si vuole ottenere l'effetto dissuasivo voluto.

Come avviene nel nostro ordinamento giuridico, anche in ambito comunitario le sanzioni assumerebbero, a seconda dei casi, un carattere detentivo e/o pecuniario. Resta ferma la precipua responsabilità e la fondamentale validità della sanzione certa applicata in tutto la Comunità Europea.

Tuttavia, per alcuni Stati membri potrebbe essere difficile comminare sanzioni penali alle persone giuridiche senza modificare i principi fondamentali dei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali. Per questo motivo gli Stati membri devono poter prevedere sanzioni diverse da quelle penali, purché siano efficaci, proporzionate e dissuasive: si pensi, ad esempio, ad ammende (non penali), alla confisca dei proventi, all'esclusione dal godimento di sovvenzioni o aiuti pubblici o ancora al controllo giudiziario o alla liquidazione giudiziaria.

Un riferimento al diritto internazionale infine è necessario per tener conto delle varie restrizioni che possono esistere in questo campo, compreso l'articolo 230 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 - UNCLOS.

Nel citato articolo 6, la Commissione chiarisce anche che le sanzioni non devono necessariamente essere correlate alla responsabilità civile delle persone coinvolte e che non sono assicurabili. Quest'ultimo punto non è assolutamente ovvio nelle attuali prassi di assicurazione marittima, dove la copertura assicurativa fornita alle navi dalle polizze offerte da mutue di assicuratori (i cosiddetti Protection and Indennity Clubs, che coprono circa il 90% della stazza mondiale) può comprendere sanzioni pecuniarie e anche sanzioni di natura penale, connesse a reati ambientali.

Cristian ROVITO