di Daniele ESIBINI
Prima di affrontare
nello specifico la tematica concernente la disciplina speciale per la
tutela dell’ambiente marino, è opportuno fare una
premessa circa i confini di applicabilità tra la normativa
nazionale e quella internazionale.
A livello internazionale opera il sistema della responsabilità oggettiva, costituito dalle Convenzioni C.L.C. e Fund. Il regime trova la sua applicazione in occasione di una perdita accidentale di idrocarburi, ovunque questa si verifichi, purché siano individuabili elementi di collegamento con il mare territoriale o con il territorio di uno degli Stati contraenti. Il sistema è altresì applicabile, quando la fuoriuscita di idrocarburi provenga da navi battenti bandiera di uno Stato non contraente le sister conventions, purché il danno si sia verificato in tutto o in parte nel territorio o nel mare territoriale di uno degli Stati contraenti.
Per quanto attiene, invece, alla normativa prevista dal nostro legislatore, deve farsi riferimento alla disciplina generale prevista dal D.Lgs. 152/2006, ed a quella speciale basata sulla Legge 979/82 – Disposizioni per la difesa del mare. In particolare la parte VI del T.U. (norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente), come sancito nell’art. 303 punto b), non si applica in diverse ipotesi tra cui “al danno ambientale o a minaccia imminente di tale danno provocati da un incidente per il quale la responsabilità o l’indennizzo rientrino nell’ambito d’applicazione di una delle convenzioni internazionali elencate nell’allegato 1 alla parte sesta del presente decreto cui la Repubblica italiana abbia aderito”. Tra le Convenzioni indicate in tale allegato, compaiono le convenzioni C.L.C. e I.O.P.C.F.
Diversamente, la Legge sulla difesa del mare, prevede un sistema specifico posto a tutela dell’ambiente marino. Se si colloca temporalmente tale provvedimento, non si può non notare come lo stesso sia concomitante con l’adozione dell’atto finale della Convenzione di Montego Bay e, pertanto, emanata ancora sotto la vigenza della precedente Convenzione di Ginevra del 1958 sul Diritto del mare. Il legislatore nazionale, però, nell’adottare la nuova disciplina, ritenne più opportuno ispirarsi non già alla normativa internazionale vigente, quanto piuttosto a quella in corso di emanazione, nella certezza che la stessa avrebbe rappresentato il criterio ispiratore per il futuro. Per tali ragioni, si può dire oggi, a distanza di oltre vent’anni dalla sua emanazione, che la legge mantiene caratteristiche di attualità e ben si inserisce nel contesto normativo internazionale e comunitario in materia di difesa dell’ambiente.
Con tale provvedimento legislativo viene per la prima volta introdotta nel nostro ordinamento la risarcibilità del danno all’ambiente marino. È prevista la responsabilità solidale del comandante e del proprietario o dell’armatore della nave per la rifusione allo Stato delle spese sostenute per la pulizia delle acque e degli arenili, oltre al risarcimento dei danni arrecati alle risorse marine . Ma c’è di più. Nel dettaglio, la Legge 979, agli articoli da 15 a 23, dispone specifici divieti ed obblighi per evitare l’immissione di idrocarburi e di altre sostanze inquinanti in mare, riconnettendo alle diverse fattispecie sanzioni amministrative e penali. È espressamente vietato a tutte le imbarcazioni, senza discriminazione di nazionalità, di sversare nelle acque territoriali e in quelle marittime interne, idrocarburi o miscele di idrocarburi, nonché altre sostanze nocive. Maggior rigore è poi contemplato per le navi battenti bandiera italiana, i cui comandanti, proprietari e armatori sono imputabili penalmente anche se l’inosservanza del divieto in esame sia avvenuta al di fuori delle acque territoriali.
Nel confronto tra le disposizioni previste dalla legge nazionale e la normativa internazionale di settore, la prima si pone come maggiormente restrittiva rispetto alle convenzioni internazionali firmate e ratificate dall’Italia in materia, quali ad esempio la MARPOL. La disciplina italiana veniva pienamente applicata, sia per quanto attiene ai controlli, sia per quanto riguarda l’irrogazione delle sanzioni da parte della magistratura penale, suscitando però, proteste del ceto armatoriale e marittimo che sostenevano l’illogicità di un sistema che imponeva di ottemperare alla normativa internazionale in materia di discarica a mare dei residui delle sentine e del carico, prevedendo comunque, l’installazione di impianti che non avrebbero mai potuto funzionare in presenza del divieto assoluto a scaricare sancito dalla normativa nazionale.
Dopo anni di costante applicazione la Corte di Cassazione con diverse pronunce , affermò che il giudice di merito doveva disapplicare la normativa interna qualora fosse contrastante con la normativa internazionale che consentiva il medesimo comportamento diversamente vietato.
Venendo ora all’aspetto in questa sede più rilevante, possiamo innanzitutto dire che caratteristica principale della Legge 979/82 è la dimensione pianificatoria, preposta alla tutela ambientale; pianificazione quanto più possibile coordinata tra i vari centri decisionali. La stessa Legge, poi, include aspetti strettamente legati alle attività di prevenzione. Il legislatore prevede un sistema di tutela dell’ambiente marino dove il ruolo del Corpo delle Capitanerie di Porto è posto in primo piano. Viene disposto che il Ministero della marina mercantile (ora Ministero dei trasporti) si adoperi per il potenziamento dell’attività di vigilanza in mare . Per il servizio di vigilanza è competente in primo luogo il Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera, con l’ausilio della Marina Militare per lo svolgimento di operazioni al di là del mare territoriale.
Al fine di fornire un adeguato supporto a tale attività, il legislatore sostenne l’accrescimento della componente navale ed aeromobile con ulteriori mezzi economici affidati al Ministero competente. L’organo legislativo comprese che, per l’espletamento di un efficace servizio, fosse necessario dotare il personale destinato all’espletamento del servizio, di idonei mezzi navali e terrestri, nonché di strutture. Fu così varato un consistente piano finanziario a breve, medio e lungo termine che prevedeva l’acquisizione e la destinazione ai servizi per la difesa del mare di pattugliatori d’altura , motovedette costiere, mezzi aerei , autovetture e la realizzazione di strutture a terra per il potenziamento infrastrutturale del Corpo delle Capitanerie di Porto .
Inoltre, la normativa previde l’istituzione di un servizio di pattugliamento delle coste e di pronto intervento da realizzarsi mediante il noleggio di mezzi ad hoc, adeguatamente armati ed equipaggiati per fronteggiare eventuali inquinamenti da idrocarburi. In base al dettato dell’art. 4 della Legge 979/82, infatti, nel 1998 fu stipulato il contratto con cui il Ministero dell’ambiente affidava alla Società Consortile Castalia Ecolmar l’attività di pattugliamento e di intervento per la raccolta di rifiuti liquidi e solidi rinvenuti in mare. La Società si obbligava a mettere a disposizione un congruo numero di natanti e di uomini, opportunamente attrezzati ed equipaggiati, tali da costituire un sistema integrato di mezzi e risorse umane, idoneo a garantire lungo le coste nazionali una continua azione di sorveglianza e un efficiente strumento di intervento.
Le unità in questione, dislocate nei porti secondo un determinato piano, devono svolgere servizio di pattugliamento e pronto intervento in conformità a quanto stabilito nel “Piano operativo annuale” predisposto dall’amministrazione, nonché secondo le direttive da questa impartite. Anche quando non sono operativi, i mezzi devono essere a banchina, pronti a partire entro due ore dalla richiesta per far fronte ad eventuali emergenze. Le unità alturiere sono tenute anche a compiere interventi al di fuori delle acque nazionali, ovunque il Ministero dell’ambiente lo ritenga necessari, nel quadro dei principi di collaborazione tra gli Stati in materia di lotta all’inquinamento marino sanciti dalle convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce .
Nel 2001 venne stipulata una convenzione tra il Ministero dell’ambiente e il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto per una ridefinizione delle procedure di coordinamento e controllo delle unità “Castalia”. In particolare, con tale accordo furono attribuiti al Comando Generale i poteri di coordinamento nei casi di inquinamento marino; mentre la gestione dei mezzi convenzionati, fu affidata all’autonomia e responsabilità dei Capi di Compartimento marittimo.
Si è così modificata, in termini di una semplificazione procedurale, la precedente organizzazione che prevedeva il dovere delle singole Capitanerie di rivolgersi alla Centrale Operativa per chiedere l’autorizzazione a servirsi delle unità antinquinamento, ogni qual volta se ne presentasse la necessità; invece ora, tale richiesta deve essere presentata solo quando sia necessario impiegare apparecchiature o equipaggiamenti non previsti contrattualmente ovvero, nel caso in cui debbano essere impiegate unità non convenzionate.
Rispetto alla dimensione pianificatoria, vista la presenza di una pluralità di soggetti e di mezzi coinvolti a vario titolo nell’attività di prevenzione e di intervento in caso di inquinamento, la normativa in esame prevede una pianificazione operativa strutturata su due livelli: uno locale ed uno nazionale. Nelle more della formulazione del “Contingency Plan” nazionale, previsto dalla Convenzione di Londra del 1990, entrata in vigore nel ’95 ma non ancora ratificata dall’Italia, è stato approvato nel 1998 il “Manuale delle procedure operative in materia di tutela e difesa dell’ambiente marino e per gli interventi di emergenza in mare”, al cui interno sono analiticamente disciplinati i procedimenti da seguire per affrontare gli eventi inquinanti, secondo la loro gravità. In particolare si dispone che, in presenza di un inquinamento di piccola rilevanza, sono competenti a provvedere le Autorità marittime locali, le quali devono comunicare al Ministero dell’ambiente gli interventi effettuati.
Nell’ipotesi di eventi di particolare gravità, il Capo del Compartimento marittimo, dichiara lo stato di “emergenza locale”, dandone immediata notizia al Ministero dell’ambiente. L’attività di coordinamento e di direzione operativa degli interventi è assunta, allora, dalla locale Autorità Marittima. A tal fine ogni Capitaneria di Porto adotta un “Piano locale di pronto intervento antinquinamento” e può disporre di mezzi e dotazioni antinquinamento in convenzione con il Ministero dell’ambiente.
Qualora, poi, l’emergenza non sia fronteggiabile con le risorse disponibili, il Ministro dell’ambiente deciderà in merito alla dichiarazione di stato di “emergenza nazionale” interessando il Ministro per il coordinamento del Dipartimento per la protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le procedure da seguire dopo tale dichiarazione sono regolamentate nel “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive causate da incidenti in mare”. Si tratta di un piano dettagliato recante le modalità di intervento che le autorità dello Stato, centrali e periferiche, con la collaborazione delle regioni, devono porre in essere al fine di conseguire il massimo risultato possibile nell’azione di bonifica e di contenimento dei danni che possono essere causati a persone ed ambiente in seguito a simili eventi . In ogni caso il Capo del Compartimento mantiene la direzione ed il coordinamento operativo, a livello locale, di tutte le operazioni in mare.
Dall’esposizione fin qui condotta si deduce l’evidente differenza in tema di competenze tra quanto previsto dalla Legge sulla difesa del mare e dal T.U. La Legge 979 fa un chiaro riferimento al comandante della nave, proprietario o armatore, ruoli che sostanzialmente corrispondono con la definizione di operatore adottata nel T.U., imponendo a questi soggetti di informare l’Autorità Marittima locale in caso di avarie o di incidenti ai mezzi di cui sono responsabili ed adottare ogni misura utile per circoscrivere o eliminare i danni all’ambiente marino, al litorale, o agli interessi connessi che possono essere provocati dallo sversamento in mare di idrocarburi o altra sostanza nociva. Tuttavia l’operatore commerciale si trova a collaborare essenzialmente con l’Autorità Marittima, la quale, come primo ed immediato provvedimento, rivolge al responsabile del mezzo, immediata diffida ad adempiere o eventualmente la medesima Autorità adotta tutte le misure ritenute necessarie per poi recuperare dai soggetti indicati dalla norma le intere spese sostenute . Si tratta di un tipico caso di responsabilità oggettiva, dove al verificarsi di un incidente, suscettibile di causare un danno o una minaccia all’ambiente, chi sarà chiamato a provvedere può non coincidere con il responsabile dell’incidente, vista l’imputazione a priori, nei confronti del comandante in solido con l’armatore o il proprietario.
La Legge 979/82 presenta indubbiamente caratteri di specialità rispetto ai contenuti del T.U.; il legislatore non ha previsto alcuna abrogazione della normativa sulla difesa del mare, è lecito dunque ipotizzare una doppia tutela, ovvero qualora non si provveda ai sensi della disciplina di settore, diventeranno competenti i soggetti previsti alla parte sesta del Codice dell’Ambiente.
A livello internazionale opera il sistema della responsabilità oggettiva, costituito dalle Convenzioni C.L.C. e Fund. Il regime trova la sua applicazione in occasione di una perdita accidentale di idrocarburi, ovunque questa si verifichi, purché siano individuabili elementi di collegamento con il mare territoriale o con il territorio di uno degli Stati contraenti. Il sistema è altresì applicabile, quando la fuoriuscita di idrocarburi provenga da navi battenti bandiera di uno Stato non contraente le sister conventions, purché il danno si sia verificato in tutto o in parte nel territorio o nel mare territoriale di uno degli Stati contraenti.
Per quanto attiene, invece, alla normativa prevista dal nostro legislatore, deve farsi riferimento alla disciplina generale prevista dal D.Lgs. 152/2006, ed a quella speciale basata sulla Legge 979/82 – Disposizioni per la difesa del mare. In particolare la parte VI del T.U. (norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente), come sancito nell’art. 303 punto b), non si applica in diverse ipotesi tra cui “al danno ambientale o a minaccia imminente di tale danno provocati da un incidente per il quale la responsabilità o l’indennizzo rientrino nell’ambito d’applicazione di una delle convenzioni internazionali elencate nell’allegato 1 alla parte sesta del presente decreto cui la Repubblica italiana abbia aderito”. Tra le Convenzioni indicate in tale allegato, compaiono le convenzioni C.L.C. e I.O.P.C.F.
Diversamente, la Legge sulla difesa del mare, prevede un sistema specifico posto a tutela dell’ambiente marino. Se si colloca temporalmente tale provvedimento, non si può non notare come lo stesso sia concomitante con l’adozione dell’atto finale della Convenzione di Montego Bay e, pertanto, emanata ancora sotto la vigenza della precedente Convenzione di Ginevra del 1958 sul Diritto del mare. Il legislatore nazionale, però, nell’adottare la nuova disciplina, ritenne più opportuno ispirarsi non già alla normativa internazionale vigente, quanto piuttosto a quella in corso di emanazione, nella certezza che la stessa avrebbe rappresentato il criterio ispiratore per il futuro. Per tali ragioni, si può dire oggi, a distanza di oltre vent’anni dalla sua emanazione, che la legge mantiene caratteristiche di attualità e ben si inserisce nel contesto normativo internazionale e comunitario in materia di difesa dell’ambiente.
Con tale provvedimento legislativo viene per la prima volta introdotta nel nostro ordinamento la risarcibilità del danno all’ambiente marino. È prevista la responsabilità solidale del comandante e del proprietario o dell’armatore della nave per la rifusione allo Stato delle spese sostenute per la pulizia delle acque e degli arenili, oltre al risarcimento dei danni arrecati alle risorse marine . Ma c’è di più. Nel dettaglio, la Legge 979, agli articoli da 15 a 23, dispone specifici divieti ed obblighi per evitare l’immissione di idrocarburi e di altre sostanze inquinanti in mare, riconnettendo alle diverse fattispecie sanzioni amministrative e penali. È espressamente vietato a tutte le imbarcazioni, senza discriminazione di nazionalità, di sversare nelle acque territoriali e in quelle marittime interne, idrocarburi o miscele di idrocarburi, nonché altre sostanze nocive. Maggior rigore è poi contemplato per le navi battenti bandiera italiana, i cui comandanti, proprietari e armatori sono imputabili penalmente anche se l’inosservanza del divieto in esame sia avvenuta al di fuori delle acque territoriali.
Nel confronto tra le disposizioni previste dalla legge nazionale e la normativa internazionale di settore, la prima si pone come maggiormente restrittiva rispetto alle convenzioni internazionali firmate e ratificate dall’Italia in materia, quali ad esempio la MARPOL. La disciplina italiana veniva pienamente applicata, sia per quanto attiene ai controlli, sia per quanto riguarda l’irrogazione delle sanzioni da parte della magistratura penale, suscitando però, proteste del ceto armatoriale e marittimo che sostenevano l’illogicità di un sistema che imponeva di ottemperare alla normativa internazionale in materia di discarica a mare dei residui delle sentine e del carico, prevedendo comunque, l’installazione di impianti che non avrebbero mai potuto funzionare in presenza del divieto assoluto a scaricare sancito dalla normativa nazionale.
Dopo anni di costante applicazione la Corte di Cassazione con diverse pronunce , affermò che il giudice di merito doveva disapplicare la normativa interna qualora fosse contrastante con la normativa internazionale che consentiva il medesimo comportamento diversamente vietato.
Venendo ora all’aspetto in questa sede più rilevante, possiamo innanzitutto dire che caratteristica principale della Legge 979/82 è la dimensione pianificatoria, preposta alla tutela ambientale; pianificazione quanto più possibile coordinata tra i vari centri decisionali. La stessa Legge, poi, include aspetti strettamente legati alle attività di prevenzione. Il legislatore prevede un sistema di tutela dell’ambiente marino dove il ruolo del Corpo delle Capitanerie di Porto è posto in primo piano. Viene disposto che il Ministero della marina mercantile (ora Ministero dei trasporti) si adoperi per il potenziamento dell’attività di vigilanza in mare . Per il servizio di vigilanza è competente in primo luogo il Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera, con l’ausilio della Marina Militare per lo svolgimento di operazioni al di là del mare territoriale.
Al fine di fornire un adeguato supporto a tale attività, il legislatore sostenne l’accrescimento della componente navale ed aeromobile con ulteriori mezzi economici affidati al Ministero competente. L’organo legislativo comprese che, per l’espletamento di un efficace servizio, fosse necessario dotare il personale destinato all’espletamento del servizio, di idonei mezzi navali e terrestri, nonché di strutture. Fu così varato un consistente piano finanziario a breve, medio e lungo termine che prevedeva l’acquisizione e la destinazione ai servizi per la difesa del mare di pattugliatori d’altura , motovedette costiere, mezzi aerei , autovetture e la realizzazione di strutture a terra per il potenziamento infrastrutturale del Corpo delle Capitanerie di Porto .
Inoltre, la normativa previde l’istituzione di un servizio di pattugliamento delle coste e di pronto intervento da realizzarsi mediante il noleggio di mezzi ad hoc, adeguatamente armati ed equipaggiati per fronteggiare eventuali inquinamenti da idrocarburi. In base al dettato dell’art. 4 della Legge 979/82, infatti, nel 1998 fu stipulato il contratto con cui il Ministero dell’ambiente affidava alla Società Consortile Castalia Ecolmar l’attività di pattugliamento e di intervento per la raccolta di rifiuti liquidi e solidi rinvenuti in mare. La Società si obbligava a mettere a disposizione un congruo numero di natanti e di uomini, opportunamente attrezzati ed equipaggiati, tali da costituire un sistema integrato di mezzi e risorse umane, idoneo a garantire lungo le coste nazionali una continua azione di sorveglianza e un efficiente strumento di intervento.
Le unità in questione, dislocate nei porti secondo un determinato piano, devono svolgere servizio di pattugliamento e pronto intervento in conformità a quanto stabilito nel “Piano operativo annuale” predisposto dall’amministrazione, nonché secondo le direttive da questa impartite. Anche quando non sono operativi, i mezzi devono essere a banchina, pronti a partire entro due ore dalla richiesta per far fronte ad eventuali emergenze. Le unità alturiere sono tenute anche a compiere interventi al di fuori delle acque nazionali, ovunque il Ministero dell’ambiente lo ritenga necessari, nel quadro dei principi di collaborazione tra gli Stati in materia di lotta all’inquinamento marino sanciti dalle convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce .
Nel 2001 venne stipulata una convenzione tra il Ministero dell’ambiente e il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto per una ridefinizione delle procedure di coordinamento e controllo delle unità “Castalia”. In particolare, con tale accordo furono attribuiti al Comando Generale i poteri di coordinamento nei casi di inquinamento marino; mentre la gestione dei mezzi convenzionati, fu affidata all’autonomia e responsabilità dei Capi di Compartimento marittimo.
Si è così modificata, in termini di una semplificazione procedurale, la precedente organizzazione che prevedeva il dovere delle singole Capitanerie di rivolgersi alla Centrale Operativa per chiedere l’autorizzazione a servirsi delle unità antinquinamento, ogni qual volta se ne presentasse la necessità; invece ora, tale richiesta deve essere presentata solo quando sia necessario impiegare apparecchiature o equipaggiamenti non previsti contrattualmente ovvero, nel caso in cui debbano essere impiegate unità non convenzionate.
Rispetto alla dimensione pianificatoria, vista la presenza di una pluralità di soggetti e di mezzi coinvolti a vario titolo nell’attività di prevenzione e di intervento in caso di inquinamento, la normativa in esame prevede una pianificazione operativa strutturata su due livelli: uno locale ed uno nazionale. Nelle more della formulazione del “Contingency Plan” nazionale, previsto dalla Convenzione di Londra del 1990, entrata in vigore nel ’95 ma non ancora ratificata dall’Italia, è stato approvato nel 1998 il “Manuale delle procedure operative in materia di tutela e difesa dell’ambiente marino e per gli interventi di emergenza in mare”, al cui interno sono analiticamente disciplinati i procedimenti da seguire per affrontare gli eventi inquinanti, secondo la loro gravità. In particolare si dispone che, in presenza di un inquinamento di piccola rilevanza, sono competenti a provvedere le Autorità marittime locali, le quali devono comunicare al Ministero dell’ambiente gli interventi effettuati.
Nell’ipotesi di eventi di particolare gravità, il Capo del Compartimento marittimo, dichiara lo stato di “emergenza locale”, dandone immediata notizia al Ministero dell’ambiente. L’attività di coordinamento e di direzione operativa degli interventi è assunta, allora, dalla locale Autorità Marittima. A tal fine ogni Capitaneria di Porto adotta un “Piano locale di pronto intervento antinquinamento” e può disporre di mezzi e dotazioni antinquinamento in convenzione con il Ministero dell’ambiente.
Qualora, poi, l’emergenza non sia fronteggiabile con le risorse disponibili, il Ministro dell’ambiente deciderà in merito alla dichiarazione di stato di “emergenza nazionale” interessando il Ministro per il coordinamento del Dipartimento per la protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le procedure da seguire dopo tale dichiarazione sono regolamentate nel “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive causate da incidenti in mare”. Si tratta di un piano dettagliato recante le modalità di intervento che le autorità dello Stato, centrali e periferiche, con la collaborazione delle regioni, devono porre in essere al fine di conseguire il massimo risultato possibile nell’azione di bonifica e di contenimento dei danni che possono essere causati a persone ed ambiente in seguito a simili eventi . In ogni caso il Capo del Compartimento mantiene la direzione ed il coordinamento operativo, a livello locale, di tutte le operazioni in mare.
Dall’esposizione fin qui condotta si deduce l’evidente differenza in tema di competenze tra quanto previsto dalla Legge sulla difesa del mare e dal T.U. La Legge 979 fa un chiaro riferimento al comandante della nave, proprietario o armatore, ruoli che sostanzialmente corrispondono con la definizione di operatore adottata nel T.U., imponendo a questi soggetti di informare l’Autorità Marittima locale in caso di avarie o di incidenti ai mezzi di cui sono responsabili ed adottare ogni misura utile per circoscrivere o eliminare i danni all’ambiente marino, al litorale, o agli interessi connessi che possono essere provocati dallo sversamento in mare di idrocarburi o altra sostanza nociva. Tuttavia l’operatore commerciale si trova a collaborare essenzialmente con l’Autorità Marittima, la quale, come primo ed immediato provvedimento, rivolge al responsabile del mezzo, immediata diffida ad adempiere o eventualmente la medesima Autorità adotta tutte le misure ritenute necessarie per poi recuperare dai soggetti indicati dalla norma le intere spese sostenute . Si tratta di un tipico caso di responsabilità oggettiva, dove al verificarsi di un incidente, suscettibile di causare un danno o una minaccia all’ambiente, chi sarà chiamato a provvedere può non coincidere con il responsabile dell’incidente, vista l’imputazione a priori, nei confronti del comandante in solido con l’armatore o il proprietario.
La Legge 979/82 presenta indubbiamente caratteri di specialità rispetto ai contenuti del T.U.; il legislatore non ha previsto alcuna abrogazione della normativa sulla difesa del mare, è lecito dunque ipotizzare una doppia tutela, ovvero qualora non si provveda ai sensi della disciplina di settore, diventeranno competenti i soggetti previsti alla parte sesta del Codice dell’Ambiente.