Il discrimine fra lo scarico delle “acque meteoriche di dilavamento” e il loro smaltimento come “rifiuti liquidi”.
di Stefania GIAMPIETRO e Alfredo SCIALO'
Sommario:
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L’oggetto di approfondimento: la qualificazione giuridica delle acque meteoriche di dilavamento che vengano a contatto con rifiuti/materiali/sostanze inquinanti.
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Il dato normativo e la successione delle fonti in materia: dalla c.d. “legge Merli” al Testo Unico Ambientale.
2.1. Le innovazioni del d.lgs. n.152/1999.
2.2. I criteri di demarcazione del T.U.A.
2.3 Le modifiche del decreto “correttivo” del 2008.
3. L’incidenza delle modalità di gestione delle acque meteoriche sulla
loro qualificazione e disciplina.
1. L’oggetto di approfondimento: la qualificazione giuridica delle acque meteoriche di dilavamento che vengano a contatto con rifiuti/materiali/sostanze inquinanti.
Con la presente nota intendiamo interrogarci sulla qualificazione giuridica delle acque meteoriche di dilavamento, prendendo in considerazione una casistica diffusa nelle realtà aziendali: l’ipotesi in cui a seguito, per es., di ruscellamento dai piazzali aziendali, dette acque vengano a contatto con rifiuti allo stato liquido o solido ovvero con sostanze/materiali inquinanti.
In particolare, riteniamo possa essere utile verificare se, in tali casi, le acque perdano o meno la qualifica a loro attribuita dall’art. 113, del d. lgs. n. 152/2006 (in prosieguo anche TUA) per assumere la distinta denominazione di “rifiuti allo stato liquido” e, conseguentemente, ricadere sotto la pertinente normativa di cui alla Parte IV dello stesso decreto.
Per dare maggiore concretezza al quesito qui affrontato, si supponga che le acque meteoriche, nella titolarità di un’impresa (o di più imprese unite in consorzio), vengano raccolte, dopo ruscellamento e infiltrazioni, in apposite condotte dedicate e autonome (rispetto alle condotte delle acque reflue industriali e domestiche) e, previa fase di intercettazione, siano addotte direttamente all’interno di un depuratore singolo (o consortile, ex art. 124, comma 2, T.U.A.), con scarico finale debitamente e preventivamente autorizzato, secondo quanto previsto espressamente dall’art. 113, comma 3, cit. 1.
Il tema involge, sul piano teorico (ma con rilevanti effetti pratici…), la nota e risalente problematica relativa alla distinzione concettuale fra le “acque di scarico” e i “rifiuti liquidi” sulla quale, per decenni - a partire dal secolo scorso - la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate per segnare una netta linea di confine fra i due fenomeni, con l’evidente scopo pratico di conoscere, in anticipo e con sufficiente certezza, la disciplina in concreto applicabile.2 Anche se, al presente, l’intricata questione ha trovato una più agevole soluzione nella disciplina introdotta, nel 2006, dal Testo Unico cit., come modificato dal d.lgs. n. 4/2008 (v. oltre) 3.
2. Il dato normativo e la successione delle fonti in materia: dalla c.d. “legge Merli” al Testo Unico Ambientale.
L’individuazione di univoci criteri distintivi tra “scarichi” assoggettati al regime della tutela delle acque dagli inquinamenti e rifiuti liquidi, sottoposti alla diversa disciplina sulla gestione dei residui/rifiuti, ha trovato una sua prima, ma approssimativa, risposta nella giurisprudenza formatasi in applicazione della Legge Merli4 nella quale lo scarico veniva considerato sia nella forma dell’emissione “diretta” come in quella “indiretta” e poteva essere “di qualsiasi tipo”, pubblico o privato, senza che rilevassero le modalità con le quali il refluo attingeva il corpo ricettore (v. art. 1)5;
Sulla scorta di tale dato normativo, nella nozione lata di scarico erano ricondotte (ed assoggettate al relativo regime) anche quelle ipotesi in cui le acque reflue confluivano sino al corpo ricettore, non solo in via diretta (e cioè senza soluzione di continuità, mediante un sistema stabile di collegamento)6. Ma anche dopo autonome fasi di stoccaggio e/o trasporto delle stesse che, evidentemente, interrompevano il loro convogliamento diretto dalle aree di provenienza a quella di destinazione finale.
Per ciò stesso, lo scarico poteva presentarsi come diretto, indiretto, continuo, saltuario o isolato, senza che venisse meno la sua natura giuridica, ex art. 1 cit.; anche nel caso in cui esso si formasse a seguito di percolamento, tracimazione ecc.; ovvero, una volta formatosi, fosse trasferito altrove tramite autobotte per poi essere scaricato nei corpi ricettori 7.
I confini tra il regime degli scarichi e quello dei rifiuti liquidi non risultava chiarito neanche dal successivo testo del D.P.R. n. 915/19828 in tema di rifiuti, il quale, in proposito, si limitava ad affermare (art. 2), che restava “salva l’applicazione della legge 10 maggio 1976 n. 319” (la legge Merli all’epoca vigente) “…per quanto concerne la disciplina dello smaltimento nelle acque, sul suolo e nel sottosuolo dei liquami e dei fanghi…”.
Nel delineato quadro legislativo – abbastanza approssimativo - risultò dunque opportuno e chiarificatore l’intervento della Corte di Cassazione, la quale, con la nota sentenza Forina 9 - dopo una multiforme e incontrollata varietà di interpretazioni eterogenee - chiarì il diverso ambito applicativo delle normative sui rifiuti rispetto a quella sulle acque, gettando le basi per una netta “distinzione” tra rifiuti liquidi e scarichi idrici che, consolidandosi, ha trovato pacifico seguito nella successiva evoluzione giurisprudenziale e normativa.
Senza ripercorrere, nel dettaglio, l’intero percorso motivazionale della citata pronuncia, basti qui rammentare le principali conclusioni cui essa pervenne:
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il D.P.R. 915/1982 disciplinava l’intera materia dei rifiuti, nella quale, come cerchio concentrico minore, si inseriva la normativa relativa agli scarichi di cui alla legge Merli;
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quest’ultima mirava a regolamentare il rapporto che insorgeva tra il refluo e la sua immissione nell’ambiente e pertanto la sua ratio era quella di preservare la qualità dei corpi ricettori;
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diversamente, il D.P.R. 915, in materia di rifiuti, concerneva tutte le singole operazioni di smaltimento (conferimento, raccolta, trasporto, ammasso, stoccaggio, ecc.) dei rifiuti prodotti da terzi, fossero essi solidi, liquidi o fangosi, con esclusione di quelle fasi specifiche e conclusive attinenti al momento dello “scarico”, da ricondurre alla disciplina della l. 319/76.
Da questi principi apicali vennero fatte discendere alcune conseguenze giuridiche secondo cui le sole attività di “scarico” diretto (mediante una condotta o un sistema di condotte che convoglia le acque, senza soluzione di continuità, dal processo di origine sino al corpo ricettore) erano assoggettabili alla disciplina della l. 319/76.
Mentre, per le altre fasi di gestione delle sostanze liquide, al di fuori di una struttura stabilmente asservita allo scarico (come per le operazioni di stoccaggio dei reflui, o di trasporto degli stessi, ecc.), non poteva che trovare applicazione la disciplina sui rifiuti: in tale (nuovo) orientamento interpretativo, la normativa sugli scarichi idrici non appariva, infatti, più idonea, da sola, a garantire quell’elevato livello di tutela ambientale cui era (ed è) ispirata la disciplina comunitaria e, a cascata, quella nazionale10, soprattutto con riferimento alla movimentazione delle acque.
Conclusivamente, e in più chiari termini, alla luce dei principi elaborati dalle Sezioni Unite cit., laddove, sin dal momento della loro “produzione”, le acque reflue fossero avviate - senza soluzione di continuità - a depurazione e successivo scarico mediante un apposito sistema di collettamento, doveva trovare applicazione la disciplina della legge 319/1976, ritenuta adeguata ad assicurare ogni esigenza di tutela ambientale.
Questa opzione interpretativa era recepita dal legislatore (oltre che ribadita dalla Corte Costituzionale11):
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dapprima, con l’art. 8, lett. e), del D.lgs. 22/9712 (il cd. decreto Ronchi) il quale, nel ri-disciplinare l’intera materia dei rifiuti, demarcò i confini tra le due normative prevedendo che erano esclusi, dal campo di applicazione del decreto, “in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge,… le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido”;
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e poi, in modo ancora più esplicito, con il D.lgs. 152/199913 (che abrogò la legge Merli, ridefinendo il regime degli scarichi idrici), il cui art. 2, comma 1, lett. bb) eliminò in modo inequivocabile dalla nozione giuridica di scarico, i cd. scarichi indiretti, stabilendo che, con il termine “scarico”, dovesse intendersi “qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione…”.
2.1. Le innovazioni del decreto legislativo n.152/1999.
Per enucleare, in estrema sintesi, l’effettiva portata delle novità introdotte dal d. lgs.n.152 del 1999 - che superano definitivamente l’accezione onnicomprensiva della nozione aperta di “scarico” della legge Merli – è sufficiente evocare i tanti contributi della giurisprudenza di legittimità e, in particolare, i pregevoli approfondimenti formulati dalla Corte di Cassazione, sez. III, n. 2358 del 24 giugno -3 agosto 1999 ric. Belcari14 la quale:
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per un verso, ha avuto modo di ricondurre, in un alveo più corretto, i rapporti intercorrenti tra le due discipline, precisando che non era esatto affermare (come si leggeva in un obiter dictum, della sentenza Forina, poi ripreso da Corte Cost. n. 173/1998) che la materia dei rifiuti comprende un`area più vasta in cui "come cerchio concentrico minore si inserisce" la materia attinente alle acque di scarico, giacché - com`è noto - tra i rifiuti non possono comprendersi alcune acque di scarico (per esempio le acque meteoriche e quelle di raffreddamento) e, inversamente, le acque di scarico comprendono sostanze che non sono qualificabili come rifiuti liquidi (appunto le acque meteoriche e di raffreddamento)”.
Piuttosto, osserva la Corte, “le due nozioni circoscrivono due aree che non sono concentriche, ma solo parzialmente sovrapponibili o coincidenti”…” e “la porzione coincidente delle due aree è quella dei rifiuti liquidi”;
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e, per altro verso, sulla scorta di un’attenta disamina dell’evoluzione giurisprudenziale in materia e della Relazione governativa di accompagnamento del d.lgs. 152/1999, la Corte chiarì che, dopo l’entrata in vigore di tale decreto, non era più dubitabile “la scomparsa di quello che la giurisprudenza qualificava come scarico indiretto”, che doveva essere diversamente qualificato come rifiuto liquido”.
“Più esattamente, dopo l’entrata in vigore del D.L.vo 152/1999, se per scarico si intende il versamento diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra fonte di versamento e corpo ricettore è interrotto, viene meno lo scarico (indiretto) per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido”15.
2.2. I criteri di demarcazione del T. U. A.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 152/2006, gli esposti criteri di demarcazione tra scarichi e rifiuti liquidi sono apparsi, per qualcuno, “vacillare” poiché:
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l’art. 74, 1° comma – lett. ff), del TUA (a differenza della vigente nozione recata dall’abrogato art. 2 del d.lgs. 152/99), nel fornire la definizione di “scarico”, non prevedeva più che l’immissione di acque reflue nel corpo ricettore dovesse essere “diretta tramite condotta” e non specificava più le varie tipologie di scarichi (acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili).
Il dato testuale della norma – in particolare l’eliminazione, dalla nozione di scarico, del riferimento a qualunque immissione “diretta” nell’ambiente “tramite condotta” (od opere destinate allo scopo) – sembrava poter “sconvolgere” la paziente opera di ricostruzione giurisprudenziale che era riuscita, negli anni passati, a comporre i problemi interpretativi ed applicativi sopra evidenziati, rimettendo in discussione il difficile rapporto intercorrente fra scarichi e rifiuti.
Il rischio di un “ritorno al passato” (con la reintroduzione nell’ordinamento del concetto di scarico indiretto) venne però scongiurato dal provvidenziale contributo della Corte di Cassazione, la quale, chiamata a pronunciarsi sul tema, precisò che il sistema non aveva “… subito rilevanti modificazioni con l'emanazione del D. Lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Allora (art. 36, comma 3°, lett. a), b) e c) del D. Lgs. n. 152-99) come ora (art. 110, comma 3, lett. a), b) e c) del D. Lgs. n. 152-06), la legge prevedeva e prevede anche l'esistenza di acque reflue costituenti rifiuti liquidi, che la giurisprudenza individuava e individua nel fatto che vengano smaltite, anche in rete fognaria, ma non tramite canalizzazione…”16.
2.3 Le modifiche del Decreto “correttivo” del 2008.
La possibilità di una reviviscenza del concetto di “scarico indiretto” (con il quadro di incertezza che avrebbe determinato in merito al regime applicabile alle sostanze convogliate nei corpi ricettori), è stata oggi (finalmente e in modo – si spera –definitivo) superata anche grazie alle modifiche apportate al TUA dal d.lgs. 4/2008.
La nozione di scarico, recata dall’art. 74, comma 1, lett. ff), è stata infatti riformulata - recuperando quella previgente, introdotta dal d.lgs. 152/99 – nei seguenti termini: “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.
Pertanto, nell’attuale sistema normativo delineato dal TUA17, si è in presenza di uno scarico idrico, da assoggettare al regime di cui alla parte III, sezione II del TUA, solo qualora – e a condizione che - il recapito dei reflui nel corpo ricettore sia “diretto” nel senso oggi precisato dall’art. 74 cit.
Ove, invece, il convogliamento del refluo dal processo di origine sino al corpo ricettore sia interrotto cioè presenti momenti di soluzione di continuità (come nel caso di scarico delle acque reflue in vasche, per il successivo trasporto in altro luogo tramite autobotte18 con finale versamento in un corpo idrico) si ricadrà in una diversa ipotesi che è – appunto – quella di gestione di rifiuti liquidi da sottoporre, in quanto tali, alla disciplina dettata dalla Parte IV del TUA.
3. L’incidenza delle modalità di gestione delle acque meteoriche sulla loro qualificazione e disciplina.
Alla luce dell’attuale distinzione tra rifiuti liquidi e acque meteoriche possiamo, in conclusione, evidenziare che la possibilità di ricondurre quest’ultime alla nozione e disciplina dei rifiuti liquidi dipenderà, esclusivamente, dall’effettiva modalità di gestione delle stesse.
Qualora, infatti, le acque piovane, dopo aver dilavato i piazzali vengano (a) convogliate (nella loro totalità) in un sistema di collettamento; (b) trattate in apposito impianto depurativo e poi (c) scaricate nel corpo ricettore, tali modalità di gestione si presentano pienamente conformi, innanzi tutto, alla vigente nozione di “scarico”, ex art. 74, comma 1, lett. ff) del TUA, con riferimento alla fase finale di gestione.
Ci troviamo cioè alla presenza di acque meteoriche di dilavamento che assumono la forma (e sono pertanto da sottoporre alla disciplina propria) di uno scarico diretto in acque superficiali, ai sensi dell’ all’art. 113, comma 3 (da intendere come specificazione delle previsioni generali del comma 1, e in deroga al principio di esonero totale da ogni prescrizione, di cui al comma 2, dello stesso articolo), sempre che non si verifichino o si rendano necessari momenti di interruzione e/o sospensione nella continuità del sistema di collettamento utilizzato, prima della loro immissione finale nel corpo idrico.
Si rende pertanto applicabile la specifica disciplina dettata – nell’ambito della Parte III, sez. II, del TUA - dagli artt. 74, comma 1, lett. ff) (con riferimento alla nozione di scarico), 113, comma 3 (in relazione alle prescrizioni regionali di “.. convogliamento e di opportuni trattamenti in impianti di depurazione”) e al regime di autorizzazione, generale e preventiva, di tutti gli scarichi, ex artt. 124.
In definitiva:
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ai fini della distinzione tra scarichi di acque reflue e rifiuti allo stato liquido non assume alcuna rilevanza l’eventuale presenza di sostanze inquinanti nelle acque (di dilavamento) destinate allo scarico, poiché la demarcazione tra i due regimi riposa esclusivamente sulle modalità gestorie dei reflui (come evidenziato sopra). In particolare, la presenza (per dilavamento) di rifiuti o, più genericamente, di sostanze inquinanti nelle acque meteoriche può, al più, rilevare sotto altro profilo, e cioè quello dell’obbligo di adottare un impianto di trattamento idoneo ad abbattere gli inquinanti veicolati dalle acque stesse e riportare lo scarico finale nei limiti tabellari previsti dall’autorizzazione;
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un’eventuale inclusione delle acque meteoriche, in discussione, nel novero dei rifiuti liquidi - fondato sul solo presupposto del “contatto”, nella fase di dilavamento, con rifiuti e/o sostanze/materiali inquinanti - sarebbe in palese contrasto con la volontà manifestata dal legislatore statale, il quale ha deliberatamente affidato ad una specifica disciplina regionale la gestione delle acque meteoriche anche se caratterizzate dal fatto di essere dilavate (ed eventualmente contaminate) dal dilavamento su scarti di produzione o sostanze/materiali inquinanti (quando non ha optato per la loro esclusione totale dalla disciplina della Parte III del TUA cit.).19
Conclusivamente, la scelta del legislatore è stata quella di sottrarre le acque meteoriche, ancorché contaminate, al regime dei rifiuti liquidi nella ricorrenza delle condizioni descritte (immissione tramite un sistema stabile di collettamento, assenza di “soluzioni di continuità” nell’adduzione delle acque di pioggia dalle aree interessate all’impianto di trattamento, ecc.; v. parr. 2.2. e 2.3), assicurando, comunque, anche in caso di presenza di materiali inquinanti (provenienti da sostanze, materiali, rifiuti giacenti sui piazzali, sulle aree scoperte, ecc.) un’adeguata tutela dei corpi idrici ricettori, tramite una apposita disciplina mirata a neutralizzare i contaminanti, ai sensi dell’art. 113, comma 3 cit. 20
Resta ferma (e da contrapporre alla fattispecie esaminata) la distinta vicenda in cui le acque meteoriche – contaminate o a rischio di esserlo – siano lasciate giacenti sui piazzali dell’impresa, abbandonate e senza alcun stabile sistema di raccolta e collettamento in un corpo ricettore.
In tal caso, infatti, non si configurerebbe:
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né un fenomeno di “scarico”, in senso tecnico (v. retro), ai sensi dell’art. 74, comma 1, lett. ff (mancando una rete fissa di collettamento per l’immissione nel corpo ricettore);
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né un’ipotesi di applicazione della previsione del comma 2, dell’art. 113 TUA, cioè di esonero dalla osservanza della normativa del TUA (che ovviamente non si estende alle acque piovane contaminate o a rischio di contaminazione).
In base ai principi ricordati e per consolidata giurisprudenza – per quest’ultima fattispecie - si dovrà ricorrere alla normativa sui rifiuti liquidi, che riveste portata “generale” (rispetto a quella “speciale” sulle “acque di scarico”, ex art. 74, comma 1, lett. gg, cit.), non sussistendo le condizioni per l’esclusione del comma 2, lett. a) dell’art. 185 (che, appunto, suppone la sussistenza di uno “scarico” in senso proprio: v. sopra, sub 1).
In forza di tali ultime disposizioni, si ravvisa il discrimine, logico e giuridico, fra le acque meteoriche e i rifiuti liquidi - in termini di qualificazione e disciplina di dette “sostanze”, ai sensi degli artt. 183, comma 1, lett. a)21 e 113 e 185, comma 2, lett. a), citt.22, nella presenza o meno di “un sistema stabile di collettamento” per il loro deflusso nel corpo ricettore. 23
1 Il quale riproduce, identicamente, l’art. 39, comma 3, del d. lgs. n. 152/1999.
2 Si veda, in tema, P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, 2011, pag. 77, e la copiosa giurisprudenza ivi richiamata. In termini generali, si è chiarito, da ultimo, alla luce della normativa vigente, che la definizione di “scarico” non prevede, come mezzo essenziale per la sua esecuzione, la presenza di tubazioni o apparecchiature speciali costituenti una vera e propria condotta, dovendo ritenersi che è sufficiente ad integrare tale nozione, in senso giuridico, qualsiasi sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizzi (senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno) le acque di pioggia dal luogo di caduta al corpo ricettore. Si veda, in tema, P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, 2011, pag. 77, e la copiosa giurisprudenza ivi richiamata.
3 Con riferimento agli anni ’90 del secolo scorso, si leggano, ex multis, le approfondite prese di posizione di: Cass. Pen. sez. III, 23 febbraio 1995, in Foro it. 1996, II, c. 230 e Cass. Pen. sez. III, 7 maggio 1996, in Foro it 1997, II, c. 33.
4 Legge 10 maggio 1976, n. 319, in G. U. 29 maggio 1976 n. 141. In proposito, per la ricostruzione dei termini in cui si poneva tale contrapposizione, per un primo tentativo sistematico, cfr. P. Giampietro, Scarichi idrici e rifiuti solidi, Giuffrè, Milano 1984 ed ivi richiami alla dottrina coeva.
5 L’ambito di applicazione della legge Merli era, infatti, individuato dal suo art. 1, in questi termini: “La presente legge ha per oggetto: a) la disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo”.
6 Per usare una terminologia aggiornata, come detta l’art. 74, 1°, lett. f), del T.U.A. del 2006.
7 Si vedano, in tal senso, tra le tante: Cass. Pen. sez. III, 23 settembre 1993 in Foro it. 1994, II, c. 596; Cass. Pen. sez. III, 17 novembre 1995 in Riv. giur. amb., 1996, p. 482; Cass. Pen. sez. III, 23 maggio 1997 in Riv. giur. amb. 1998, p. 289.
8 Recante “Attuazione delle direttive (CEE) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403, relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319, relativa ai rifiuti tossici e nocivi”, in G.U. n. 343, del 15 dicembre 1982.
9 V. Sez. Unite, 27 settembre 1995, in Riv. giur. amb., 1996, 678, con nota di P. Giampietro.
10 In senso conforme alla sentenza Forina, si vedano, ex multis, Cass. pen. Sez. III, n. 5000/2000; Sez. III, n. 8337/2001; Sez. III, n.38120/2001; Sez. III n. 1071/2003; Sez. III, n. 8758/2003; Sez. III, n. 12005/2003; Sez. III, n. 20679/2004.
11 Con la sentenza del 20 maggio 1998, n. 173, in Consulenza e pratica per l’impresa, Ipsoa, 1998, p. 1027, con nota critica di L. Butti.
12 Il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, recante “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”, pubblicato in GU n. 302 del 27 dicembre 2004, poi abrogato dall'art. 264, c. 1, lett. i), del d. Lgs. n. 152, del 3 aprile 2006.
13 Recante “Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”, in GU n.124 del 29-5-1999 - Suppl. Ordinario n. 101. Oggi abrogato dall'art. 175, c. 1 lett. bb), del D. Lgs. n. 152/2006.
14 Pubblicata in Foro it., 1999, II, 691, con nota di G. Amendola, Acque di scarico e rifiuti liquidi: i nuovi confini.
15 A tal proposito non può sottacersi che, anche dopo l’entrata in vigore del D. lgs. 152/99, si registrò la reviviscenza della nozione di scarico indiretto in due pronunce della Corte di Cassazione, che restarono comunque isolate e furono prontamente stigmatizzate, in dottrina, per l’evidente contrasto con il dato normativo. Si veda: Corte di Cassazione, Sez. III penale, 14 giugno 1999, in Riv. giur. ambiente, 2000, p. 84; Corte di Cassazione, Sez. III penale, 28 settembre 1999, n.12576, sez. III, con nota di L. Prati, Nuovo regime delle acque: la Cassazione recupera lo "scarico indiretto" in Riv. giur. ambiente, fasc.5, 2000, pag. 745.
16 In questi termini, Cass. Pen. Sez. III, del 16 gennaio 2008, n. 2246 in www.lexambiente.it; nello stesso senso la sezione III si era già espressa, non appena entrato in vigore il TUA, con le sentenze n. 3588/2006 e 40191/2007.
17 I successivi provvedimenti correttivi del TUA (d.lgs. 205/2010, d.lgs.128/2010, D.L. 69/2013, ecc.) non hanno ulteriormente modificato la nozione di scarico e la sua distinzione dei rifiuti liquidi.
18 V., fra le tante: Cass. pen., sez. III, n. 22036/2010 che ha concluso nel senso di qualificare i liquami così gestiti (stoccati in attesa di successivo smaltimento) come rifiuti liquidi, in assenza di uno stabile sistema di collettamento verso il corpo ricettore.
19 Prevedendosi la possibilità per le singole Regioni: a) di individuare forme di controllo, prescrizioni o autorizzazioni per dette acque contaminate (v. art. 113, comma 1, lett. a e b); b) di imporre che le stesse “siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici” (v. art. 113, comma 3).
20 Si veda, a titolo esemplificativo, quanto disposto dalla regione Lazio, per assicurare forme di protezione dei corpi ricettori, tramite le norme di attuazione del suo “Piano di tutela delle acque” il quale impone (v. l’art. 24) che: “ (comma1) … ai sensi del comma 3 dell’articolo 113 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, le acque di lavaggio e di prima pioggia dei piazzali e aree esterne industriali - dove avvengono lavorazioni, lavaggi di materiali o semilavorati, di attrezzature o automezzi o vi siano depositi di materiali, materie prime, prodotti, ecc.- devono essere convogliate e opportunamente trattate, prima dello scarico nel corpo ricettore, con sistemi di depurazione chimici, fisici, biologici o combinati, a seconda della tipologia delle sostanze presenti;
(comma 2) Detti scarichi devono essere autorizzati e le emissioni devono rispettare i limiti previsti dalle tabelle 3 e 4 dell’allegato 5 alla parte III del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152; (comma 3). Le lavorazioni o il deposito di materiali o semilavorati, di attrezzature o automezzi o depositi di materiali, materie prime, prodotti, ecc. devono avvenire in piazzali impermeabili e dotati di sistemi di raccolta delle acque;
(comma 4). Le lavorazioni o depositi di materiali inerti o di materiali già̀ presenti in condizioni naturali quali ad esempio: vetro non contaminato, minerali e materiali da cava, terre, argille, ghiaie, sabbie, limi, materiali da costruzione, mattonelle, ceramiche, manufatti di cemento, calce e gesso, legname di vario genere, possono essere stoccati su aree non impermeabilizzate e sono esclusi dall’obbligo di trattare i reflui;
(comma 5). L’esenzione all’autorizzazione allo scarico e all’opportuno trattamento dei reflui, per la suddetta tipologia di materiali, decade nel caso in cui l’impresa, per motivi aziendali, abbia realizzato comunque una pavimentazione impermeabile del piazzale e quindi convogliato i reflui.
(comma 6). In detti scarichi devono essere assenti le sostanze pericolose ai sensi della direttiva 2000/60/CE;
(comma 7). Sono considerate acque di prima pioggia quelle corrispondenti per ogni evento meteorico ad una precipitazione di 5 mm uniformemente distribuita sull’intera superficie scolante servita dalla rete di drenaggio. I coefficienti di afflusso alla rete si assumono pari ad 1 per le superfici coperte, lastricate od impermeabilizzate e a 0,3 per quelle semi-permeabili di qualsiasi tipo, escludendo dal computo le superfici a verde;
(comma 8). Gli apporti meteorici successivi alle portate di prima pioggia potranno essere scaricati direttamente nel corpo idrico ricettore”.
Sulla confluenza, nelle acque reflue industriali, di acque di servizi igienici e acque meteoriche, cfr. Cass. Pen. Sez. 3, 30 settembre – 26 ottobre 1999, secondo cui: “Per scarico deve intendersi il liquido proveniente dall’insediamento produttivo nella sua totalità, e cioè nell’inscindibile composizione dei suoi elementi confluenti nel corpo ricettore, a nulla rilevando che parte di esso sia composto da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli dei servizi igienici o delle acque meteoriche immesse in un unico corpo ricettore. Integra gli estremi dello scarico il percolamento intrinseco di cumuli di vinacce, derivanti dalla distillazione e di ceneri depositate sul terreno prospiciente la distilleria e il dilavamento di tale complessivo materiale per effetto delle acque meteoriche”.
21 Relativo alla definizione del rifiuto, anche allo stato liquido.
22 Articoli che si rivolgono, rispettivamente, alle acque meteoriche di dilavamento e all’esclusione delle acque di scarico dal regime dei rifiuti.
23 Su tale cruciale spartiacque, merita riportare i passaggi più significativi della motivazione di una decisiva pronuncia del Giudice di legittimità il quale – già sotto la vigenza del decreto “Ronchi”, con riguardo ad una fattispecie in cui le acque meteoriche venivano a contatto con parti di autovetture accatastate senza protezione, da una impresa di autodemolizione, impregnandosi della ruggine, degli olii minerali e degli altri liquidi inquinanti, per poi attingere la sponda di un fiume - conclude in questi univoci termini: “… escludere però le immissioni effettuate senza un sistema stabile di deflusso dal concetto di scarico non significa che qualsiasi immissione diversa da quella effettuata per mezzo di uno scarico, come definito dall'articolo 2, del decreto legislativo, dianzi citato, debba considerarsi lecita. Le acque meteoriche o quelle di lavaggio, venendo in contatto con materie inquinante, possono dare luogo a veri e propri rifiuti liquidi per i quali trova applicazione il decreto legislativo n. 22 del 1997 che costituisce la legge quadro, sia per quanto concerne i rifiuti solidi che quelli liquidi. Invero sono escluse dall'applicabilità della legge "Ronchi" solo le acque di scarico dirette… ecc.”(cfr.. S.C., Sez. 3° pen. del 27 settembre 2005, n. 34377).