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Sez. 1, Sentenza n. 6360 del 24/03/2005 (Rv. 580828)
Presidente: Saggio A. Estensore: Di Palma S. Relatore: Di Palma S. P.M. Sorrentino F. (Diff.)
Vasaturo (Gomez D'Ayala ed altri) contro Cciaa Napoli (Non Cost.)
(Cassa e decide nel merito, Giud. Pace Napoli, 20 Dicembre 2000)
SANZIONI AMMINISTRATIVE - IN GENERE - Somministrazione al pubblico di alimenti o bevande in difetto di autorizzazione - Illecito amministrativo "proprio" del titolare dell'attività di somministrazione - Riferibilità al dipendente dell'imprenditore - Esclusione.

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Massima (Fonte CED Cassazione)
L'illecito amministrativo previsto dall'art. 10, primo comma, legge 25 agosto 1991, n. 287 a carico di "chiunque eserciti l'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande senza l'autorizzazione di cui all'art. 3, oppure quando questa sia stata revocata o sospesa", ha - nonostante l'uso del termine "chiunque" - carattere "proprio", ossia può essere commesso esclusivamente dall'imprenditore titolare dell'attività e non, in particolare, dal suo dipendente addetto alla somministrazione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAGGIO Antonio - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore - rel. Consigliere -
Dott. GIULIANI Paolo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VASATURO ROBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA L. BISSOLATI 34, presso l'avvocato ESPOSITO FRANCESCO, rappresentato e difeso dagli avvocati D'AYALA GIULIO GOMEZ, GUIDO MARSIGLIA, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
C.C.I.A.A. DI NAPOLI;
- intimata -
avverso la sentenza n. 41522/00 del Giudice di pace di NAPOLI, depositata il 20/12/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dal 10/01/2005 dal Consigliare Dott. Salvatore DI PALMA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per l'inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
- che, con ordinanza-ingiunzione del 19 ottobre 1999, l'Ufficio Provinciale Industria Commercio e Arti-gianato (U.P.I.C.A.) di Napoli irrogò a Roberto Vasaturo - dipendente dell'esercizio commerciale adibito a bar di Nunzia Loredana Baratto - la sanzione amministrativa di L. 4.500.000, per avere, in violazione dell'art. 3 comma 1 della legge 25 agosto 1991 n. 287 (Aggiornamento della normativa sull'insediamento e sull'attività dei pubblici esercizi), svolto attività lavorativa in esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande privo di autorizzazione;
- che, con ricorso del 27 giugno 2000 al Giudice di Pace di Napoli, il Vasaturo si oppose al predetto provvedimento, chiedendone l'annullamento e deducendo, in particolare, che egli non poteva essere assoggettato alla sanzione irrogatagli in quanto non era titolare dell'esercizio commerciale;
- che, costituitasi, la camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (C.C.I.A.A.) di Napoli instò per la reiezione dal ricorso;
- che il Giudice di Pace adito, con sentenza n. 41522/00 del 20 dicembre 2000, rigettò l'opposizione, osservando quanto segue:
"L'opposizione va rigettata poiché non fondata. Ed invero, per il principio della personalità della sanzione amministrativa, responsabile può essere unicamente una persona fisica giammai una persona giuridica. Pertanto, la circostanza che il ricorrente non sia il titolare dell'esercizio commerciale svolto in forma societaria ma unicamente un dipendente a carattere saltuario non rileva ai fini della responsabilità. Difatti, a norma dell'art. 3 L. 24.11.1981 n. 689 è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui e riferibile l'azione materiale o l'omissione che integra la violazione. Pertanto, con riferimento ad una persona giuridica, il principio, secondo il quale la responsabilità amministrativa e personale, determina conseguenze differenti a seconda se la fattispecie di violazione integri una condotta emissiva o positiva. Se, infatti, anche nel caso di specie, la condotta che integri violazione di legge richiede un comportamento positivo, la responsabilità ricade su chi materialmente ha posto in essere il detto comportamento positivo, salva la responsabilità solidale del titolare l'esercizio commerciale";
- che avverso tale sentenza Roberto Vasaturo ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo un unico motivo di censura;
- che la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Napoli, benché ritualmente intimata, non si è costituita, ne' ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con l'unico motivo (con cui deduce: "Violazione e falsa applicazione dagli artt. 3 a 5 Legge 24.11.1981 n. 689 ad art. 3 Legge 25.8.1991 n. 287 In riferimento all'art. 27 Cost. ad all'art. 40 cod. penale"), il ricorrente - dopo aver premesso che l'art. 3 comma 1 della legge n. 287 del 1991 "prevede che l'apertura di esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è soggetto ad autorizzazione"; e che la norma punisce chiaramente il titolare dell'esercizio che svolge tale attività senza la prescritta autorizzazione e non qualunque addetto all'esercizio commerciale" - critica la sentenza impugnata, sostenendo che, nel caso in esame, il Giudice, pur avendo accertato che il titolare dell'esercizio commerciale era una società - la s.a.s. Penelope, come da certificato in atti e tra i cui componenti non figurava il Vasaturo - e pur avendo riconosciuto che il ricorrente era un semplice dipendente e carattere saltuario della predetta Società, ha applicato la sanzione ad un soggetto del tutto estraneo al precetto della legge, violando cosi palesemente l'art. 40 cod. penale nonché l'art. 27 Cost.";
- che il ricorso merita accoglimento;
- che la violazione amministrativa addebitata al ricorrente è quella prevista e sanzionata dal combinato disposto degli artt. 3 comma 1 e 10 comma 1 della citata legge n. 287 del 1991, secondo i quali, rispettivamente, "l'apertura e il trasferimento di sede degli eserciti di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande..., sono soggetti ad autorizzazione, rilasciata dal sindaco..." (art. 3 comma 1) e "a chiunque eserciti l'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande senza l'autorizzazione di cui all'articolo 3, oppure quando questa mia stata revocata o sospesa, si applica la sanzione amministrativa.." (art. 10 comma 1);
- che tale violazione - nonostante l'utilizzazione, da parte del legislatore, dell'espressione "chiunque", per individuare il possibile autore dell'illecito - alla luce della complessiva disciplina dettata dalla legge n. 287 del 1991 e, comunque, della sua ratio, deve qualificarsi (mutuando la terminologia penalistica) siccome violazione amministrativa "propria" vale a dire, come illecito dell'imprenditore, il quale eserciti attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande senza autorizzazione, ovvero quando questa sia stata revocata o sospesa;
- che, infatti, tale affermazione si fonda sulle seguenti considerazioni a) - l'art. 2 comma 1 della legge n. 287 del 1991 - prevedendo che l'esercizio delle attività di cui all'articolo 1, comma 1 somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, appunto è subordinata alla iscrizione del titolare dell'impresa, individuale o del legale rappresentante della società, ovvero di un suo delegato, nel registro degli esercenti il commercio..., (prima condizione) e al rilascio dell'autorizzazione di cui all'articolo 3, comma 1, della presente legge (seconda condizione)" - lascia chiaramente intendere sia che siffatta attività può essere esercitata soltanto in forma di impresa, sia che legittimato alla richiesta ed all'ottenimento dell'apposita autorizzazione sindacale è soltanto il titolare (o il legale rappresentante) dell'impresa stessa; b) - tale rilievo trova ulteriore conferma, dal resto, nell'art. 2 comma 4 lett. a), che - prescrivendo, tra l'altro, il divieto di iscrizione e la cancellazione dal registro degli esercenti il commercio (prima condizione) di coloro "che sono stati dichiarati falliti" - non può che riferirai soltanto ad "imprenditori"; c) - anche la disciplina del "subingresso" - vale a dire, il trasferimento della gestione o della titolarità di un esercizio di
somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande per atto tra vivi o a causa di morte - prevede che "la cessione all'avente causa dell'autorizzazione di cui all'articolo 3" è subordinata alla duplice condizione dell'effettivo trasferimento dell'attività e che "il subentrante sia regolarmente iscritto nel registro di cui all'articolo 2" (art. 7);
- che, in ogni caso, altrimenti opinando - ritenendo, cioè, che l'illecito amministrativo de quo debba qualificarsi (sempre mutuando la terminologia penalistica) siccome "comune" e, quindi, sia addebitabile a "chiunque" ed anche, ad esempio, al "dipendente" dell'imprenditore, titolare dell'esercizio commerciale (come avvenuto nella specie) - si finirebbe con l'imporre al semplice dipendente un comportamento "inesigibile", in quanto non previsto dalla legge:
l'onere, cioè, di assicurarsi, prima dell'instaurazione del rapporto e dello svolgimento della propria attività, che il proprio datore di lavoro sia munito (anche) della specifica autorizzazione all'esercizio dell'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande;
- che dunque, l'espressione "chiunque", utilizzata dall'art. 10 comma 1, deve intendersi riferite a circoscritta ai soli "titolari" dell'esercizio di somministrazione al pubblico di alimanti e bevanda, i quali, pur essendo obbligati a tanto nella loro qualità, siano privi dalla predetta autorizzazione, ovvero abbiano svolto la relativa attività nonostante che l'autorizzazione sia stata revocata o sospesa;
- che ogni altro profilo di censura deve ritenersi assorbito;
- che, pertanto, la sentenza impugnata - che si fonda su principi opposti a quelli in questa sede affermati - dava essere annullata - che, peraltro, la relativa causa, non essendo all'evidenza necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, secondo quanto disposto dall'art. 384 comma 1 secondo periodo cod. proc. civ., nel senso dell'accoglimento dell'opposizione, proposta con il ricorso introduttivo del presente giudizio, e dell'annullamento dell'ordinanza-ingiunzione opposta (cfr., supra, Ritenuto in fatto): infatti - posto che il Giudice a quo ha accertato, con statuizione non censurata in questa sede, che il ricorrente non (è) il titolare dall'esercizio commerciale svolto in forma societaria ma unicamente un dipendente a carattere saltuario" - ne consegue che l'odierno ricorrente, sulla base dalle considerazioni dianzi svolte, non può ritenersi "autore" della violazione allo stesso addebitata;
- che la novità della questione sottoposta all'esame di questa Corte integra giusto motivo per dichiarare compensate per intero, tra le parti, le spese del precedente grado e dalla presente fase del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l'opposizione ed annulla l'ordinanza- ingiunzione. Compensa le spese dell'intero giudizio. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 gennaio 2005.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2005