Cass. Sez. III  n. 6885 del 18 febbraio 2009 (Ud. 18 nov. 2008)
Pres. De Maio Est. Onorato Ric. Chen
Alimenti. Disponibilità di alimenti surgelati in esercizio di ristorazione

Anche la mera disponibilità di alimenti surgelati, non indicati come tali nel menu, nelle cucina di un ristorante, configura il tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall\'inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 18/11/2008
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 2348
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 27109/2008
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CHEN Zhuguang, nato a Zhuguang (Rep. Pop. Cinese) il 4.7.1951;
avverso la sentenza resa il 20.3.2008 dalla corte di appello di Ancona;
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere Dr. Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale GERACI Vincenzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Osserva:
FATTO E DIRITTO
1 - Con sentenza del 20.3.2008 la corte d\'appello di Ancona, accogliendo la impugnazione del pubblico ministero contro la pronuncia assolutoria resa il 23.3.2004 dal tribunale di Pesaro, dichiarava Zhuguang Chen colpevole di tentativo di frode in commercio (artt. 56 e 515 c.p.) perché - quale legale rappresentante del ristorante cinese "Asia" di Pesaro - aveva detenuto in cucina prodotti ittici congelati, non dichiarati come tali nel "menu" presentato ai clienti (accertato il 2.10.2002); e per l\'effetto, in concorso di attenuanti generiche, lo condannava alla pena di tre mesi di reclusione, nonché alle pene accessorie di legge, dichiarando interamente condonata la pena principale.
Il primo giudice aveva assolto l\'imputato per insussistenza del fatto nella considerazione che è notorio come nei ristoranti cinesi vengono serviti prodotti tipicamente congelati.
La corte di merito ha invece ritenuto che anche i ristoranti cinesi operanti sul territorio italiano devono osservare le norme dello Stato, le quali impongono di far conoscere alla clientela se il pesce servito è fresco o congelato. Ha aggiunto che la sentenza assolutoria era in contrasto con l\'attuale orientamento della giurisprudenza di legittimità.
2. - Il difensore dell\'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo erronea applicazione degli artt. 56 e 515 c.p.. Osserva che nel caso di specie: a) mancava la prova che i pesci congelati presenti nel congelatore al momento del sopralluogo dei NAS fossero proprio quelli destinati ai clienti del ristorante; b) non si era verificato neppure un principio di rapporto contrattuale con il cliente, elemento necessario per la configurazione del tentativo. Cita inoltre giurisprudenza di legittimità contraria a quella utilizzata dalla sentenza impugnata.
3 - Nella soggetta materia esiste in realtà un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, già segnalato nel giugno 2002 da una relazione dell\'ufficio del massimario di questa Corte. Sul tema erano già intervenute le Sezioni unite affermando il principio che "integra il tentativo di frode in commercio, perché idonea e diretta in modo non equivoco alla vendita della merce ai potenziali acquirenti, la condotta dell\'esercente che esponga sui banchi o comunque offra al pubblico prodotti alimentari scaduti sulle cui confezioni sia stata alterata o sostituita l\'originale indicazione del termine minimo di conservazione," (Sez. Un. n. 28 del 25.10.2000, Morici, rv. 217295).
Il principio affermato dal supremo organo nomofilattico, suscettibile di valere anche per l\'offerta al pubblico di prodotti surgelati non indicati come tali, non risolse però il contrasto, giacché sembrava lasciare impregiudicata la specifica questione se per la univoca direzione degli atti alla vendita fosse sufficiente la semplice messa in commercio ovvero fosse necessario un quid pluris, ovverosia un inizio di contrattazione con un determinato cliente. Nel secondo senso si può citare tra le tante Cass. Sez. 3, n. 37569 del 25.9.2002, P.M. in proc. Silvestro, mass. 222556 (e in precedenza a 2038/1998 mass. 211807; n. 4291/1998, mass. 210702; n. 12204/1999, mass. 215081).
Nel primo senso, invece, possono essere menzionate Cass. Sez. 3, n. 24190 del 24.5.2005, Baia, mass. 231946, nonché Cass. Sez. 3, n. 23099 del 13.4.2007, Cambria, mass. 237067 (e in precedenza n. 1829/1990 mass. 183273; n. 10145/2002, mass. 221461). Osserva però il Collegio che il contrasto, tutto interno a questa terza sezione, appare avviato a soluzione, giacché sono divenute prevalenti, anche se non massimate, le pronunce che ritengono configurato il tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall\'inizio di una contrattazione con un determinato cliente. Si sottolinea in particolare che la semplice inclusione delle vivande nell\'apposita lista configura una proposta contrattuale nei confronti dei potenziali clienti (sent. Baia), e come tale rivela una univoca volontà di porre in vendita il prodotto.
L\'orientamento oggi prevalente merita di essere condiviso, giacché la idoneità e la univoca direzione degli atti verso la consegna di cibo diverso da quello "pattuito", ovverosia risultante dal menù, è configurata dalla semplice disponibilità del cibo stesso nella cucina del ristorante, indipendentemente dall\'inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore.
Alla luce di questi principi risultano prive di fondamento le argomentazioni difensive del ricorrente. In primo luogo - appunto - non era necessario l\'inizio di una trattativa o di un rapporto contrattuale con il cliente. In secondo luogo, secondo una comune massima di esperienza, non si può negare che i prodotti ittici congelati conservati nel ristorante cinese gestito dall\'imputato fossero proprio quelli inequivocabilmente destinati alla ristorazione della clientela.
4 - Il ricorso va quindi respinto.
Ai sensi dell\'art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
la Corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2009