Pres. Lupo Est. Lombardi Ric. Bia.
Alimenti. Frode nell\'esercizio del commercio - Diversità tra cosa dichiarata e cosa consegnata - Accertamento - Rientra nei poteri del giudice di merito.
In tema di frode nell\'esercizio del commercio, compete al giudice di merito l\'accertamento della esistenza degli elementi costitutivi del reato con riferimento alla valutazione delle differenze qualitative del prodotto commercializzato rispetto a quelle che lo stesso prodotto deve avere in relazione alle sostanze che lo compongono. (Fattispecie relativa a ritenuta esclusione di identità tra cosiddetto scarto da "decanter" di pomodoro, proveniente dalla centrifugazione degli scarti dei pelati, e concentrato di pomodoro, consistente, invece, nel frutto della prima trasformazione del pomodoro fresco).
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 06/11/2007
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDO Alfredo Maria - Consigliere - N. 2619
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 31670/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv. Cò Fausto, difensore di fiducia di:
Bia Franco, n. a Piacenza il 21.12.1937;
avverso la sentenza in data 7.2.2005 della Corte di Appello di Salerno, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Nocera Inferiore in data 19.12.2002, venne condannato alla pena di anni due di reclusione, quale colpevole dei reati: a) di cui all\'art. 416 c.p., commi 1 e 2; 2), 3), 4), 5), 6) e 7) di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 515 c.p., unificati sotto il vincolo della continuazione. Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Di Popolo Angelo, che ha concluso per l\'inammissibilità del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Salerno ha confermato la pronuncia di colpevolezza di Bia Franco in ordine al delitto di partecipazione ad una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie di reati di frode in commercio, di cui l\'imputato pure veniva dichiarato colpevole, concretatisi in un\'attività di intermediazione per la vendita di cosiddetto scarto da decanter, proveniente dalla lavorazione di pomodori, che veniva successivamente utilizzato per la produzione e vendita di concentrato di pomodoro sui mercati internazionali, ed in particolare quello arabo ed africano, frodando gli acquirenti sulla qualità, genuinità ed origine del prodotto.
I giudici di merito hanno rilevato in punto di fatto che, a seguito di complesse indagini eseguite nei confronti di alcune ditte conserviere della Campania, era emerso che alcuni dirigenti di queste ultime, con l\'intermediazione di altre persone tra cui il Bia, avevano venduto scarti della produzione dei pelati di pomodoro ed in particolare il cosiddetto scarto da decanter ad altre aziende, che lo avevano successivamente impiegato per la produzione di concentrato di pomodoro commercializzato sui mercati arabo ed africano. È stato inoltre accertato che il cosiddetto scarto da decanter deriva dalla centrifugazione, tramite un\'apposita macchina di recente introduzione nel ciclo produttivo, denominata "decanter", degli scarti della produzione di pomodoro, costituiti da bucce, semi e frammenti di polpa, normalmente riutilizzati come alimento per gli animali o fertilizzante, e che del predetto scarto venivano indicati quali fittizi acquirenti alcune aziende zootecniche, mentre i destinatali effettivi erano le aziende produttrici del concentrato di pomodoro.
La sentenza, premesso che alla data della pronuncia non si era verificata la prescrizione dei reati ascritti all\'imputato, ha rigettato i motivi di gravame con i quali l\'appellante aveva contestato la sussistenza della frode in commercio, con riferimento all\'impiego del cosiddetto scarto da decanter per la produzione di concentrato di pomodoro, e del conseguente reato associativo, nonché la sussistenza dell\'elemento psicologico dei reati e, chiesto, in subordine, la riduzione della pena inflitta dal giudice di primo grado e la concessione del beneficio della non menzione. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell\'imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell\'art. 515 c.p., nonché la manifesta illogicità della motivazione della sentenza con riferimento alla esistenza della frode in commercio. Premessa l\'analisi delle varie ipotesi (diversità di origine, provenienza, qualità o quantità) attraverso le quali può configurarsi la vendita dell\'aliud pro alio, si deduce che nella specie sono stati erroneamente ravvisati dai giudici di merito gli estremi di una "frode qualitativa".
Si osserva, in estrema sintesi, che la legge non vieta l\'utilizzazione dei residui della lavorazione dei pomodori per la produzione del concentrato di pomodoro; che, infatti, la L. n. 96 del 1969, art. 5, la cui violazione è stata, tra l\'altro, posta dalla sentenza impugnata a fondamento della ritenuta sussistenza del reato di frode in commercio, autorizza la utilizzazione dei residui della lavorazione del pomodoro per la produzione di concentrato a condizione che questa avvenga nello stesso stabilimento in cui si producono pelati e succo di pomodoro.
Si osserva, quindi, che la ratio della norma, risalente ad epoca in cui non era stato ancora introdotto nella lavorazione dei pomodori l\'impiego di un estrattore centrifugo denominato "decanter", era dettata dalla esigenza di assicurare l\'integrità igienico sanitaria di un prodotto facilmente deperibile; che l\'impiego delle nuove tecnologie, tra cui il citato estrattore centrifugo ha sostanzialmente fatto venir meno tali esigenze, determinando l\'abbattimento delle muffe.
Si deduce inoltre che i giudici di merito hanno erroneamente qualificato i materiali provenienti dal decanter quale scarto dello scarto, in quanto, contrariamente a quanto affermato in sentenza, nella macchina centrifuga non venivano immessi la buccia ed i semi di pomodoro costituenti scarto della produzione dei pelati, in quanto questi ed altri residui della raffinazione del succo di pomodoro venivano prima sottoposti ad una operazione di torchiatura e successivamente solo la parte liquida veniva immessa nel decanter per produrre una sostanza disidratata, ad alto contenuto fibroso, avente l\'aspetto del concentrato di pomodoro, ma solo di colore più chiaro;
che, pertanto, l\'utilizzazione del decanter permette di sfruttare al meglio il pomodoro e l\'impiego della sostanza, che deriva dall\'uso della centrifuga, per la produzione di concentrato f non determina la commercializzazione di un prodotto qualitativamente diverso da quello dichiarato, non potendo derivare una differenza qualitativa dal fatto che il materiale utilizzato veniva trasportato fuori dallo stabilimento di produzione.
Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione degli artt. 597, 648 e 649 c.p.p. e l\'illogicità della motivazione della sentenza. Si deduce che la sentenza impugnata ha posto a fondamento della affermazione di colpevolezza dell\'imputato per il reato di cui all\'art. 515 c.p. elementi fattuali desunti dalla contestazione delle fattispecie delittuose di cui all\'art. 440 c.p., e in ipotesi dall\'art. 444 c.p., benché l\'imputato sia stato assolto da tali imputazioni; che l\'argomentazione della sentenza sul punto costituisce violazione delle disposizioni citate ed è altresì illogica, essendosi desunti argomenti di prova da fatti di cui è stata esclusa la sussistenza o la attribuibilità all\'imputato.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Osserva la Corte che, sotto l\'apparente denuncia di una violazione di legge ed in particolare dell\'errata interpretazione della L. 10 marzo 1969, n. 96, art. 5, che consente l\'impiego dei residui di lavorazione dei pomodori pelati e del succo di pomodoro, idonei alla preparazione delle conserve, nell\'ambito dello stabilimento che li produce, e di vizi di motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente sostanzialmente censura l\'accertamento di fatto su cui si palesa fondata l\'affermazione di colpevolezza per i reati di cui all\'art. 515 c.p..
Si deve, quindi, osservare che appartiene alla competenza del giudice di merito l\'accertamento della esistenza degli elementi costitutivi della frode in commercio (cfr. sez. 6^, 198604826, Loda, RV 172940) con riferimento alla valutazione delle differenze qualitative del prodotto commercializzato rispetto a quelle che lo stesso prodotto deve avere in relazione alle sostanze che lo compongono. Orbene, dall\'accertamento contenuto nelle sentenze dì merito emerge l\'assoluta inidoneità della sostanza impiegata per la produzione del concentrato di pomodoro (scarto da decanter) ad essere utilizzata quale elemento base per la produzione di detto alimento. A sostegno di tale affermazione, infatti, viene puntualmente indicata, nella impugnata sentenza, la circostanza che le ditte produttrici non lo impiegavano a tale scopo, essendo destinato alla alimentazione degli animali e, a riscontro di tale giudizio di inidoneità per l\'alimentazione umana, è stato altresì accertato che gli scarti di cui si tratta venivano fittiziamente venduti ad aziende zootecniche, pur non essendo idonei neppure ad uso alimentare per gli animali, derivando da una seconda spremitura dei residui della lavorazione dei pelati di pomodoro mediante l\'impiego della centrifuga.
La sentenza di primo grado inoltre ha puntualmente osservato, per evidenziare le differenze qualitative del prodotto venduto rispetto a quello dichiarato, che il concentrato di pomodoro, "come si ricava dalla sua stessa denominazione, deve necessariamente consistere nel frutto della prima trasformazione del pomodoro fresco, così lavorato solo per ottenere una maggiore consistenza"; che "l\'aggiunta di una sostanza che viene scartata con apposito procedimento, nel corso della lavorazione della materia prima, altera inevitabilmente le caratteristiche intrinseche e le stesse proprietà nutritive dell\'alimento".
Orbene, il ricorrente si limita sostanzialmente a contestare tale accertamento di merito, fondato su argomentazioni congrue ed immuni da vizi logici, censurando, sulla base di rilievi di natura fattuale, l\'accertamento della natura delle sostanze immesse nel cosiddetto "decanter" e la valutazione della qualità di quelle derivate dall\'impiego della centrifuga, sicché tale contestazione si palesa per sua natura inammissibile in sede di legittimità. Nè la censura fattuale assume diversa connotazione a causa del riferimento alla L. n. 96 del 1969, art. 5, poiché la norma si riferisce ai residui di lavorazione dei pomodori pelati e del succo di pomodoro che siano "idonei alla preparazione di conserve a base di pomodoro", mentre nella specie è stata proprio esclusa siffatta idoneità dai giudici di merito sulla base del riportato accertamento di fatto, come già rilevato non censurabile mediante il ricorso per cassazione.
Infine, il riferimento alle pessime condizioni igieniche nelle quali veniva effettuata la conservazione ed il trasporto delle sostanze utilizzate per la produzione del concentrato di pomodoro, riferimento censurato con il secondo motivo di gravame, si palesa del tutto irrilevante ai fini della configurabilità delle ipotesi delittuose per le quali vi è stata l\'affermazione di colpevolezza dell\'imputato.
Per completezza di esame va rilevato che l\'imputato nulla ha dedotto a proposito dell\'affermazione di colpevolezza per il reato associativo.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell\'art. 606 c.p.p., u.c..
La declaratoria di inammissibilità dell\'impugnazione, da qualsiasi causa sia determinata, preclude alla Corte di Cassazione la possibilità di rilevare le cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p..
Ai sensi dell\'art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 6 novembre 2007. Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2007