Cass. Sez. III n. 3393 del 24 gennaio 2017 (Ud 23 nov 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Di Nicola Imputato: Barbato
Caccia e animali.Nozione di esemplare

L' "esemplare", oggetto di tutela penale, non è soltanto qualsiasi animale o pianta, vivo o morto, delle specie elencate nelle appendici I, II e III della convenzione di Washington, nell'allegato B e nell'allegato C, parte 1 e 2, del regolamento (CEE) n. 3626/82 (e successive modificazioni ed integrazioni), ma anche qualsiasi parte o prodotto, facilmente identificabile, ottenuto a partire da animali o piante di queste stesse specie, nonché qualsiasi altra merce, se da un documento giustificativo, ovvero dall'imballaggio, dal marchio o dall'etichetta, o da qualsiasi altra circostanza, risulti trattarsi di parti o prodotti di animali o di piante appartenenti a queste stesse specie




RITENUTO IN FATTO

1. Andrea Barbato ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Trieste lo ha condannato alla pena di € 20.000 di ammenda per il reato previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera a), della legge 7 febbraio 1992, n. 150 e successive modifiche, perché, in qualità di legale rappresentante della "Barbato" S.r.l., esportava numero 42 ritagli (tomaie) di Python S. P. P. (Verosimilmente Python reticulatus) a forma di cavallo della lunghezza di 60 cm per una larghezza di 4 cm, parti di esemplari di Python appartenente alla famiglia dei boidi ("boidae") compresa nell'allegato B (app.II della "Cites") regolamento CE numero 388/97), essendo detta merce stata presentata presso il "S.O.T." del porto industriale di Trieste, dichiarazione di esportazione in procedura domiciliata EXZ reg. IT numero 9532/T scortata dalla lista valorizzata n. 5 emessa dalla ditta esportatrice in data 10 febbraio 2012, peraltro sprovvista del certificato di riesportazione previsto dall'articolo 5 del regolamento (CE) numero 338/97 successive modifiche. Accertato in Trieste il 16 febbraio 2012.

2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza il ricorrente solleva tre motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 2, comma 1, lettera a) della legge 150 del 1992 (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale).
Sostiene che il tribunale ha ritenuto la penale responsabilità del ricorrente sulla base di due circostanze: la mera detenzione di (ritenute) parti di esemplari appartenenti a specie protette e la carenza del certificato o licenza.
Tuttavia, all'imputato è stata contestata l'esportazione di numero 42 ritagli (tomaie) di Python S.P.P. (verosimilmente Python reticulatus) a forma di cavallo della lunghezza di 60 cm per una larghezza di 4 cm, senza che detti ritagli siano stati oggetto di transazione commerciale, con la conseguenza che sussiste il vizio di violazione di legge denunciato mancando i requisiti per l'affermazione della responsabilità sul rilievo che non è punita la semplice detenzione di tali specie ma soltanto la detenzione per la vendita, ipotesi, quest'ultima, non sussistente e né comprovata dall'istruttoria dibattimentale.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale).
Sostiene che il tribunale avrebbe omesso di motivare su un punto decisivo ossia sulla ragione per la quale i singoli ritagli di (ritenuto) pitone, di cui all'imputazione siano da considerarsi oggetto di transazione commerciale posta la loro non commerciabilità ed inutilizzabilità, osservando in proposito che i "ritagli" non sono tomaie ma che anche a ritenerli tali, ciò non attribuisce loro valore commerciale.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione risultante dal verbale stenografico di udienza del 20 ottobre 2014 (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale).
Afferma che proprio dal verbale si evince chiaramente la non commerciabilità dei ritagli oggetto della procedimento avendo il teste, funzionario dell'ufficio della dogana di Trieste, dichiarato che i detti ritagli non erano stati oggetto di vendita da parte della Barbato S.r.l. all'azienda croata, avendo quest'ultima solo ricevuto l'incarico di lavorazione della merce per conto della prima.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.

2. I motivi, in quanto tra loro strettamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati.

2.1. In punto di fatto, dal testo della sentenza impugnata, si evinceti beni sequestrati, confezionati con pelle di pitone ricompreso nell'Allegato B Pythonidae app. (II) del Reg. C1: 338/97, furono presentati alla Dogana dalla ditta, della quale il ricorrente era legale rappresentante, per l'esportazione diretta all'impresa commerciale croata "Giuseppina d.o.o.".
Sulla base di quanto desunto in sede di controllo della merce e della relativa etichettatura, l'operazione non era stata corredata dalla prescritta licenza di esportazione o in alternativa dal certificato di riesportazione.

2.2. Il testimone Visentin, esperto in tale tipo di accertamenti, ha esaminato le tomaie in questione (42 pezzi di circa 60 x 4 cm.) appurando trattarsi di tomaie in pelle di pitone reticolato e precisando, per averne esibito un campione in udienza, che il materiale in sequestro fosse costituito di pelle di pitone, specificando che tutti i pitoni rientrano nel regolamento di riferimento sotto indicato nelle tabelle B ed A (i pitoni compresi nella tabella A appartengono a specie più rara e maggiormente tutelata).
Per tali merci era necessario, anche in caso di esportazione di meri "campioni", il certificato di reimportazione e la licenza successiva di importazione.
I funzionari delle dogane hanno poi spiegato che nella documentazione che accompagnava il trasporto alla ditta croata (importatrice), si faceva erroneo riferimento a merce autorizzata dalla convenzione di Washington (dichiarazione, quest'ultima sottoscritta personalmente dall'imputato).

2.3. Sulla base di tali acquisizioni, con logica ed adeguata motivazione, il tribunale ha accertato che l'attività di esportazione della merce, oggetto dell'imputazione, era stata eseguita da una società di capitali italiana verso una società commerciale straniera; che l'imputato era il legale rappresentante della società esportatrice nazionale (calzaturificio Barbato s.r.I.); che egli aveva personalmente sottoscritto, in data 10 febbraio 2012, la dichiarazione di accompagnamento della merce in questione nella quale si attestava che la stessa non era, contrariamente a quanto accertato, confezionata con parti di esemplare comunque citati nella convenzione di Washington.
Trattandosi di accertamenti di fatto adeguatamente motivati e privi di vizi di manifesta illogicità, la loro contestazione, peraltro del tutto aspecifica, fatta con i motivi di ricorso, si risolve nella mera proposizione di doglianze di merito precluse nel nel giudizio di legittimità, risultando perciò superate sia l'eccezione secondo la quale le tomaie, per le dimensioni ridotte delle stesse, non consentivano la facile identificabilità del relativo confezionamento con pelle di pitone protetto e sia la ritenuta assenza di prova circa la detenzione per il commercio e la vendita (al ricorrente è stata peraltro rimproverata l'illecita esportazione) della merce sequestrata.

3. Con fondamento, pertanto, il tribunale ha ritenuto, in diritto, che ai sensi dell'art. 5 comma 4 del Reg. (CE) N. 338/97 del 9 dicembre 1996 relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio "l'esportazione o riesportazione dalla Comunità di esemplari delle specie inserite negli allegati BeCè subordinata all'attuazione delle verifiche necessarie e alla previa presentazione, presso l'ufficio doganale in cui vengono assolte le formalità doganali, di una licenza di esportazione o di un certificato di riesportazione rilasciati dall'organo di gestione dello Stato membro nel cui territorio gli esemplari si trovano", pervenendo alla corretta conclusione che l' art. 2, comma primo, della L. 7 febbraio 1992, n. 150 e succ. mod. sanziona alla lett. a) "chiunque, in violazione di quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni, per gli esemplari appartenenti alle specie elencate negli allegati e C del Regolamento medesimo e successive modificazioni.... importa, esporta o riesporta esemplari, sotto qualsiasi regime doganale, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non validi ...".
Peraltro, con specifico riferimento alla merce in sequestro, il tribunale - ritenendo integrate le precedenti violazioni sull'esatto rilievo che la definizione ex Reg. CE 338/97 - art. 2 lett. t) si riferisce ad esemplari, parti di esemplare ovvero da prodotti derivati da essi - ha richiamato, a tale proposito, il principio già espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale l' "esemplare", oggetto di tutela penale, non è soltanto qualsiasi animale o pianta, vivo o morto, delle specie elencate nelle appendici I, II e III della convenzione di Washington, nell'allegato B e nell'allegato C, parte 1 e 2, del regolamento (CEE) n. 3626/82 (e successive modificazioni ed integrazioni), ma anche qualsiasi parte o prodotto, facilmente identificabile, ottenuto a partire da animali o piante di queste stesse specie, nonché qualsiasi altra merce, se da un documento giustificativo, ovvero dall'imballaggio, dal marchio o dall'etichetta, o da qualsiasi altra circostanza, risulti trattarsi di parti o prodotti di animali o di piante appartenenti a queste stesse specie (Sez. 3, n. 23972 del 25/05/2011, Sylla, Rv. 250486).
Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 23/11/2016