Cass. SEz. III sent. n. 36943 del 12 ottobre 2005
Pres. Savignano, Est. Mancini Ric. PG in proc. Volpato

(Annulla senza rinvio, App. Torino, 29 Maggio 2002)

La messa in commercio di prodotti integratori alimentari contenenti "creatyl" e "creatina HPCL" in quantità superiore per unità a sei grammi al giorno, configura la contravvenzione di cui agli artt. 8 e 23 del D.Lgs. 29 maggio 1991 n. 178, nonchè i reati previsti dagli artt. 445 e 515 cod. pen., in quanto dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell\'11/6/1999 della circolare del Ministero della Sanità del 7 giugno 1999 n. 8, contenente "Linee guida sugli alimenti adatti a sostenere un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi", può ritenersi raggiunta la consapevolezza che la creatina, superato un determinato dosaggio, si trasforma da integratore alimentare in sostanza medicinale.
(Massima CED Cassazione)

Svolgimento del processo

Con sentenza del 29 maggio 2002 la Corte d’appello di Torino in parziale riforma della sentenza in data 26 aprile 2001 del tribunale della stessa città appellata dalla Procura della Repubblica assolveva l’imputato Volpato Odillo con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Il tribunale lo aveva assolto con la formula perchP il fatto non sussiste.
Contro l’imputato si era proceduto per i reati di cui agli articoli 515 Cp, 23 co. 3 D.Lgs 178/91, comma 10 D.Lgs 541/92 in relazione all’articolo 201 del Tu delle leggi sanitarie e 445 Cp, per avere messo in commercio come integratori alimentari i prodotti “creatyl” e “creatina HPCL99” da considerarsi invece medicinali, in assenza dunque della prescritta autorizzazione ministeriale.
Per il tribunale il presupposto unificante della complessa, articolata contestazione era la qualificazione della creatina come medicinale se somministrata in quantità superiore ai sei grammi pro die, qualificazione incerta, tuttavia, ad avviso del tribunale come anche in dibattimento era emerso dalle dichiarazioni dei consulenti che, sul punto, avevano riferito sia dell’acquisizione da parte della scienza di conoscenze non definitive sia di effetti farmacologici della sostanza non ancora con certezza acclarati. Inoltre il D.Lgs 111/92, contenente l’attuazione della direttiva 891398/Cee concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione particolare,aveva dettato una disciplina specifica per i prodotti alimentari destinati a soggetti sottoposti a sforzi particolari prevedendo un duplice regime: quello della notificazione e quello della autorizzazione. Ebbene l’imputato per i prodotti in questione aveva proceduto con la semplice notificazione (riservata alle sostanze meramente dietetiche) ed il Ministero non aveva sul punto mosso obiezioni di sorta. Quanto alla presentazione dei prodotti lo stesso tribunale aveva notato che nei depliants pubblicitari la parte generale introduttiva relativa ai circa 70 prodotti commercializzati dalla ditta faceva generici richiami ad effetti terapeutici di cui però non era traccia nella sezione destinata ai due prodotti in questione.
Il Pm appellante aveva formulato le seguenti osservazioni critiche. La pubblicità terapeutica era contenuta nella parte preliminare e generale del depliant e dunque riguardava tutti i prodotti reclamizzati, ivi compresi quelli in questione. La pubblicità menzionava anche gli stati di ridotto tono muscolare e ciò, come sottolineato dal consulente tecnico,implicava una vanteria terapeutica. L’articolo 1 del D.Lgs 178/91, ad avviso dell’appellante, non può considerarsi una norma penale in bianco ma al contrario norma contenente una definizione sufficientemente tipizzata e chiara di specialità medicinale. Tocca poi al giudice penale procedere all’accertamento in concreto della natura del prodotto. Quanto al dosaggio risulterebbero proprietà farmacologiche della creatina agli alti dosaggi. Soltanto a dosaggi contenuti entro i sei grammi pro die la sostanza può considerarsi prodotto dietetico. Il tribunale aveva escluso la natura medicinale anche sul rilievo che la creatina non è inclusa nella farmacopea ufficiale ma la circostanza secondo il Pm non può considerarsi decisiva. In realtà il Ministero aveva prescritto alla ditta dell’imputato fin dall’aprile del 1998 di ridurre la presenza nel prodotto della creatina HLPC da 5-10 gr. al giorno a 0-3. Né, proseguiva l’appello, poteva attribuirsi un particolare significato alla circostanza che la notificazione al Ministero non avesse dato luogo a drastiche determinazioni posto che erano state prescritte modifiche e richiesti chiarimenti ed in tal modo si era ritenuto di avere ricondotto i prodotti nell’ambito della tipologia alimentare.
Tanto premesso, la Corte concorda con il Pm che i prodotti in questione debbano considerarsi medicinali come peraltro si evidenziava negli opuscoli illustrativi predisposti dall’imputato dove venivano segnalate le loro proprietà farmacologiche e ciò a prescindere dal fatto che la creatina viene correntemente utilizzata come medicamento con specifiche finalità terapeutiche, Quanto al dosaggio si evidenzia da parte della Corte territoriale come superato un certo limite il prodotto passi dalla categoria degli integratori alimentari a quella dei medicinali.
In sintesi, a suo avviso i fatti contestati all’imputato,nella loro materialità,debbono considerarsi esistenti. Ritiene però che manchi l’elemento psicologico dei reati stessi.
Ed invero, si nota nella sentenza, soltanto il 7 giugno 1999 ‑ dunque, in epoca successiva ai fatti per cui è processo ‑ è stata pubblicata sulla Gu, la circolare contenente le linee guida sugli alimenti adatti ad un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi, con la conseguenza che solo a partire da quella data una condotta quale quella oggetto del presente processo potrebbe con la dovuta sicurezza ritenersi qualificata dall’elemento soggettivo proprio dei reati nella specie ravvisati. Né al riguardo giova la norma definitoria contenuta nell’articolo 1 del D.Lgs 178/91 che al comma 1 definisce medicinale ogni sostanza “presentata” come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali: ciò perché nella specie, nei depliants pubblicitari costituenti mezzo e luogo di presentazione dei prodotti in questione si registra, come già notato, una sostanziale differenza fra la parte generale e quella specifica.
Propone ricorso per cassazione la Procura generale censurando la sentenza per manifesta illogicità della motivazione e per errata applicazione della legge penale.
Nella impugnazione si ricorda in primo luogo che contrariamente all’avviso della Corte di merito l’imputato era stato avvertito della necessità di ridurre il dosaggio di creatina e ciò era avvenuto ben prima che il Ministero divulgasse con una circolare pubblicata sulla Gu le proprie deliberazioni in materia. Ciononostante, si rileva, nel materiale propagandistico venivano evidenziate le proprietà farmacologiche del prodotto assunto in dosi superiori a quelle prescritte.
Quanto alle violazioni del D.Lgs 178/91 il ricorrente ricorda che la responsabilità può essere ascritta anche a titolo di sola colpa trattandosi di contravvenzioni.
Lo stesso ricorrente dubita poi che per qualificare un prodotto come medicinale occorra avere un pronunciamento di tipo amministrativo e per sostenere la tesi negativa si cita la giurisprudenza di questo Supremo Collegio.
L’impugnata sentenza fa riferimento all’errore in cui può essere incorso l’imputato ma, si nota nel ricorso, omette di considerare la sua particolare competenza in materia, senza peraltro considerare che nella specie l’errore riguarderebbe elementi della fattispecie di reato e sarebbe anche da questo punto di vista inescusabile.
La difesa dell’imputato ha dal canto suo prodotto memoria difensiva con la quale chiede che il ricorso del Pm venga dichiarato inammissibile dato che si risolve in una riconsiderazione delle evidenze processuali già compiutamente valutate dalla Corte territoriale. Per sommo scrupolo tuttavia e seguendo il ricorrente lungo il percorso valutativo dei fatti insiste da un lato nell’affermare che la creatina era all’epoca considerata come un integratore alimentare, dall’altro nel sostenere di non avere mai presentato i due prodotti in questione come sostanze medicamentose, escludendo infine e comunque di avere agito con la volontà di commercializzare aliud pro alio.
È allegata alla memoria copia di una missiva datata 4 febbraio 1999 della Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino indirizzata al ministero della Sanità con la quale si chiedeva di riferire circa il trattamento da riservare ai prodotti contenenti creatina per dosaggi superiori ai 6 gr. al giorno.

Motivi della decisione

Nell’originario capo di accusa era inclusa anche la contestazione della contravvenzione di cui all’articolo 6 comma 10 del D.Lgs 541/92 in relazione all’articolo 201 del Tu delle leggi sanitarie. Il tribunale ha dato atto della sua sopravvenuta depenalizzazione, ragion per cui essa è scomparsa dalla sentenza della Corte territoriale e di essa non si fa ovviamente cenno nel ricorso della Procura generale oggetto di esame in questa sede.
Come poi ricorda lo stesso Pm ricorrente, sia pure ad altri fini, il reato contestato sub b) ha natura contravvenzionale essendo punito per il combinato disposto degli articoli 8 e 23 comma 3 del D.Lgs 178/92 con la pena cumulativa dell’arresto e dell’ammenda: il che significa che per esso il termine prescrizionale massimo (articoli 157 n. 5 e 160 ult. comma Cp) è di quattro anni e mezzo. Ne deriva dunque che il termine stesso è già decorso dal momento che il fatto è stato accertato nell’ottobre 1998,con l’ulteriore conseguenza che il reato deve essere dichiarato estinto per tale causa.
Per il resto, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Con uno dei mezzi di annullamento proposti il Pm ricorrente denunzia violazione di legge sul rilievo che l’imputato sin dall’aprile del 1998, allorché il Ministero gli aveva prescritto degli aggiustamenti per quanto concerne il dosaggio del Creatyl Hplc, era stato messo in grado di rappresentarsi l’illiceità del vantare le proprietà terapeutiche dei prodotti incriminati.
Orbene,a parte il merito della censura, occorre precisare che essa si inquadra meglio ‑ piuttosto che nel motivo di cui all’articolo 606 lettera b) Cpp ‑ nell’altro mezzo di annullamento parimenti proposto dal ricorrente, quello con cui si sostiene il vizio di motivazione della sentenza, atteso che in tal modo quest’ultima viene censurata per non avere considerato una emergenza processuale ‑ la comunicazione del Ministero ‑ che, se adeguatamente valutata, avrebbe condotto la Corte di merito, nell’ottica del ricorrente, ad una diversa soluzione.
Tanto precisato occorre rilevare che in realtà la Corte medesima ha dato adeguata contezza, con una convincente motivazione, della decisione adottata.
Premesso invero che il fatto centrale contestato, nella sua materialità, deve considerarsi sussistente contrariamente all’avviso espresso dal tribunale, il giudice di secondo grado ricava da una serie di elementi il convincimento che l’imputato abbia potuto in buona fede ritenere che i prodotti in questione non fossero medicinali con la conseguente, ritenuta liceità del presentarli come integratori alimentari.
Per la Corte di merito già la circostanza che essi non fossero previsti nella farmacopea ufficiale depone in tal senso. Il Pm ricorrente considera la circostanza pressoché irrilevante ma questo giudizio non può essere condiviso in quanto il giudice penale nella interpretazione del cit. articolo 1 del D.Lgs 178 non può certo prescindere dai dati scientifici disponibili pena la formulazione di un giudizio segnato da incontrollabile arbitrarietà.
Ben vero infatti che «in tema di qualificazione di sostanze come medicamentose o dietetiche il giudice penale non esercita alcun sindacato sull’atto amministrativo né interferisce nella sfera dei poteri riservati alla Pa ma deve procedere ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata; da qui il potere di accertamento indipendentemente dalle determinazioni adottate al riguardo dalla Pa secondo quanto ha statuito questa stessa sezione della Suprema corte con la sentenza 2949/99, Moroti R; nulla tuttavia impedisce al giudice, anzi tutto gli consiglia di ancorare la propria valutazione in un campo tanto lontano dalla propria specifica cultura e preparazione ad una fonte di esperienza e conoscenza autorevole come quella appena citata».
Si aggiunga il rilevante significato della data cui prima si è fatto cenno, il 7 giugno 1999, successiva pertanto alla commissione dei reati, in cui il Ministero ha divulgato ufficialmente le proprie determinazioni in una materia cosi delicata e caratterizzata da tanta incertezza.
Si richiamano sul punto le perspicue considerazioni svolte dalla sentenza di primo grado dove trova ampio spazio lo stato di incertezza che all’epoca caratterizzava la natura della creatina, rievocato con vasti riferimenti ai brani processuali contenenti l’esame dei periti.
Bene, anche il dato ufficiale connesso a questa data ‑ allorché sulla Gu apparve la circolare che chiariva il pensiero del Ministero circa la somministrazione di creatina ad uso alimentare ‑ non può essere sottovalutato né, contrariamente all’avviso del ricorrente, può considerarsi smentito o controbilanciato dalle precedenti osservazioni ministeriali comunicate all’imputato circa il dosaggio della creatina. A quest’ultimo riguardo infatti è decisivo osservare che il Ministero al di là di questo limitato e marginale intervento non pretese nell’occasione che la commercializzazione dei prodotti fosse accompagnata dalla prescritta preventiva autorizzazione (articolo 8 del D.Lgs 178/91) come invece sarebbe successo se avesse riscontrato che si trattava di medicinali.
Lo stesso riferimento a talune proprietà terapeutiche dei prodotti non può considerarsi come sicuramente sintomatico di una consapevolezza, nell’imputato, di commercializzare e propagandare aliud pro alio, posto che esso non appare nella sezione dei depliants specificamente destinata ai prodotti in questione ( essendo invece presente nella parte introduttiva e generale concernente però, come si è visto, ben 70 prodotti uno dei quali in effetti regolarmente registrato come medicinale ).
In conclusione dunque la Corte territoriale ha proceduto ad una organica valutazione di tutti gli elementi processuali in grado di fornire chiarimenti circa l’atteggiamento psicologico dell’imputato allorché ha posto in essere le condotte costituenti la materialità dei reati contestati pervenendo ad un giudizio di buona fede del soggetto ‑ che assorbe la questione della eventuale colpa proponibile con riferimento al reato contravvenzionale sub b) ‑ motivato sulla base di concreti dati processuali, esaminati secondo logica comune e giuridica. Il ricorrente propone degli stessi dati una lettura diversa implicitamente invitando questa Corte suprema ad operare una scelta che esula tuttavia dai suoi poteri di sindacato di sola legittimità.

PQM

La Corte suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla contravvenzione di cui all’articolo 23 comma 3 del D.Lgs 178/91 essendo la stessa estinta per
prescrizione. Rigetta nel resto il ricorso del Pm.