Cass. Sez. III n. 28671 del 15 ottobre 2020 (UP 24 set 2020)
Pres. Ramacci Est. Di Stasi Ric. Avitabile
Urbanistica. Subordinazione sospensione condizionale alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi

Anche con riferimento alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi può essere subordinata la sospensione condizionale della pena, atteso che la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo, può comportare conseguenze dannose o pericolose e che la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25/11/2019, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza emessa in data 05/10/2018 dal Tribunale di Torre Annunziata, con la quale Avitabile Carla era stata dichiarata responsabile dei reati di cui agli artt. 44, 64, 71, 65, 72-83, 95 del d.P.R. n. 380/2001, e 181, comma 1, d.lgs 42/2004 e condannata alla pena di mesi otto di arresto ed euro 25.000 di ammenda, con ordine di demolizione e riduzione in pristino dei luoghi.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Avitabile Carla, a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, lamentando che la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto che i reati contestati si erano consumati alla data dell’accertamento del 7/10/2004, in quanto dalle risultanze istruttorie emergeva che a tale data i lavori erano già stati ultimati; pertanto, in applicazione del favor rei ed in considerazione dell’incertezza sulla esatta data di realizzazione dei lavori, la Corte di appello avrebbe dovuto retrodatare il tempus commissi delicti all’anno 2013 e dichiarare l’estinzione del reato.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 131-bis cod.pen. e correlato vizio di motivazione, lamentando che erroneamente i Giudici di appello avevano denegato l’applicazione della predetta causa di esclusione della punibilità, pur ricorrendone tutti i presupposti applicativi; in particolare deponevano per la tenuità dell’offesa la natura contravvenzionale dei reati nonché la consistenza e tipologia dell’intervento abusivo.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione dell’opera abusiva.
In relazione al primo aspetto espone che erroneamente la Corte di appello si era limitata ad affermare che non emergevano elementi favorevoli e che tale non era la formale incensuratezza dell’imputata; in relazione al secondo aspetto argomenta che l’ordine di demolizione in quanto sanzione amministrativa non poteva essere condizione per la sospensione della pena e che, in ogni caso, la Corte di appello non aveva formulato il giudizio prognostico ex art. 164 cod.pen.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va ricordato che il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l'attività edilizia illecita, ed il suo momento di cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta ex auctoritate, o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell'opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l'accertamento e sino alla data del giudizio (Sez.U, n.17178 del 27/02/2002, Rv.221399; Sez.3, n.38136 del 25/09/2001, Rv.220351; Sez.3, n.29974 del 06/05/2014, Rv.260498).
Questa Corte ha, inoltre, affermato che deve ritenersi ultimato solo l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità (Sez. 3, n. 40033 del 18/10/2011, Cappello, Rv. 250826) al punto che anche l'uso effettivo dell'immobile, se pure accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente al fine di ritenere "ultimato" l'immobile abusivamente realizzato, coincidendo l'ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, Rv. 251424; Sez. 3, n.48002 del 17/09/2014, Rv.261153).
Si tratta di un principio affermato anche con riferimento al reato previsto dall’ art. 181, comma 1, del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, qualora la fattispecie sia realizzata, come nella specie, attraverso una condotta che si protragga nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, trattandosi di reato che ha natura permanente e che si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo(Sez. 3, n. 28934 del 26/03/2013, Borsani, Rv. 256897; Sez.3, n. 24690 del 18/02/2015, Rv.263926).
Nella specie, la Corte di appello ha evidenziato come dalle risultanze istruttorie (verbale di accertamento, documentazione fotografica e dichiarazioni rese dai testi escussi) risultasse che, al momento dell’accertamento, l’immobile, di due piani fuori terra, era privo di infissi e rifiniture e, presentava, sia all’interno che all’esterno, materiale ed attrezzi edili (pag 6 della sentenza impugnata).
Sulla base di tale ricostruzione fattuale, la Corte di appello ha ritenuto, quindi, non ancora ultimati i lavori alla data dell'accertamento del reato (7.10.2014).
Ha, conseguentemente, argomentato che la consumazione del reato (sia con riferimento al reato urbanistico che con riferimento a quello paesaggistico) fosse perdurata fino alla data del 7.10.2014 – data in cui si verificava la cessazione dell’attività edificatoria a seguito della sospensione dei lavori per l’intervenuto accertamento dello stato dei luoghi da parte degli agenti della Polizia Municipale - e che da tale data dovesse decorrere il termine massimo prescrizionale; tale termine, quinquennale, considerate anche le sospensioni del procedimento, non era, pertanto, ancora decorso al momento della decisione appellata, maturando, invece, solo alla successiva data del 20/10/2020 (pagg. 6 della sentenza impugnata).
La motivazione è congrua e priva di vizi logici e, pertanto, non censurabile in sede di legittimità, nonchè giuridicamente corretta, in quanto in linea con i principi di diritto suesposti.
Né coglie nel segno il richiamo al principio del favor rei, per cui, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all'imputato, atteso che, in tema di cause di estinzione del reato, tale principio, va applicato solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull'inizio del termine di prescrizione (Sez.3, n.1182 del 17/10/2007, dep.11/01/2008, Rv.238850), ipotesi che non ricorre nella specie.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, nel valutare la richiesta di applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod.pen., ha denegato la configurabilità della predetta causa di esclusione della punibilità (così confermando la decisione del Tribunale), rimarcando la gravità del fatto sulla base di una valutazione in senso negativo delle modalità della condotta in relazione all’entità della struttura abusiva realizzata.
Le argomentazioni sono congrue e logiche e la motivazione è conforme al principio di diritto, secondo cui, ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell'assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez.3, n.34151 del 18/06/2018, Rv.273678 – 01: Sez 6, n.55107 del 08/11/2018, Rv.274647 - 01).
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
3.1.Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione , individuando, tra gli elementi di cui all’art.133 cod.pen., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato (Sez.3, n.28535 del 19/03/2014, Rv.259899; Sez.6, n.34364 del 16/06/2010, Rv.248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).
L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato.
Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha negato la concessione delle circostanze attenuanti rimarcando in senso negativo l’entità dell’opera abusiva ed aggiungendo anche non si rinvenivano altri elementi valorizzabili in senso positivo per l’imputata.
La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è, pertanto, giustificata da motivazione congrua ed esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419).
3.2. E’ pacificamente riconosciuta la possibilità, per il giudice penale, di subordinare l'applicazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive. Tale possibilità, secondo un primo orientamento, confermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 1 del 10/10/1987 (dep.1988), Bruni, Rv. 177318), non era originariamente ammessa. Tuttavia una successiva pronuncia delle medesime Sezioni Unite (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep. 1997), Luongo, Rv. 206659) ha fornito un condivisibile indirizzo interpretativo, ammettendo la legittimità della sospensione condizionale subordinata alla demolizione che appare, peraltro, giustificata dalla circostanza che la presenza sul territorio di un manufatto abusivo rappresenta, indiscutibilmente, una conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (cfr. Sez. 3, n. 32351 del 1/7/2015, Giglia e altro, Rv. 264252; Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013 (dep.2014), Russo, Rv. 258517; Sez. 3, n. 28356 del 21/5/2013, Farina Rv. 255466; Sez. 3, n. 38071 del 19/9/2007, Terminiello, Rv. 237825; Sez. 3, n. 18304 del 17/1/2003, Guido, Rv. 22471; Sez. 3, n. 4086 del 17/12/1999 (dep. 2000), Pagano, Rv. 216444).
Il discorso non muta con riferimento alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, cui pure può essere subordinata la sospensione condizionale della pena, atteso che la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo, può comportare conseguenze dannose o pericolose e che la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso (Sez. 3, n. 48984 del 21/10/2014, Maresca, Rv. 261164; Sez. 3, n. 38739 del 28/5/2004, Brignone, Rv. 229612; Sez. 3, n. 29667 del 14/6/2002, Arrostuto, Rv. 222115; Sez. 3, n. 23766 del 23/3/2001, Capraro, Rv. 219930).
Con riferimento al relativo obbligo di specifica motivazione, è stato affermato, in maniera condivisibile, come detta motivazione possa anche essere implicita nella stessa emanazione dell'ordine di demolizione contenuto nella sentenza, in quanto tale ordine ha natura di provvedimento accessorio alla condanna ed è emesso sulla base dell'accertamento della persistente offensività dell'opera nei confronti dell'interesse tutelato (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659), con la conseguenza che, quando il giudice del merito subordina la concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, egli non fa altro che rafforzare il contenuto della statuizione accessoria, esaltando contemporaneamente la funzione sottesa alla ratio dell'articolo 165 del codice penale finalizzata all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, persistenti nel caso di ostinata inottemperanza all'esecuzione dell'ordine di demolizione, circostanza che rende perciò il condannato immeritevole della sospensione condizionale della pena (così Sez. 7, n. 9847 del 25/11/2016, dep.28/02/2017, Palma, Rv. 269208; conf. Sez. 3 n. 7283 del 9/2/2018, Mistretta, Rv 272560; Sez.3 n.51014 del 15/06/2018, Rv.274305).
Da ultimo, è stato precisato che la motivazione oltre a poter essere implicitamente espressa nei termini di cui si è detto in precedenza, può anche ricavarsi aliunde nella complessiva motivazione effettuata dal giudice del merito, laddove questi abbia comunque espresso un giudizio di gravità del reato e di capacità a delinquere dell'imputato desunta attraverso i criteri specificati dall'art. 133 cod. pen. che l'art. 164 cod. pen. richiama (Sez.3, n.23189 del 29/03/2018, Ferrante, Rv.272820).
Nella specie, la Corte territoriale ha espressamente giustificato la subordinazione del concesso beneficio alla demolizione dell’opera abusiva, rimarcando sia la necessità di eliminare gli effetti dannosi del reato che la natura sismica della zona ove era stata realizzata l’opera abusiva.
La motivazione è congrua e non manifestamente illogica ed in linea con i suesposti principi di diritto.
Non sussiste, quindi, il vizio dedotto.
4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Così deciso il 24/09/2020