Cass. Sez.III Sent. 28496 del 18 luglio 2007 (Ud. 17 mag. 2007)
Pres. Papa Est. Marmo Ric. Ilario e altri.
Alimenti. Controlli microbiologici su prodotti alimentari deteriorabili - Procedura dettata dall'art. 4 del D.Lgs. n. 123 del 1993 - Rinvio alle procedure di cui all'art. 223 disp.att. cod. proc. pen. - Presenza di additivi chimici - Impossibilità di revisione - Esclusione - Ragioni.

In materia di controlli microbiologici su prodotti alimentari deteriorabili, la disciplina dettata dall'art. 4 del D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123 nel richiamare l'art. 223 disp.att.cod.proc.pen. prevede il rispetto di una procedura garantita sia per il prelievo dei campioni da analizzare che per il quantitativo minimo del campionamento, rinviando alle disposizioni dei decreti ministeriali per la loro individuazione. A tal fine, l'impossibilità di revisione che comporta l'applicazione della procedura di cui al citato art. 223, comma primo, si riferisce soltanto alle analisi microbiologiche e non anche a quelle aventi ad oggetto la ricerca di additivi chimici, in quanto tali residui sono rinvenibili nei prodotti deperibili anche a distanza di tempo sicchè, essendo possibile la revisione, trova applicazione in quest'ultimo caso la disciplina dettata dall'art. 223, comma secondo, disp.att.cod.proc.pen. (Fattispecie dettata in materia di produzione e commercio di prodotti ortofrutticoli deteriorabili, nella specie cetrioli, che presentavano residui del prodotto antiparassitario "dieldrin" in quantità superiore rispetto a quella prevista dal D.M. 19 maggio 2000, all'epoca vigente).


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 17/05/2007
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - N. 01494
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 040215/2006
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) ILARIO Gerardo, n. il 20/02/1950;
2) PEPPE Franco, n. il 20/02/1950;
3) FALCONI Roberto, n. il 12/08/1962;
avverso la sentenza del 16/12/2005 TRIB. SEZ. DIST. di TERRACINA;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Marmo Margherita;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per l'annullamento con rinvio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pronunciata il 16 dicembre 2005 e depositata il 14 gennaio 2006 il Tribunale ordinario di Latina, sezione distaccata di Terracina, dichiarava Ilario Gerardo, Franco Peppe e Falconi Roberto responsabili del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lettera H, perché l'Ilario, quale produttore, il Peppe, quale intermediario, ed il Falconi, quale produttore finale, producevano e mettevano in commercio a Fondi, il 24 ottobre 2001, cetrioli con residui di dieldrin (0,03 ppmm), in quantità superiore rispetto a quella prevista dalla normativa vigente (D.M. 19 maggio 2000, avente ad oggetto i limiti massimi di residui di sostanze attive dei prodotti fitosanitari tollerati nei prodotti destinati all'alimentazione) e, concesse le attenuanti generiche, li condannava alla pena di Euro 40.000,00 di ammenda ciascuno, oltre al pagamento delle spese del giudizio.
Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata per i motivi che saranno nel prosieguo specificati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Per ragioni di logica priorità vanno esaminati preliminarmente il primo e il secondo motivo del ricorso del Falconi ed il secondo motivo del ricorso del Peppe.
Con tali motivi i ricorrenti lamentano l'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, nonché la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c), in relazione alla inutilizzabilità delle analisi effettuate per violazione delle norme di cui all'allegato A) del D.P.R. n. 327 del 1980 e del D.M. 20 dicembre 1980, vigenti all'epoca dell'accertamento di fatti e relative al prelievo dei campioni da analizzare ed al quantitativo minimo di campionamento, lesione del diritto di difesa per omissione del procedimento di verifica D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, ex art. 4 ed illogicità della motivazione sul punto.
Deducono i ricorrenti che a norma dei nn. 3 e 4 dell'allegato A) del D.P.R. 26 marzo 1980, ancora vigente all'epoca dell'accertamento, vi erano una serie di prescrizioni che l'autorità di vigilanza e di controllo doveva rispettare per il prelievo dei campioni da analizzare, sia in relazione alla quantità minima del prelievo, prevista in 1/2 kg nel D.P.R. e in 1 kg nel D.M. 20 dicembre 1980, - quantitativo che il successivo D.M. 23 luglio 2003 ha portato addirittura a 2 kg, - sia in relazione alle modalità di conservazione del prodotto ai fini delle analisi, sia in ordine alle procedure da adottare per consentire comunque il responsabile dell'esercizio in cui viene prelevato il prodotto nelle condizioni di esercitare il controllo in ordine alla correttezza di tali operazioni.
Nel caso in esame non era stata fornita alcuna prova che l'Arpa Lazio avesse regolarmente seguito tali prescrizioni di cui alla procedura specificata nell'allegato A del D.P.R. n. 327 del 1980. Infatti, da un lato, non vi era la prova che il responsabile dell'esercizio presso cui era stato prelevato il campione o il suo rappresentante fosse stato messo nella condizione d'esercitare il suo diritto di assistere alla pesata, dall'altro, il quantitativo di campione prelevato era assolutamente insufficiente, anche con riferimento alla normativa vigente all'epoca che pur prevedeva un quantitativo minimo di prelievo inferiore a quello della successiva normativa intervenuta con D.M. 23 luglio 2003.
Tale circostanza era stata confermata in dibattimento dal consulente del Pubblico Ministero Dr. Gianninoto Salvatore che, all'udienza del 25 novembre 2005 (p. 2 della trascrizione dei verbali), aveva attestato di non aver potuto svolgere le controanalisi sul prodotto campionato perché la campionatura era stata insufficiente. Doveva inoltre ritenersi che il comportamento dell'Arpa Lazio, che non aveva reso partecipe l'interessato dell'effettuazione della analisi ma gli aveva soltanto comunicato, post factum, l'irregolarità invitandolo a pagare una certa somma per effettuare eventualmente la revisione delle analisi era illegittimo perché:
avrebbero dovuto essere svolte automaticamente, ope legis, a cura e spese dello stesso laboratorio pubblico che aveva effettuato le prime analisi e che avrebbe dovuto darne con tempestività avviso all'interessato, specificando il parametro difforme, la metodica d'analisi eseguita e comunicando il giorno e l'ora in cui le analisi sarebbero state ripetute limitatamente ai parametri risultati non conformi;
b) d'altro lato la richiamata procedura seguita dall'Arpa Lazio appariva abnorme, in quanto era stata effettuata una campionatura insufficiente ed inadeguata che aveva permesso solamente l'effettuazione delle prime analisi e non anche l'esecuzione delle controanalisi disposte dal pubblico ministero in spregio a quanto previsto al D.Lgs. n. 123 del 1993, art. 4, comma 1.
Il Collegio rileva che i motivi sono fondati.
L'allegato al D.M. 20 dicembre 1980, avente ad oggetto le modalità di prelevamento dei campioni per il controllo dei residui di antiparassitari negli e sugli ortofrutticoli, al n. 4.6.3. prevede espressamente che per gli ortofrutticoli, (ad esclusione dei funghi e dei tartufi disciplinati dal numero 4.6.2.), ciascun campione di laboratorio deve avere il peso minimo di 1 kg e deve consistere di almeno 10 singoli frutti ed ortaggi. Tuttavia se il peso di 10 singoli frutti o ortaggi supera i 5 kg il campione di laboratorio può consistere solamente in 5 esemplari.
Il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4 prevede, a sua volta, al comma 1 che "per i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili, indicati con decreto del Ministero della Sanità, il responsabile del laboratorio provvede ai relativi accertamenti su un'aliquota del campione e, in caso di non conformità, provvede con tempestività a darne avviso all'interessato specificando il parametro difforme e la metodica di analisi e comunicando il luogo, il giorno e l'ora in cui le analisi vanno ripetute limitatamente ai parametri risultati non conformi; un'altra aliquota resta di riserva presso il laboratorio per un'eventuale perizia ordinata dall'autorità giudiziaria. Si applicano le procedure di cui all'art. 223 disp. att. c.p.p.".
Nel caso in esame il Laboratorio incaricato delle analisi Arpa Lazio si è limitato a comunicare agli imputati "di aver riscontrato nei cetrioli prelevati presso la Giada Frutta di Falconi Roberto la presenza di Diledrin nella quantità di 0,03 ppmm superiore al limite di 0,01 ppmm stabilito dal D.M. 19 maggio 2000".
Non risulta quindi indicata la quantità di prelievo eseguita che, in quanto insufficiente, non ha neppure consentito la ripetizione delle analisi con le garanzie indicate nell'art. 223 disp. att. c.p.p., n. 2, come risulta dalla circostanza confermata in dibattimento dal consulente del pubblico ministero.
Premesso che la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della L. n. 283 del 1962, art. 1, comma 2, nella parte in cui non prevede che - per i casi di analisi su campioni prelevati da sostanze alimentari deteriorabili - il laboratorio competente dia avviso dell'inizio delle operazioni alle persone interessate affinché queste possano presenziare ad esse, eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico, si rileva che le procedure di cui all'art. 223 disp. att. c.p.p. sono state espressamente richiamate dal D.Lgs. n. 123 del 1993 concernente i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili.
L'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 1 si riferisce alle analisi di campioni per i quali non è prevista la revisione e quindi per i prodotti ortofrutticoli freschi considerati deteriorabili dal D.M. 16 dicembre 1993 (art. 2, comma 1, lett. c, n. 6).
Deve peraltro rilevarsi che questa Corte ha ritenuto che tale impossibilità di revisione si riferisce soltanto alle analisi microbiologiche e non anche a quelle aventi ad oggetto la ricerca di addittivi chimici (v. per tutte Cass. pen sez. 3, sent. n. 1068 del 2003, Manzolillo), in quanto tali residui sono rinvenibili negli ortaggi, e comunque nei prodotti deperibili, anche a distanza di tempo.
Comunque, sia che si ritenga impossibile la revisione, in considerazione della natura deteriorabile del prodotto, e quindi la necessità di applicazione dell'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 1, che prevede l'obbligo di avvertire gli interessati dell'ora e del luogo ove le analisi dovranno essere effettuate perché possa aversi l'utilizzabilità in giudizio delle analisi, sia che, più correttamente, conformemente a quanto chiarito da questa Corte nella richiamata sentenza Monzillo si ritenga possibile la revisione, in considerazione della natura dell'elemento inquinante, e quindi con applicazione dell'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 2, - (secondo cui agli interessati ed agli eventuali loro difensori devono essere comunicati, almeno tre giorni prima, la data, l'ora ed il luogo di espletamento delle operazioni di revisione perché gli esiti delle analisi possano essere utilizzabili in dibattimento,) - in entrambi i casi la procedura di acquisizione della prova posta a base della decisione impugnata risulta carente.
Non è stato infatti consistito agli interessati di presenziare alle analisi originarie, ne' è stata possibile la revisione successiva, anche in considerazione della insufficiente quantità del prodotto prelevato.
Siccome l'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 3 prevede espressamente che "i verbali di analisi non ripetibili e i verbali di revisione di analisi sono raccolti nel fascicolo del dibattimento, sempre che siano state osservate le disposizioni dei commi 1 e 2 del medesimo articolo", deve concludersi per l'assoluta inutilizzabilità dei risultanti delle analisi in base alle quali è stata affermata la responsabilità degli imputati.
Considerato che, pur trattansi di nullità soggetta a regime intermedio, come ha ritenuto questa Corte (v. sez. 2, sent. 9 luglio 2002, n. 38857), essa è stata eccepita nel corso del giudizio di primo grado, in quanto il giudice di merito da conto dell'eccezione, pur disattendendola, va annullata la sentenza impugnata, con conseguente assoluzione degli imputati per mancanza di prova in ordine alla stessa sussistenza del fatto.
Tale statuizione assorbe gli altri motivi di ricorso presentati dai ricorrenti ed aventi ad oggetto, per quel che attiene a Gerardo Ilario, la violazione di cui all'art. 195 c.p.p., commi 1, 2, 3, per difetto di motivazione in ordine alla valutazione della testimonianza indiretta del teste Fusco e il difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, (motivi 1 e 2 del ricorso); per quel che attiene Peppe Franco la mancata assunzione di una prova decisiva costituita dall'assunzione del teste de relato Giuseppe Bracciale, l'inosservanza della disposizione contenuta nella L. n. 283 del 1962, art. 19 con riferimento all'elemento psichico del reato e la violazione dell'art. 546 c.p.p., lett. E) per omessa pronuncia sulla subordinata richiesta di sospensione condizionale della pena (motivi 1, 3 e 4 del ricorso) e, per quel che attiene a Roberto Falconi, l'inosservanza della disposizione di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 19 con riferimento all'elemento soggettivo del reato e l'omessa pronuncia sulla subordinata richiesta di sospensione condizionale della pena (motivi 3 e 4 del ricorso).
Va quindi annullata, senza rinvio, la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2007