TAR Lombardia (MI), Sez. I, n. 1851, del 28 luglio 2015
Caccia e animali.Legittimità revoca della licenza di porto di fucile uso caccia per minacciato suicidio.

Il ricorrente non può dirsi certamente al di sopra del circostanziato sospetto che la Questura ha posto a base dell’impugnato provvedimento, risultando palese che le vicende occorse, sono espressive della carenza di un adeguato equilibrio emotivo e costituiscano elementi congrui a provare l’insussistenza di una completa sicurezza circa il buon uso delle armi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 01851/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00161/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 161 del 2013, proposto da: 
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gaetano e Maria Elvira Sciannamea, con domicilio eletto in Milano, presso la Segreteria del TAR 

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliato in Milano, Via Freguglia, 1 

per l'annullamento

del decreto del Questore di Milano del 20.10.2012, con cui è stata disposta la revoca della licenza di porto di fucile uso caccia rilasciata al ricorrente in data 8.3.2009.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 luglio 2015 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente proposto il sig. -OMISSIS- ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il decreto del Questore di Milano del 20.10.2012 con cui è stata disposta la revoca della licenza di porto di fucile uso caccia rilasciata al ricorrente in data 8.3.2009.

Il provvedimento è stato motivato sull’assunto che in data 24.8.2012 la consorte del ricorrente aveva chiamato i Carabinieri presso l’abitazione coniugale, riferendo che “il proprio marito a causa di alcuni problemi di coppia e di salute aveva più volte minacciato il suicidio e che quel giorno, in particolare, aveva prelevato un’arma dall’armadio blindato e si era chiuso in camera da letto”.

A fondamento dell’impugnazione il ricorrente, dopo aver premesso di essere titolare della licenza oggetto di revoca “da circa quindici anni” e che, quanto al contestato episodio, si sarebbe trattato di una “semplice discussione avvenuta tra i coniugi per (…) ragioni di separazione”, ha dedotto i seguenti motivi:

1°) eccesso di potere per violazione dell’art. 7 della legge 241/1990;

2°) violazione degli artt. 39 e 40 del R.D. 773/1931, nonché dell’art. 13 della legge 241/1990;

3°) eccesso di potere per carente istruttoria.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno (16.3.2013), che, nella memoria del 30.5.2013, ha eccepito la legittimità dell’impugnato provvedimento alla luce della situazione di particolare allarme generata dai manifestati propositi autolesionistici del ricorrente, integranti un “ragionevole sospetto di abuso” delle armi detenute.

In vista dell’udienza di discussione nel merito, fissata per l’8 luglio 2015, le parti non hanno depositato memorie e, a tale udienza, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

Non coglie nel segno il primo motivo, con cui è stata censurata la violazione dell’art. 7 della legge 241/1990, risultando che in data 11.10.2012 – prima, cioè, dell’adozione del provvedimento di revoca (20.10.2012) – il ricorrente ha depositato una dichiarazione presso la Prefettura di Milano con cui si è opposto alla proposta di divieto di divieto di detenzione di armi e munizioni (dimostrando, dunque, di implicitamente conoscere le ragioni del contrario avviso espresso dall’Amministrazione).

In tale dichiarazione, peraltro, il sig. -OMISSIS- ha evidenziato che “in merito ai fatti accaduti in data 25.8.2012 voglio precisare che effettivamente mi trovavo in camera da letto e che avevo chiuso la porta a chiave ma proprio perché stavo eseguendo dei controlli sulle armi”, pur ammettendo di attraversare “un periodo particolare dovuto a svariati problemi di natura fisica. Inoltre il rapporto coniugale è in crisi tanto che in maniera consensuale siamo andati ad abitare in case diverse” e che, soprattutto, “mia moglie si è preoccupata perché magari a volte le ho detto che se mi lasciava avrei fatto una pazzia cosa che non mi è mai passata per la testa”.

Come è agevole rilevare, al ricorrente non è stata affatto preclusa la possibilità di far valere le proprie ragioni in sede procedimentale.

Neppure il secondo e terzo motivo, che per la loro stretta connessione possono essere trattati in modo congiunto, sono fondati.

In particolare, il ricorrente ha dedotto che la discrezionalità di cui dispone l’Amministrazione debba “far riferimento a circostanze oggettive ed esplicitata attraverso una puntuale motivazione, qui invece carente” (cfr. pag. 4) e che le valutazioni istruttorie sarebbero state carenti in ragione del fatto che in data 14.11.2012 la Prefettura gli ha comunicato la chiusura del procedimento di divieto di detenzione delle armi.

L’art. 11, comma 3 del R.D. 773/1931 prevede che “le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione”.

Il fondamento di tale disposizione, ad avviso del Collegio, è da ricondurre alla tutela dell’ordine pubblico, e ciò non soltanto in caso di una sua manifesta e conclamata lesione, ma anche nell’ipotesi di semplice messa a repentaglio di tale superiore interesse, tenuto conto che “il diritto del cittadino alla propria incolumità è certamente prevalente e prioritario rispetto a quello, del tutto eccezionale, di portare e detenere armi, sì che questo potrà essere soddisfatto soltanto nell’ipotesi in cui, riscontrando il possesso degli altri requisiti prescritti dalla legge, non sussista alcun pericolo che il soggetto possa abusare delle armi stesse” (cfr. TAR Piemonte, 4 novembre 2009, n. 2507).

Ne deriva che la revoca della licenza di porto d’armi (nel caso di specie riguardante il porto di fucile ad uso caccia) non impone, dal punto di vista delle valutazioni istruttorie, un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo, di contro, sufficiente che il soggetto non dia pieno affidamento di non abusarne.

Sotto tale profilo, il ricorrente non può dirsi certamente al di sopra del circostanziato sospetto che la Questura di Milano ha posto a base dell’impugnato provvedimento, risultando palese che le vicende occorse al ricorrente in data 24.8.2012 (espressive della carenza di un adeguato equilibrio emotivo, a prescindere dalle postume rassicurazioni da questo prospettate alla Prefettura), unitamente a un malessere connesso all’intervenuta separazione dalla moglie (dapprima in via di fatto e successivamente omologata dal Tribunale di Milano in data 13.5.2013), costituiscano elementi congrui a provare l’insussistenza di una “completa sicurezza circa il buon uso delle armi” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1528).

Non è, inoltre, inopportuno rimarcare che nella sentenza n. 440 del 16 dicembre 1993 la Corte costituzionale ha osservato sul piano generale che “il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il "buon uso" delle armi stesse; in modo tale - così è testualmente detto in alcune decisioni - da scagionare dubbi o perplessità sotto il profilo dell'ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività, dovendo essere garantita anche l'intera, restante massa dei consociati sull'assenza di pregiudizi (di qualsiasi genere) per la loro incolumità. Dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli a situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti”.

Ciò che, appunto, sembra aver connotato la diligente valutazione della Questura di Milano.

Non è, infine, rilevante ai fini del decidere la dedotta circostanza che in data 14.12.2012 la Prefettura di Milano ha archiviato il procedimento relativo al divieto di detenzione di armi “per carenza dei requisiti necessari ai sensi dell’art. 39 TULPS”, trattandosi di una determinazione dettata, anzitutto, dal fatto che il ricorrente aveva “provveduto a cedere tutte le armi legalmente detenute” e, che, comunque, per effetto della disposta revoca quest’ultimo non avrebbe avuto un titolo giuridico per poterne fare uso.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate, ai sensi del D.M. 55/2014, in €. 1.500,00, oltre accessori, che il ricorrente dovrà corrispondere al Ministero dell’Interno.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in €. 1.500,00, oltre accessori, in favore del Ministero dell’Interno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi del ricorrente, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Roberto Lombardi, Referendario

Angelo Fanizza, Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)