Consiglio di  Stato Sez. IV n. 6333 del 28 giugno 2023
Ambiente in genere.Siti di interesse comunitario
 
Qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su siti di interesse comunitario (SIC), identificati dagli Stati membri secondo quanto stabilito dalla direttiva habitat, che vengono successivamente designati quali zone speciali di conservazione e che concorrono a costituire la rete ecologica dell’Unione europea “Natura 2000”, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti e tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito, deve essere sottoposto a valutazione di incidenza ambientale


Pubblicato il 28/06/2023

N. 06333/2023REG.PROV.COLL.

N. 07692/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7692 del 2022, proposto dalla Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Anna Bucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la Delegazione romana della Regione Puglia in Roma, via Barberini n.36;

contro

i signori Giorgio Cioccoloni e Pietro Cioccoloni, rappresentati e difesi dall’avvocato Giacomo Valla, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

l’Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Meridionale, il Raggruppamento Carabinieri Biodiversità- Reparto di Martina Franca, non costituitisi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce (sezione prima) n. 1191 del 12 luglio 2022, resa tra le parti.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dei signori Giorgio Cioccoloni e Pietro Cioccoloni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2023 il consigliere Silvia Martino;

Dato atto delle istanze di passaggio in decisione depositate dagli avvocati Anna Bucci e Giacomo Valla;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per la Puglia, il signor Giorgio Cioccoloni esponeva di essere il gestore in Ginosa Marina (TA), località Torre Mattoni, di un “bosco didattico” su area boschiva di proprietà del padre, Pietro Cioccoloni, distinta in catasto al foglio 143, particelle 562, 565 e 566, in parte compresa nella perimetrazione di un Sito di importanza comunitaria (S.i.c.), classificato come Area di riserva naturale integrale, ai sensi dell’art. 2 della legge della Regione Puglia, n. 19 del 1997.

1.1. A seguito di pubblicazione dell’avviso pubblico per la presentazione, nell’ambito del Piano di sviluppo rurale 2014/2020, delle domande di sostegno per la Misura 8 - Sottomisura 8.3, relative ad “interventi di prevenzione danni al patrimonio forestale causati da incendi, da calamità naturali ed eventi catastrofici”, il signor Giorgio Cioccoloni presentava un progetto per la realizzazione di interventi di protezione dagli incendi boschivi, per il miglioramento dei sistemi di monitoraggio/osservazione e per la sistemazione idraulico-forestale dell’area destinata a “bosco didattico”, nell’ambito dell’Azione 1 (“Infrastrutture di protezione dagli incendi boschivi”), dell’Azione 4 (“Investimenti per l’installazione ed il miglioramento di sistemi fissi di monitoraggio/osservazione”) e dell’Azione 5 (“Microinterventi di sistemazione idraulico-forestale”).

Il complessivo intervento veniva ammesso a finanziamento per l’importo complessivo di € 258.079,00 (nota del 19 novembre 2020 prot. n. 15858).

1.2. Il signor Giorgio Cioccoloni chiedeva poi alla Sezione autorizzazioni ambientali della Regione di avviare il procedimento di “Valutazione di incidenza”, a norma dell’art. 5 D.P.R. n. 357/1997 e della l.r. n. 11/2001, trattandosi di opere ricadenti in un S.i.c. e Zona speciale di conservazione (Z.s.c.) della Rete Natura 2000.

1.3. Con determinazione prot. n. 11970 del 16 agosto 2021 della Sezione autorizzazioni ambientali, del Dipartimento regionale ambiente, paesaggio e qualità Urbana, oltre ad alcune carenze documentali e progettuali, veniva rilevato il contrasto tra l’intervento di “Ripristino di versanti in erosione” e uno degli obiettivi di conservazione “definiti dal R.r. 12/2017 per la ZSC “Pinete dell’Arco jonico” finalizzata a “Garantire l’efficienza della circolazione idrica interna ai corpi e corsi d’acqua per la conservazione degli habitat 1150*, 1310, 1410, 1420, 3260 e 6420 e dei Pesci, Anfibi e Rettili di interesse comunitario” nonché con le specifiche misure di conservazione per l’habitat 1150* previste dal R.r n. 6/2016 “Nelle aree costiere soggette al fenomeno delle doline di crollo, al fine di consentire la naturale evoluzione dell'habitat e del paesaggio costiero, divieto di eseguire interventi di occlusione di doline di nuova formazione. Sono fatte salve le opere strettamente necessarie per garantire l'incolumità pubblica” e per l’habitat 1310 “Al fine di conservare il carattere stagionale dell'habitat, divieto di eseguire qualunque tipo di opera che alteri la durata del periodo di inondazione”.

L’istanza, pertanto, veniva pertanto ritenuta “improcedibile”.

1.4. Con determina prot. n. 14980 del 18 ottobre 2021, l’Amministrazione regionale riscontrava l’istanza di riesame confermando l’improcedibilità della domanda, in quanto l’intervento di “Ripristino dei versanti in erosione” risulta ubicato in aree che, secondo gli strati informativi della D.G.R. n. 2442/2018, “Rete Natura 2000. Individuazione di Habitat e Specie vegetali e animali di interesse comunitario nella Regione Puglia”, vedono la presenza dell’habitat 1150* “Lagune costiere” e 1310 “Vegetazione annua pioniera a Salicornia e altre specie delle zone fangose e sabbiose”, circostanza non considerata negli elaborati progettuali.

L’Amministrazione ribadiva, in particolare, che l’intervento prospettato “determina la definitiva distruzione di parte dell’habitat prioritario 1150* “Lagune costiere” che, nel caso specifico, è rappresentato da un corpo idrico separato dal mare attraverso un cordone dunale e dell’habitat “Vegetazione annua pioniera a Salicornia e altre specie delle zone fangose e sabbiose”, così come riportati dagli strati informativi della DGR n. 2442/2018, della cui presenza non è stato tenuto debito conto anche nella documentazione acquista al prot. n. 14173/2021”.

1.5. Il ricorso di primo grado - proposto dai signori Cioccoloni avverso i sopra indicati provvedimenti - veniva affidato a sei motivi (estesi da pag. 5 a pag.15 del gravame).

1.6. A seguito dell’accoglimento della domanda cautelare da parte del T.a.r., la Regione, previa indizione di una Conferenza di servizi istruttoria, con determinazione n. 29 dell’1 febbraio 2022, della Sezione autorizzazioni ambientali, confermava l’improcedibilità dell’istanza, relativamente all’intervento di ripristino delle sponde comprensivo del rinfoltimento della radura e del mascheramento degli idranti.

1.7. Oltre a quanto già osservato con le determinazioni oggetto del ricorso principale, l’Amministrazione evidenziava che:

“- l’area oggetto dell’intervento di ricostituzione della duna rientra nella definizione dell’habitat 1150* data dalle Misure di conservazione di cui al regolamento regionale n. 6/2016: “è rappresentato da corpi idrici con acque lentiche o debolmente fluenti, poco profonde; può trattarsi di: 1) Stagni o laghi separati dal mare da un cordone dunale (…)”;

- prima del verificarsi del fenomeno alluvionale del 2011 l’habitat presente non era il 2120 “Dune mobili del cordone litorale con presenza di Ammophila arenaria (dune bianche)”, insussistente all’interno della ZSC “Pinete dell’Arco jonico”, ma verosimilmente l’habitat 2270* “Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster”;

- l’intervento di ripristino delle sponde, finalizzato, come dichiarato, alla ricostruzione della duna bianca, comporta inevitabilmente una riduzione dell’habitat 1150* come, tra l’altro attestato dalla documentazione grafica a p. 4-5 dell’elaborato “3. INTEG. RELAZIONE TECNICA” nonché nell’elaborato “6. TAV 2 INTEGRAT. [...];

- come emerso nel corso dei lavori della Conferenza di servizi istruttoria e nei pareri del Raggruppamento Carabinieri Biodiversità Reparto Biodiversità di Martina Franca e del Servizio Parchi e Tutela della Biodiversità, l’estensione dell’habitat 1150* “Lagune costiere” nella ZSC “Pinete dell’Arco jonico”, che si condividono integralmente, è estremamente limitata ragion per cui ogni intervento che ne preveda una riduzione, ancorché limitata, deve essere considerato non coerente con le sue esigenze di tutela;

- l’habitat 1150* “Lagune costiere” è un habitat prioritario individuato tra quelli “che rischiano di scomparire [...] e per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare” (Direttiva 92/43 CEE “Habitat”, Art. 1 lett. d) [...];

- l’intervento proposto non è direttamente connesso o necessario alla gestione della ZSC “Pinete dell’Arco jonico”;

- il proponente non ha fornito alcuna indicazione circa la sussistenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico prevalente ovvero che gli interventi proposti rientrino nelle “opere strettamente necessarie per garantire l'incolumità pubblica” tali da giustificare una riduzione dell’habitat 1150* “Lagune costiere”.

La Regione confermava, infine, che “l’intervento di “ripristino delle sponde” si pone in netto contrasto con gli obiettivi e le misure di conservazione richiamati e, pertanto, si ribadisce l’improcedibilità relativa a tale intervento comprensivo del rinfoltimento della radura”.

1.8. A questo punto gli originari ricorrenti proponevano ricorso per motivi aggiunti, affidandolo a sette articolate censure (estese da pag. 7 a pag. 24), così rubricate:

I. Eccesso di potere (erroneità e travisamento dei presupposi, irrazionalità manifesta, sviamento).

II. Violazione e falsa applicazione del Regolamento regionale 10.5.2016, n. 6. Eccesso di potere (erroneità e travisamento dei presupposti).

III. Violazione degli artt. 14 e 14 bis della l. n. 241/90. Eccesso di potere (Sviamento, erroneità dei presupposti).

IV. Violazione del bando PSR 2014 – 2020 Sottomisura 8.3. approvato con determina dell’Autorità di gestione n. 144 del 10.7.2017 (Punto 4 dell’allegato A). Eccesso di potere (Erroneità e travisamento dei presupposti. Irrazionalità manifesta e contraddittorietà).

V. Violazione dell’art. 5 D.P.R. 357/1997. Eccesso di potere (Erroneità e travisamento dei presupposti. Irrazionalità manifesta e contraddittorietà).

VI. Violazione del Regolamento regionale 10 maggio 2016, n. 6. Eccesso di potere (Erroneità e travisamento dei presupposti. Irrazionalità manifesta e contraddittorietà).

VII. Eccesso di potere (Sviamento; Omessa istruttoria; Irrazionalità e contraddittorietà).

2. Nella resistenza della Regione Puglia, del Raggruppamento Carabinieri Biodiversità, Reparto di Martina Franca, e dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale, il T.a.r., con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa:

- ha dichiarato improcedibile il ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse (capo non impugnato);

- ha accolto il primo e secondo dei motivi aggiunti;

- ha assorbito l’esame dei restanti motivi aggiunti;

- ha annullato il provvedimento impugnato;

- ha compensato tra le parti le spese di lite.

3. L’appello della Regione Puglia è affidato ad un unico complesso mezzo di gravame (esteso da pag. 9 a pag. 27 del ricorso) con il quale sono state svolte articolate critiche alla sentenza impugnata.

3.1. Nello specifico la Regione sostiene:

- che il primo giudice si sarebbe spinto a formulare inammissibili valutazioni di merito, invadendo l’ambito riservato alla Pubblicazione Amministrazione; le stesse, peraltro, sono state espresse senza nemmeno effettuare un approfondimento istruttorio di contenuto tecnico, terzo ed imparziale;

- che le limitate dimensioni dell’area su cui insiste l’habitat 1150* comportano una maggiore responsabilità delle Amministrazioni competenti nel preservarne la sopravvivenza; nel caso di specie l’asserita finalità di ripristinare una limitata superficie dell’habitat 2270* “Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster” o dell’habitat 2120 “Dune mobili del cordone litorale con presenza di Ammophila arenaria (dune bianche)” o dell’habitat 2120 “Dune embrionali mobili”, andrebbe in realtà a distruggere una parte dell’habitat 1150* “Lagune costiere”, che nella ZSC in esame è presente su una limitata superficie di soli 4,26 ettari (a fronte dei 1917 ettari coperti dall’habitat 2270*) e per questa ragione particolarmente fragile e meritevole della massima tutela, e la cui presenza è funzionale anche alla conservazione dell’habitat 2270* in virtù della misura di conservazione prescritta;

- che dalla documentazione progettuale agli atti del procedimento è emerso in realtà che l’unica finalità perseguita dall’intervento proposto risulta essere la “ricostruzione dei versanti in erosione con tecniche di ingegneria naturalistica (realizzazione di duna “bianca”, mediante lo sversamento di 1.600 mc di sabbia)” e con utilizzo di “materiale sabbioso proveniente da cava a costituire l’ossatura del corpo duna”;

- che l’esistenza della “laguna costiera” quale habitat prioritario, individuato ai sensi della Direttiva “Habitat”, è attestata non solo cartograficamente dagli strati informativi della D.G.R. n. 2442/2018, ma anche nel Formulario standard per la trasmissione delle informazioni sulla Rete Natura 2000 approvato con D.G.R. n. 218/2020 (in BURP n.30 del 20 marzo 2020);

- che la Direttiva “Habitat”, e poi quella regionale applicativa, tutelano gli habitat prioritari per le loro intrinseche ed oggettive caratteristiche naturalistiche e fenomeniche, a prescindere dall’origine, dalla risalenza, dalle dimensioni e dai processi di formazione degli stessi;

- che la perimetrazione degli habitat terrestri di interesse comunitario e la distribuzione delle specie in Puglia - da ultimo operata con la D.G.R. n. 2442 del 2018 - costituisce il presupposto sia per una efficace politica di tutela della biodiversità e gestione dei siti della Rete Natura 2000 sia per rendere efficaci gli strumenti di valutazione ambientale su piani e progetti (con particolare riferimento alla procedura di valutazione di incidenza);

- che, in ogni caso, anche il regolamento regionale n. 6 del 10 maggio 2016, ex adverso invocato (“Regolamento recante misure di conservazione ai sensi delle direttive comunitarie 2009/147 e 92/43 e del DPR 357/97 per i Siti di importanza comunitaria (SIC)”, aveva già attestato la presenza del suindicato habitat prioritario proprio nella ZSC “Pinete dell’Arco jonico” (tabella di pag. 33);

- che, in definitiva, l’intervento proposto dagli odierni appellanti persegue l’obiettivo opposto a quello fissato dal citato Regolamento, poiché comporta l’eliminazione del corpo idrico esistente e la riduzione dell’habitat protetto.

4. Si sono costituiti, per resistere, i signori Pietro e Giorgio Cioccoloni, riproponendo altresì i motivi aggiunti il cui esame è stato assorbito dal T.a.r.

5. Nel corso del giudizio:

a) con ordinanza n. 423 del 26 gennaio 2023, è stata accolta l’istanza cautelare ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito;

b) le parti hanno depositato documenti (in data 4 gennaio 2023 la Regione e in data 20 gennaio 2023 gli appellati), e ulteriori memorie difensive (in data 20 gennaio 2023 gli appellati e in data 17 marzo 2023 la Regione).

5.1. La Regione ha altresì rappresentato l’esigenza di riunione o, comunque, di trattazione congiunta del presente giudizio con quello iscritto al n.r.g. 66 del 2023, relativo all’impugnativa della sentenza n. 1992 del 15 dicembre 2022 del T.a.r. di Lecce che accolto il ricorso per l’ottemperanza alla sentenza n. 1191 del 2022, oggetto del presente gravame.

6. Alla pubblica udienza del 20 aprile 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.

7. In via preliminare, osserva il Collegio che non è necessario procedere alla riunione del presente appello con quello iscritto al n.r.g. 66 del 2013.

Nel processo amministrativo sussiste infatti l’obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli solo quando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.c.)

Va peraltro evidenziato che, poiché la sentenza n. 1192 del 15 dicembre 2022 del T.a.r. di Lecce attiene all’esecuzione della sentenza qui sub iudice, la (eventuale) riforma di questa è comunque destinata a travolgere, ai sensi dell’art. 336, comma 2, c.p.c. anche quella resa in sede di ottemperanza, con la conseguente improcedibilità per difetto di interesse del ricorso per l’ottemperanza proposto dai signori Cioccoloni.

8. In limine litis il Collegio rileva che, in appello, è stato devoluto l’intero thema decidendum trattato in primo grado; pertanto, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, saranno esaminati direttamente i motivi originari posti a sostegno del ricorso di primo grado i quali perimetrano obbligatoriamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a. (sul principio e la sua applicazione pratica, fra le tante, cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1137 del 2020, n. 1130 del 2016, sez. V, n. 5868 del 2015; sez. V, n. 5347 del 2015).

9. Ciò posto, giova ricordare che il d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche) disciplina le procedure per l’adozione delle misure previste dalla direttiva 21 maggio 1992, n. 92/43/CEE (direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche), ai fini della salvaguardia della biodiversità, (c.d. direttiva Habitat).

Secondo la classificazione di cui all’art. 2, comma 1, lettera m), del suddetto d.P.R., è di importanza comunitaria: «un sito che è stato inserito nella lista dei siti selezionati dalla Commissione europea e che, nella o nelle regioni biogeografiche cui appartiene, contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale di cui all'allegato A o di una specie di cui all'allegato B in uno stato di conservazione soddisfacente e che può, inoltre, contribuire in modo significativo alla coerenza della rete ecologica "Natura 2000" [...], al fine di mantenere la diversità biologica nella regione biogeografica o nelle regioni biogeografiche in questione».

I siti di interesse comunitario (SIC), identificati dagli Stati membri secondo quanto stabilito dalla direttiva habitat, che vengono successivamente designati quali zone speciali di conservazione, concorrono a costituire la rete ecologica dell'Unione europea «Natura 2000», promossa ai sensi della citata direttiva 92/43/CEE per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciate o rare a livello comunitario.

L'art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 357 del 1997 stabilisce che «Nella pianificazione e programmazione territoriale si deve tenere conto della valenza naturalistico-ambientale dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione».

La disposizione prevede la valutazione di incidenza ambientale (VINCA), quando vengano in rilievo, tra gli altri, «siti di importanza comunitaria», nei seguenti casi, di cui, rispettivamente, ai commi 2 e 3:

a) «piani territoriali, urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e faunistico-venatori e le loro varianti»;

b) «interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti sul sito, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi».

Il successivo comma 5 stabilisce, poi, che «Ai fini della valutazione di incidenza dei piani e degli interventi di cui ai commi da 1 a 4, le regioni e le province autonome, per quanto di propria competenza, definiscono le modalità di presentazione dei relativi studi, individuano le autorità competenti alla verifica degli stessi, da effettuarsi secondo gli indirizzi di cui all'allegato G, i tempi per l'effettuazione della medesima verifica, nonché le modalità di partecipazione alle procedure nel caso di piani interregionali».

9.1. Nella Regione Puglia, con la D.G.R. n. 1362 del 24 luglio 2018 è stato aggiornato l’“Atto di indirizzo e coordinamento per l’espletamento della procedura di valutazione di incidenza ai sensi dell’art. 6 paragrafi della Direttiva n. 92/43/CEE e dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 così come modificato ed integrato dall’art. 6 del DPR n. 120/2003”.

Come spiegato in tale atto, gli obiettivi di conservazione indicano le finalità da conseguire in un sito Natura 2000 affinché questo possa concorrere il più possibile al raggiungimento di uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat e specie in esso individuati, tenendo in considerazione il livello appropriato (nazionale o regionale, in base anche all’area di ripartizione dei rispettivi tipi di habitat o specie).

Nell’adottare gli obiettivi di conservazione per un sito Natura 2000, gli Stati membri devono stabilire priorità in base all’importanza del sito in questione per il mantenimento o il ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente dei tipi di habitat e delle specie di interesse comunitario ivi presenti e per la coerenza di Natura 2000, tenuto conto dei rischi di degrado o distruzione ai quali il sito è esposto.

Gli obiettivi di conservazione dei siti della Rete Natura 2000 presenti in Puglia sono definiti nei Piani di gestione approvati, ovvero, nell’allegato l bis al regolamento regionale n. 12/2017.

9.2. Le misure di conservazione sono misure necessarie per mantenere o ripristinare gli habitat naturali e le popolazioni di specie di fauna e flora selvatiche in uno stato soddisfacente (art. 1, lettera a) della direttiva habitat). In altri termini, sono misure atte a mantenere o raggiungere gli obiettivi di conservazione dei siti Natura 2000.

Dette misure di conservazione sono individuate ai sensi:

dell’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 92/ 43/CEE “Habitat”, per le Z.S.C.;

dell’art. 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2009/147/CEE “Uccelli”, per le Z.P.S.

Secondo l’art. 6, par. 1 della direttiva “Habitat “Per le zone speciali di conservazione, gli Stati membri stabiliscono le misure di conservazione necessarie che implicano all'occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e delle specie di cui all'allegato II presenti nei siti”.

La Regione sottolinea che mentre gli obiettivi di conservazione son relativamente stabili nel tempo, essendo nella maggior parte dei casi obiettivi a lungo termine, le misure di conservazione necessarie per realizzare tali obiettivi possono mutare in risposta all’evoluzione dei tipi di pressioni alle quali i siti sono esposti e agli effetti, auspicabilmente positivi, delle misure di conservazione già intraprese.

Pertanto, le misure di conservazione costituiscono gli interventi e i meccanismi veri e propri da predisporre per un sito Natura 2000 al fine di conseguire gli obiettivi di conservazione del medesimo.

9.3. Nel territorio della Regione Puglia vigono:

- le misure di conservazione di cui al regolamento regionale 22 dicembre 2008 n. 28 “Modifiche e integrazioni al Regolamento Regionale 18 luglio 2008, n. 15, in recepimento dei "Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZCS) e Zone di Protezione Speciale (ZPS)” introdotti con D.M. 17 ottobre 2007" valevoli per le ZPS, i SIC e per le ZSC una volta individuate;

- le misure di conservazione di cui al regolamento regionale 10 maggio 2016 n. 6 “Regolamento recante Misure di Conservazione ai sensi delle Direttive Comunitarie 2009/ 147 e 92/43 e del DPR 357/97 per i Siti di importanza comunitaria (SIC)” così come modificato dal R.r. 10 maggio 2017 n. 12.

9.4. Nell’Atto di indirizzo si ricorda altresì che la valutazione di incidenza è il procedimento di carattere preventivo al quale è necessario sottoporre qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un sito o proposto sito della Rete Natura 2000, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti e tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito.

Essa rappresenta uno strumento di prevenzione che analizza gli effetti di interventi che, seppur localizzati, vanno collocati in un contesto ecologico dinamico.

Ciò in considerazione delle correlazioni esistenti tra i vari siti e del contributo che portano alla coerenza complessiva e alla funzionalità della Rete Natura 2000, sia a livello nazionale che comunitario.

Pertanto, la valutazione d’incidenza si qualifica come strumento di salvaguardia, che si cala nel particolare contesto di ciascun sito, e che lo inquadra nella funzionalità dell’intera Rete.

La Commissione europea, per rispettare le finalità della valutazione di incidenza e per ottemperare al suo ruolo di “controllo” previsto dall’art. 9 della direttiva Habitat, ha fornito suggerimenti interpretativi e indicazioni per un’attuazione omogenea della valutazione di incidenza in tutti gli Stati dell’Unione.

La Guida metodologica alle disposizioni dell'art. 6, paragrafi 3 e 4 della direttiva n. 92/43 /CEE “Habitat” rimanda all’autorità individuata come competente dallo Stato membro il compito di esprimere il parere sulla valutazione di incidenza, basato anche sul confronto di dati ed informazioni provenienti da più interlocutori e che non può prescindere da consultazioni reciproche dei diversi portatori di interesse.

Lo stesso documento ed i casi più importanti della prassi sviluppata in ambito comunitario hanno condotto ad un consenso generalizzato sull’evidenza che le valutazioni richieste dai paragrafi 6(3) e 6(4) siano da realizzarsi per i seguenti livelli:

Livello I: screening.

È disciplinato dall’art. 6, paragrafo 3, prima frase della Direttiva. Si tratta del processo di individuazione delle implicazioni potenziali di un piano o progetto su un Sito Natura 2000, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, e determinazione del possibile grado di significatività di tali incidenze. Pertanto, in questa fase occorre determinare in primo luogo se il piano o il progetto sono direttamente connessi o necessari alla gestione del sito e, in secondo luogo, se è probabile che abbiano un effetto significativo sul sito.

Livello Il: valutazione appropriata.

È disciplinato dall'art. 6, paragrafo 3, seconda frase riguarda la valutazione appropriata e la decisione delle autorità nazionali competenti: individuazione del livello di incidenza del piano o progetto sull’integrità del Sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, tenendo conto della struttura e della funzione del Sito, nonché dei suoi obiettivi di conservazione. In caso di incidenza negativa, si definiscono misure di mitigazione appropriate atte ad eliminare o a limitare tale incidenza al di sotto di un livello significativo.

Qualora permanga l’incidenza significativa si procede al livello successivo.

Livello III: valutazione delle soluzioni alternative.

Consiste nella valutazione delle modalità alternative per l’attuazione, la localizzazione, il dimensionamento e le caratteristiche progettuali del piano o progetto in grado di prevenire gli effetti passibili di pregiudicare l’integrità del Sito Natura 2000.

Livello IV: valutazione in caso dì assenza di soluzioni alternative in cui permane l'incidenza significativa.

Consiste nella valutazione delle misure di compensazione laddove, una volta che sia stata accertata l’incidenza significativa, si ritenga comunque necessario realizzare il piano o progetto, verificata e documentata l’esistenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. Questa parte della procedura è disciplinata dall’art. 6, paragrafo 4, ed entra in gioco se, nonostante una valutazione negativa, si decide di non respingere un piano o un progetto, ma di darne ulteriore considerazione. In tal caso, l’art. 6, paragrafo 4 consente deroghe all'art. 6, paragrafo 3, alla ricorrenza di determinate condizioni.

9.5. Nel documento regionale si evidenzia anche che le informazioni relative a ciascun Sito della Rete Natura 2000 sono contenute nel Formulario Standard Natura 2000 (Standard data form): tale formulario, oltre a comprendere per ciascun sito una mappa, riporta la denominazione, l’ubicazione, l’estensione, nonché i dati ecologici relativi agli habitat e alle specie di cui agli Allegati I e II (criteri di cui all’Allegato lII della direttiva “Habitat”). Esso racchiude inoltre anche informazioni che facilitano l’attività di gestione e monitoraggio della Rete Natura 2000, migliorando la disponibilità e la qualità dei dati anche in considerazione delle innovazioni tecnologiche disponibili.

La Regione Puglia trasmette periodicamente al Ministero per l’ambiente, tutela del territorio e del mare, gli aggiornamenti dei formulari standard dei siti, rendendo questi ultimi disponibili, insieme alle mappe, su un apposito sito web.

10. Ciò posto, con i primi due motivi articolati in primo grado nel ricorso per aggiunzione, gli interessati hanno dedotto che nell’area di interesse non vi sarebbe l’habitat “Laguna costiera” né la relativa peculiare vegetazione, e che il corpo idrico, separato dal mare attraverso un cordone dunale, deriverebbe da un evento alluvionale occorso nel 2011.

10.1. Il Collegio rileva che l’area di intervento ricade in un S.I.C. della Rete Natura 2000, in particolare nella Z.S.C. denominata “Pinete dell’Arco jonico”. La designazione quale Z.S.C. è avvenuta con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 21 marzo 2018.

Si è già in precedenza evidenziato che l’individuazione (ovvero, l’accertamento dell’esistenza in rerum natura) degli habitat e delle specie animali e vegetali della Rete Natura 2000 - inserite negli allegati delle direttive 92/43/CE “Habitat” e 09/147/CE “Uccelli” e presenti sul territorio pugliese - è realizzata mediante l’approvazione dei relativi strati informativi (cc.dd. shapefiles o formati vettoriali), nella fattispecie avvenuta con la D.G.R. n. 2442/2018.

Secondo gli strati informativi (shapefiles) approvati con la citata delibera, l’area di intervento è caratterizzata per le p.lle 562 e 565 del fg. 143 dall’habitat prioritario 2270* “Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster”; e per la p.lla 566 del fg. 143 dall’ habitat prioritario1150* “Lagune costiere” nonché dall’habitat 1310 “Vegetazione annua pioniera a Salicornia e altre specie delle zone fangose e sabbiose”.

10.2. L’esistenza della laguna costiera quale habitat prioritario, individuato ai sensi della direttiva “Habitat”, è attestata non solo cartograficamente dagli strati informativi della D.G.R. n. 2442/2018, ma anche nell’aggiornamento del Formulario standard per la trasmissione delle informazioni sulla Rete Natura 2000 approvato con D.G.R. n. 218/2020 (in BURP n.30 del 20 marzo 2020).

Le testé richiamate determinazioni regionali non sono state impugnate.

Al riguardo si evidenzia che, sebbene esse non abbiano carattere normativo (come sottolineato dal T.a.r.), si tratta comunque di atti amministrativi giuridicamente vincolanti i quali hanno provveduto ad accertare per l’area di cui trattasi l’esistenza dei presupposti per l’assoggettamento al regime di tutela stabilito dalle direttive europee e dalla normativa interna di recepimento.

Al riguardo, deve convenirsi con la Regione Puglia che la D.G.R. n.2442/2018 non è un atto di pianificazione ma uno strumento di conoscenza che costituisce il presupposto della politica di tutela della biodiversità e gestione dei siti della Rete Natura 2000, indispensabile per rendere efficaci gli strumenti di valutazione ambientale su piani e progetti.

Essa è il presupposto per l’applicazione alle aree perimetrate della normativa di protezione che contraddistingue i siti della Rete Natura 2000.

Di qui, contrariamente a quanto ritenuto in prime cure, il suo essenziale rilievo.

10.3. È peraltro agevolare osservare che le affermazioni dei ricorrenti circa l’inesistenza, nell’area di cui trattasi, dell’habitat 1150* “Lagune costiere”, da un lato, sono prive di qualsivoglia supporto tecnico – scientifico, dall’altro non fanno corretta applicazione della definizione dell’habitat 1150* contenuta nel regolamento regionale n. 6/2016 (“è rappresentato da corpi idrici con acque lentiche o debolmente fluenti, poco profonde; può trattarsi di: 1) Stagni o laghi separati dal mare da un cordone dunale; 2) Depressioni carsiche inondate; 3) Bacini di bonifica […]”), ovvero nel “Manuale Italiano di interpretazione degli habitat della Direttiva 92/43/CEE” (“Ambienti acquatici costieri con acque lentiche, salate o salmastre, poco profonde, caratterizzate da notevoli variazioni stagionali in salinità e in profondità in relazione agli apporti idrici (acque marine o continentali), alla piovosità e alla temperatura che condizionano l’evaporazione. Sono in contatto diretto o indiretto con il mare, dal quale sono in genere separati da cordoni di sabbie o ciottoli e meno frequentemente da coste basse rocciose [...]”.

La definizione valorizza la presenza di un corpo idrico e la sua separazione “dal mare” attraverso “un cordone dunale”.

A fronte di tale definizione è quindi meramente assertiva la deduzione dei ricorrenti secondo cui “l’area in questione, attualmente coperta da acqua, non è mai stata una “laguna” e, cioè, un bacino acqueo costiero, separato dal mare da un cordone litorale interrotto da bocche di accesso (queste ultime inesistenti, perché l’area non è collegata al mare)”.

Si è visto infatti che il Regolamento regionale, conformemente alla normativa europea, non richiede, per la sussistenza dell’habitat in questione, il collegamento diretto al mare.

A ciò si aggiunga che la direttiva “Habitat” non attribuisce alcun rilievo alle modalità di formazione degli habitat prioritari i quali sono tutelati, come efficacemente osservato dalla Regione appellante “per le loro intrinseche ed oggettive caratteristiche naturalistiche e fenomeniche, a prescindere dall’origine, dalla risalenza, dalle dimensioni e dai processi di formazione degli stessi”.

10.4. Nei provvedimenti impugnati vengono poi richiamati gli “obiettivi di conservazione” così come riportati nell’all. 1 del R.r. n. 12/2017 definiti per la Z.S.C. “Pinete dell’Arco jonico”, tra cui “garantire l’efficienza della circolazione idrica interna ai corpi e corsi d’acqua per la conservazione degli habitat 1150*, 1310, 1410, 1420, 3260 e 6420 e dei Pesci, Anfibi e Rettili di interesse comunitario”, nonché le misure di conservazione trasversali, tra cui il “divieto di effettuare captazioni idriche ed attività che comportano il totale prosciugamento degli specchi d’acqua di zone umide nel periodo estivo; sono fatte salve le attività ordinarie di prosciugamento temporaneo previste in applicazione alle misure agro-ambientali e le operazioni di prosciugamento delle vasche salanti delle saline in produzione, nonché le operazioni motivate da esigenze di sicurezza e di emergenza idraulica e gli interventi di manutenzione straordinaria (sezione “12 – Interventi nelle lagune, nelle saline e nelle zone umide in genere”)”, nonché “il divieto di effettuare ripascimenti che prevedono la sovrapposizione tra il nuovo profilo di spiaggia (e/o le eventuali aree marine di reperimento del sedimento) e gli habitat e gli habitat di specie di interesse comunitario (“sezione 13 – Interventi in ambiente costiero e marino”)”.

10.5. Ove si considerino il complesso degli obiettivi di conservazione del sito, non è pertanto dirimente che, tra le misure di conservazione specifiche di cui al predetto Regolamento n. 6 del 2016, il “divieto di eseguire interventi di occlusione di doline di nuova formazione” sia formulato con specifico riguardo alle “aree costiere soggette al fenomeno delle doline di crollo”.

Ai fini della valutazione di incidenza occorre infatti verificare non soltanto il rispetto delle misure di conservazione specifiche ma, più in generale degli obiettivi di conservazione dell’habitat di interesse comunitario individuato dalla Regione; obiettivi che, nella fattispecie sono palesemente pretermessi dall’intervento in progetto.

Esso infatti persegue dichiaratamente il fine di eliminare parte dell’habitat 1150*, sull’erroneo assunto che l’area di cui trattasi non sia qualificabile come tale.

10.6. Quanto poi al rilievo che gli appellanti attribuiscono alla pretesa, recente formazione dell’area umida, giova richiamare le osservazioni svolte nel corso del procedimento dal Raggruppamento carabinieri biodiversità, secondo il quale l’evento calamitoso dell’anno 2011 potrebbe considerarsi una “rinaturalizzazione dell’ecosistema, volta al ripristino di habitat preesistenti nel tempo”.

In sostanza, non è la zona umida e lagunare ad essere di recente ed antropica formazione, così come asserito dagli appellanti, quanto, semmai, la pineta circostante, frutto dei rimboschimenti effettuati nel secolo scorso, a completamento delle opere di bonifica realizzate nell’area.

E sempre il suddetto organismo ha condiviso pienamente le osservazioni della Regione Puglia, laddove questa ha fatto osservare la necessità di “tutelare e conservare l’habitat prioritario 1150* “Lagune costiere” anche in relazione alla sua connotazione relitta conseguente alle azioni antropiche del passato che ne hanno ristretto l’estensione”.

10.7. Priva di idoneo supporto tecnico – scientifico è anche l’affermazione dei ricorrenti secondo cui l’habitat preesistente all’evento alluvionale del 2011 sarebbe stato non già l’habitat 2270* “Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster”, che attualmente circonda la laguna di neoformazione bensì l’habitat 2120 “Dune mobili del cordone litorale con presenza di Ammophila arenaria (dune bianche)”, che i ricorrenti vorrebbero ripristinare.

10.8. È altresì irrilevante che l’habitat non figuri nel Piano paesaggistico territoriale della Regione Puglia, poiché tale Piano è distinto ed autonomo rispetto al complesso degli strumenti finalizzati alla tutela della Rete Natura 2000.

10.9. Va soggiunto che, a differenza di quanto paventano i ricorrenti, l’istituzione di una Z.S.C. non comporta l’apposizione di un vincolo espropriativo e conseguentemente non richiede la necessità di partecipazione al procedimento dei privati interessati.

Si è peraltro già ricordato che la designazione del sito di cui trattasi quale Z.S.C. è avvenuto con decreto ministeriale risalente al 2018, rimasto inoppugnato.

11. Palesemente infondato è anche il terzo motivo del ricorso per aggiunzione articolato in primo grado, con cui i ricorrenti hanno lamentato che sarebbe stato loro impedito di partecipare alla Conferenza di servizi indetta dopo l’ordinanza cautelare resa dal T.a.r..

I ricorrenti stessi, ammettono di essere stati convocati alla Conferenza, sicché il fatto che non vi abbiano partecipato è dipeso esclusivamente da una loro una autonoma determinazione, a nulla rilevando che, nella nota di convocazione, fosse stata erroneamente attribuita alla Conferenza medesima natura decisoria invece che istruttoria.

12. Del tutto irrilevante risulta altresì la circostanza, dedotta con il quarto motivo di ricorso articolato in primo grado, che l’intervento in questione sia stato favorevolmente scrutinato e considerato ammissibile ai fini del finanziamento, nell’ambito del PSR 2014-2020 - Sottomisura 8.3.

Anche in questo caso si tratta di due procedimenti distinti ed autonomi, tant’è che l’Avviso stesso di indizione della procedura, al par. 10.2, lett. i), prescrive la “Presentazione della documentazione di cantierabilità, che attesti la conformità degli interventi proposti in progetto alle norme in materia paesaggistica, ambientale e di difesa del suolo ed ai vincoli presenti nell’ambito di intervento (Valutazione di Incidenza Ambientale per interventi ricadenti in aree Natura 2000, ove di pertinenza; Valutazione di Impatto Ambientale per interventi con potenziali rischi per l’ambiente, ove di pertinenza; eventuali altri procedimenti autorizzativi, ove di pertinenza)”.

13. Quanto poi all’argomentazione, di cui al quinto motivo del ricorso per motivi aggiunti articolato in primo grado, secondo cui per la natura dell’intervento, di mero ripristino, e per la sua limitata estensione, lo stesso non sarebbe idoneo ad incidere in maniera significativa sul sito, va ricordato che la valutazione di incidenza ambientale, similmente alla valutazione di impatto ambientale, è espressione dell’esercizio di discrezionalità tecnica, oltre che amministrativa, ed è sindacabile da parte del giudice amministrativo soltanto nell’ipotesi in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta dall’Amministrazione in modo inadeguato (Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2005, n. 3917).

Tale giudizio, inoltre, può legittimamente avere esito negativo nell’ipotesi in cui l’Amministrazione ritenga, sulla base di una valutazione discrezionale ancorata agli elementi in suo possesso, che nessuna misura di mitigazione o alternativa sia in grado di attenuare in modo soddisfacente le criticità accertate ed evidenziate (Cons. Stato, sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4611).

Nel caso in esame, le deduzioni dei ricorrenti sono assertive e meramente apodittiche in quanto, lungi dall’argomentare in ordine ad un difetto di motivazione o di istruttoria, si limitano a sovrapporre il giudizio dei propri tecnici a quello dell’Amministrazione, per di più sulla base di un criterio illogico.

Come osservato dalla Regione, non è, infatti, l’estensione dell’intervento in sé che deve essere attentamente valutata, quanto, piuttosto, la significatività degli effetti sull’habitat protetto.

Secondo la Corte di giustizia, le dimensioni del progetto non sono rilevanti in quanto non escludono, di per sé, la possibilità che esso abbia effetti significativi sul sito protetto (sentenze 10 gennaio 2006, in causa C-98/03, e 13 dicembre 2007, in causa C-418/04, in particolare, punto 244)

In tal senso, nel provvedimento impugnato, l’Amministrazione ha evidenziato che sulla base della cartografia ufficiale della Regione Puglia, la superficie dell’habitat 1150* nella ZSC “Pinete dell’Arco ionico” risulta essere estremamente ridotta e, pertanto, data la sua importanza ai fini della tutela della biodiversità non sono ammissibili azioni che possano determinare una sua, ancorché limitata, riduzione.

Tale circostanza spiega anche perché la Regione abbia emesso direttamente, a conclusione della fase di screening, una declaratoria di improcedibilità.

Il progetto presentato dagli appellanti è infatti espressamente finalizzato alla riduzione delle dimensioni dell’habitat protetto.

Inoltre, trattandosi di una iniziativa meramente privata, a servizio del “parco avventura” gestito dagli appellanti, non sono in alcun modo configurabili ragioni imperative di rilevante interesse pubblico idonee a giustificarne la realizzazione.

15. Con il sesto motivo di ricorso articolato in primo grado, gli appellanti hanno evidenziato il fatto che, per l’habitat “Laguna costiera”, l’All. 1 del Reg. Reg. 6/2016, tra le misure di conservazione dichiara comunque ammissibili “[…] gli interventi di ripristino ecologico delle sponde e del fondo dei bacini con l’impiego di tecniche di ingegneria naturalistica e con i seguenti obbiettivi: 1. Aumentare la superficie dei substrati naturali nel sito tali da consentire lo sviluppo della vegetazione; 2. Diminuire la pendenza delle sponde acclivi, fornendo fasce di terreno debolmente pendenti che si immergono progressivamente nei bacini; 3. Trasformare i perimetri dei corpi idrici da regolari a irregolari […]”.

Alla luce di quanto riportato nel succitato regolamento per l’habitat in questione, l’intervento proposto di “ripristino dei versanti in erosione” mediante la realizzazione di una duna bianca con le tecniche dell’ingegneria naturalistica sarebbe perfettamente ammissibile (pur se ivi fosse identificabile, in ipotesi, una laguna costiera).

15.1. In disparte quanto in precedenza evidenziato circa il fatto che, secondo l’analisi svolta dalla Regione, prima del verificarsi del fenomeno alluvionale del 2011 l’habitat presente non era il 2120 “Dune mobili del cordone litorale con presenza di Ammophila arenaria (dune bianche)”, insussistente all’interno della Z.S.C. “Pinete dell’Arco jonico”, ma verosimilmente l’habitat 2270* “Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster”, si richiamano le argomentazioni svolte in ordine al carattere tecnico discrezionale della valutazione ambientale in esame.

Nel caso di specie, la determinazione della Regione risulta altresì perfettamente logica e razionale, nonché coerente con gli obiettivi e le misure di conservazione del sito protetto, laddove invece l’intervento progettato dai ricorrenti ne comporta la parziale eliminazione.

A ciò si aggiunga che pure priva di fondamento è l’affermazione dei ricorrenti secondo cui la “presunta priorità” della salvaguardia dell’habitat 1150* rispetto ad altri habitat “storicizzati” non troverebbe riscontro in alcuna norma.

La norma che attribuisce rilevanza agli habitat prioritari, ai fini della loro conservazione, è infatti l’art. 6, comma 1, della direttiva “Habitat”.

16. Il settimo motivo del ricorso articolato in primo grado, stigmatizza il fatto che l’Amministrazione, nel provvedimento impugnato, abbia rilevato molteplici carenze documentali in ordine all’intervento proposto, in ciò ravvisando i ricorrenti una intrinseca contraddittorietà dell’agire amministrativo avendo comunque la Regione definitivo l’istanza di VINCA mediante una declaratoria di improcedibilità.

16.1. Rileva il Collegio che l’Amministrazione ha evidenziato, prima ancora che carenze progettuali, lacune di natura tecnico – scientifica, relative all’ esatto inquadramento del sito di intervento, essendo stata omessa da parte dei ricorrenti la produzione degli shapefile.

Ad ogni buon conto, il richiamo all’incompletezza delle informazioni fornite costituisce solo una premessa del provvedimento impugnato, la cui motivazione essenziale risiede nell’accertamento del contrasto del progetto con gli obiettivi di conservazione degli habitat prioritari presenti nell’area, non considerati dai ricorrenti.

17. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello merita accoglimento.

Ne consegue, in parziale riforma della sentenza impugnata, il rigetto dei motivi aggiunti proposti in primo grado.

19. Le spese del doppio grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei criteri di cui all’art. 26 comma 1 c.p.a. e dei parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 7692 del 2022, di cui in epigrafe, lo accoglie, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge i motivi aggiunti al ricorso principale articolati in primo grado.

Condanna i signori Giorgio e Pietro Cioccoloni, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore della Regione Puglia, che liquida complessivamente in euro 6.000,00 (seimila/00), oltre IVA, CPA e rimborso spese generali al 15%, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere