Il conto salato di una spiaggia devastata dal “ripascimento”, al Poetto di Cagliari.
di Stefano DELIPERI

La Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Sardegna, con la sentenza n. 1003 del 21 luglio 2009 ha condannato numerosi amministratori locali, funzionari pubblici, componenti della commissione di monitoraggio per l’esecuzione dei lavori di “ripascimento” della spiaggia del Poetto di Cagliari. L’intervento venne realizzato in palesi difformità da quanto previsto nel capitolato d’appalto e con estrema leggerezza riguardo tempistica e modalità da parte della Provincia di Cagliari.
Tuttavia, com’è nella natura del giudizio instaurato dalla Procura erariale presso la Sezione Giurisdizionale per la Sardegna “il danno di cui si discute non è quello inferto alla spiaggia, per cui non viene in rilievo quale sia l’amministrazione proprietaria della stessa o incaricata della sua gestione, bensì quello conseguente alla ingiustificata diminuzione patrimoniale subita dalla Provincia a fronte di lavori eseguiti in difformità dal contratto (né rileva, sotto tale profilo, che l’opera fosse finanziata con fondi di provenienza statale e comunitaria, come chiarito da Corte di cassazione, n. 515 del 24 luglio 2000)”.
Con sentenza Sez. Giurisdizionale Corte dei conti Sardegna, 18 settembre 2008, n. 1830 era stato in precedenza confermato che (art. 313, comma 6°, del decreto legislativo n. 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni) anche il danno ambientale è competenza della Corte dei conti quando l'eventuale danno sia stato provocato da soggetti sottoposti alla competenza della Corte dei conti (amministratori, funzionari pubblici, ecc.).
Ingenti i danni subiti dalla Provincia di Cagliari, in dipendenza dell’esecuzione dei lavori di “ripascimento”: secondo la Corte dei conti, ha subito un pregiudizio patrimoniale di euro 3.986.910,35, pari al totale delle seguenti partite di danno: spese per fornitura e posa in opera di mc. 344.484,63 di sabbia per euro 3.415.900,10, IVA compresa; spese per compensi ai componenti e ai collaboratori della commissione scientifica di monitoraggio e ai professionisti per consulenze e pareri alla commissione di monitoraggio, alla direzione dei lavori e alla commissione di collaudo: euro 315.953,32; spese per materiali e forniture per l’esercizio dell’attività, per divulgazione dati, per vigilanza e per rimozione pietrame: euro 130.705,56; spese nel 2004 per rimozione e trasporto in discarica del pietrame e del materiale di risulta della grigliatura dell’arenile: euro 124.351,37. Complessivamente, quindi, euro 3.986.910,35.
Oltre al danno erariale, pesante anche il danno all’immagine. L’esito disastroso dell’intervento ha destato notevole scalpore ed ha avuto risalto, per lungo tempo, sulla stampa locale e nazionale, con conseguente grave degrado dell’immagine e del prestigio non solo della Provincia di Cagliari, ma di tutta la Pubblica Amministrazione. In materia, i consolidati orientamenti giurisprudenziali della Corte di cassazione (n. 5790/1979, n. 2527/1990, n. 7642/1991, n. 129511992, n. 5668/1997, n. 744/1999, n. 14990/2005) sono stati condivisi della Corte dei conti per la quale la tutela dell’immagine della P.A. discende dai principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97, primo comma, della Costituzione, la cui violazione si traduce in un’alterazione in senso negativo della sua immagine. Sulla base di questi principi, le Sezioni Riunite (sentenza n. 10/2003/QM) hanno elaborato una serie di criteri applicabili per la valutazione equitativa del danno subìto. Il pregiudizio in proposito si è sostanziato nella perdita di immagine pubblica derivante dal comportamento gravemente illecito di soggetti legati da un rapporto di servizio alla P.A., sulla quale si riverberano gli effetti negativi, in termini di lesione della sua dignità e del suo prestigio, connessi a detta attività illecita. Infatti, “il danno all’immagine, in base al principio di immedesimazione organica, di rilievo sociologico ancora prima che giuridico, porta sempre ad identificare l’Amministrazione con il soggetto che per essa ha agito” (Corte conti, Sez. giurisd. Umbria, 28 maggio 1998, n. 501). “Tale identificazione opera nel bene, quando l’azione di chi rappresenta l’amministrazione si modelli sui principi costituzionali di legalità, buon andamento ed imparzialità, e nel male, quando viceversa la stessa azione vada in senso contrario a detti principi” (Corte conti, Sez. giurisd. Sardegna, 21 luglio 2009, n. 1003). Nella fattispecie concreta, è indubitabile che l’Amministrazione provinciale di Cagliari abbia subito un rilevantissimo vulnus alla propria immagine per effetto del comportamento tenuto dai responsabili del “ripascimento” del Poetto.
Infatti, nota l’importanza rilevantissima data dalla collettività locale alla spiaggia del Poetto ed alle relative caratteristiche ambientali e paesaggistiche, “tanto più grave deve quindi considerarsi tale lesione quando si constati che l’esito in questione sia stato dimostrato essere la conseguenza di comportamenti che, al di là dei loro risvolti penali, ancora non accertati in via definitiva, e che comunque non interessano tutti i convenuti nel presente giudizio, sono stati però sicuramente contraddistinti da volontaria pretermissione dell’interesse pubblico primario sotteso all’opera appaltata, tenuti talvolta con pervicacia e arroganza, ma comunque sempre con sostanziale disprezzo dell’opinione pubblica, all’insegna, non, come dovrebbe essere tratto distintivo di una PA, della trasparenza dell’azione amministrativa, ma al contrario, dell’opacità spinta talora sino al punto persino del mendacio” (Corte conti, Sez. giurisd. Sardegna, 21 luglio 2009, n. 1003). Il danno d’immagine viene quindi quantificato in euro 797.382,07.
Una sentenza, pertanto, estremamente rilevante sul piano giuridico, sul piano della tutela degli interessi collettivi e sotto l’aspetto della salvaguardia di quei beni ambientali rilevanti per la collettività.

Dott Stefano Deliperi






REPUBBLICA ITALIANA Sent. n. 1003/09
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
composta dai seguenti magistrati:
Antonio VETRO Presidente relatore
Salvatore LITTARRU Consigliere
Antonio Marco CANU Consigliere estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul giudizio di responsabilità instaurato ad istanza del Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Sardegna nei confronti di
1) Sandro CABRAS, nato a Siliqua l’11 settembre 1943, rappresentato e difeso dall’avv. Carla CABRAS e dall’avv. Piergiorgio LOI presso cui è elettivamente domiciliato in Cagliari, via Alghero n. 22;
2) Lorenzo MULAS, nato a Cagliari il 29 maggio 1952, rappresentato e difeso dagli avv. Salvatore CASULA, Carlo CASTELLI e Antonio CABRIOLU, elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Cagliari, via Fara n. 7;
3-4) Andrea GARDU, nato a Imola il 20 aprile 1945 e Salvatore PISTIS, nato a Terralba il 5 aprile 1959, rappresentati e difesi dagli avv. Andrea POGLIANI, Paola MUGONI e Riccardo FLORIS, elettivamente dom. in Cagliari, via G. Rossini n. 44, presso lo studio legale POGLIANI MUGONI;
5) Antonello Priamo Luciano GELLON, nato a S. Antioco il 30 novembre 1956, rappresentato e difeso dall’avv. Gian Luigi FALCHI presso cui è elettivamente domiciliato in Cagliari p.zza Giovanni XXIII 62;
6) Luigi ASCHIERI, nato a Rovigo il 19 dicembre 1938, rappresentato e difeso dall’avv. Silvio PINNA ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Cagliari, via San Lucifero 65;
7-8-9) Andrea ATZENI, nato a Scano Montiferro il 28 luglio 1942, Paolo ORRU’, nato a Carbonia il 25 ottobre 1955, Giovanni SERRA, nato a Cagliari il 3 agosto 1953, rappresentati e difesi dagli avv. Sergio SEGNERI e Daniela PIRAS, presso cui sono elettivamente domiciliati in Cagliari, via Sonnino n. 84;
10) Renzo ZIRONE, nato a Cagliari il 28 novembre 1941, rappresentato e difeso dagli avv. Sergio SEGNERI e Daniela PIRAS, presso cui è elettivamente domiciliato in Cagliari, via Sonnino n. 84;
11) Sandro BALLETTO, nato a Cagliari il 13 dicembre 1944 rappresentato e difeso dall’avv. Rodolfo MELONI presso cui è elettivamente domiciliato in Cagliari, via Sonnino 84;
nonché, a seguito dell’integrazione del contraddittorio disposta con ordinanza di questa Sezione n. 6/2008 e della conseguente citazione in giudizio a cura del Procuratore regionale:
12-13) Gian Paolo RITOSSA, nato a Roma il 21 luglio 1939 e Mario CONCAS, nato ad Arbus il 18 luglio 1942, rappresentati e difesi dagli avv. Renato MARGELLI e Sara MERELLA presso cui sono elettivamente dom. in Cagliari, via Besta n. 2.
14) Paolo COLANTONI, nato a Bologna il 28 maggio 1934, rappresentato e difeso dagli avv. Andrea POGLIANI e Paola MUGONI, presso cui è elettivamente dom. in Cagliari, via G. Rossini n. 44.
15) Leopoldo FRANCO, nato a Roma il 28 giugno 1955, rappresentato e difeso dall’avv. Andrea POGLIANI, presso cui è elettivamente dom. in Cagliari, via G. Rossini n. 44.
Visto l’atto di citazione del 10 luglio 2007, iscritto al n. 19092 del registro di Segreteria.
Uditi, nella pubblica udienza del 9 marzo 2009, il relatore Presidente Antonio VETRO, nonché gli avv.ti POGLIANI, MELONI, PIRAS, LOI, MARGELLI, MERELLA, Gianfranco CARBONI (su delega dell’avv. FALCHI), CASULA, CABRIOLU, CASTELLI e il Pubblico Ministero nella persona del Vice procuratore generale Donata CABRAS. Non comparso l’avv. PINNA.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.
Ritenuto in
FATTO
Con atto di citazione ritualmente notificato, il Procuratore regionale ha chiamato in giudizio i sig.ri Sandro CABRAS, Lorenzo MULAS, Andrea GARDU, Salvatore PISTIS, Antonello Priamo Luciano GELLON, Luigi ASCHIERI, Andrea ATZENI, Paolo ORRÙ, Giovanni SERRA, Renzo ZIRONE e Sandro BALLETTO per sentirli condannare, in solido e per la parte imputabile a ciascuno, al risarcimento del danno di € 4.784.292,42 a favore della Provincia di Cagliari, oltre a rivalutazione, interessi legali e spese di giustizia.
Nell’atto di citazione, in sintesi, viene contestato quanto segue.
Numerose segnalazioni avevano evidenziato gravi irregolarità, configuranti ipotesi di danno erariale, nell’esecuzione dei lavori di ripascimento della spiaggia del Poetto di Cagliari.
Gli accertamenti relativi sono stati demandati al Nucleo regionale di polizia tributaria della Guardia di finanza che, con nota n. 9725/78 del 15 luglio 2005, ha trasmesso il rapporto e la documentazione acquisita.
Il Procuratore della Repubblica di Cagliari, con nota n. 9090/04/21 del 18 gennaio 2007, ha trasmesso alcuni atti del procedimento penale instaurato in merito. In particolare, con atto n. 9090/04-21 del 2 agosto 2005, il Procuratore della Repubblica di Cagliari, per la vicenda in esame, ha richiesto al GUP del Tribunale di Cagliari l’emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti di ZIRONE Renzo, BALLETTO Sandro, PISTIS Salvatore, GARDU Andrea, MULAS Lorenzo, BAITA Piergiorgio, DEFENDI Daniele, ATZENI Andrea, ORRU’ Paolo, SERRA Giovanni, ASCHIERI Luigi, GELLON Antonello Priamo Luciano e VACCA Marcello. Il GUP di Cagliari ha disposto il giudizio dinanzi al Tribunale nei confronti di ZIRONE Renzo, PISTIS Salvatore, GARDU Andrea, MULAS Lorenzo, BAITA Piergiorgio, DEFENDI Daniele, ATZENI Andrea, ORRU’ Paolo, SERRA Giovanni e GELLON Antonello.
Inoltre, con sentenza n. 3015/06 del 19 maggio 2006, il GUP ha condannato: - BALLETTO Sandro (Presidente della Provincia) alla pena di mesi dieci di reclusione, all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni uno, alla rimessione in pristino stato dei luoghi a sue spese, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili e al pagamento di una provvisionale di euro 100.000 in favore dell’Agenzia del demanio, perché riconosciuto responsabile del reato di cui agli artt. 110. 40 cpv., 61 n. 9, 635 commi 1 e 2, n. 3 c.p., per danneggiamento aggravato della spiaggia e del tratto di mare antistante per inidoneità del materiale impiegato nel ripascimento e del reato di cui agli artt. 110, 61 n. 9 e 81 c.p., 163 d. lgl. n. 490/99 per totale difformità della esecuzione dei lavori di ripascimento, in un’area vincolata, dall’autorizzazione ambientale dell’U.T.P. regionale contenuta nel verbale di Conferenza dei servizi del 2.8.1999; - ASCHIERI Luigi (componente della Commissione di monitoraggio) alla pena di mesi sei di reclusione, perché riconosciuto responsabile del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 479 c.p. per falso ideologico sulla piena corrispondenza e perfetta conformità tra i materiali impiegati nel ripascimento e le sabbie previste nel progetto contenuto nel capitolato speciale d’appalto.
L’esecuzione dei lavori di ripascimento della spiaggia del Poetto, secondo la Procura, ha causato un disastro di incalcolabile entità, sotto il profilo ecologico e ambientale, in dipendenza della devastazione non reversibile di gran parte del litorale costiero e del deturpamento di una bellezza naturale assoggettata a vincolo ai sensi dell’art. 146, lett. a, del d. lgs. n. 490/1999 (richiamato dall’art. 142, lett. a, del d. lgs. n. 41/2004).
La vicenda, che ha suscitato l’indignazione della comunità ed ha avuto clamorosa risonanza in Parlamento, in Consiglio regionale, nel Consigli comunale e provinciale di Cagliari e nei mezzi di comunicazione regionali e nazionali, è caratterizzata da una lunga sequenza di illiceità, in violazione della normativa che regola l’esecuzione delle opere pubbliche, dei più elementari canoni della corretta gestione dei beni pubblici e, perfino, del comune buon senso. Il ripascimento della spiaggia del Poetto è un lavoro privo di un elevato tasso di difficoltà o implicante la soluzione di peculiari problemi tecnico-esecutivi, però richiedeva, come condizione ineludibile, l’utilizzazione di materiale, se non perfettamente uguale, per lo meno adeguato, per dimensioni, consistenza, tipo e qualità, a quello preesistente nel sito di lavorazione - come osservato dal Comitato tecnico amministrativo della Protezione civile, in sede di esame del progetto presentato dall’Amm.ne provinciale di Cagliari - ed inoltre l’osservanza delle modalità e dei tempi necessari alla sua idonea sistemazione nei siti prescelti.
Coerentemente con questa premessa, sulla base di uno studio della Mediterranean Survey and Services S.p.a., la conferenza dei servizi tenutasi in data 30 agosto 1999 ha condiviso la soluzione prevista in progetto secondo cui la sabbia sarebbe stata ricavata da cave ubicate in un raggio di circa 40 km dalla zona interessata per complessivi 183.000 mc. annui, da eseguirsi nell’arco di due anni. L’alternativa del prelievo di sabbia da mare, prospettata dal Comitato tecnico amministrativo e basata sul minor costo nell’approvvigionamento di quantitativi di sabbia, prossimi al deficit valutato in 3 milioni di mc., non è stata recepita negli atti contrattuali e di progetto, salvo il mero riferimento contenuto nel capitolato speciale d’appalto, peraltro incompatibile con l’esigenza della gradualità dell’intervento, riconosciuta nello stesso capitolato all’art. 64, e che ha costituito, secondo la Procura, “un utile mezzo di copertura delle responsabilità di quanti hanno operato per finalità non riconducibili all’interesse pubblico”.
Nella relazione di cui all’allegato 8 al progetto esecutivo dei lavori approvato dalla Giunta provinciale (deliberazione n. 683 del 13 settembre 1999) si afferma testualmente che “non sussistono incertezze sull’opportunità di dare preferenza allo approvvigionamento delle cave a terra rispetto al prelievo a mare. La qualità, idoneità e compatibilità delle sabbie prelevabili a terra sono state verificate e potranno essere verificate prima e durante l’esecuzione delle forniture consentendo l’accettazione o il rifiuto dei materiali non rispondenti alle prescrizioni del capitolato”.
L’esecuzione dei lavori era prevista nella relazione nell’arco di due anni, per 160 giorni lavorativi, con l’apporto di 190 mc. al giorno di sabbia in ciascuna delle sei stazioni nelle quali era stata suddivisa l’area di intervento. Tali prescrizioni sono contenute nel capitolato speciale, art. 20, lettera t).
Gravi irregolarità che rendono incomprensibili, “a voler escludere la mala fede”, le condotte dei funzionari e dei tecnici coinvolti nel procedimento, sono ravvisabili nell’accoglimento delle giustificazioni dell’Impresa, che aveva prospettato due ipotesi di ripascimento, via terra e via mare, ma omettendo per quest’ultima una analisi dei prezzi e le modalità di prelievo e di immissione graduale, come previsto in capitolato, limitandosi a riferire su una campagna geognostica nel golfo di Cagliari effettuata dal 22 al 27 novembre 1999 e su un prelievo di campioni in zone che “risultano essere, ad un primo esame, omogenee e potenzialmente idonee a fornire i necessari quantitativi per il ripascimento”.
Sul ricorso presentato dalla Società italiana condotte d’acqua S.p.a. di Roma, il TAR Sardegna, con sentenza n. 431 del 15 maggio 2000, ha annullato il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto, rilevando, nella fase della verifica dell’anomalia dell’offerta, l’insufficienza delle giustificazioni presentate dall’aggiudicataria.
Avverso la sentenza del TAR, la Provincia e l’impresa Mantovani hanno proposto appello al Consiglio di Stato che, con decisione n. 102/2000 del 10 novembre 2000, ha rigettato i ricorsi sulla base di analoghe motivazioni.
Anziché prendere atto che sussistevano le condizioni per riesaminare “ex novo” tutto l’intervento, la Giunta provinciale, non riscontrando ragioni di pubblico interesse che potessero giustificare la revoca dell’intera procedura, ha demandato al responsabile del procedimento il rinnovo della verifica dell’anomalia dell’offerta, che praticamente si è svolto sulla falsariga della verifica precedente.
Nel periodo che va dalla consegna dei lavori (28.12.1999), all’inizio delle operazioni di ripascimento (8.3.2002), non si è registrata alcuna effettiva esecuzione dei lavori. A prescindere dalle due sospensioni (circa otto mesi), dovute al contenzioso giudiziario, sono stati solo effettuati studi, ricerche e analisi per l’individuazione della cava marina e l’accertamento dei requisiti della sabbia, attività propedeutiche all’appalto dell’opera, attinenti alle fasi di studi di fattibilità e di progettazione, già eseguiti con riguardo alle cave di terra.
Dall’andamento dei lavori è emersa un’attività gestionale, di controllo e di vigilanza tecnica e scientifica improvvida, inefficiente e manifestamente contraria a tutte le regole dettate dall’ordinamento dei lavori pubblici, per l’esecuzione delle opere a regola d’arte. La scarsa affidabilità dell’impresa si è subito manifestata e già il 10.3.2000 (ordine di servizio n. 2) la direzione dei lavori ha dovuto chiedere all’impresa la modifica del programma dei lavori il cui inizio era previsto nell’ottobre 2000.
A seguito della contestazione del notevole ritardo nell’individuazione di siti idonei al prelievo delle sabbie sia a terra che a mare, come risulta dall’ordine di servizio n. 4 del 13.4.2000, l’impresa, con nota n. 5370 del 21.4.2000, ha inviato documentazione attestante che era stata individuata sabbia adatta per il ripascimento del Poetto in diverse zone dell’entroterra cagliaritano. L’ultroneità della ricerca non è stata contestata dal responsabile del procedimento e dal direttore dei lavori, i quali avrebbero dovuto eccepire che l’ubicazione delle cave era già stata indicata esattamente negli atti di progetto (allegato 8).
Con nota n. 919 del 16 ottobre 2000, l’impresa ha informato la Provincia di poter avviare a breve l’intervento, con sabbia da depositi a terra, pur evidenziando l’impatto derivante dal notevole numero di automezzi da impiegare e prospettando, come soluzione più favorevole per l’Amm.ne, l’apporto della sabbia via mare attingendola dalle aree di prelievo già individuate. A quasi un anno dall’appalto l’impresa ha dimostrato di non essere ancora in condizioni di iniziare il ripascimento.
L’impresa, con nota n. 856 del 16.7.2001, si è impegnata a completare i lavori entro il 31.12.2001, a condizione che fosse disposto il prelievo dal mare. Peraltro, per tale prelievo, mancava ancora il decreto di autorizzazione da parte del Ministero dell’ambiente, il quale avrebbe poi rilevato una serie di carenze per l’insufficienza dei sondaggi, contestate all’impresa dalla d.l. con nota n. 2473 del 2.11.2001 dove è stata segnalata la mancanza della documentazione concernente le analisi chimiche e batteriologiche dei campioni di sabbia.
Con nota n. 2775 del 6.12.2001, il responsabile del procedimento, ing. CABRAS, ha intimato all’impresa “di iniziare le operazioni di ripascimento entro il 10 c.m.”, termine “assolutamente improrogabile”, con l’avvertenza che nel caso di mancata conclusione dei lavori entro il 29.12.2001 sarebbe stata applicata “la penale di lire cinque milioni per ogni giorno di ritardo” e con riserva di chiedere “gli ulteriori gravissimi danni in relazione alla decadenza del cofinanziamento comunitario”.
L’intimazione ad adempiere non ha prodotto alcun effetto anche perché ad essa è seguita, pochi giorni dopo, la determinazione n. 360 del 27.12.2001 con la quale lo stesso dirigente ing. CABRAS ha concesso una proroga di giorni 120, con riferimento alla segnalazione dell’impresa relativa all’avaria della draga da utilizzare per il ripascimento ed all’eccezionale mareggiata verificatasi nel novembre del 2001.
Anche a voler ammettere che una tale calamità naturale si sia verificata, non sono comprensibili, secondo la Procura, “salvo la mala fede”, le ragioni per le quali, in presenza dei presupposti per la proroga, sia stato intimato l’avvio dei lavori, con minaccia della penale e di danni ulteriori.
La mareggiata ha sollevato l’Impresa, che non era in grado di completare il lavoro entro la scadenza, non avendo la disponibilità della draga, dall’onere di corrispondere penali. In risposta all’intimazione ad adempiere l’impresa, con nota n. 1631 del 14.12.2001, ha segnalato che l’avvio delle operazioni sarebbe potuto avvenire solo dopo aver ottenuto da parte del Ministero dell’ambiente la correzione delle coordinate della zona autorizzata di prelievo. L’impresa ha riproposto il problema con le note n. 1672 del 19.12.2001 e n. 076/2002 del 23.1.2002 ma, malgrado il rilievo della questione, l’Amm.ne provinciale se ne è disinteressata.
Dalle indagini svolte in sede penale, è emerso che il materiale riversato sull’arenile del Poetto è stato prelevato da cava diversa da quella verificata dall’impresa. A questo punto, può ben parlarsi di disastro annunciato.
I lavori di ripascimento sono iniziati l’8.3.2002 e terminati il 27.6.2002, giorno nel quale è stato redatto il verbale di ultimazione dei lavori. Fin dalle prime fasi esecutive è stato percepito “ictu oculi” che il materiale riversato sull’arenile presentava caratteristiche affatto diverse da quelle previste in progetto, soprattutto per la presenza di notevoli quantitativi di pietre e di ciottoli e perfino di un ordigno bellico.
Le proteste e le richieste di immediata sospensione delle operazioni di sversamento non hanno avuto alcun esito, malgrado la grave alterazione del quadro paesaggistico. E che si trattasse di materiale in massima parte sostanzialmente diverso dalla sabbia, lo si evince dagli ordini di servizio emessi nel periodo e dalle comunicazioni intercorse tra il dirigente del Settore viabilità, il responsabile del procedimento, la d.l. e l’impresa.
Con verbale del 27.6.2002, la d.l. ha certificato l’ultimazione dei lavori, entro il termine utile contrattuale (27.6.2002) ed è stato compilato, sotto la stessa data, lo stato finale delle opere eseguite che, alla voce n. 55, riporta: “fornitura e posa in opera di sabbia, quantità mc. 344.484,63, importo parziale lire 5.511.754.480”.
L’alterazione dalla realtà si evince dagli inviti formulati invano dalla Provincia all’impresa a provvedere alla rimozione del pietrame presente nell’arenile e dal successivo affidamento dei relativi lavori ad altre ditte, per una ulteriore spesa di euro 124.351,37.
Per quanto riguarda i lavori di ripascimento della spiaggia, la commissione di collaudo (ingg. Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS) ha effettuato sei visite in corso d’opera e una finale. La commissione ha affrontato il problema nella sua globalità nel verbale di visita di collaudo finale in data 14 maggio 2003, rilevando che nel capitolato speciale d’appalto difettava una normativa che regolasse l’esecuzione del lavoro se non quella legata alla sabbia proveniente da cave terrestri, mentre la possibilità di impiego di sabbie provenienti dal mare era contenuta in tre righe, ma che sopperiva parzialmente il decreto del Ministro dell’ambiente n. 407/3/1 del 28.11.2001, il quale, sulla base degli studi precedenti riguardanti, in particolare, la caratterizzazione dell’area d’intervento, aveva autorizzato la Provincia di Cagliari ad utilizzare una cava a mare, ponendosi così il problema se l’accorciamento dei tempi del versamento della sabbia in mare potesse avere riflessi negativi sull’evoluzione del profilo della spiaggia nel tempo e sulla prateria di posidonia, peraltro esclusi dai consulenti dell’ufficio di direzione dei lavori e di una apposita commissione di monitoraggio.
Riguardo alle caratteristiche della sabbia la commissione, in relazione alla composizione mineralogica, ha obiettato che la proporzione dei due componenti stabilita in capitolato (85% quarzo e 15% feldspati) individuava caratteristiche tali da non essere rinvenibili in natura. A tale incongruenza poneva rimedio l’allegato 8 che alla tabella 1) individuava una presenza dei suddetti minerali fondamentali variabile dall’80% al 90% e quindi una percentuale di minerali accessori mediamente variabile fra il 20% e il 10%. Peraltro, tali parametri di riferimento potevano essere superati dal decreto ministeriale n. 407/2001 che individuava una stratificazione sabbiosa superficiale caratterizzata da una presenza dei minerali fondamentali (quarzo e feldspati) pari al 78%, con un rapporto di circa 7/3, in linea con le condizioni medie della spiaggia del Poetto.
Passando alle verifiche dei lavori eseguiti, la commissione di collaudo ha dato atto che: la sabbia riportata è stata allibrata contabilmente, a fronte dei 370.000 mc. di progetto, per una quantità pari a mc. 388.458,75 dalla quale sono state detratte 40.788 mc. per la presenza di fasi granulometriche esterne al fuso progettuale e 6.647,20 mc. attinenti alla quantità di pietre rimosse dalla spiaggia.
Sono stati quindi portati a pagamento 344.484,63 mc; i collaudatori hanno fatto eseguire tutte le prove di caratterizzazione della sabbia presso il laboratorio di petrografia dell’Università di Parma, diretto dal prof. VALLONI, una delle massime autorità del settore. Le analisi effettuate sui campioni di sabbie inviati in tre periodi successivi hanno dato i seguenti risultati: a) i campioni prelevati il 6.4.2002 hanno presentato una componente quarzosa variabile dal 40,7% al 49,8% ed una componente feldspatica variabile dal 28,5% al 32,9%. Dal punto di vista granulometrico i campioni potevano ritenersi contenuti all’interno del fuso di progetto ad esclusione di una debole coda sui materiali fini; b) i campioni prelevati il 23.4.2002 presentavano una componente quarzosa variabile dal 24,3% al 40%, mentre quella feldspatica era variabile dal 31,1% al 55,4%. Le certificazioni eseguite all’interno del corpo dello strato di sabbia riportato evidenziavano quindi, dal punto di vista petrografico, notevoli differenze rispetto ai parametri assunti come riferimento progettuale e coincidenti con quelli del sito di prelievo. Per quanto atteneva la composizione granulometrica era evidente l’accentuarsi delle frazioni al di fuori del fuso granulometrico di riferimento, sia per quanto riguardava le frazioni fini che quelle grossolane; c) i campioni prelevati il 19.6.2002 presentavano, sotto l’aspetto della composizione petrografica, una componente fondamentale quarzosa variabile dal 13,7% al 38,3% e una componente feldspatica variabile dal 7,8% al 23,1% in percentuale, quindi, notevolmente inferiore rispetto al dato assunto per riferimento progettuale. Risultava inoltre evidente la presenza abnorme di bioclasti in percentuale variabile dal 38,8% al 75,8%. Dall’esame dei dati, mentre risultava un accettabile valore del rapporto tra quarzi e feldspati, risultava del tutto improponibile un confronto sulla presenza complessiva delle due suddette componenti fondamentali che risultava variabile tra il 29,6% (sezione 4) e il 54% (sezione 1).
A questo punto, alla luce del disposto dell’art. 197 del d.P.R. n.554/1999, i collaudatori si sono posti il problema se i lavori dovessero ritenersi inquadrabili in quanto previsto al punto 1 del suddetto articolo (rifiuto del certificato di collaudo per lavoro assolutamente inaccettabile), ovvero se si inquadrassero nella situazione rappresentata al punto 3 (difetti e mancanze che non pregiudicano la stabilità dell’opera), concludendo per un giudizio di accettabilità della spiaggia esclusivamente dal punto di vista del suo utilizzo in quanto tale, essendo da tutti percepito esclusivamente lo strato superficiale della stessa sabbia riportata, mentre tale argomentazione non era estendibile ad una valutazione complessiva di tutto lo strato, soprattutto ai fini dell’ammissibilità in contabilità del materiale nella sua completa stratificazione.
Sulla base dei valori medi risultanti dai rilevamenti effettuati è stata determinata una quantità di materiale non conforme al fuso di capitolato pari a mc. 139.173,06, comprensiva dei mc. 40.778,17 già contabilmente detratti (per frazioni granulometriche al di fuori del fuso di progetto). Pertanto, la detrazione da portare in contabilità finale è stata di mc. 98.394,89 (mc. 139.173,06 - 40.778,17) pari ad euro 813.067,52, con un debito dell’impresa, a seguito della revisione tecnico-contabile, pari ad euro 628.171,14.
Il certificato di collaudo ha evidenziato che i lavori sono stati eseguiti, in genere, secondo il progetto e le varianti approvate ed a regola d’arte, con buoni materiali e idonei magisteri. Sono state riscontrate gravi irregolarità nelle caratteristiche delle sabbie utilizzate nella fase di ripascimento e, conseguentemente, sono state apportate le dovute detrazioni.
Secondo la Procura, tali considerazioni sono condivisibili soltanto per la parte relativa alla valutazione del problema generale, alle cause che hanno determinato una così abnorme difformità tra il progettato e il realizzato, mentre appaiono del tutto infondate quanto alle conclusioni e al giudizio finale di parziale accettabilità dei lavori. Infatti, la sola previsione di esecuzione dei lavori attraverso l’impiego di sabbie provenienti da cave terrestri non ha costituito carenza normativa, in quanto ha costituito essa stessa l’insieme di prescrizioni tecniche contenute nel capitolato speciale (cfr. art. 45, comma 2, del d.P.R. n. 554/1999).
La scelta di procedere al ripascimento con sabbie provenienti dal mare ha costituito la manifesta violazione della normativa dettata per lo specifico appalto; tutta la disciplina (legge, regolamento, capitolato generale d’appalto) vigente in materia di lavori pubblici esclude espressamente che le prescrizioni contrattuali e tecniche di un appalto possano essere mutuate o integrate “ab externo”, quindi i parametri relativi alle caratteristiche della sabbia riportati nella documentazione contrattuale e nell’allegato 8 (composizione quarzo e feldspati variabile dall’80% al 90% e percentuale di minerali accessori variabile fra il 20% e il 10%) non potevano essere superati dal d.m. n. 407/2001.
Per quanto attiene al giudizio finale, la commissione, pur avendo riscontrato una composizione petrografica in una percentuale notevolmente inferiore rispetto perfino al decreto ministeriale, nonché una presenza abnorme di bioclasti, ha espresso un giudizio di accettabilità della spiaggia, giuridicamente infondato, per manifesto contrasto logico tra premesse e conclusioni, in quanto: a) i lavori sono stati eseguiti in difformità totale dal progetto e dagli atti contrattuali; b) i materiali non erano buoni, ma assolutamente scadenti e, comunque, privi delle caratteristiche granulometriche e mineralogiche prescritte; c) il giudizio di accettabilità, dal punto di vista del suo utilizzo, si risolveva in un paradosso, in quanto anche una qualunque area sterrata può essere utilizzata al pari di una spiaggia definitivamente deturpata dalle operazioni di ripascimento. Con riguardo ai profili di responsabilità, però, la Procura non ha ritenuto, allo stato, che il comportamento dei suddetti collaudatori abbia potuto incidere in termini di causalità sul danno occorso, salvo una diversa valutazione della Corte.
Come si evince anche dai verbali delle riunioni tenute dall’agosto 2001 al giugno 2002, l’attività della commissione di monitoraggio è stata caratterizzata dalla più completa indifferenza verso i gravi problemi emersi. Nel complesso, l’attività della commissione si è esaurita nella definizione degli aspetti organizzativi ed operativi delle modalità di monitoraggio sull’evoluzione della spiaggia emersa e dei campionamenti periodici di sedimenti nella spiaggia sommersa e relative analisi mineralogiche. La commissione è stata informata dal prof. COLANTONI (dell’ufficio direzione lavori) nel corso della seduta del 12.10.2001 che la non rigorosa presentazione da parte dell’impresa dei risultati delle analisi di laboratorio, relativamente alle percentuali di sabbia, limo e argilla, non avrebbe consentito di stabilire se la sabbia fosse idonea per il ripascimento. Sul punto, la commissione si è limitata ad affermare la necessità di controlli in draga accurati e continui sulla qualità dei materiali.
Nel corso dell’esecuzione dei lavori la commissione ha avallato l’esito disastroso dell’intervento. Infatti, alla richiesta di chiarimenti da parte della Capitaneria di porto sui lavori di ripascimento (cfr. verbale del 22.3.2002) la commissione concordemente ha affermato che le caratteristiche delle sabbie messe in opera erano conformi a quelle descritte nello studio approvato dal Ministero dell’ambiente, sia per composizione mineralogica, rilevata in draga su ogni carico, da geologo specializzato assistente della d.l., sia per granulometria, secondo le verifiche di laboratorio effettuate su 25 campioni prelevati sia in draga che nei diversi tratti del ripascimento, per cui non sussistevano motivi di preoccupazione.
Tali rassicurazioni, frutto di acritica accettazione di valutazioni altrui (tecnici della d.l.), verranno smentite dalle analisi dei periti della commissione di collaudo e da quelli del P.M. penale. Gli esperti si sono invece preoccupati dell’eccessivo clamore, auspicando che l’Amm.ne individuasse un esperto in materia di comunicazione. Il suggerimento è stato accolto dall’Amm.ne con ulteriori inutili spese per la pubblicazione di un opuscolo. La segnalazione dell’impresa, di cui alla nota n. 1672, riguardo al problema della difformità delle coordinate della zona di prelievo autorizzate dal Ministero dell’ambiente e alla necessità della loro modifica non ha avuto alcun seguito e la sabbia è stata prelevata in sito diverso da quello indagato.
La Provincia di Cagliari, in dipendenza dell’esecuzione dei lavori di ripascimento della spiaggia del Poetto, ha subito un pregiudizio patrimoniale di euro 3.986.910,35, pari al totale delle seguenti partite di danno: a) spese per fornitura e posa in opera di mc. 344.484,63 di sabbia per euro 3.415.900,10, IVA compresa; spese per compensi ai componenti e ai collaboratori della commissione scientifica di monitoraggio e ai professionisti per consulenze e pareri alla commissione di monitoraggio, alla direzione dei lavori e alla commissione di collaudo: euro 315.953,32; spese per materiali e forniture per l’esercizio dell’attività, per divulgazione dati, per vigilanza e per rimozione pietrame: euro 130.705,56; spese nel 2004 per rimozione e trasporto in discarica del pietrame e del materiale di risulta della grigliatura dell’arenile: euro 124.351,37. Sommano complessivi euro 3.986.910,35.
Oltre al danno erariale, assume rilevanza il danno all’immagine. L’esito disastroso dell’intervento ha destato notevole scalpore ed ha avuto risalto, per lungo tempo, sulla stampa locale e nazionale, con conseguente grave nocumento dell’immagine e del prestigio non solo della Provincia di Cagliari, ma di tutta la Pubblica Amministrazione. In materia, i consolidati orientamenti giurisprudenziali della Corte di cassazione (n. 5790/79, n. 2527/90, n. 7642/91, n. 12951/92, n. 5668/97, n. 744/99, n. 14990/05) sono stati condivisi della Corte dei conti per la quale la tutela dell’immagine della P.A. discende dai principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97, primo comma, della Costituzione, la cui violazione si traduce in un’alterazione in senso negativo della sua immagine.
Sulla base di questi principi, le Sezioni Riunite (cfr. sentenza n. 10/2003/QM) hanno elaborato una serie di criteri. In punto di determinazione del danno in via equitativa, ex art. 1226 c.c., cfr. Sez. III d’appello n. 216/2000; Sez. Umbria n. 557/2000; Sez. Emilia Romagna n. 1591/2000; Sez. Marche n. 104/2002; Sez. Sardegna n. 313/2003; Sez. I d’appello n. 222/2004; Sez. Umbria n. 1/R/2004; Sez. Liguria n. 392/2006. Alla luce di tali principi, la quantificazione del danno all’immagine, in relazione ai costi potenzialmente sostenibili per il ripristino, anche all’esterno, del valore leso al costo sociale derivato dal danneggiamento irreversibile di un bene di inestimabile bellezza paesistica, deve essere calcolato in un importo non inferiore a euro 797.382,07, pari al 20% di quello sopra quantificato in euro 3.986.910,35, o nel diverso e maggiore importo che sarà ritenuto di giustizia. Il pregiudizio patrimoniale ammonta, dunque, ad euro 4.784.292,42.
Sussiste un rapporto di stretta conseguenzialità fra l’evento dannoso ed i comportamenti dei soggetti che, in violazione degli obblighi di servizio o di mandato, hanno concorso a determinarlo e la cui incidenza verrà valutata, in applicazione del principio dell’efficienza causale.
Per quanto attiene all’elemento soggettivo, la ricostruzione dei fatti evidenzia un concorso di comportamenti dolosi.
A) Responsabili del procedimento e componenti della direzione dei lavori.
La normativa che regola le competenze dei tecnici che hanno svolto le funzioni di responsabile del procedimento e di componente l’ufficio di direzione dei lavori va individuata nell’art. 16, comma 5, della legge 11 febbraio 1994 n. 109, nel testo aggiornato e negli artt. 45, comma 3, 7, commi 1 e 2, 8, 124 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554.
La normativa delinea nel dettaglio gli adempimenti del responsabile del procedimento che, in quanto tecnico in possesso di titolo di studio adeguato alla natura dell’intervento da realizzare, con idonea professionalità e con anzianità di servizio in ruolo non inferiore a cinque anni, costituisce un centro di competenze e di responsabilità esclusive funzionali alla gestione unitaria dell’intervento. Così pure elenca dettagliatamente i compiti, finalizzati alla buona e puntuale esecuzione dei lavori, dell’ufficio di direzione dei lavori, la cui attività investe, da un lato, l’aspetto tecnico dell’esecuzione e, dall’altro, il profilo amministrativo della gestione delle opere. Si tratta di principi consolidati in giurisprudenza, che in analoghe fattispecie ha riconosciuto la responsabilità amministrativa del direttore dei lavori (cfr. Corte dei conti: Sez. app. Sicilia n. 4/2004; Sez. Marche n. 728/2004; Sez. Molise n. 134/2004; Sez. Basilicata n. 270/2004; Sez. Marche n. 588/2005 e n. 1140/2005).
La normativa che regola la materia ed i precedenti giurisprudenziali consentono di delineare la gravità del comportamento tenuto dai responsabili del procedimento e dai componenti della direzione dei lavori.
In particolare:
A1) Ing. Sandro CABRAS.
Nella sua qualità di dirigente del settore viabilità-trasporti della Provincia e di responsabile del procedimento fino al 20.1.2002 (o al 31.12.2001, come precisato nelle deduzioni all’invito), l’ing. CABRAS ha svolto un ruolo determinante nella vicenda.
Consapevole dell’ambiguità dalla sola menzione, negli atti di progetto e di contratto, dei fondali marini per il prelievo della sabbia, ha avviato le procedure di aggiudicazione dell’appalto all’ATI Mantovani. Le modalità operative prescritte (due anni per l’esecuzione dei lavori, quantità media giornaliera di circa 1.160 mc. da versare in sei diverse zone), non consentivano il prelievo di sabbia da siti diversi da quelli di terra.
Dopo la verifica della soglia di anomalia, ha disposto l’aggiudicazione all’impresa, malgrado questa, sulle due ipotesi di ripascimento, avesse fornito solo le giustificazioni prezzi relative al prelievo da cave terrestri e non avesse indicato le modalità di prelievo e di immissione graduali, accettando, unitamente all’ing. MULAS, e al dott. PISTIS, le giustificazioni su una offerta palesemente indeterminata, a fronte di due pronunce negative dei giudici amministrativi, omettendo di riesaminare “ex novo” tutto l’intervento, la cui buona riuscita era ormai compromessa, disponendo una nuova procedura di verifica dell’anomalia dell’offerta sulla falsariga della precedente, favorendo gli interessi economici dell’impresa, in particolare giudicando equo il prezzo unitario di lire 16.000 a mc. della sabbia da cava di mare, cioè lo stesso prezzo della sabbia da cave di terra, sicuramente meno costosa di quella di terra (in tal senso, comitato tecnico della Protezione civile, verbale dell’11.12.1998).
La riaggiudicazione dell’appalto è stata fatta ad un’impresa che, come risulta dagli ordini di servizio e da tutta la corrispondenza, si era dimostrata inaffidabile. Ha concesso (cfr. determinazione n. 360 del 27.12.2001), una proroga di giorni 120 per il completamento dei lavori, fissato al 29.12.2001, sebbene appena ventuno giorni prima (cfr. nota n. 2775, del 6.12.2001) abbia intimato all’impresa di iniziare le operazioni di ripascimento entro il 10 c.m., con la minaccia di pesanti sanzioni e ciò al solo fine di coprire l’inefficienza e i ritardi e di evitare che l’Impresa subisse le penali. E’ inverosimile che l’ing. CABRAS, nel momento in cui minacciava gravi sanzioni, non fosse al corrente della mareggiata, asseritamente eccezionale, la quale si è risolta a tutto vantaggio dell’impresa che, avendo la draga in avaria, non era in grado di ultimare i lavori, entro il termine del 29 dicembre 2001.
A2) Ing. Lorenzo MULAS.
Valgono per questo dirigente tecnico della Provincia le stesse considerazioni svolte riguardo all’ing. CABRAS. Infatti, pur avendo assunto l’incarico di responsabile del procedimento dal 21 gennaio 2002, egli risulta coinvolto anche in tutte le precedenti fasi dell’intervento, nella qualità di coordinatore del gruppo di progettazione, di ingegnere capo dei lavori e di componente della commissione preposta alla verifica dell’anomalia dell’offerta dell’impresa. Inoltre, l’ing. MULAS non ha dato seguito alla reiterata segnalazione dell’Impresa di correggere le coordinate della zona autorizzata di prelievo, difformi da quelle contenute nella richiesta di autorizzazione, questione determinante per la buona riuscita del ripascimento. Ha omesso di disporre l’immediata sospensione delle operazioni di ripascimento con materiale che non aveva alcuna delle caratteristiche previste in progetto, avallando verifiche ed analisi della direzione dei lavori; ha sottoscritto lo stato di avanzamento n. 4 e il certificato n. 5, con il quale è stato disposto il pagamento del materiale; ha preso in consegna le opere realizzate per il definitivo utilizzo; ha certificato l’ultimazione dei lavori entro il tempo utile contrattuale; ha redatto la relazione conclusiva dell’intervento, nella quale ha attestato che gli interventi realizzati sono completamente funzionali e fruibili.
A3) Ing. Andrea GARDU, geologo Salvatore PISTIS e geologo Antonello GELLON.
I suddetti professionisti, nella loro qualità di direttori dei lavori, hanno seguito tutte le fasi di realizzazione dell’intervento (il GARDU anche come dirigente del settore viabilità-trasporti della Provincia dal 21.1.2002). Nello svolgimento delle loro funzioni, comportanti ingerenza e cooperazione con l’amm.ne, hanno violato la normativa in materia di opere pubbliche a presidio della buona e puntuale esecuzione dei lavori. Per costoro possono ripetersi le censure già formulate ai responsabili del procedimento.
GARDU e PISTIS, con una condotta manifestamente dolosa, hanno tollerato la totale difformità dei lavori dal progetto e dal contratto, riguardo alla qualità della sabbia ed alle modalità e tempi di esecuzione del versamento sulla spiaggia. La commissione di collaudo aveva posto il problema della forte concentrazione dei lavori, ricevendo ampie assicurazioni dalla direzione dei lavori e dalla commissione di monitoraggio, sulla assoluta mancanza di effetti negativi. Un tale comportamento, protratto nell’arco di oltre due anni, evidenzia non solo una grave negligenza e imperizia, ma anche la volontà di favorire l’impresa.
Riguardo al geologo Antonello GELLON, assistente della direzione dei lavori, questi è stato imbarcato sulla draga con il compito di analizzare di volta in volta i campioni del materiale prelevato dalla cava di mare per verificarne le caratteristiche granulometriche, mineralogiche e di colore, a confronto con le prescrizioni di progetto e di contratto. Sull’arenile è stato riversato ogni sorta di materiale diverso dalla sabbia, comprese pietre anche di grosse dimensioni e un ordigno bellico, sebbene sia GELLON che i due direttori dei lavori abbiano dichiarato, a seguito di verifiche di laboratorio, la perfetta conformità delle caratteristiche della sabbia a quelle di progetto: dichiarazioni smentite dal consulente prof. VALLONI e dalla c.t.u. della Procura della Repubblica di Cagliari.
A4) Prof. Andrea ATZENI, dott. Luigi ASCHIERI, dott. Paolo ORRU’ e dott. Giovanni SERRA.
La commissione scientifica di monitoraggio si è rivelata inutile e pregiudizievole del buon esito dell’intervento, coprendo le incongruenze della fase esecutiva dei lavori, con l’avallo delle risultanze delle verifiche e delle analisi sui campioni di materiale svolte dalla d.l., con la rassicurazione alla Capitaneria di porto sulla piena corrispondenza fra le sabbie messe in opera e quelle analizzate nello studio approvato dal Ministero dell’ambiente, con l’auspicio, fonte di ulteriori inutili spese, che l’Amm.ne individuasse un esperto in materia di comunicazione.
A5) Sig. Renzo ZIRONE e dott. Sandro BALLETTO.
Nella loro qualità, rispettivamente, di assessore ai lavori pubblici e di presidente della Provincia, in violazione di precisi doveri di mandato, hanno consapevolmente omesso di impedire l’esito disastroso dell’intervento. L’assessore Renzo ZIRONE ha operato fattivamente in tutte le fasi della vicenda, come si evince dalla corrispondenza indirizzata dall’impresa anche al medesimo, oltre che ai dirigenti tecnici, ha curato i rapporti con il Ministero dell’ambiente, partecipando a riunioni sul ripascimento, ha seguito personalmente le operazioni di versamento del materiale, impartendo disposizioni sulla sicurezza dell’arenile (cfr. nota n° 13790, del 2 aprile 2002). Tale attività, coerente con le funzioni di assessore ai lavori pubblici, costituisce la prova che era al corrente delle irregolarità sull’andamento dei lavori, senza attivarsi per dirimere questioni risolvibili alla stregua del buon senso e dell’esperienza comune. Si pensi agli oltre due anni dalla consegna dei lavori impiegati in corso d’opera per la verifica della cava di mare ed al contrasto fra tale soluzione con le modalità di versamento previste dal capitolato speciale. L’assessore ZIRONE ha scientemente agevolato, con i citati dirigenti tecnici della Provincia, l’impresa a discapito degli interessi erariali e della conservazione della spiaggia. In particolare, ha formulato la richiesta di proroga dei lavori, motivandola con l’eccezionale mareggiata, al fine di coprire l’inefficienza e i ritardi gravissimi dell’impresa, oltre che degli stessi tecnici dell’Amm.ne; pur essendo stato informato della difformità delle coordinate della zona di prelievo da quelle autorizzate dal Ministero, ha omesso di attivarsi presso quest’ultimo, ma ha caldeggiato l’esecuzione immediata dei lavori.
Al presidente BALLETTO va ascritta la responsabilità della mancata adozione di iniziative, nell’esercizio del potere-dovere di “sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti” previsto dall’art. 50, comma 2, del t.u. sull’ordinamento degli enti locali, approvato con d.lgs. n. 267/2000 e successive modificazioni. Sono reiterabili le osservazioni formulate con riguardo all’assessore ZIRONE, salvo le due circostanze di concessione della proroga e difformità delle coordinate, per le quali non risulta dimostrata la sua conoscenza. Al presidente BALLETTO deve essere ascritta la specifica responsabilità di non aver ordinato ai propri dirigenti tecnici, incaricati della vigilanza e del controllo sull’esecuzione dei lavori, l’immediata sospensione delle operazioni di versamento del materiale sull’arenile. Infatti, fin dal primo versamento, si è levata una ondata di proteste di numerosi cittadini, delle associazioni ambientaliste, della stampa e di tutti i mezzi di comunicazione.
Priva di fondamento è l’eccezione di prescrizione sollevata dall’ing. Sandro CABRAS. Ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 14.1.1994 n. 20, il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso e, per giurisprudenza pacifica, la pretesa risarcitoria può essere esercitata dal momento in cui il pregiudizio patrimoniale è certo, attuale, concreto e determinato.
Del pari infondate devono ritenersi, salva diversa valutazione della Corte, le osservazioni relative all’incompletezza del contraddittorio, formulate da diversi convenuti, per effetto del mancato esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti del prof. Paolo COLANTONI e degli ingg. Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS, componenti della commissione di collaudo dei lavori, in carenza di prove sicure sul nesso di causalità fra le relative condotte e l’evento dannoso.
Sussiste una sostanziale equivalenza degli illeciti determinativi del danno erariale. Inoltre, poiché i comportamenti dei convenuti sono dolosi, il danno deve essere loro addebitato in solido e, comunque, per la parte che ciascuno vi ha preso.
Si sono costituiti ed hanno presentato memorie difensive:
1) Lorenzo MULAS (avv. CASULA, CABRIOLU e CASTELLI).
Ha eccepito: a) il difetto di giurisdizione, che apparterrebbe al giudice ordinario per la “causa petendi” individuata nel danno ambientale; b) la nullità della citazione per indeterminatezza delle contestazioni; c) la prescrizione, totale o parziale, dei crediti azionati dalla Procura: l’ultimo pagamento è avvenuto in data 22.3.2002 (in occasione del 4° S.A.L.) mentre l’atto di citazione è stato notificato in data 23.7.2007; d) nel merito ha chiesto il rigetto delle domande con rimborso delle spese di giudizio; in via subordinata la riduzione dell’addebito, salvo gravame.
2) Andrea GARDU e Salvatore PISTIS (avv. POGLIANI, MUGONI e FLORIS).
Hanno eccepito il difetto di giurisdizione in ordine al lamentato danno ecologico, ambientale e paesaggistico, nel merito hanno rilevato l’infondatezza dell’accusa in fatto ed in diritto, non sussistendo alcuna ipotesi di danno erariale e di responsabilità in capo agli incolpati; in via istruttoria hanno rappresentato la necessità di una consulenza tecnica d’ufficio, precisando che l’opera è stata eseguita in perfetta osservanza dei parametri di progetto. L’utilità del ripascimento, che smentisce l’accusa, è dimostrata dalla tenuta all’erosione della linea spiaggia, nonostante violentissime mareggiate nei cinque anni trascorsi.
3) Luigi ASCHIERI (avv. PIRASTU e PINNA).
Ha rilevato: a) la prescrizione, in quanto i comportamenti contestati della commissione scientifica di monitoraggio risalgono ad epoca anteriore al quinquennio; b) l’insussistenza del rapporto di servizio, non essendo la commissione scientifica un organo deliberativo, con compiti di rilevanza esterna che comportassero l’assunzione di atti di ingerenza nella conduzione dei lavori, rimessa agli organi amministrativi, ma meramente consultivo, in seno al quale ciascuno dei componenti - quanto meno gli esperti “esterni”, quale era il dott. ASCHIERI - svolgeva le funzioni tipiche affidategli in forza del rapporto contrattuale instaurato con la Provincia di Cagliari, come soggetto privato (biologo libero professionista); c) la mancanza del nesso eziologico, poiché dell’ipotizzato danno erariale dovrebbero rispondere solo coloro che dovevano vigilare sull’esecuzione dei lavori di ripascimento e non la commissione scientifica di monitoraggio che svolgeva, in sede consultiva, valutazioni di natura scientifica riguardanti esclusivamente l’arenile del Poetto e non già le aree di prelievo dal fondale marino della sabbia che sarebbe poi stata sversata sull’arenile, provocando il contestato danno ambientale; parimenti, mancanza del nesso eziologico riguardo all’addebito relativo alla individuazione di un esperto in materia di comunicazione, trattandosi di mero “suggerimento”, secondo la qualificazione della stessa Procura, come tale niente affatto vincolante; d) riguardo alle valutazioni conclusive operate dalla commissione nel verbale del 22 marzo 2002 sulla piena corrispondenza tra i materiali messi in opera e le sabbie descritte nello studio approvato dal Ministero dell’ambiente, “la commissione si è limitata ad esprimere una mera “valutazione” su dati da altri forniti e, per la precisione, sulle verifiche svolte dalla direzione lavori, la cui attendibilità non è mai stata messa in discussione né dagli esperti della d.l. (prof. COLANTONI e prof. FRANCO), né dalla commissione di collaudo”; e) il difetto dell’elemento psicologico del dolo o della colpa grave, in quanto il contratto professionale prevedeva esclusivamente l’espletamento delle funzioni di biologo marino, uniche per le quali aveva competenza, mentre “il fatto che nel verbale del 22 marzo 2002 si riferisca che la Commissione rispondeva “concordemente” non può certo significare che chi - come il dott. ASCHIERI - non aveva competenza in materia mineralogica e granulometrica possa avere assunto la responsabilità di giudizi formulati dagli altri componenti esperti degli specifici settori, ma semplicemente che quanto riferito da ogni singolo esperto nell’ambito delle proprie competenze non andava a contrastare con quanto riferito dagli altri esperti della Commissione”; f) non esclude l’assenza di dolo o colpa grave la condanna inflitta dal GUP del Tribunale di Cagliari con sentenza n. 3015/06 del 19.5.2006, trattandosi di sentenza non definitiva, in quanto appellata, inidonea a fare stato nel presente giudizio e comunque di condanna per il solo reato di falsità ideologica ex art. 479 c.p. e non per il deterioramento del litorale del Poetto, riguardo al quale il GUP ha rigettato le richieste risarcitorie della Provincia (parte civile) “atteso che non pare ravvisabile un nesso di causalità fra il fatto illecito posto in essere dall’imputato (un falso ideologico) ed il deterioramento del bene ambientale, del quale l’ASCHIERI non è stato chiamato a rispondere”; g) la mancanza del danno, perché l’intervento di ripascimento, indispensabile per evitare l’aggravamento del fenomeno di erosione del litorale, non è posto in discussione in se stesso, ma quanto ai risultati come posti in essere dall’impresa appaltatrice dei lavori; h) in via subordinata, la posizione del convenuto rispetto a quella degli altri convenuti va valutata con minor rigore, con esclusione del vincolo della solidarietà ed, in ogni caso, con l’esercizio del potere riduttivo.
4) Andrea ATZENI, Paolo ORRU’ e Giovanni SERRA (avv. SEGNERI e PIRAS).
Hanno rilevato: a) difetto di giurisdizione, in quanto, essendo i compiti assegnati alla Commissione di monitoraggio di carattere esclusivamente scientifico, non si è instaurato alcun rapporto di servizio tra la Provincia di Cagliari ed i componenti di tale organismo, comportante il loro inserimento nell’apparato organizzativo dell’ente con funzioni di natura amministrativa; inoltre, la giurisdizione in materia di danno ambientale è demandata al giudice ordinario, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 349/1986, come statuito più volte dalle SS.UU. della Cassazione, mentre la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità di tale disposizione, in relazione agli artt. 5, 25, e 103, 2° comma, della Costituzione, giurisdizione rimasta ferma anche dopo l’abrogazione dell’art. 18 della l. 349/86 ad opera dell’art. 318, comma 2, del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. codice dell’ambiente), che ha individuato il Ministero dell’ambiente quale unico soggetto legittimato ad agire in giudizio (artt. 311 e ss.) dinanzi al giudice ordinario in materia di risarcimento del danno ambientale; b) mancata dimostrazione del danno ambientale, per l’inidoneità delle opinioni espresse da singoli cittadini e da alcune associazioni ambientaliste che hanno avuto vasta eco sulla stampa locale, risultando irrilevanti le utopistiche aspettative di una parte della cittadinanza che confidava di ritrovare una spiaggia con sabbia fine di colore chiaro, non prevista dal progetto ed inidonea ad evitare l’ulteriore erosione dell’arenile, mentre a tal fine il ripascimento doveva essere eseguito, secondo le regole dell’arte, con sabbia di dimensioni superiori a quella originaria, con il risultato ottenuto di evitare la totale scomparsa del litorale, prevista per il 2010; c) la commissione ha documentato il “momento zero” per l’area di ripascimento nella fase antecedente lo sversamento della sabbia in quanto tale adempimento era imposto dal progetto e non anche per l’area di prelievo della cava a mare, non previsto tra i compiti affidati alla commissione di monitoraggio e comunque, come risulta anche dai verbali n. 6 e 7, questa si è fatta carico di esaminare anche gli effetti derivanti dal prelievo di sabbia dalla cava marina, ma non ha scelto l’area di prelievo, né le modalità ed i tempi per l’estrazione, definiti dal Ministero dell’ambiente e, quanto alle caratteristiche delle sabbie da prelevare, il benestare all’inoltro dell’istanza volta ad ottenere l’autorizzazione al prelievo dalla cava di mare individuata dall’impresa venne dato dall’ufficio di direzione dei lavori; d) infondatezza dell’addebito di aver avallato, nel corso della riunione del 22 marzo 2002, le analisi sui campioni di materiali svolte dalla d.l., attestanti la piena corrispondenza fra le caratteristiche delle sabbie messe in opera e quelle descritte nello studio approvato dal Ministero dell’ambiente, in quanto tale giudizio trovava conforto nelle valutazioni compiute dagli esperti dell’ufficio di direzione dei lavori, e cioè dal prof. COLANTONI (cfr.: nota 12.03.2002) e dal prof. FRANCO (cfr.: nota 15.03.2002), dalla commissione di collaudo come da verbale del 20 marzo 2002 e ad analoghe conclusioni era pervenuto il prof. VALLONI, consulente dei collaudatori, in una relazione predisposta nel febbraio 2003, mentre, al contrario, i proff. LOMBARDI e LA MONICA, consulenti tecnici del P.M. presso il Tribunale di Cagliari, sono incorsi in un clamoroso refuso affermando, a pag. 38 ultimo capoverso della loro relazione, che “in nessun punto dell’allegato 8 si menziona per le granulometrie un fuso di progetto, ma solo un fuso di riferimento”, errore riconosciuto nel corso della deposizione resa all’udienza del 19 aprile 2007 dal prof. LOMBARDI il quale ha ammesso che il menzionato allegato 8 indica con esattezza il “fuso di progetto” ed inoltre che le valutazioni scaturite dalle sue analisi di laboratorio (che bollavano come false le conclusioni della commissione di monitoraggio e quindi anche dell’ufficio di d.l. e della commissione di collaudo) non tenevano conto del “fuso di progetto” (sabbie da utilizzare nel ripascimento), ma muovevano dal presupposto errato che le sabbie da versare sul litorale dovessero corrispondere al “fuso di riferimento” (sabbie native), con conseguente infondatezza delle conclusioni dei consulenti del P.M., richiamate dalla Procura regionale; e) infondatezza del rilievo riguardante l’esigenza manifestata dalla commissione di monitoraggio di avere il supporto di una struttura operativa, con conseguenti ulteriori oneri, per la necessità di disporre per il monitoraggio di analisi e rilevamenti a cura di esperti, designati dall’Amm.ne e non dalla commissione; f) difetto di un nesso di causalità tra la condotta dei componenti di tale organismo e l’ipotizzato danno erariale, comprensivo del danno ambientale, non disponendo la commissione di monitoraggio del potere di interferire con l’esecuzione dei lavori; g) mancanza dell’elemento soggettivo, in quanto l’ipotizzato comportamento doloso è basato su una fallace consulenza tecnica e non è suffragato da un adeguato supporto tecnico scientifico, volto a contestare la correttezza ed attendibilità del lavoro svolto dalla commissione di monitoraggio; h) la richiesta di condanna in solido non tiene conto dei compiti assegnati alla Commissione, che non poteva impartire direttive all’ufficio di d.l., o bloccare i lavori ed il pagamento del relativo corrispettivo, in carenza di potestà amministrativa.
5) Renzo ZIRONE (avv. SEGNERI e PIRAS).
Ha rilevato: a) difetto di giurisdizione per il danno ambientale; b) infondatezza in sede scientifica della tesi del deturpamento della spiaggia; c) addebito ingiustificato per fatti (approvazione del progetto per il ripascimento; gara per l’affidamento dei lavori) avvenuti prima della nomina ad assessore ai lavori pubblici e nell’ambito di competenze riservate, nel vigente ordinamento, ai responsabili dei servizi, senza che sul loro svolgimento possano in alcun modo interferire gli organi politici ed in particolare l’assessore che non poteva impartire disposizioni al responsabile del procedimento, al direttore dei lavori, all’impresa e neppure emanare ordini di servizio, anche perché privo delle competenze tecniche necessarie; d) mancato rilascio, da parte del presidente della Provincia, che pure lo aveva nominato assessore alla viabilità e ai lavori pubblici, di delega relativamente al settore cui era preposto, con conseguente impossibilità di svolgere le funzioni di “direzione politico amministrativa” nel settore dei lavori pubblici, ai sensi dell’art 27, II comma, dello statuto della Provincia di Cagliari il quale prevede che “gli assessori esercitano i compiti di direzione politico-amministrativa loro affidati dal presidente dalla Provincia”; e) non rappresenta una colpa: 1) il fatto che siano state seguite le operazioni di ripascimento, senza alcuna valutazione tecnica sull’esecuzione, né invadendo i compiti riservati ai dirigenti; 2) la firma della nota n. 1444 del 9.1.2002, inviata al Ministero dell’ambiente, al solo fine di perorare, sul piano politico, il rapido disbrigo della pratica; 3) la firma della nota n. 2909 del 27.12.2001, con richiesta di proroga del termine per ultimare il lavoro, finalizzata a non perdere le risorse assegnate dall’Unione europea, da utilizzare il 2001 e non già per coprire un presunto ritardo dell’impresa, a quest’ultima non addebitabile a prescindere dalle conseguenze derivanti dalla mareggiata, in quanto, prima dell’istanza di proroga, il termine era già stato prorogato di 120 giorni con determinazione dirigenziale n. 360 del 27.12.2001 ed il Ministero dell’ambiente non aveva ancora apportato le correzioni alle coordinate dell’area di prelievo; 4) la firma della nota n. 13.790 del 2.4.2002, relativa alla predisposizione di un servizio di guardiania finalizzato a garantire l’incolumità pubblica a seguito del rinvenimento di un ordigno bellico; f) non è dato comprendere quali siano i comportamenti dolosi, attivi od omissivi, addebitabili ed in qual modo sarebbero state scientemente agevolate le ragioni economiche dell’Impresa.
6) Sandro BALLETTO (avv. MELONI).
Ha sostenuto: a) il difetto di giurisdizione, in quanto la questione riguarda il danno ambientale, mentre accessoria è la quantificazione commisurata alle spese per l’esecuzione dei lavori; b) il P.M. agisce a tutela dei diritti della Provincia, che però non ha subito alcun danno erariale perché sia la spiaggia che il mare appartengono al demanio marittimo e sono di proprietà dello Stato che, infatti, tramite la relativa Agenzia, si è costituito parte civile nel processo penale, mentre la gestione del demanio marittimo è affidata alla Regione, la quale ha incaricato la Provincia di far eseguire i lavori in questione, utilizzando somme per 15 miliardi a carico del bilancio dello Stato e per 15 miliardi di contributo U.E.; c) il P.R. ha rappresentato lo scenario delle azioni in corso in modo del tutto riduttivo, non considerando che l’Amm.ne provinciale ha proposto nei confronti dell’ATI tre distinte azioni civili, tutt’ora in corso, chiedendo la condanna della stessa al risarcimento per mancanza nella sabbia fornita delle qualità contrattuali (composizione mineralogica e granulometrica, sassi, intorbidimento dell’acqua) e per il ripristino dello stato dei luoghi ed inoltre chiedendo la liquidazione della polizza a garanzia dei difetti dell’opera ed infine per il danno ambientale; d) la sospensione del processo contabile sino alla definizione di quello penale attualmente in corso in fase di appello, in quanto la condanna al risarcimento del danno all’immagine ed al ripristino è stata già emessa dal Tribunale penale nei confronti del BALLETTO; e) come ha sottolineato lo stesso giudice penale, a prescindere dall’art. 107 lett. a del d. leg.vo 267/2000 secondo cui il potere di sospensione dei lavori appartiene sempre ai dirigenti, le norme di cui al d.P.R. 554/99 e d.m. 145/2000 in materia di appalti pubblici attribuiscono tale potere in via esclusiva al d.l. o al responsabile del procedimento e l’art. 50 secondo comma del d. leg.vo 267/2000 prevede che il presidente della Provincia sovrintenda al funzionamento degli uffici ma non che sia sovraordinato ad essi, per cui, in applicazione dell’art. 78 del d. leg.vo 267/2000 il quale impone che il politico non possa interferire sul singolo atto, il presidente si è limitato a fare propria la scelta di prosecuzione dei lavori operata dai dirigenti e dai tecnici che la giustificarono sul piano scientifico; f) l’art. 1 comma 1 ter della l. 20/94, come modificato dalla l. 639/96, prevede che la responsabilità contabile non si estende, per gli atti di competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi, ai titolari degli organi politici che li abbiano in buona fede approvati o ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione e, nella fattispecie, tutti i pareri dell’apparato tecnico-dirigenziale erano orientati nel senso di ritenere regolari i lavori e non prospettabile alcuna ipotesi di sospensione; g) la mancata sospensione dei lavori non era finalizzata a favorire l’Impresa, come risulta dall’assoluzione dal reato di abuso d’ufficio, che aveva come contenuto proprio tale intenzionale condotta, con sentenza passata in giudicato con la formula perché il fatto non sussiste; h) l’azione è prescritta in quanto l’inizio della prescrizione va fissato nel momento della conoscibilità dell’evento dannoso e, secondo il P.R, ciò avvenne dal primo sversamento che suscitò una vera e propria ondata di proteste: quindi il danno si è evidenziato tra l’11/3 e il 24/3/02 e cioè nel periodo del ripascimento, con la conseguenza che l’invito a dedurre, anche se ritenuto interruttivo della prescrizione, sarebbe stato notificato fuori termine (il 26.3.07); i) è stata contestata l’inutilità e la dannosità dell’intervento, ma dall’indagine disposta con deliberazioni della g.r. 48/11 del 18/11/04 e 50/14 del 30/11/04 risulta che l’intervento aveva l’obiettivo primario di fermare il fenomeno erosivo, come riconosciuto dalla stessa Corte dei conti, pur in un contesto di controllo: le eventuali difformità rispetto al progetto vanno valutate nel contesto di un intervento che ha perseguito utilmente il suo obiettivo; comunque, il progetto prevedeva la creazione di una spiaggia differente da quella originaria, in particolare per il colore, non bianco ma grigio topo e, laddove fu fornito materiale difforme, questo fu eliminato e portato in detrazione dal prezzo d’appalto. La valutazione della conformità delle sabbie al capitolato sotto il profilo granulometrico e mineralogico apparteneva in via esclusiva alla d.l. Nel capitolato, in un contesto in cui il fuso di progetto contiene un intervallo da 0,075 a 10 mm, si dice che “in genere” e “mediamente” il materiale da fornire è compreso nell’intervallo da 0,250 a 1 mm, ma la d.l. aveva la possibilità di accettare materiale granulometrico diverso da quello previsto per la sabbia di cava; l) in via subordinata, ha chiesto di rideterminare la misura delle responsabilità, con esclusione di ogni solidarietà.
7) Sandro CABRAS (avv. LOI e CABRAS).
Ha eccepito: a) la prescrizione, in quanto sono stati contestati atti relativi alla gara ed all’affidamento dell’appalto, antecedenti al suo collocamento in quiescenza (31 dicembre 2001), mentre l’avviso ex art. 5 del d.P.R. 453/1993 è stato notificato nel marzo 2007; b) nel merito ha rilevato: 1) l’inserimento negli atti d’appalto della previsione dell’estrazione via mare fu dovuto alla perentoria richiesta del Consiglio comunale di Cagliari, la cui opposizione avrebbe comportato la perdita del finanziamento comunitario e comunque tale previsione non avrebbe comportato alcun danno se l’impresa avesse effettuato correttamente il ripascimento; 2) l’aggiudicazione all’ATI Mantovani è stata disposta nel convincimento che questa costituisse la soluzione più vantaggiosa per l’amministrazione ed inoltre la legittimità dell’atto di aggiudicazione riconosciuta con sentenza n. 413/2001 dal TAR Sardegna esclude la colpa grave; 3) l’impresa ha dimostrato insussistente l’anomalia ed, al contrario, la congruità del prezzo di 16.000 lire a mc. della sabbia prelevata da cava di mare perché l’appalto fosse remunerativo, prezzo inferiore a quello della sabbia prelevata da cava di terra sui cui parametri è stato ancorato il valore considerato in capitolato dove si parla di 30.000 lire a mc. e ciò escludeva che ricorresse un surrettizio anomalo ribasso; 4) la contestata inefficienza ed inadeguatezza dell’impresa, non valutabile ex ante, riguardava la fase esecutiva dell’appalto alla quale l’ing. CABRAS è estraneo; 5) i ritardi sono la conseguenza delle vicende giudiziarie ; 6) l’intimazione del 6.12.2001 all’impresa di iniziare le operazioni di ripascimento entro il 10 c.m. venne emesso a salvaguardia del termine del 31.12.2001 per il completamento dei lavori e solo quando si sono avute assicurazioni che tale termine sarebbe stato posticipato è stata concessa una proroga all’impresa, anche per gli effetti delle mareggiate eccezionali, senza presunti favoritismi che, se sussistenti, avrebbero determinato l’incriminazione, non avvenuta, dell’ing. CABRAS in sede penale.
8) Antonello GELLON (avv. FALCHI).
Ha sostenuto: a) non rivestiva alcun ruolo gestionale o di responsabilità decisionale, riservato alla d.l. dalla quale dipendeva; b) la sua prestazione professionale di geologo consisteva nella "certificazione della bontà di ogni singola fornitura di sabbia" e cioè, secondo la sedimentologia, del materiale compreso tra 2.0 mm e 0.075 mm (intervallo all’interno del quale si individuano i materiali tecnicamente denominati "sabbia") e non nello svolgere analisi di laboratorio o certificare la conformità delle caratteristiche della sabbia a quelle di progetto; detta operazione, anche secondo le risultanze degli esperti consultati nel parallelo procedimento penale, è risultata corretta; peraltro le prescrizioni di progetto, riferite alla autorizzazione rilasciata dal Ministero dell’ambiente, risultano essere state rispettate; non doveva essere verificato ciò che la draga pescava, ma solo andava accertata la bontà dei campioni di materiali sabbiosi messi a disposizione.
Nell’udienza del 16 gennaio 2008, fissata per la discussione della causa, la Sezione, con ordinanza dettata a verbale, ha ordinato “l’integrazione del contraddittorio con la chiamata in causa, a cura del Procuratore regionale, dei sig.ri Gian Paolo RITOSSA, Mario CONCAS, Paolo COLANTONI e Leopoldo FRANCO”, i primi due nella qualità di collaudatori e gli ultimi due di componenti dell’ufficio di direzione dei lavori.
Con riguardo ai collaudatori, la Sezione ha infatti ritenuto che sussistessero i presupposti per la loro chiamata in giudizio “in quanto, trattandosi di collaudo in corso d’opera, sono stati effettuati pagamenti in base agli stati di avanzamento dei lavori senza che i collaudatori abbiano, prima del collaudo finale, rilevato le presunte difformità, rispetto agli atti progettuali, del materiale impiegato per il ripascimento, contestate dal Procuratore regionale”.
Per quanto concerne la posizione dei sig.ri Paolo COLANTONI e Leopoldo FRANCO, la Sezione ha rilevato che essi, nello svolgimento dei rispettivi incarichi (di esperti chiamati a collaborare con l’Ufficio di Direzione lavori), “si sono anch’essi espressi favorevolmente sulla conformità del materiale impiegato per il ripascimento alle prescrizioni contrattuali, in date precedenti a pagamenti effettuati per l’esecuzione dei lavori”.
E’ stata invece respinta la richiesta della difesa del BALLETTO volta all’integrazione del contraddittorio nei confronti dei progettisti e dell’Assessore provinciale Giacomo GUADAGNINI, in adesione a quanto ex adverso affermato dal Pubblico ministero in udienza, secondo cui nell’atto di citazione non è stato contestato l’intervento in sé, ma esclusivamente l’esecuzione dei lavori in difformità dal progetto.
Il Procuratore regionale ha quindi provveduto a notificare l’atto di citazione integrativo ai soggetti indicati dalla Sezione.
Si sono costituiti in giudizio ed hanno presentato memoria difensiva:
9) e 10) Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS (avv.ti MARGELLI e MERELLA).
Hanno eccepito: a) nullità o inammissibilità della chiamata in causa per assoluta indeterminatezza dell’oggetto della domanda, ai sensi dell’art. 164, comma 4, c.p.c. in relazione all’art. 163, comma 3, n. 3, dello stesso c.p.c. o, in alternativa, questione di costituzionalità degli art. 14, 15, 16 e 26 del r.d. n. 1038/1933, riguardo all’integrazione del contraddittorio per ordine del giudice, senza che l’atto di citazione integrativo delimiti “petitum e causa petendi” con riferimento a soggetti non destinatari dell’invito a dedurre e quindi privati della possibilità di presentare deduzioni, per violazione dei principi costituzionali del giusto processo (art. 111) e del diritto alla difesa (art. 24), anche perché, in applicazione del principio di terzietà, deve escludersi il potere del giudice contabile di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di soggetti la posizione dei quali sia stata già vagliata dal Procuratore regionale in sede istruttoria (Sez. Marche n. 67/05); b) indeterminatezza della realizzazione di un illecito doloso o colposo, con riflessi sulla solidarietà passiva o meno oltre che sull’interruzione della prescrizione, tanto più che, essendo i componenti della commissione di collaudo estranei al procedimento penale, l’elemento soggettivo non può essere automaticamente riconducibile al dolo; c) sospensione dell’azione fino al momento in cui sarà conoscibile nell’an e nel quantum un danno certo ed attuale, all’esito dei giudizi civili e penali, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. che continua a prevedere la sospensione del processo ogni volta che debba essere risolta una controversia dalla cui definizione dipenda la decisione della causa; d) mancanza del supporto di atti di carattere tecnico scientifico per comprovare il lamentato danno; e) necessità di rideterminare il danno, in quanto la somma di euro 813.067,52, portata in detrazione in sede di collaudo dai compensi per l’appaltatore, è stata incamerata dall’Amm.ne appaltante sulla cauzione, come risulta dalla determinazione del dirigente settore viabilità della Provincia di Cagliari n. 343 del 16.7.2003; f) mancanza del nesso causale, come ritenuto in citazione dal requirente “salvo una diversa valutazione della Corte”, in quanto: i collaudatori hanno avuto conoscenza dell’emissione dei certificati di pagamento solo a fatto avvenuto e della parziale non conformità del materiale a quanto prescritto solo a seguito delle analisi richieste e pervenute dopo gli avvenuti pagamenti; hanno applicato una detrazione in sede di collaudo pari alla quantità di sabbia risultata non conforme; il risultato economico finale delle censure non sarebbe cambiato se le stesse censure fossero state avanzate in corso d’opera in quanto le detrazioni operate sono state recuperate sulla cauzione; g) prescrizione dell’azione di responsabilità, riguardando spese, oltre il quinquennio dalla data di notifica dell’atto di citazione introduttivo, non occultate dalla d.l. e dal responsabile del procedimento; h) l’affermazione censurata dalla Procura, contenuta nel certificato di collaudo per cui “i lavori sono stati eseguiti in genere secondo il progetto e le varianti approvate ed a regola d’arte, con buoni materiali ed idonei magisteri” deve essere completata con l’affermazione successiva per cui “sono state riscontrate gravi irregolarità nelle caratteristiche delle sabbie”, con la precisazione che tali affermazioni riguardano i complessivi lavori collaudati e cioè anche la nuova strada litoranea del Poetto, con impianto di illuminazione e semafori, oltre al ripascimento di circa due chilometri di spiaggia ed opere di finitura; i) la commissione di collaudo, confortata dal giudizio positivo del prof. VALLONI, ha ritenuto l’intervento, finanziato con i fondi della legge 25.12.1996 n. 496 sugli interventi urgenti di protezione civile, funzionale alla salvaguardia del litorale fortemente compromesso e non al miglioramento estetico del litorale; l) il capitolato speciale d’appalto prevedeva l’impiego di sabbie provenienti sia da mare che da terra ed il decreto del Ministero dell’ambiente n. 407/301 del 28.11.2001 disciplinava la procedura d’intervento da cava a mare; m) il pagamento relativo alla parte di lavori riguardanti il ripascimento è esclusivamente quello effettuato sulla base dello stato di avanzamento dei lavori n. 4, relativo ai lavori eseguiti a tutto il 22.3.2002 e comprendente i lavori relativi allo sversamento della sabbia con emissione del certificato di pagamento n. 5 del 15.04.2002 ed i collaudatori sono venuti a conoscenza dell’emissione di detto certificato soltanto in data 17.4.2002 come risulta dal verbale di visita di collaudo n. 8 in pari data in cui si legge: “la direzione dei lavori consegna infine alla commissione di collaudo copia del 5° certificato di pagamento, del quarto stato d’avanzamento e del registro di contabilità”; o) assenza del dolo o della colpa: ogni determinazione in ordine alle caratteristiche granulometriche e mineralogiche doveva essere rinviata alla conoscenza dei risultati delle analisi e non si può quindi imputare alla commissione di non essersi attivata per evitare l’effettuazione del pagamento rilevando le presunte difformità, rispetto agli atti progettuali, del materiale impiegato; per quanto concerne l’attività in corso d’opera è al direttore dei lavori e non al collaudatore che spettano i poteri di controllo e di vigilanza sul cantiere relativi al riscontro materiale e contabile sulle forniture e sulle prestazioni effettivamente eseguite ed utilizzate; m) in via subordinata, riduzione dell’addebito.
11) Paolo COLANTONI (avv. POGLIANI e MUGONI).
Ha rilevato a) nullità dell’atto di citazione, nel quale la stessa Procura esclude profili di colpevolezza, non preceduto dall’invito a dedurre, con violazione del diritto alla difesa del convenuto e del principio di eguaglianza e di ragionevolezza, in palese contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione; b) nel merito, funzione primaria di un ripascimento è la creazione di un durevole sistema di spiaggia, non realizzabile con sabbia finissima come quella del Poetto per cui gli atti di progetto hanno scelto sabbia di diametro medio più grosso, come risulta dall’allegato 9 dove, premesso che nella spiaggia del Poetto e nei fondali marini antistanti sono presenti sabbie medie e sabbie fini (diametro medio tra 0.5 e 0.25 mm e tra 0.25 e 0.125 mm, rispettivamente), si afferma che una sabbia idonea per il ripascimento dovrebbe essere leggermente più grossolana con un diametro medio tra 1 mm e 0.25 mm (sabbia grossolana-media); il tipico meccanismo progettuale di descrizione ed accettazione dei materiali è il c.d. fuso, costituito dall’insieme di tutte le curve granulometriche ammissibili, le quali esprimono la relazione reciproca che deve intercorrere tra le classi granulometriche perché il sedimento possa essere accettato; il fuso può essere espresso tanto graficamente mediante una tabella quanto mediante rappresentazione su assi cartesiani e difatti l’allegato 8 al progetto, richiamato dall’art. 20 lett. t del capitolato speciale d’appalto, allegato denominato “sabbia da utilizzare per il ripascimento - provenienza e caratteristiche granulometriche e mineralogiche” e pertanto di indubitabile contenuto prescrittivo, contiene al suo interno tanto la tabella, quanto - nelle certificazioni di analisi granulometriche - la rappresentazione cartesiana del fuso; la tabella è espressamente denominata fuso di progetto e tale dizione è ripetuta più volte nel testo dell’allegato; la scelta del fuso come strumento di accettazione delle sabbie, in linea con le abituali metodologie progettuali, fornisce una chiara guida sulla percentuale teoricamente ammissibile relativa ad ogni classe granulometrica; i consulenti del P.M. affermano che il capitolato speciale d’appalto prevede un intervallo granulometrico di accettazione tra 0.250 e 1 millimetro, ma si tratta chiaramente di un errore del compilatore del progetto, posto che tale criterio di accettazione: non esprime le percentuali relative tra le classi granulometriche e cioè quale percentuale di sabbia tra 0.250 e 0.350 mm sia ammissibile, quanta tra 0.350 e 0.500 e via dicendo, con risultati pressoché aberranti; non rende possibile attuare la prescrizione dell’allegato 9 poiché, per avere una sabbia con diametro medio tra 0.250 e 1 mm occorre anche sabbia con diametro inferiore a 0.250 e superiore ad 1 mm; non è idoneo a ricreare una vera e propria struttura di spiaggia, che è composta anche da sabbia molto grossolana (diametro > 1mm) e ciottoli, nonché da sabbia fine e finissima: da ciò la singolare conclusione secondo cui la sabbia riversata sarebbe granulometricamente ammissibile solo per il 60% circa, smentita nel corso del dibattimento, quando i consulenti del P.M. hanno ammesso che tutta la sabbia riversata rientra nel fuso di progetto; c) nel capitolato speciale di appalto, art. 20 lett. t), è scritto testualmente: “le sabbie saranno di natura quarzoso feldspatica, con proporzioni dei due componenti rispettivamente dell’85% e del 15%, e comunque dovranno avere le caratteristiche indicate nell’allegato 8” e in geologia il criterio base, consacrato nella norma UNI EN 932-3, per definire la composizione di un materiale, è quello di stabilire quali siano i componenti dominanti, ossia in quantità superiore al 50%, che poi danno il nome al sedimento, per cui si avrà sabbia quarzoso-feldspatica laddove vi siano almeno il 50% di quarzi e di feldspati; il capitolato speciale di appalto, art. 20 lett. t), letto in maniera geologicamente corretta, è da intendere nel senso che la sabbia prescritta è una sabbia nella quale la somma dei due componenti principali (quarzo e feldspato) deve essere maggiore del 50%; la disposizione di capitolato prosegue ricordando che le proporzioni dei due componenti “comunque dovranno avere le caratteristiche indicate nell’allegato 8”, dove sono presenti analisi petrografiche delle sabbie del Poetto, a firma del prof. MACCIOTTA, utilizzate come strumento di paragone per l’accettazione composizionale di sabbie presenti in cave dell’hinterland di Cagliari, nelle quali il contenuto medio della somma quarzo-feldspati è del 76%-78%, con la conseguenza che una sabbia che presentasse tali proporzioni sarebbe analoga a quella dell’allegato 8, ma comunque, a termini di capitolato, compatibile, qualora avesse la somma di quarzo e feldspato maggiore del 50%; la percentuale fra quarzo e feldspati, che il capitolato indica in 85/15, non risulta rispettata nell’allegato 8 né in relazione alle sabbie originarie del Poetto, che mediamente presentano un rapporto 60/40, né alle sabbie delle cave, considerate compatibili, che hanno valori da 50/50 a 60/40, con la conseguenza che una sabbia sarebbe compatibile in presenza di un rapporto quarzo-feldspati compreso nelle percentuali da 50/50 a 85/15 per cui è erronea l’affermazione dei consulenti del P.M., che individuano quale parametro di accettazione la composizione pari all’85% di quarzo e al 15% di feldspato, come pure sono inattendibili e non in linea con quelli della direzione dei lavori e della stessa ASL di Cagliari i dati riportati dai consulenti tecnici sui risultati delle analisi; d) il colore della sabbia preesistente, come si evince dalla consulenza dei P.M., era 2,50Y nel sistema di classificazione Munsell, mentre il colore prescritto dal capitolato speciale d’appalto era 5Y, di gran lunga più scuro di quello preesistente, a conferma che il progetto non prevedeva un ripascimento con sabbia identica a quella preesistente; peraltro la sabbia di ripascimento ha riportato in tutti i campioni il valore 4Y, ossia un valore più chiaro di quello di progetto; e) quanto alle cause del preteso intorbidamento, contrariamente a quanto affermato dai consulenti del PM, non c’è alcun tipo di relazione tra contenuto in carbonati di calcio e torbidità dell’acqua, posto che gli stessi C.T. del P.M. e la stessa ASL non hanno mai campionato acqua “torbida” e comunque un temporaneo aumento di torbidità dell’acqua è effetto connaturale a qualsiasi ripascimento; f) la scelta di effettuare il ripascimento con sabbia differente da quella preesistente è frutto di precise valutazioni tecniche e politiche, ma non è stata mossa alcuna censura ai progettisti, a coloro i quali hanno approvato il progetto ed a tutti i soggetti deputati a valutare gli aspetti estetici, paesaggistici ed ambientali, ciò che esclude in radice qualsiasi danno di tale genere: nell’atto di citazione non è espressamente indicata la tipologia di danno di cui sono ritenuti responsabili gli incolpati, anche se si parla di danno di natura collettiva o diffusa, di disastro ecologico ed ambientale, di devastazione del litorale e del deturpamento di una bellezza naturale assoggettata a vincolo, di pregiudizio patrimoniale arrecato all’Erario, pari alle somme spese per la realizzazione dell’intervento, di danno all’immagine della P.A., ma le apocalittiche affermazioni della Procura non sono supportate da alcuna descrizione concreta del danno; al contrario la spiaggia nel tempo sta evolvendosi verso un profilo di equilibrio e verso le condizioni di naturalità, fermo restando che il ripascimento avrebbe apportato modificazioni all’ambiente ed al paesaggio; comunque la tipologia di danno sopra menzionata (e tutti i danni indiretti connessi) sfuggono alla giurisdizione del giudice contabile, in favore di quella del giudice ordinario; l’affermazione secondo cui il lavoro sarebbe stato inutile ed anzi deleterio risulta pressoché immotivata, non solo da un punto di vista scientifico - trattandosi di opera altamente specialistica - ma da qualsivoglia angolo visuale; la nuova spiaggia è stata oggetto di mareggiate con onde alte più di tre metri (come risulta dai dati della boa ondametrica in atti), tenendo perfettamente e proteggendo dalla devastazione cose e persone; il ripascimento del Poetto, citato con termini lusinghieri, nelle opere scientifiche che si occupano della materia, ha tenuto egregiamente agli elementi naturali nei cinque anni successivi, ha portato ad avere una linea di costa molto più avanzata ed ha aumentato la fruibilità dell’arenile, con un apprezzabile risultato, costituito dall’aumento dei canoni percepiti dalle Amm.ni di competenza; riguardo al danno all’immagine, non risulta che la stampa nazionale abbia avuto a che ridire sul ripascimento e, quanto alla stampa locale, non si è responsabili di notizie inesatte o parziali: dagli esposti in atti si evince con chiarezza che i firmatari ritenevano che il progetto prevedesse sabbia bianchissima e fine come quella dello strato superficiale del Poetto preesistente; il clamore mediatico, ove vi sia stato, ha avuto origine da scarsa informazione; g) i compiti consultivi assegnati al COLANTONI erano finalizzati a garantire alla d.l. un qualificato supporto tecnico scientifico sulle problematiche legate alla granulometria della sabbia e cioè di verificare se il sedimento sversato rientrasse nei parametri contrattuali e se fosse idoneo per l’obiettivo di progetto, in relazione alla possibilità per la direzione lavori di accettare sabbia di granulometria più grossolana, per garantire una miglior tenuta, compiti svolti con la massima diligenza, attraverso il controllo dei campioni di sabbia forniti dall’impresa e delle relative analisi granulometriche e composizionali da cui il materiale risultò perfettamente idoneo rispetto alle specifiche progettuali con curva granulometrica entro il fuso di progetto ed inoltre attraverso una continua interazione con la d.l. nel corso dello sversamento della sabbia; il COLANTONI, non essendo dipendente della Provincia di Cagliari né componente della direzione dei lavori, poteva agire solo come consulente su specifici problemi, senza disporre di alcun potere d’impulso verso la d.l. o l’impresa; h) in subordine, attesa la minimale partecipazione del COLANTONI ai fatti, la quota di risarcimento a suo carico andrebbe ridotta al minimo; in via istruttoria, si rende necessaria una consulenza tecnica d’ufficio.
12) Leopoldo FRANCO (avv. POGLIANI).
Ha prodotto memoria difensiva in massima parte identica a quella del COLANTONI, salvo quanto segue: i compiti consultivi assegnati al FRANCO erano finalizzati a garantire alla d.l. un qualificato supporto tecnico scientifico sulle problematiche legate alla tenuta della struttura di spiaggia, con specifico riguardo agli aspetti idraulico-marittimi, consistenti nel verificare se la spiaggia che si stava creando era in grado di resistere all’impatto degli elementi meteomarini, verificando contestualmente l’evoluzione morfodinamica della spiaggia con idonee modellazioni numeriche ed analisi dei dati ondametrici e rilievi batimetrici che si stavano raccogliendo nell’ambito del programma di monitoraggio, ad esclusione di qualsiasi compito diretto inerente la tipologia e granulometria della sabbia, pur fornendo a richiesta indicazioni generali sul progetto in base alla propria esperienza; il FRANCO, non essendo dipendente della Provincia di Cagliari né componente della Direzione dei Lavori, poteva agire solo come consulente su specifici problemi, senza disporre di alcun potere d’impulso verso la D.L. o l’impresa.
Con successiva memoria depositata il 21.5.2008, i convenuti GARDU e PISTIS (avv. POGLIANI e MUGONI) hanno ribadito i vantaggi conseguiti con il ripascimento, per l’elevata capacità dell’arenile di resistere alle onde e per la sua maggiore fruibilità, in relazione alle dimensioni più che raddoppiate, che ha portato ad un incremento delle manifestazioni di vario genere e del numero dei bagnanti, con maggiori profitti per gli esercizi pubblici e conseguente maggior introito a favore dell’erario per tributi e canoni di concessione.
Discusso il giudizio nell’udienza del 10 giugno 2008, la Sezione, con sentenza parziale n. 1830 del 18 settembre 2008: a) ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione per danno ambientale e per carenza del rapporto di servizio relativamente ai componenti della Commissione scientifica di monitoraggio; b) ha respinto l’eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza; c) ha respinto la richiesta di sospensione nella definizione della causa in attesa della conclusione dei procedimenti pendenti in sede penale e civile; d) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale avverso la chiamata in giudizio “jussu judicis” prevista dall’art. 47 del r.d. n. 1038/1933; e) ha respinto l’eccezione di prescrizione. Al contempo, avendo rilevato che la causa non era matura per la decisione di merito, “tenuto anche conto di alcune argomentazioni della difesa e di richiami ad atti che è opportuno acquisire, per cui si rende necessaria un’attività istruttoria”, ha disposto con coeva separata ordinanza (n. 149/2008) i seguenti adempimenti istruttori:
“1) ASCHIERI ha precisato, riguardo alla “condanna inflitta dal GUP del Tribunale di Cagliari con sentenza n. 3015/06 del 19.5.2006”, che “trattasi di sentenza non definitiva, in quanto appellata”.
E’ opportuno conoscere l’ulteriore sviluppo del procedimento penale con particolare riguardo alle eventuali sentenze intervenute in merito.
2) ATZENI, ORRU’ e SERRA, in relazione al procedimento penale dinanzi al Tribunale di Cagliari nei confronti di ZIRONE Renzo, PISTIS Salvatore, GARDU Andrea, MULAS Lorenzo, BAITA Piergiorgio, DEFENDI Daniele, ATZENI Andrea, ORRU’ Paolo, SERRA Giovanni e GELLON Antonello, hanno fatto presente che “i proff. LOMBARDI e LA MONICA, consulenti tecnici del P.M. presso il Tribunale di Cagliari, sono incorsi in un clamoroso refuso affermando, a pag. 38 ultimo capoverso della loro relazione, che “in nessun punto dell’allegato 8 si menziona per le granulometrie un fuso di progetto, ma solo un fuso di riferimento”, errore riconosciuto nel corso della deposizione resa all’udienza del 19 aprile 2007 dal prof. LOMBARDI il quale ha ammesso che il menzionato allegato 8 indica con esattezza il “fuso di progetto” ed inoltre che le valutazioni scaturite dalle sue analisi di laboratorio (che bollavano come false le conclusioni della commissione di monitoraggio e quindi anche dell’ufficio di d.l. e della commissione di collaudo) non tenevano conto del “fuso di progetto” (sabbie da utilizzare nel ripascimento), ma muovevano dal presupposto errato che le sabbie da versare sul litorale dovessero corrispondere al “fuso di riferimento” (sabbie native), con conseguente infondatezza delle conclusioni dei consulenti del P.M.”.
Occorre acquisire copia di tutti gli atti del procedimento penale concernenti le deposizioni dei consulenti e delle loro eventuali relazioni scritte contenenti chiarimenti sulla consulenza tecnica d’ufficio.
Anche per tale procedimento penale è opportuno conoscerne l’ulteriore sviluppo con particolare riguardo alle eventuali sentenze intervenute in merito.
3) BALLETTO ha chiesto “la sospensione del processo contabile sino alla definizione di quello penale attualmente in corso in fase di appello”.
Anche per tale procedimento penale è opportuno conoscerne l’ulteriore sviluppo con particolare riguardo alle eventuali sentenze intervenute in merito.
4) Sempre BALLETTO ha sostenuto che “il P.R. ha rappresentato lo scenario delle azioni in corso in modo del tutto riduttivo, non considerando che l’Amm.ne provinciale ha proposto nei confronti dell’ATI tre distinte azioni civili, tutt’ora in corso, chiedendo la condanna della stessa al risarcimento per mancanza nella sabbia fornita delle qualità contrattuali (composizione mineralogica e granulometrica, sassi, intorbidimento dell’acqua) e per il ripristino dello stato dei luoghi ed inoltre chiedendo la liquidazione della polizza a garanzia dei difetti dell’opera ed infine per il danno ambientale”.
E’ opportuno acquisire presso la Provincia copia degli atti di citazione, delle memorie di costituzione dei convenuti e delle eventuali consulenze tecniche d’ufficio o di parte agli atti dei tre processi civili nonché delle eventuali sentenze intervenute.
5) RITOSSA e CONCAS hanno rappresentato la “necessità di rideterminare il danno, in quanto la somma di euro 813.067,52, portata in detrazione in sede di collaudo dai compensi per l’appaltatore, è stata incamerata dall’Amm.ne appaltante sulla cauzione, come risulta dalla determinazione del dirigente settore viabilità della Provincia di Cagliari n. 343 del 16.7.2003”.
Occorre svolgere accertamenti su tutti gli eventuali recuperi intervenuti a favore della Provincia rispetto al danno quantificato in citazione pari ad arrotondati euro 4.784.292.
Tali accertamenti ed acquisizioni documentali sono demandati al Comando nucleo regionale polizia tributaria per la Sardegna che provvederà a trasmettere il relativo rapporto entro centoventi giorni dalla data di ricezione della presente ordinanza, avendo cura di accertare gli sviluppi dei singoli procedimenti penali e civili sino alla scadenza di detto termine”.
La Guardia di finanza, con note del 10 novembre 2008, pervenuta l’11 novembre 2008, e del 2 febbraio 2009, pervenuta il 3 febbraio 2009, ha trasmesso le notizie e la documentazione richieste.
Punto 1) dell’ordinanza: è stato comunicato che Luigi ASCHIERI ha proposto ricorso alla Corte di Appello di Cagliari avverso la sentenza n. 3015/06 del 19 maggio 2006 del GUP del Tribunale di Cagliari. Il procedimento risulta tuttora pendente;
Punto 2) dell’ordinanza: sono stati acquisiti e depositati gli atti relativi al verbale di udienza del giorno 19 aprile 2007, data di deposizione del professor Gianni LOMBARDI ed alla consulenza tecnica, corredata degli allegati, predisposta dal medesimo e dal professor Giovanni Battista LA MONICA. In ordine alla posizione di Renzo ZIRONE più nove, sono stati acquisiti il dispositivo della sentenza emessa nei loro confronti dal Tribunale di Cagliari, Sezione 1^ collegiale, in data 4 luglio 2008 ed è stata trasmessa su cd-rom copia di due file relativi alla medesima sentenza, titolati “copia di Poetto depositata – indice” e “Poetto depositata – sentenza”;
Punto 3) dell’ordinanza: è stato comunicato che Sandro BALLETTO ha proposto ricorso alla Corte di Appello di Cagliari avverso la sentenza n. 3015/06 del 19 maggio 2006 del GUP del Tribunale di Cagliari. Il procedimento risulta tuttora pendente;
Punto 4) dell’ordinanza: sono stati acquisiti presso l’Amministrazione provinciale di Cagliari e depositati gli atti relativi a tre procedimenti instaurati presso il Tribunale civile di Cagliari (n. 9681/2003 - Impresa di costruzioni Ing. E. MANTOVANI s.p.a., quale mandataria dell’A.T.I. costituita con le imprese Ing. E. MANTOVANI s.p.a. - Società Italiana Dragaggi s.p.a. - Gavassino Cantieri Navali s.p.a., contro Amministrazione provinciale di Cagliari; n. 10331/2004 - Amministrazione provinciale di Cagliari contro Assicuratrice Edile s.p.a.; n. 642/2005 Amministrazione provinciale di Cagliari contro Impresa di costruzioni Ing. E. MANTOVANI s.p.a., quale mandataria dell’A.T.I. costituita con le imprese Ing. E. MANTOVANI s.p.a. - Società Italiana Dragaggi s.p.a. - Gavassino Cantieri Navali s.p.a.). Dagli accertamenti effettuati presso il Tribunale civile di Cagliari, è risultato che l’Ufficio era ancora in attesa del deposito dei relativi provvedimenti da parte del Giudice competente;
Punto 5) dell’ordinanza: l’avv. Simonetta GARBATI, dell’Ufficio legale della Provincia di Cagliari, ha rappresentato che l’importo di cui alla polizza fidejussoria non risulta incamerato dalla stessa Amministrazione, fornendo al riguardo la corrispondenza intercorsa con l’A.T.I. MANTOVANI. Per quanto riguarda notizie e dati circa eventuali recuperi a favore della Provincia di Cagliari in ordine ai danni derivanti dai lavori di ripascimento del Poetto, la citata Amministrazione si è cautelata mediante la proposizione nanti il tribunale civile di Cagliari di specifici atti confluiti nei già richiamati procedimenti di cui al precedente punto 4).
I convenuti MULAS, GARDU, PISTIS, COLANTONI, FRANCO, RITOSSA, CONCAS, BALLETTO, ZIRONE, ATZENI, ORRU’ e SERRA, con atti depositati in Segreteria, hanno dichiarato di fare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 340 c.p.c., riserva di appello nei confronti della suddetta sentenza parziale.
L’avv. Silvio PINNA, con nota pervenuta in Segreteria il 14 gennaio 2009, ha depositato una lettera inviata al proprio assistito Luigi ASCHIERI, con la quale gli ha comunicato la propria rinunzia al mandato di difensore, informandolo altresì dell’intervenuto decesso del codifensore avv. Paolo PIRASTU.
All’udienza del 25 febbraio 2009, fissata per la discussione della causa, è stato disposto, su istanza dell’avv. MELONI, il rinvio all’udienza del 9 marzo 2009.
In detta ultima udienza, con ordinanza presidenziale dettata a verbale, la Sezione, vista l’istanza formulata dall’avv. Andrea POGLIANI, difensore dei convenuti COLANTONI, FRANCO, PISTIS e GARDU (cui si sono associati gli altri difensori, mentre il Pubblico ministero si è opposto), intesa ad ottenere l’assegnazione di un termine ex art. 183 c.p.c. per depositare atti e deduzioni in relazione alla documentazione acquisita in esecuzione dell’ordinanza n. 149/08, l’ha respinta e ha disposto la prosecuzione della discussione.
L’avv. POGLIANI, nel confermare le conclusioni formulate con gli atti difensivi, ha chiesto formalmente l’acquisizione di una consulenza tecnica d’ufficio, affermando che quella disposta dal Pubblico ministero penale non consente di valutare aspetti rilevanti ai fini della decisione sulla domanda attrice. In particolare, andrebbe chiarito, tramite la CTU, se effettivamente i lavori sono stati eseguiti in violazione della disciplina contrattuale e, in caso affermativo, se l’esecuzione secondo contratto avrebbe consentito di conservare le caratteristiche originarie dell’arenile.
In relazione a tale secondo aspetto, ha sostenuto che l’esecuzione dei lavori in conformità al capitolato speciale avrebbe determinato il riversamento di sabbia molto più grossolana e di colore più scuro rispetto a quella nativa. Per converso, l’esecuzione del ripascimento in conformità alle indicazioni contenute nell’allegato 8 ha comportato che la sabbia riversata presenti caratteristiche più simili a quelle possedute dalla sabbia originaria, essendo peraltro inevitabile (circostanza questa ben evidenziata nell’autorizzazione regionale) che un buon intervento di ripascimento non avrebbe comunque mai potuto restituire al Poetto la sua originaria fisionomia.
Per ciò che concerne la natura di un minerale, ha ribadito che, secondo criteri di classificazione accolti in ambito scientifico, essa si determina in relazione all’elemento o agli elementi presenti in misura maggioritaria (è cioè sufficiente una percentuale del 51%). Il che comporta che la sabbia riversata nel corso del ripascimento possa essere riconosciuta come quarzoso feldspatica.
Ha infine contestato, con supporto di dati desunti dalle analisi effettuate dalla ASL, l’affermazione secondo cui la ragione della riscontrata torbidità dell’acqua risiederebbe nella significativa percentuale di componenti di natura carbonatica presenti nella sabbia riversata.
L’avv. MELONI ha depositato documentazione.
Nel merito, ha confermato le conclusioni già formulate negli atti difensivi, soffermandosi in particolare sulle norme che regolano la separazione tra gli ambiti di rispettiva competenza degli organi politici e dell’apparato burocratico. Ha ribadito la tesi, anche con richiamo di precedenti giurisprudenziali, secondo cui non sarebbe consentito all’organo politico intervenire su singoli atti posti in essere dalla dirigenza e il potere di sovrintendenza affidato al Presidente della Provincia si eserciterebbe a consuntivo solo sulla complessiva attività dei dirigenti, la cui rimozione, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, richiede l’attivazione di un procedimento complesso.
Per quanto concerne l’esecuzione dei lavori, gli stessi sarebbero pienamente conformi alle prescrizioni contrattuali, tenuto conto per un verso, che il capitolato speciale d’appalto era stato redatto in maniera incompleta, in quanto non era stato modificato adeguatamente a seguito della decisione di prevedere la possibilità del prelievo della sabbia anche dal mare, per altro verso che lo stesso capitolato prevedeva la possibilità di apportare modifiche alle modalità esecutive in esso previste da parte della direzione lavori.
Infine, ha chiesto che la Corte dichiari l’improcedibilità della domanda di risarcimento del danno all’immagine, in quanto già oggetto di domanda proposta dalla Provincia innanzi al giudice ordinario.
L’avv. PIRAS, per i convenuti ATZENI, ORRU’ e SERRA, ha depositato una memoria difensiva e contestuale istanza istruttoria a firma congiunta del codifensore avv. SEGNERI, della quale ha illustrato i contenuti nel corso della discussione, con la quale, premessa una radicale contestazione delle conclusioni cui è giunto il giudice penale sulla scorta della consulenza di parte disposta dal Pubblico ministero penale (le cui affermazioni sarebbero state contraddette dalle altre consulenze acquisite nel corso del processo e che sarebbero inficiate da evidenti errori, quale quello ammesso dallo stesso consulente del Pubblico ministero, prof. LOMBARDI, nel corso della sua deposizione), è stata chiesta l’acquisizione di una CTU, articolata su dodici quesiti.
Ha comunque ribadito che i compiti attribuiti alla Commissione di monitoraggio non le consentivano di intervenire sull’esecuzione dei lavori.
Per quanto concerne la posizione di ZIRONE, ha sostenuto l’insussistenza di un nesso causale tra la sua condotta e il danno, posto che il convenuto si è limitato a controfirmare note predisposte da altri soggetti, non era destinatario di delega da parte del Presidente e non aveva competenze che gli imponessero di esprimersi su questioni tecnicamente complesse.
L’avv. LOI ha confermato le conclusioni formulate con gli atti difensivi. Ha affermato l’irrilevanza, sul piano causale, della condotta addebitata al CABRAS, essendo questi stato collocato in quiescenza prima dell’esecuzione dei lavori di ripascimento. Per quanto concerne la concessione della proroga all’impresa a seguito della mareggiata, ha sottolineato che non se ne poteva prescindere, essendo necessaria l’effettuazione di rilievi sulla nuova situazione dei luoghi determinatasi, al fine di poter correttamente procedere alla contabilizzazione delle lavorazioni che sarebbero state eseguite dall’impresa.
L’avv. MARGELLI ha sottolineato che la sentenza penale da ultimo acquisita ha escluso che vi siano responsabilità dei componenti della commissione di collaudo, i quali, peraltro, non avevano il potere di sospendere i pagamenti o i lavori.
L’avv. MERELLA ha rilevato che, come risulta anche dal verbale dell’audizione del consulente tecnico del Pubblico ministero penale, le analisi di costui coincidono con quelle effettuate dal prof. VALLONI su incarico dei collaudatori. Sulla base di tali analisi i collaudatori proposero le detrazioni poi operate sul compenso liquidato all’impresa.
Per quanto concerne i pagamenti all’impresa, ha ribadito la tesi difensiva secondo cui il relativo certificato risulta pagato in un momento precedente alle valutazioni date dalla Commissione di collaudo.
L’avv. CARBONI ha richiamato la sentenza penale che ha assolto il GELLON, a supporto della tesi difensiva secondo cui la condotta addebitata al convenuto sarebbe stata causalmente ininfluente.
L’avv. CASULA (alle cui conclusioni si sono associati i codifensori avvocati CABRIOLU e CASTELLI) ha rilevato che l’ing. MULAS, nella sua qualità di coordinatore del progetto, si occupò solamente dei lavori stradali. Non risultano atti formali a lui riferibili nella veste di ingegnere capo, salvo che per quanto riguarda la fase della verifica dell’anomalia dell’offerta nel corso del procedimento per l’aggiudicazione dei lavori.
Dal gennaio 2002 il convenuto è stato nominato responsabile del procedimento, ma in nessun momento gli venne segnalata la necessità di procedere ad una sospensione dei lavori, e anzi tutti gli atti provenienti dagli organi tecnici coinvolti erano semmai concordi nell’affermarne la assoluta regolarità.
Ha giustificato l’accelerazione imposta ai tempi di riversamento della sabbia rispetto a quanto previsto in capitolato, sostenendo che essa fosse necessaria in relazione al tipo di prelievo (quello dal mare richiedeva un’esecuzione in tempi più ristretti).
Il Pubblico ministero ha affermato che la prima causa del danno risiede nell’aggiudicazione dei lavori ad un’impresa che aveva presentato un’offerta, incentrata esclusivamente sul prelievo della sabbia dal mare, del tutto carente su tempi, modalità operative e garanzie circa la reperibilità di materiale idoneo. La prima conseguenza di tale illegittima aggiudicazione, da addebitare al CABRAS, è stata l’esecuzione dei lavori di ripascimento in tempi molto ridotti rispetto a quelli previsti nel capitolato.
Per quanto concerne le caratteristiche della sabbia, le stesse erano chiaramente descritte nelle norme del capitolato (artt. 20 lett. T e 64).
Ha contestato le affermazioni dell’avv. LOI, secondo cui la proroga all’impresa a seguito della mareggiata del novembre 2001 era giustificata dall’esigenza di procedere a nuove misurazioni propedeutiche alla successiva contabilizzazione dei lavori, che si sarebbero potute effettuare misurando la sabbia trasportata dagli autocarri oppure quella prelevata dalla draga, prima del riversamento in spiaggia.
Circa le valutazioni sull’idoneità della sabbia del ripascimento, ha sottolineato che dovessero essere effettuate avendo riguardo alle caratteristiche indicate in capitolato, secondo cui la sabbia da riversare avrebbe dovuto essere più grossolana rispetto alla sabbia preesistente.
Sul danno, ha insistito nella richiesta di condanna dei convenuti al risarcimento della intera somma indicata in citazione, nella considerazione che non sia possibile, come giustamente ha affermato il giudice penale, operare una distinzione tra sabbia riversata conforme alle prescrizioni contrattuali e materiale difforme.
Con riguardo infine alla tesi dell’avv. POGLIANI, secondo cui al fine di stabilire la corretta composizione mineralogica della sabbia andrebbe fatto riferimento alla definizione scientificamente accettata, ha obiettato che sul punto deve prevalere la chiara indicazione contenuta nel capitolato.
Ha quindi concluso confermando integralmente l’atto di citazione, mentre, con riguardo alla posizione dei convenuti citati su ordine della Sezione, si è rimesso alle decisioni del collegio.
In sede di replica, gli avvocati LOI, CASULA e PIRAS hanno ribadito le tesi difensive, contestando le affermazioni della Procura.
Considerato in
DIRITTO
1. Preliminarmente, è da escludere che la nota depositata in Segreteria il 14 gennaio 2009 dall’avv. Silvio PINNA, con la quale il difensore ha comunicato al proprio assistito Luigi ASCHIERI la rinunzia al mandato, dandogli nel contempo notizia dell’avvenuto decesso del codifensore avv. Paolo PIRASTU, abbia conseguenze sul corso del processo.
Dato atto che il mandato difensivo e di rappresentanza conferito ai difensori dall’ASCHIERI era disgiunto, va conseguentemente escluso, per il combinato disposto degli artt. 85 e 301 u.c. c.p.c., che la rinunzia al mandato da parte dell’avv. PINNA determini l’interruzione del processo.
Infatti, come precisato da Corte di cassazione, n. 3346 del 21 aprile 1990, “qualora una parte sia assistita da due difensori, autorizzati a rappresentarla in giudizio sia congiuntamente che disgiuntamente, la comunicazione del decesso di uno dei due difensori, fatta in giudizio dall’altro difensore, il quale contemporaneamente dichiari di rinunziare al mandato, non determina la interruzione del processo, poiché la rappresentanza processuale della parte si concentra nel procuratore superstite, che, nonostante la rinuncia, continua a rappresentarla fino alla sua sostituzione con altro procuratore”.
Poiché nel processo innanzi a questa Corte l’assistenza legale, a differenza che nel processo civile, è facoltativa, può solo soggiungersi che la rinunzia al mandato da parte del difensore costituito può divenire efficace, oltre che nel caso di nomina di altro difensore ad opera della parte, anche qualora quest’ultima manifesti, anche con atti concludenti, la volontà di proseguire personalmente il giudizio (in tal senso v. Sezione giurisdizionale Campania, n. 751 del 24 aprile 2002).
2. Venendo al merito della causa, la Sezione non reputa necessario, ai fini della decisione, l’esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio, sollecitato da diverse difese. Come emergerà meglio dalla motivazione della sentenza, tale mezzo istruttorio è da ritenere superfluo, essendo sufficienti le consulenze tecniche di parte già versate in atti.
La vicenda di cui si discute ha avuto origine dall’esecuzione di lavori di ripascimento su parte della spiaggia del Poetto, resisi necessari per fare fronte a fenomeni di erosione dell’arenile, che mettevano a repentaglio l’esistenza dello stesso nonché di opere edilizie su di esso insistenti, come evidenziato in uno studio eseguito alla fine degli anni ottanta dello scorso secolo dalla Mediterranean Survey and Services (MSS) S.p.a..
Secondo la tesi del Procuratore regionale, i lavori in questione sarebbero stati eseguiti in maniera ampiamente e radicalmente difforme dalle prescrizioni contrattuali e di progetto. In citazione si parla infatti di “abnorme difformità tra il progettato e il realizzato” (pag. 112), di lavori “eseguiti in difformità totale del progetto e degli atti contrattuali” e di materiali utilizzati “assolutamente scadenti e, comunque, privi delle caratteristiche granulometriche e mineralogiche prescritte” (pag. 115), di materiale riversato sull’arenile presentante ictu oculi “caratteristiche affatto diverse da quelle previste in progetto” (pag. 104), di lavori “eseguiti in totale difformità dal progetto e dal contratto, per quanto riguarda sia la provvista e il versamento del materiale sulla spiaggia, sia soprattutto le modalità e i tempi di esecuzione” (pag. 138).
L’opera così malamente eseguita si sarebbe rivelata non solo inutile, ma addirittura dannosa, in quanto i lavori avrebbero causato un vero e proprio “disastro di incalcolabile entità, sotto il profilo ecologico e ambientale, in dipendenza della devastazione non reversibile di gran parte del litorale costiero e del deturpamento di una bellezza naturale assoggettata a vincolo” (pag. 79 della citazione).
Tale esito sarebbe l’effetto di una “sistematica e reiterata violazione della normativa che regola l’esecuzione delle opere pubbliche, dei più elementari canoni della corretta gestione dei beni pubblici e, perfino, del comune buon senso” (v. pag. 80 della citazione), imputabile alla condotta dolosamente illecita dei convenuti.
Il danno, a corollario di tale impostazione, è stato individuato nelle somme inutilmente spese - per l’effettuazione dei lavori e per attività connesse agli stessi - dalla pubblica amministrazione (la Provincia di Cagliari) incaricata di curare l’esecuzione dell’opera, nonché nella lesione dell’immagine di detta amministrazione che sarebbe stata ad essa arrecata dai convenuti.
La tesi della parte pubblica è stata contrastata, talvolta anche aspramente, dalle difese dei convenuti sotto tutti i profili.
Da un lato, è stato contestato, con dovizia di analisi incentrate sulla lettura degli atti contrattuali e sulle modalità di esecuzione dei lavori (con particolare riferimento alle caratteristiche delle sabbie di ripascimento), che l’opera sia stata eseguita in difformità dalle prescrizioni contrattuali e di progetto.
Per altro verso, si è recisamente negato che l’opera sia inutile.
Sul punto, è emersa con particolare chiarezza la radicale inconciliabilità delle opposte tesi.
Secondo la Procura attrice, infatti, sebbene non sia evidentemente da disconoscere che l’opera avesse finalità di protezione civile, sarebbe altrettanto evidente però che la stessa si proponesse anche l’obiettivo di preservare gli aspetti ambientali e paesaggistici che contraddistinguevano la spiaggia. Dal che il particolare rilievo dato alla qualità della sabbia da riversare nel ripascimento, la quale avrebbe dovuto avere caratteristiche (di granulometria, composizione mineralogica e colore), individuate nel contratto e nel progetto, tali da renderla, se non perfettamente uguale, per lo meno adeguata, per dimensioni, consistenza, tipo e qualità, a quella preesistente nel sito di lavorazione (v. pag. 81 della citazione).
Alla luce di tale impostazione, appare del tutto comprensibile il commento sferzante del Procuratore regionale alle conclusioni della commissione di collaudo (la quale, pur avendo riscontrato gravi difformità della sabbia riversata rispetto alle prescrizioni contrattuali, aveva espresso un “giudizio di accettabilità della spiaggia esclusivamente dal punto di vista del suo utilizzo in quanto tale”), secondo cui tale giudizio “si risolve in un paradosso, in quanto anche una qualunque area sterrata può essere utilizzata al pari di una spiaggia definitivamente deturpata dalle operazioni di ripascimento” (pag. 115 della citazione).
Secondo alcune difese, invece, gli obiettivi sottolineati dall’accusa, pur tenuti presenti nella progettazione dell’opera, sarebbero in realtà del tutto secondari rispetto al vero scopo della stessa, indicato nella salvaguardia del litorale, minacciato da un profondo e progressivo fenomeno di erosione.
A tale stregua, l’opera, lungi dall’essere inutile, sarebbe anzi talmente valida dal punto di vista tecnico (come dimostrato dal fatto che la spiaggia, negli anni successivi, ha ben resistito anche a violente mareggiate) da essere portata ad esempio nelle pubblicazioni specialistiche e assunta a riferimento per analoghe esperienze (v. pag. 4 della memoria di costituzione dei convenuti GARDU e PISTIS).
Non solo: poiché l’ampliamento della spiaggia a seguito del ripascimento ha incrementato la superficie dominicale data in concessione ai titolari di stabilimenti balneari e/o esercizi pubblici, l’amministrazione finanziaria ne avrebbe tratto conseguenti introiti (pag. 4 della seconda memoria difensiva dei convenuti GARDU e PISTIS).
Tanto premesso, sebbene evidentemente la causa richieda di affrontare anche altre questioni controverse di rilievo (si pensi ad esempio a quelle inerenti alle modalità esecutive dell’appalto, quali il prelievo della sabbia da siti marini e i tempi del ripascimento), appare incontestabile che la decisione debba prendere le mosse dall’esame dell’essenziale thema disputandum ora delineato, in quanto strettamente attinente al nucleo fondante della responsabilità amministrativa, e cioè il danno.
2.1. In primo luogo, va quindi affrontata la questione della presunta difformità dei lavori eseguiti rispetto alle prescrizioni contrattuali.
A tale scopo, occorre intanto chiarire quale sia la disciplina normativa applicabile.
L’appalto in questione si è infatti sviluppato in un arco temporale collocato a cavallo tra la vigenza della vecchia normativa sugli appalti pubblici (in particolare la legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F e il r.d. 25 maggio 1895, n. 350) e l’entrata in vigore della nuova normativa (legge 11 febbraio 1994, n. 109, cd. legge MERLONI, e relativo regolamento di esecuzione, d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554).
E’ noto che l’entrata in vigore della legge MERLONI, come si evince dall’art. 3, comma 4 della legge stessa, è coincisa con quella del regolamento di esecuzione di cui al precedente comma 2, poi approvato con il già cit. d.P.R. 554/1999, avvenuta il 28 luglio 2000, in conformità a quanto stabilito dal medesimo comma 4.
Da tale data sono state quindi abrogate le previgenti disposizioni, tra cui appunto alcune disposizioni della legge n. 2248/1865 all. F e il r.d. 350/1895 (v. art. 231 del regolamento cit.).
L’art. 232 del regolamento ha dettato una disciplina transitoria così articolata: “1. Le disposizioni del regolamento che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento della stazione appaltante sono di immediata applicazione anche ai rapporti in corso di esecuzione al momento di entrata in vigore del regolamento.
2. Le disposizioni del regolamento che riguardano il modo o il contenuto delle obbligazioni del contratto si applicano ai contratti stipulati successivamente alla loro entrata in vigore.
3. Le norme del regolamento che attengono alle modalità di svolgimento delle procedure di gara per l’aggiudicazione di lavori e servizi si applicano ai bandi pubblicati successivamente alla loro entrata in vigore.
4. Ove non diversamente disposto, le norme del regolamento diverse da quelle di cui ai commi 1, 2, 3 non si applicano alle situazioni definite o esaurite sotto la disciplina precedentemente vigente”.
Come si desume dalla lettura della citata disposizione e come confermato da Corte di cassazione, sentenza n. 17906 del 4 settembre 2004, il momento della stipula del contratto è quindi dirimente al fine di stabilire quale sia la normativa applicabile al modo o al contenuto delle obbligazioni contrattuali.
Nel caso di specie, poiché il contratto d’appalto tra la Provincia di Cagliari e l’A.T.I. Mantovani risulta stipulato in data 28 settembre 2000 (v. fgl. 1152 delle produzioni di parte attrice), trovano applicazione per i suddetti aspetti le disposizioni di cui al nuovo regolamento.
Stabilisce l’art. 110 del suddetto regolamento che: “1. Sono parte integrante del contratto e devono in esso essere richiamati:
a) il capitolato generale;
b) il capitolato speciale;
c) gli elaborati grafici progettuali;
d) l’elenco dei prezzi unitari;
e) i piani di sicurezza previsti dall’articolo 31 della Legge;
f) il cronoprogramma.
2. Sono esclusi dal contratto tutti gli elaborati progettuali diversi da quelli elencati al comma 1”.
La norma è informata, pur con qualche significativa modifica, al medesimo principio già accolto dalla precedente normativa (v. art. 330 della cit. l. 2248/1865: “Fanno parte integrale del contratto i disegni delle opere che si devono eseguire, ed il capitolato speciale di appalto, esclusi tutti gli altri documenti di perizia che erano annessi al progetto” e v anche l’art. 7 del Capitolato generale d’appalto di cui al d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, espressamente richiamato dal Capitolato speciale d’appalto), secondo cui non tutti gli atti attraverso i quali si è formato il progetto dell’opera pubblica e che hanno avuto rilievo nella fase istruttoria, tecnica ed amministrativa, del contratto entrano a far parte del suo contenuto. Essi rimangono quindi atti interni dell’amministrazione e non rivestono alcun rilievo giuridico nel rapporto con l’impresa appaltatrice.
In buona sostanza, è il capitolato speciale, unitamente ai documenti tassativamente indicati nella normativa citata, che deve, secondo un principio di autosufficienza, contenere tutti gli elementi tecnici necessari per “individuare la consistenza qualitativa e quantitativa delle varie specie di opere comprese nell’appalto” (come recitava il già cit. art. 7 d.P.R. 1063/1962). E così, ancora, il D.M. 29 maggio 1895, recante il “Regolamento per la compilazione dei progetti di opere dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici”, all’art. 22, prevedeva che il capitolato speciale, al quale era tra l’altro demandato di stabilire “qualità e provenienza dei materiali”, fosse “indipendente dalla stima, dalle analisi e dai computi metrici né riferirsi a siffatti documenti, i quali non devono far parte del contratto”.
Nel caso di cui ci si occupa, ha formato oggetto di disputa tra la parte pubblica e i convenuti l’individuazione delle norme contrattuali relative alle caratteristiche che doveva possedere il materiale del ripascimento, cioè a dire la sabbia che doveva essere riversata sull’arenile.
Il Procuratore regionale ha richiamato in citazione, a sostegno della fondatezza dei propri rilievi, le conclusioni cui sono giunti i consulenti tecnici incaricati dal Pubblico ministero penale (v. pagg. 60-61 della citazione), i quali, nel rispondere al primo quesito loro proposto (“se la sabbia riversata nei lavori del marzo 2002 corrisponda sotto il profilo granulometrico, cromatico e della composizione mineralogica a quella individuata nel capitolato speciale d’appalto”), hanno preso a riferimento i parametri desunti dagli artt. 20, lett. t) e 64 del CSA, non avendo peraltro riscontrato, in risposta al secondo quesito (“se ed in che misura, sulla base della documentazione facente parte del fascicolo processuale siano stati mutati i parametri di riferimento della sabbia indicata nel capitolato, mediante successive determinazioni dell’amministrazione appaltante o della Direzione Lavori o della Commissione di Monitoraggio e, in caso affermativo, se la sabbia riversata sia corrispondente ai nuovi parametri”), che gli stessi fossero mai stati modificati.
Ad avviso delle difese, invece, le caratteristiche della sabbia avrebbero dovuto essere tratte dall’allegato 8 al progetto esecutivo (intitolato: “Sabbia da utilizzare per il ripascimento. Provenienza e caratteristiche granulometriche e mineralogiche”, v. fgl. 561 e sgg. delle produzioni di parte attrice), il quale avrebbe previsto, sia per la granulometria che per la composizione mineralogica, un intervallo (range) di accettabilità della sabbia diverso rispetto a quello di capitolato. Sul punto, si è sostenuto, i consulenti tecnici della Procura penale sarebbero incorsi in un madornale errore, che sarebbe stato riconosciuto da uno di essi, il prof. LOMBARDI, nel corso della sua audizione dibattimentale, allorquando ha risposto, a precisa domanda, di non aver notato che la tabella granulometrica riportata a pag. 7 dell’allegato in questione recava un “fuso di progetto” (il che si porrebbe in contraddizione con quanto affermato dai consulenti in risposta al secondo quesito).
Il CSA, costituente l’allegato 5r al progetto esecutivo (v. fgl. 1206 e sgg. delle produzioni di parte attrice), per quanto riguarda i lavori di ripascimento (occorre ricordare che una parte dell’appalto era costituita dalla costruzione di una strada litoranea), stabilisce all’art. 15 (“Ripascimento”) che: “Il recupero della spiaggia emersa e di quella immersa avverrà mediante il ripascimento con l’immissione di idonee sabbie nelle quantità e con le modalità che sono meglio precisate nei capitoli successivi. Il periodo di approvvigionamento e stesa della sabbia è limitato alle stagioni autunnale ed invernale per non interferire con l’attività balneare che si svolge lungo il litorale dalla tarda primavera all’estate”.
Il successivo art. 20, dedicato a “qualità e provenienza dei materiali”, prevede che: “I materiali proverranno da quelle località o con fabbriche che l’impresa riterrà di sua convenienza, purché ad insindacabile giudizio della Direzione, alla cui approvazione dovranno essere sottoposti, siano riconosciuti di buona qualità e rispondano a requisiti appresso indicati.
L’Appaltatore per poter essere autorizzato ad impiegare i vari tipi di materiali descritti dalle seguenti norme tecniche, dovrà esibire prima dell’impiego al D.L. per ogni categoria di lavoro i relativi certificati di qualità rilasciati dal laboratorio Prove e Materiali della Provincia per quanto concerne la sabbia ...”.
Le caratteristiche della sabbia sono indicate nella successiva lett. t) dell’art. 20 (“Sabbie per il ripascimento e per la formazione del cordone dunale”): “Le sabbie saranno di natura quarzoso feldspatica con proporzioni dei due componenti rispettivamente dell’85% e del 15% e, comunque dovranno avere le caratteristiche indicate nell’allegato 8 (Interventi di ripascimento).
Potranno provenire dalle formazioni sedimentarie arenacee sabbiose individuate nell’allegata carta e saranno prelevate da impianti di cava autorizzati dalle competenti autorità e/o dai fondali marini, previa idonea valutazione, a cura e spese dell’impresa aggiudicataria, che tenga conto della possibilità di tale prelievo con particolare riferimento al canalone, antistante il litorale del Poetto, formatosi con i prelievi di sabbia per uso edile, nonché da altri fondali marini o luoghi alternativi.
Si precisa che l’impresa aggiudicataria è comunque tenuta ad effettuare la su indicata valutazione che dovrà essere comunicata tempestivamente all’ente appaltante il quale valuterà, a suo insindacabile giudizio, la conformità con le specifiche indicate nell’allegato 8.
Le sabbie dovranno essere lavate e vagliate nel sito di estrazione in modo che le stesse siano passanti al setaccio da 1.00 mm. e prive della frazione passante al setaccio 0.250 mm.
In casi particolari la D.L., previe verifiche di laboratorio, potrà autorizzare la fornitura di sabbie di granulometrie diverse da quelle indicate sopra.
Per l’accettazione del colore si fa riferimento alle “Munsell Soil Color Charts” che, pur riferendosi ai suoli sono sufficientemente indicative anche per la definizione delle tonalità delle sabbie da approvvigionare.
In linea di massima quindi il colore sarà grigio chiaro e l’intervallo di accettazione è definito nelle suddette carte dei colori con 5 Y – value 7+8, croma da 1+4”.
Il successivo art. 64 (“Interventi per il ripascimento”) prevede, tra l’altro, che: “Le caratteristiche granulometriche delle sabbie da approvvigionare saranno in genere le seguenti: passante al setaccio 1.00 mm. 100% ed esclusione di tutto il passante al setaccio 0.250 mm. La sabbia dovrà essere quindi lavata e vagliata nel sito di estrazione.
Le caratteristiche granulometriche potranno essere variate dalla D.L. a seconda delle risultanze del monitoraggio senza che l’impresa possa richiedere compensi aggiuntivi rispetto a quelli già previsti dall’elenco prezzi”.
Dalla lettura delle riportate disposizioni, ad avviso della Sezione, non può nutrirsi alcun dubbio sulla assoluta correttezza dei parametri individuati dai consulenti tecnici del Pubblico ministero penale.
Come si è visto, dalla normativa legislativa e regolamentare sopra richiamata emerge con assoluta chiarezza che il capitolato speciale costituisce, per tutti gli aspetti tecnici e, per ciò che qui in particolare importa, con riguardo alle caratteristiche dei materiali, il riferimento normativo per eccellenza del contratto di appalto per l’esecuzione dei lavori pubblici. Talché appare del tutto inaccettabile ed inammissibile qualsiasi tentativo di modificarne, alterarne o contraddirne le prescrizioni facendo rimando al contenuto di atti extracontrattuali, così come hanno invece inteso fare alcune difese, arrivando persino a sostenere la tesi, invero singolare, alla luce della normativa citata, secondo cui, in caso di contrasto tra le prescrizioni del capitolato speciale e quelle contenute in allegati del progetto, sarebbero queste ultime a dover prevalere. Tanto consente di escludere la rilevanza contrattuale di allegati del progetto (come la relazione generale e l’allegato 9) a cui si è fatto richiamo in talune argomentazioni difensive volte ad introdurre parametri di accettazione del materiale più favorevoli nell’ottica dei convenuti.
Discorso parzialmente diverso deve farsi con riguardo all’allegato 8.
E’ infatti vero che il CSA in questione, nel caso di tale allegato al progetto esecutivo, fa ad esso espresso rinvio, dandogli quindi, per relationem, una valenza contrattuale, la quale tuttavia ha un contenuto, come si vedrà, ben più limitato di quello che vorrebbero attribuirgli le parti convenute.
In primo luogo, va ritenuto che, giusta quanto si è detto circa la posizione di assoluta preminenza del capitolato speciale, il rinvio ad altri documenti non possa che essere strettamente circoscritto ai soli aspetti indicati nello stesso capitolato.
Orbene, nel caso di specie, dalla lettura dell’art. 20, lett. t) del CSA sopra richiamato, si trae con assoluta chiarezza che esso rimanda all’allegato 8 esclusivamente per quanto concerne le caratteristiche mineralogiche della sabbia, come si desume dalla collocazione di detto rimando e dal fatto che quando, più oltre, la disposizione si occupa della granulometria e del colore del materiale, lo fa con prescrizioni ben definite e prive di qualsiasi rinvio integrativo al suddetto allegato o a qualsiasi altro atto distinto dal capitolato, oltre tutto ripetute, per la granulometria, anche nel successivo art. 64, senza ulteriori specificazioni o rimandi.
In secondo luogo, va detto che nell’allegato 8 l’espressione “fuso di progetto”, sulla quale si è concentrata l’attenzione delle difese, viene usata solamente nella tabella di pag. 7, mentre nel resto del documento si parla sempre di “fuso di riferimento”.
Dalla lettura complessiva di tale allegato si comprende che esso ha avuto la funzione di dare conto del raffronto operato tra le sabbie native (le cui caratteristiche granulometriche sono riassunte nella suddetta tabella) e quelle di ciascuna delle cave di terra, individuate come possibili siti di prelievo, finalizzato a dimostrare la fattibilità del ripascimento sotto il profilo qualitativo (esistenza di sabbie compatibili con quelle originarie) e quantitativo.
Voler dedurre da un isolato uso della locuzione “fuso di progetto” che il documento stabilisca le caratteristiche granulometriche della sabbia di ripascimento, in palese contrasto oltre tutto con il range chiaramente indicato nel Capitolato speciale, la cui rilevanza contrattuale rispetto ad un allegato di progetto è stata già sottolineata, è tesi del tutto assurda.
A dimostrazione, peraltro, che il valore prescrittivo dell’allegato 8 sia stato inteso, in tempi non sospetti, come limitato alla sola composizione mineralogica del materiale, basti esaminare quanto accaduto nel momento in cui venne ripetuta la procedura di verifica dell’offerta presentata dall’A.T.I. Mantovani.
L’impresa era stata chiamata a fornire, tra gli altri, ulteriori elementi di valutazione in ordine alla compatibilità dei campioni di sabbia prodotti, che avevano precedentemente evidenziato difformità per contenuto e colore con le specifiche di capitolato, in adesione a quanto ritenuto necessario dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 102/2001 (v. in particolare fgl. 1048-1049 delle produzioni di parte attrice).
Il supremo organo di giustizia amministrativa, formulando sul punto osservazioni ulteriori rispetto a quelle contenute nella sentenza di primo grado, aveva rilevato che la circostanza che l’impresa non fosse tenuta a presentare campioni in via preventiva non implicava, in base al canone di buona amministrazione, che la stazione appaltante - nel caso in cui, come nella specie, a ciò l’impresa avesse spontaneamente provveduto - non fosse tenuta, al pari dell’impresa stessa, a dare adeguata contezza, prima della definitiva aggiudicazione, circa l’entità delle difformità rilevate e la possibilità di superare il problema in fase esecutiva.
Dell’importanza, per non dire dell’essenzialità, di tale specifico accertamento nell’ambito della rinnovazione del procedimento di verifica, evidenziata anche nei pareri pro veritate resi all’amministrazione provinciale dagli avvocati VIGNOLO e CANDIO (v. fgl. 1088-1099 delle produzioni di parte attrice), erano sicuramente consapevoli i componenti della commissione aggiudicatrice.
Orbene, nella risposta, data con nota del 9 aprile 2001, assunta al protocollo della Provincia di Cagliari in data 10 aprile 2001 (v. fgl. 1301 e sgg. delle produzioni di parte attrice), l’impresa si peritò di precisare, allegando le analisi effettuate dalla Società Geotecnica Sarda SRL, che, con riguardo alla granulometria, “il risultato della sabbia prelevata sarà la parte della curva granulometrica evidenziata in verde con l’eliminazione delle parti passanti al setaccio superiore a 1,00 mm e priva della frazione fine passante al setaccio 0,250 mm, entrambe evidenziate in rosso”, col che evidentemente manifestando l’avviso che l’intervallo contrattuale di accettazione fosse quello indicato in CSA.
Ci si sarebbe aspettati, a dar credito alla tesi difensiva, che la commissione di aggiudicazione, di cui erano componenti i convenuti CABRAS, PISTIS e MULAS, rilevasse immediatamente l’errore in cui era incorsa l’impresa, tanto più considerando che, secondo quanto sostenuto, tra gli altri, anche dalla difesa del PISTIS, l’intervallo granulometrico indicato dall’impresa, corrispondente a quello di capitolato, sarebbe stato da ritenere troppo restrittivo e tale da compromettere il buon esito del ripascimento (in sintesi, la sabbia non avrebbe avuto il giusto grado di grossolanità necessario a impedirne la rapida dispersione per effetto del vento e del moto ondoso).
Nulla di tutto ciò; al contrario, come si evince dalla relazione allegata al provvedimento di riaggiudicazione (v. fgl. 1394 e sgg. delle produzioni di parte attrice), la commissione osservava sul punto che “tutti i campioni [prodotti dall’impresa] presentano una frazione compresa fra il 0.25 mm e il 1 mm, rientrante nel fuso di progetto. Dalla lettura dei certificati si rileva anche la presenza di una frazione fine, con diametri dei granuli inferiori a 0.25 mm, che dovranno essere eliminati mediante lavaggio”.
Come si può agevolmente notare, la commissione ha condiviso l’opinione dell’impresa sul fatto che il “fuso di progetto” fosse quello indicato nel CSA e non quello di cui all’allegato 8, il quale, è da notare, non viene neppure menzionato, il che non è privo di significato.
Se infatti si legge il punto precedente della relazione, ove la commissione prende in esame la composizione mineralogica dei campioni prodotti dall’impresa, si noterà che, preso atto che l’indicazione contenuta nell’art. 20 lett. t) del CSA (componente quarzosa 85%, feldspatica 15%) configura una composizione ideale e che la stessa non ha riscontro con i dati riportati nell’allegato 8, a cui, si afferma, occorre fare riferimento in base al richiamo contenuto nello stesso articolo di capitolato, la stessa commissione ritiene che fra le sabbie analizzate dall’impresa si individuino quelle rispondenti a tutti i requisiti di cui alle tabelle dell’allegato 8.
La valutazione, a prescindere dal merito di essa, dimostra, per quello che qui importa, che la commissione ha correttamente inteso che il richiamo all’allegato 8 fosse da ritenere limitato, come si è detto, al solo aspetto della composizione mineralogica.
Deve quindi ritenersi che la disciplina contrattuale riguardante la qualità del materiale di ripascimento fosse contenuta nei citati articoli del CSA, con l’integrazione delle prescrizioni tecniche di cui all’allegato 8 al progetto esecutivo, limitatamente alla composizione mineralogica.
Le difese di alcuni convenuti hanno peraltro obiettato che le prescrizioni contrattuali, quand’anche si condividesse la tesi ora fatta propria dal Collegio, sarebbero comunque state travolte e sostituite da quelle, diverse, contenute in un documento della Provincia di Cagliari (denominato “Relazione Generale di sintesi degli studi effettuati per la caratterizzazione dell’area di prelievo e di ripascimento”), richiamato (nel senso, secondo la tesi difensiva, di approvato) nelle premesse del decreto n. 407/3/01 del 28 novembre 2001 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio – Servizio difesa mare (v. fgl. 1515-1524 delle produzioni di parte attrice), con il quale venne autorizzato il prelievo della sabbia dai siti marini individuati dall’impresa per il successivo riversamento sulla spiaggia.
Il documento della Provincia (v. fgl. 2073/1-116 delle produzioni di parte attrice) effettivamente riporta caratteristiche di riferimento diverse rispetto a quelle desumibili dalle disposizioni prima richiamate.
E così viene affermato (v. fgl. 2073/8) che “il contenuto di quarzo e feldspati [assunto come riferimento è] in genere variabile fra il 76-87% con rapporto Qz/Fd pari a circa il 60/40%” e che il colore deve essere “bianco o grigio bianco, assimilabile al tipo 5Y value 7-8 croma 1-4 della Munsell soil color charts”, mentre, con riguardo alla granulometria, si afferma che da quella individuata “dovrà essere eliminata la frazione con diametro 0,075 mm in fase di lavaggio” e “dovrà pure eliminarsi la frazione grossolana e ciottolosa, con diametri eccedenti i 2 mm” (v. fgl. 2073/13).
Alle prescrizioni della Relazione di Sintesi, in quanto asseritamente recepite nel decreto ministeriale, hanno fatto riferimento sia la Commissione di monitoraggio, nel documento approvato il 22 marzo 2002, sia la Commissione di collaudo, nel verbale di visita di collaudo finale in data 14 maggio 2003.
La tesi difensiva non può tuttavia essere condivisa dalla Sezione.
E’ d’uopo ricordare che la disciplina contrattuale degli appalti pubblici è modificabile in corso d’opera nei tassativi limiti e casi contemplati dalla normativa vigente (v. art. 25 della legge n. 109/1994, ora trasfuso nell’art. 132 del d. l.vo 12 aprile 2006, n. 163). Deve pertanto escludersi in maniera categorica che una variazione delle condizioni contrattuali, tanto più quando sia, come sarebbe nel caso in esame, di così significativa portata, possa essere introdotta unilateralmente con l’approvazione di un’autorità amministrativa diversa da quella committente. Sul punto, la Sezione non può che condividere integralmente le pertinenti osservazioni del Procuratore regionale contenute nell’atto di citazione (v. pag. 113-114).
Per completezza, va comunque soggiunto che l’assunto dei convenuti è destituito di fondamento anche sotto altro profilo.
Il decreto ministeriale di cui si discute è stato adottato ai sensi del d. l.vo 11 maggio 1999, n. 152, recante “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”, il cui capo IV (Ulteriori misure per la tutela dei corpi idrici), all’art. 35 (Immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte), ora trasfuso nell’art. 109 del d. l.vo 3 aprile 2006, n. 152, così dispone:
“1. Al fine della tutela dell’ambiente marino ed in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia, è consentita l’immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei seguenti materiali:
a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;
b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità ambientale e l’innocuità;
c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri.
2. L’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a) è rilasciata dall’autorità competente solo quando è dimostrata, nell’àmbito dell’istruttoria, l’impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di recupero ovvero lo smaltimento alternativo in conformità alle modalità stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dei lavori pubblici, dei trasporti e della navigazione, per le politiche agricole e forestali nonché dell’industria, del commercio e dell’artigianato, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. L’immersione in mare di materiale di cui al comma 1, lettera b), è soggetta ad autorizzazione con esclusione dei nuovi manufatti soggetti alla valutazione di impatto ambientale. Per le opere di ripristino, che non comportino aumento della cubatura delle opere preesistenti, è dovuta la sola comunicazione all’autorità competente.
4. L’immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera c), non è soggetta ad autorizzazione.
5. La movimentazione dei fondali marini derivante dall’attività di posa in mare di cavi e condotte è soggetta ad autorizzazione regionale rilasciata, in conformità alle modalità tecniche stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria del commercio e dell’artigianato e dei lavori pubblici per quanto di competenza, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Qualora la movimentazione abbia carattere internazionale, l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero dell’ambiente sentite le regioni interessate”.
Dalla lettura della disposizione e dalla sua collocazione nell’ambito del provvedimento normativo di cui è parte, si comprende come il potere autorizzativo esercitato con il decreto in questione sia funzionalmente indirizzato a perseguire l’interesse pubblico alla tutela delle acque dall’inquinamento. Sarebbe quindi del tutto arbitrario ritenere che l’autorità procedente potesse o dovesse valutare le caratteristiche della sabbia da prelevare sotto profili, diversi da quello strettamente inerente alla funzione pubblica esercitata, riguardanti aspetti esecutivi dell’opera appaltata, sicuramente estranei all’ambito dei poteri assegnati.
Va infine fatto breve cenno ad un ulteriore argomento difensivo, che ha tratto spunto dal potere, attribuito alla direzione lavori dalle citate norme del capitolato speciale, di autorizzare o disporre la fornitura di sabbia di granulometria diversa da quella indicata nelle disposizioni contrattuali.
L’argomento non è di perspicua rilevanza, considerato che si basa su un presupposto (che le prescrizioni di capitolato sulle caratteristiche granulometriche della sabbia siano da considerare non, come sono, precise e vincolanti, bensì generiche e approssimative, sì da consentire ed anzi imporre un intervento integrativo da parte della DL) la cui fondatezza, giusta quanto sinora detto, deve essere senz’altro esclusa.
Va inoltre soggiunto, comunque, che la latitudine dei poteri della DL previsti dal CSA non può essere così estesa come vorrebbero le difese.
Premesso che, secondo l’art. 25, comma 3 della legge MERLONI gli autonomi poteri di variazione attribuiti al direttore dei lavori sono ammessi solo per risolvere aspetti di dettaglio, va detto che anche l’esame delle disposizioni del CSA non conforta la tesi difensiva.
Come sopra riportato, l’art. 20 lett. t) prevedeva che, in casi particolari, la DL, previe verifiche di laboratorio, potesse autorizzare la fornitura di sabbie di granulometrie diverse da quelle precedentemente indicate e, analogamente, il successivo art. 64 stabiliva che le caratteristiche granulometriche potessero essere variate dalla DL a seconda delle risultanze del monitoraggio.
Se ne deduce che le decisioni della DL dovessero essere formalizzate e, soprattutto, motivate in relazione alla sussistenza dei presupposti ivi indicati: nella prima ipotesi, i “casi particolari” (e non v’è chi non veda come l’espressione indichi sicuramente ipotesi specifiche e circoscritte), nella seconda ipotesi, l’esistenza di risultanze del monitoraggio (evidentemente in relazione al carattere sperimentale dell’intervento) che imponessero, al fine della migliore esecuzione dell’opera, gli aggiustamenti necessari (ma, poiché non risulta siano mai stati adottati provvedimenti siffatti, tanto meno sono state indicate le ragioni tecniche che prescrivessero la variazione delle caratteristiche granulometriche di capitolato).
In realtà, la sabbia riversata è stata ritenuta congrua non per effetto di presunte variazioni alle prescrizioni contrattuali operate dalla DL, di cui, come detto, non v’è traccia, ma, come del resto sostenuto dalle difese, perché il contenuto di dette prescrizioni è stato inteso differentemente.
Infine, non si può mancare di sottolineare che le riportate disposizioni del CSA prevedevano la possibilità della D.L. di variare solo le caratteristiche granulometriche della sabbia e non anche le altre prescritte nel medesimo capitolato (composizione granulometrica e colore).
2.2. Può ora passarsi ad esaminare, alla luce dei parametri contrattuali come sopra individuati, la tesi della parte pubblica, secondo cui il materiale riversato sarebbe ampiamente difforme da quello prescritto.
Come detto, il Procuratore regionale ha fatto riferimento alle conclusioni cui sono giunti i consulenti tecnici incaricati dal Pubblico ministero penale, che hanno confermato l’ampia difformità del materiale riversato rispetto alle prescrizioni contrattuali.
I consulenti hanno adoperato, per la campionatura delle sabbie, una metodologia, descritta nelle pagg. 6-11 della relazione finale (v. fgl. 2966-2971 delle produzioni di parte attrice), che ha mirato, pur tenendo conto della impossibilità, per ragioni pratiche, di utilizzare un criterio rigorosamente statistico, a dare un quadro sufficientemente fedele e rappresentativo delle caratteristiche delle sabbie medesime. I consulenti hanno esaminato sia campioni di sabbia da loro prelevata, sia, per completezza, anche porzioni dei campioni di sabbia repertati dai Carabinieri del N.O.E. il 25 marzo 2002, poco dopo il completamento del ripascimento.
Per quanto riguarda le caratteristiche granulometriche della sabbia riversata, riassunte nella tabella 9 a pag. 34 della relazione finale (v. fgl. 2994 delle produzioni di parte attrice), i consulenti hanno riscontrato, nei 18 campioni della sabbia da loro prelevata, una percentuale media del 60,18% di sabbia avente una granulometria compresa nell’intervallo di accettazione indicato dal Capitolato (come detto, ricompreso tra 1 e 0,25 mm). Una percentuale molto simile (59,93%) è stata riscontrata nei campioni prelevati dai Carabinieri.
Relativamente alle sabbie di granulometria esterna al fuso contrattuale, si è riscontrata una leggera prevalenza media della sabbia più grossolana (diametro superiore a 1 mm, percentuale media del 20,69%) rispetto a quella più fine (diametro inferiore a 0,25 mm, percentuale media del 19,13%), più accentuata nei campioni prelevati dai Carabinieri (25,33% contro 14,74%).
Come precisato dai consulenti, nella redazione della tabella non si è tenuto conto dei ciottoli di dimensioni centimetriche, la cui presenza all’interno della sabbia è stata rilevata nel corso degli scavi, considerando che la loro quantità era nel complesso modesta e di incidenza non superiore al 2-3% all’interno della massa di sedimento campionata (v. in part. pagg. 9 e 35 della relazione finale, fgl. 2969 e 2995 delle produzioni di parte attrice).
Tuttavia, come affermato nelle conclusioni (v. pag. 77 della relazione finale, fgl. 3038 delle produzioni di parte attrice), è ovvio che la percentuale di sabbia di ripascimento ricadente nel fuso di capitolato diminuisce ulteriormente se si tiene conto del ciottolame disperso nella massa sabbiosa.
Per quanto riguarda la composizione mineralogica, a cui sono dedicate le pagg. 41-55 della relazione finale (fgl. 3001-3015 delle produzioni di parte attrice), i consulenti si sono dati carico di chiarire il contenuto delle prescrizioni di capitolato, considerando che la composizione delle sabbie ivi indicata (“Le sabbie saranno di natura quarzoso feldspatica con proporzioni dei due componenti rispettivamente dell’85% e del 15%”) era praticamente impossibile da ottenere con costi ragionevoli da cave sia di terra che di mare in volumi adeguati ad un ripascimento.
A tale scopo, hanno quindi fatto riferimento, come del resto imposto dal richiamo contenuto nel capitolato, alle caratteristiche indicate nell’allegato 8, relativo al materiale delle cave di terra considerato come idoneo ad essere utilizzato nel ripascimento, nel quale si avevano percentuali superiori al 95% della somma di quarzo più feldspati. Per quanto riguarda le sabbie native, lo studio della MSS, pur avendo riscontrato caratteristiche mineralogiche variabili lungo lo sviluppo della spiaggia, aveva comunque evidenziato una composizione complessivamente caratterizzata da una prevalenza della componente quarzosa, compresa tra l’80% ed oltre il 95%, mentre il feldspato variava da un minimo dell’1% sino all’11-12%. La componente organogena nei sedimenti dei campioni prelevati sulla spiaggia era, nel predetto studio, compresa tra l’1 e il 7,5%.
L’analisi mineralogica dei campioni delle sabbie del ripascimento è stata effettuata dai consulenti solo sulla parte di tali campioni ricompresa nel fuso granulometrico di capitolato. I risultati delle analisi sono stati riassunti nella tabella 15 di pag. 49 della relazione finale (v. fgl. 3009 delle produzioni di parte attrice).
Nei campioni prelevati dai consulenti, la somma delle componenti quarzoso feldspatiche è risultata mediamente pari al 53,7% (25,7% quarzo + 28,0% feldspati), mentre la componente carbonatica è stata mediamente del 45,8% (0,6% di altri componenti).
Nei campioni prelevati dai Carabinieri, la somma di quarzi e feldspati è risultata addirittura minore, attestandosi su una media del 46,2% (23,3% di quarzi + 22,9% di feldspati), mentre è stata riscontrata una componente carbonatica media del 53,6% (0,3% di altri componenti).
I consulenti ne hanno quindi tratto le conclusioni che la composizione mineralogica delle sabbie di ripascimento sia sensibilmente difforme da quella prescritta in capitolato, come interpretato alla luce del rinvio all’allegato 8, in quanto ampiamente deficitaria è risultata la componente quarzoso feldspatica, mentre si è riscontrata una forte eccedenza di quella carbonatica, sulla base di un raffronto con quella esistente nella sabbia nativa (v. in part. pag. 53 della relazione finale, fgl. 3013 delle produzioni di parte attrice).
Con riguardo infine al colore della sabbia, i consulenti hanno preliminarmente precisato che le valutazioni e le misure del colore sono in genere effettuate utilizzando il sistema di Munsell, nel quale si classificano i colori secondo tre parametri: tonalità (esistono dieci tonalità principali di colore, all’interno di ciascuna delle quali le sfumature sono indicate con una scala che va da 1 a 10), valore (luminosità), che indica se un colore è chiaro o scuro e si esprime con una scala da 0 a 9, e infine croma, che indica l’intensità (vivacità) del colore con scala da 0 a 14 (v. pag. 56 della relazione finale, fgl. 3016 delle produzioni di parte attrice).
Le misurazioni, effettuate con l’ausilio di apposito macchinario (spettrofotometro) su ciascun campione di sabbia secondo la metodologia descritta a pag. 65 della relazione finale, hanno consentito ai consulenti di affermare che le sabbie di ripascimento hanno sostanzialmente rispettato i parametri di capitolato per quanto riguarda tonalità e croma, mentre la misura del valore, il cui dato medio nei campioni prelevati dai CTU è stato di 5,67 e di 5,45 nei campioni dei Carabinieri, è risultata difforme da quella prevista, che avrebbe dovuto essere compresa tra 7 e 8.
Le conclusioni dei CCTT del Pubblico ministero penale sono state avversate dalle difese, in alcuni casi con supporto di consulenze tecniche di parte (Alberto NOLI e Fabrizio ANTONIOLI per i convenuti ATZENI, ORRU’ e SERRA, Salvatore CRITELLI e Filippo GURRIERI per i convenuti GARDU, PISTIS e COLANTONI).
Peraltro, dalla lettura degli atti difensivi emerge con chiarezza che le contestazioni si sono sostanzialmente focalizzate non sui risultati delle analisi effettuate dai suddetti CCTT, bensì sui parametri di riferimento presi in considerazione e su alcuni aspetti metodologici. In particolare, per quanto riguarda questi ultimi, si è osservato che l’individuazione di un intervallo granulometrico limitato abbia alterato anche l’analisi mineralogica, in quanto la stessa sarebbe stata erroneamente condotta solo sulla frazione della sabbia di ripascimento ricompresa in detto range.
Si sono già esposte le ragioni per le quali il Collegio ritiene corretti i riferimenti contrattuali tenuti in considerazione dai CCTT del Pubblico ministero penale.
Da ciò discende che la critica relativa alla erroneità delle analisi mineralogiche non possa ritenersi fondata, essendo del tutto logico che i consulenti abbiano preso in considerazione soltanto la parte dei campioni di sabbia rientrante nell’intervallo granulometrico di accettazione da essi correttamente individuato nelle prescrizioni del capitolato.
Alcune difese hanno peraltro sostenuto, sempre con riguardo alla composizione mineralogica, che il parametro contrattuale sarebbe stato comunque rispettato dalla sabbia di ripascimento, considerando che il capitolato prevedeva che essa avesse natura quarzoso feldspatica.
Secondo la tesi difensiva, sostenuta dagli avvocati POGLIANI, MUGONI e MELONI, a tale riguardo dovrebbe considerarsi, sotto un profilo strettamente scientifico, che la natura mineralogica di un materiale è definibile in relazione al componente o ai componenti dominanti, per tali intendendosi quelli presenti in quantità superiore al 50%. Gli avvocati POGLIANI e MUGONI hanno altresì rilevato che anche normativamente tale è la definizione dei materiali aggregati (cioè composti da minerali diversi), secondo la norma UNI EN 932-3 relativa a “Procedura e terminologia per la descrizione petrografica semplificata” (v. allegato 13 delle produzioni documentali depositate in data 21 maggio 2008 nell’interesse dei convenuti GARDU e PISTIS).
Poiché i campioni analizzati dai consulenti, sia pure con il vizio metodologico di cui si è detto, hanno evidenziato un totale dei quarzi e dei feldspati superiore al 50%, ne deriverebbe, secondo la tesi difensiva, che la sabbia riversata possedeva la natura quarzoso feldspatica prevista dal capitolato.
Il Pubblico ministero in udienza ha però giustamente ribattuto che le prescrizioni contrattuali nel caso specifico non potevano essere intese nel senso indicato dalle difese, in quanto, come si è avuto già modo di rilevare, la norma di capitolato richiamava sul punto le caratteristiche indicate nell’allegato 8.
In tale documento, l’aspetto della composizione mineralogica è affrontato a pag. 8 (v. fgl. 570 delle produzioni di parte attrice), laddove si afferma che, pur se le sabbie del Poetto presentavano caratteristiche mineralogiche variabili lungo lo sviluppo della spiaggia, la loro composizione era comunque complessivamente caratterizzata da una prevalenza della componente quarzosa, compresa fra l’80% e oltre il 95%, mentre il feldspato variava da un minimo dell’1% sino a un massimo dell’11-12%, sostanzialmente corrispondente alle caratteristiche delle sabbie delle cave di terra analizzate, ove la componente quarzosa è risultata anche più accentuata (non scendendo in alcun caso sotto il 90%). Dal che, secondo quanto osservato dai CCTT del Pubblico ministero penale, si poteva trarre più realisticamente la conclusione che la sabbia del ripascimento potesse essere considerata idonea se presentante percentuali superiori al 95% della somma di quarzo + feldspati, come quella presente nelle cave di terra (v. pag. 42 della relazione finale, fgl. 3002 delle produzioni di parte attrice).
La tesi difensiva avrebbe potuto quindi essere fondata qualora ci si fosse trovati in presenza di prescrizioni contrattuali generiche, a tenore delle quali la “natura quarzoso feldspatica” del materiale avrebbe potuto essere intesa semplicemente come “componente dominante” nel senso indicato dai difensori, ma perde di consistenza laddove, come nel caso in esame, le indicazioni del capitolato precisino in maniera più dettagliata cosa si intenda con l’espressione usata.
Come detto, le analisi dei CCTT del Pubblico ministero penale hanno rilevato che la somma dei quarzi e dei feldspati nei campioni delle sabbie del ripascimento era mediamente limitata a poco più del 53%. Per la restante parte, la sabbia è risultata costituita quasi interamente (il dato medio è stato del 45,8% sui campioni prelevati dai CCTT, mentre è addirittura del 53,6% nei campioni prelevati dai Carabinieri, v. la già richiamata tabella 15 della relazione finale di consulenza) da carbonati. Come meglio precisato dai CCTT (v. pag. 48 della suddetta relazione), i carbonati “costituiscono una frazione abbondante delle sabbie del ripascimento e sono rappresentati quasi totalmente da frammenti organogeni calcitico-aragonitici, costituiti quindi da carbonato di calcio. Tra gli altri, sono riconoscibili individui interi e, in prevalenza, frammenti di: alghe rosse corallinacee (abbondanti), Briozoi, Gasteropodi, Lamellibranchi, Echinodermi, Scafopodi, Foraminiferi bentonici, chele di granchi. Sono anche presenti occasionali frammenti di rocce carbonatiche”.
Ad avviso dei CCTT (v. pagg. 61-65 della relazione più volte citata), il diffuso, caratteristico colore grigio delle sabbie del ripascimento, oltre che ad una modesta frazione di frammenti litici di colore scuro e ad alcuni gusci di fossili nerastri, sarebbe dovuto in massima parte alla ricchezza in frammenti carbonatici costituiti da talli di alghe rosse calcaree corallinacee (rodofite). Il colore grigio dei frammenti di natura organogena, abbondanti nelle sabbie del ripascimento, sarebbe dovuto alla loro permanenza nell’ambiente riducente del sottofondo marino, localmente accentuato da un’impregnazione di solfuri di ferro scuri.
In conclusione, può ritenersi confermata la tesi di parte attrice, secondo cui il materiale riversato nel corso dell’esecuzione dei lavori di ripascimento è risultato ampiamente difforme dai parametri contrattuali con riguardo a tutte le caratteristiche (granulometria, composizione mineralogica e colore) prescritte.
Un’unica precisazione è da farsi per ciò che concerne il colore. Come detto, nella relazione finale i CCTT del Pubblico ministero penale hanno evidenziato che i campioni prelevati non erano in linea con le prescrizioni di capitolato per quanto riguarda la misura del valore (inferiore a quella indicata nel CSA).
Nel corso dell’esame dibattimentale di uno di detti consulenti, il prof. LOMBARDI (v. verbale dell’udienza del 19 aprile 2007 relativa al processo penale a carico di ZIRONE e più, trasmesso dalla Guardia di finanza in esecuzione dell’ordinanza n. 149/2008), questi, pur confermando il dato riscontrato, ha attenuato il giudizio di difformità, affermando che, nel complesso, il colore della sabbia poteva considerarsi rientrante nell’ambito delle prescrizioni contrattuali (v. in particolare pagg. 23-24 e 27 del suddetto verbale).
L’affermazione non può essere condivisa, ove si consideri che il parametro non rispettato è relativo al grado di chiarezza del colore della sabbia e che nella scala numerica (da 0 a 9) i valori più bassi indicano il materiale più scuro, cosicché il materiale riversato è risultato significativamente più scuro rispetto alle prescrizioni di capitolato, il che appare elemento di difformità tutt’altro che marginale.
La divergenza, già notevole, tra la qualità della sabbia riversata nel corso del ripascimento e quella prevista nel capitolato diviene ancora più sensibile ove si consideri non solo che i CCTT del Pubblico ministero penale non hanno tenuto conto, nelle loro analisi, dei ciottoli di dimensioni centimetriche da essi rinvenuti nello scavo delle trincee da cui sono stati ricavati i campioni (circostanza a cui si è già fatto cenno), ma anche che una parte del materiale riversato, di quantità imprecisata, ma sicuramente non di poco conto, era stata precedentemente rimossa su richiesta della DL, essendone stata riscontrata l’eccessiva grossolanità anche in relazione ai più generosi parametri di accettabilità assunti a riferimento da detto ufficio (si vedano in proposito gli ordini di servizio emessi dalla DL di cui ai fgl. 1603, 1631, 1638, 1642, 1645, 1654, 1663, 1667 delle produzioni di parte attrice). La rimozione è stata peraltro effettuata dall’impresa solo parzialmente (tant’è che la Provincia ha dovuto dare apposito incarico ad un’altra ditta, v. nota del 23 luglio 2002 a firma del MULAS e del GARDU, fgl. 1702 delle produzioni di parte attrice) e con modalità tali da impedire la misurazione del materiale difforme ai fini delle relative detrazioni contabili (v. in proposito, oltre alla nota sopra richiamata, l’ordine di servizio del 15 luglio 2002, fgl. 1668 delle produzioni di parte attrice, relativo ai fatti segnalati dal Procuratore regionale a pag. 40 della citazione).
2.3. Occorre ora esaminare le conseguenze che tale difformità del materiale comporta sulla valutazione dell’opera eseguita.
La presenza di difetti nell’opera eseguita può dare luogo a diverse conseguenze in relazione alla gravità degli stessi.
L’art. 197 del già cit. regolamento sui lavori pubblici (d.P.R. n. 544/1999), dedicato per l’appunto a “ Difetti e mancanze nell’esecuzione” contempla tre ipotesi:
“1. Riscontrandosi nella visita di collaudo difetti o mancanze riguardo all’esecuzione dei lavori tali da rendere il lavoro assolutamente inaccettabile, l’organo di collaudo rifiuta l’emissione del certificato di collaudo e procede a termini dell’articolo 202.
2. Se i difetti e le mancanze sono di poca entità e sono riparabili in breve tempo, l’organo di collaudo prescrive specificatamente le lavorazioni da eseguire, assegnando all’appaltatore un termine; il certificato di collaudo non è rilasciato sino a che da apposita dichiarazione del direttore dei lavori, confermata dal responsabile del procedimento, risulti che l’appaltatore abbia completamente e regolarmente eseguito le lavorazioni prescrittegli, ferma restando la facoltà dell’organo di collaudo di procedere direttamente alla relativa verifica.
3. Se infine i difetti e le mancanze non pregiudicano la stabilità dell’opera e la regolarità del servizio cui l’intervento è strumentale, l’organo di collaudo determina, nell’emissione del certificato, la somma che, in conseguenza dei riscontrati difetti, deve detrarsi dal credito dell’appaltatore”.
La disposizione non si discosta sostanzialmente dall’omologa norma del r.d. n. 350/1895, che all’art. 102 così prevedeva: “Riscontrandosi nella visita di collaudo difetti o mancanze riguardo alla esecuzione dei lavori, si avrà a distinguere:
a) se siano tali da rendere l’opera assolutamente inaccettabile;
b) se i difetti e le mancanze siano di poca entità e riparabili in breve tempo;
c) se non siano pregiudizievoli alla stabilità dell’opera ed alla regolarità del servizio, e si possano lasciar sussistere senza inconveniente.
Nel primo caso non si farà luogo all’emissione del certificato di collaudo, e si procederà ai termini dell’art. 106.
Nel secondo caso il collaudatore prescriverà specificatamente all’appaltatore i lavori di riparazione e di completamento da eseguirsi, assegnandogli un termine per compierli; e non rilascerà il certificato di collaudo, sino a che da apposita dichiarazione dell’ingegnere capo risulti che l’appaltatore abbia completamente e lodevolmente eseguiti i lavori prescrittigli.
Nel terzo caso il collaudatore emette il certificato di collaudo, ma determina la somma che in conseguenza dei riscontrati difetti deve defalcarsi dall’avere dell’appaltatore”.
Secondo la migliore dottrina, la assoluta inaccettabilità dell’opera eseguita si risolve, alla stregua del criterio indicato nell’art. 1668 c.c., nell’essere la stessa “del tutto inadatta alla sua destinazione”.
Per affermare l’integrale inadeguatezza funzionale dell’opera non è necessario che le difformità siano riscontrabili materialmente in ogni particolare costruttivo, ma è necessario e sufficiente che siano di ampiezza tale da ripercuotersi sull’opera considerata come complesso unitario, rendendola completamente inadatta all’uso.
Secondo alcune difese, il ripascimento del Poetto era finalizzato esclusivamente o quanto meno principalmente al perseguimento di scopi di protezione civile, talché, essendo sotto tale aspetto l’opera realizzata perfettamente adeguata, non sarebbe possibile desumere l’esistenza di un danno erariale dall’eventuale difformità del materiale utilizzato rispetto alle prescrizioni di contratto.
La tesi, pur tenendo nel dovuto conto le esigenze tuzioristiche, non può che ritenersi radicalmente inaccettabile.
Così opinando, si finirebbe per disattendere completamente un dato di comune percezione, e cioè che la spiaggia oggetto dell’intervento era di particolare pregio paesaggistico ambientale.
Si veda in proposito l’ordine del giorno approvato dal Consiglio comunale di Cagliari in data 30 luglio 1999 (v. fgl. 2855-2857 delle produzioni di parte attrice) ove, dopo che nelle premesse veniva manifestato l’intento di esprimere il proprio indirizzo in merito al progetto del ripascimento “tenuto conto delle rilevanti implicazioni di natura ambientale e paesaggistica che il progetto stesso comporta”, il Consiglio affermava “che sia necessario altresì, vista la vulnerabilità dell’eco sistema su cui si dovrà intervenire, ottenere le massime garanzie in merito alla salvaguardia delle caratteristiche della sabbia, con particolare riferimento alla omogeneità cromatica e granulometrica ed alla composizione mineralogica e biologica” (e nel precedente ordine del giorno n. 7 del 18 novembre 1998, lo stesso C.C. aveva espressamente affermato che la sabbia esistente “per la sua granulometria particolare costituisce il bene più grande del Poetto”, v. fgl. 2835 delle produzioni di parte attrice).
La stessa Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato della Pubblica istruzione, Beni culturali, Informazione, Spettacolo e Sport, Servizio Tutela del Paesaggio di Cagliari e Oristano, nell’autorizzazione alla realizzazione dell’intervento, rilasciata con provvedimento prot. n. 7769 del 5 ottobre 2001 (v. allegato n. 5 delle produzioni degli avvocati POGLIANI e MUGONI per il convenuto Paolo COLANTONI, allegate alla memoria di costituzione depositata in data 20 maggio 2008), dava atto che i luoghi interessati dai lavori “costituiscono di per sé un quadro paesistico di rilevante bellezza, godibile da molteplici punti di vista, sottoposto a tutela paesistica con D.M. 24.3.1977”, che “gli interventi proposti per la salvaguardia del litorale del Poetto saranno di forte rilevanza paesistica e ambientale” e che “pur non potendosi considerare lo stesso progetto esaustivo delle problematiche presenti sul litorale del Poetto, le proposte progettuali complessive costituiscano un valido tentativo di restituire a questo areale alcuni degli aspetti paesistici ed ambientali originari”. Lo stesso provvedimento, a conferma della particolare rilevanza ambientale e paesaggistica del bene oggetto dell’intervento, precisava che ogni variante al progetto originario avrebbe dovuto essere preventivamente autorizzata dall’Assessorato pena l’irrogazione delle sanzioni previste dall’art. 164 del T.U. n. 490 del 29 ottobre 1999.
A fronte di tali chiarissime indicazioni, non è seriamente sostenibile che tra le finalità dell’intervento quelle relative alla salvaguardia degli aspetti ambientali e paesaggistici, con particolare riferimento alle caratteristiche della sabbia, non ci fossero o fossero del tutto secondarie.
Del resto, a conferma di quanto detto, è da considerare che, qualora si ritenesse, seguendo la tesi difensiva, che scopo esclusivo o primario dell’intervento fosse quello della protezione civile, non si comprenderebbe come mai ben due caratteristiche su tre della sabbia da utilizzare per il ripascimento (ovverosia il colore e la composizione mineralogica) fossero ininfluenti ai fini della “tenuta” della spiaggia ricostituita (v., per quanto riguarda la sostanziale irrilevanza della composizione mineralogica sugli aspetti strettamente ingegneristici del ripascimento, l’audizione del consulente tecnico prof. Giuseppe MATTEOTTI, nominato dalla difesa dell’imputato BAITA, all’udienza penale dell’11 gennaio 2008, file “2008-01-08 POETTO” del CD prodotto dalla difesa dei convenuti GARDU e PISTIS, in particolare pag. 45).
Può concordarsi con le difese quando sostengono che le esigenze di protezione civile imponessero di variare alcune caratteristiche possedute dalla sabbia nativa, con particolare riguardo alla granulometria. E infatti tale aspetto era stato tenuto presente nella fase progettuale, come è dimostrato dall’allegato 9, ove si afferma che la sabbia di ripascimento avrebbe dovuto essere “leggermente” (e non “sensibilmente”, come affermato dagli avvocati POGLIANI, MUGONI e FLORIS) più grossolana rispetto a quella preesistente.
In sostanza, in sede di progetto si era cercato proprio di contemperare i diversi obiettivi dell’opera, puntando a realizzare, nei limiti del possibile, un intervento che fosse idoneo a scongiurare la scomparsa dell’arenile e delle opere edilizie minacciate dalla regressione della spiaggia e, al contempo, a preservare le preziose caratteristiche della sabbia originaria.
In ordine alla concreta idoneità delle prescrizioni conseguentemente trasposte negli atti contrattuali (come individuate dalla Sezione) al conseguimento di tali obiettivi sono stati avanzati dubbi da alcune difese. Per quanto concerne la granulometria, si è sostenuto, come già accennato, che l’intervallo di accettazione indicato in CSA fosse troppo ridotto, nonché inadeguato a dare indicazioni sulle percentuali ammissibili delle varie granulometrie rientranti nell’ambito del range così individuato (non sarebbe cioè possibile capire quanta percentuale fosse utilizzabile di sabbia da 1 mm, da 0,50 mm e così via sino al limite di 0,250 mm) mentre si è sottolineato, con riguardo all’altro aspetto, quello estetico, che il colore della sabbia previsto in capitolato fosse diverso rispetto a quello della sabbia originaria.
Eventuali difetti della progettazione avrebbero però al più giustificato l’adozione di varianti (possibili peraltro solo nei limiti e nei termini già indicati), ma giammai uno stravolgimento così radicale delle prescrizioni contrattuali, oltre tutto consentito all’impresa in via di fatto e non formalizzato in atti specifici.
Va soggiunto, con riguardo al colore, che la sabbia riversata è risultata più scura rispetto a quanto indicato in capitolato, talché, quand’anche si ritenesse che le prescrizioni di detto documento fossero inadeguate (nel senso già detto), l’eventuale correzione ammissibile non avrebbe potuto certo portare ad autorizzare o a consentire il riversamento di una sabbia perfino peggiore, sotto il profilo estetico, di quella prevista.
Per quanto riguarda invece la composizione mineralogica, anch’essa essenziale esclusivamente sotto l’aspetto ambientale e paesaggistico, non vi sono dubbi sul fatto che la sabbia riversata abbia caratteristiche sensibilmente difformi rispetto a quelle contrattualmente previste e addirittura anche rispetto ai parametri indicati nella già richiamata “Relazione Generale di sintesi degli studi effettuati per la caratterizzazione dell’area di prelievo e di ripascimento”, nella quale si individuava una percentuale complessiva di quarzi e feldspati compresa tra il 76 e l’87%. L’eccessiva presenza nel materiale utilizzato della componente organogena ha avuto l’effetto anche di accentuare il colore grigio scuro della sabbia.
L’ampiezza anche quantitativa delle riscontrate difformità del materiale (secondo quanto affermato dal CT prof. LOMBARDI nel corso della sua audizione nel processo penale, solo una percentuale della sabbia campionata compresa tra il 35 e il 38% è risultata conforme sia alle prescrizioni granulometriche che a quelle mineralogiche, v. pag. 32 del verbale d’udienza) è tale da far ritenere, al di là di ogni dubbio, che l’obiettivo del ripascimento per quanto attiene agli aspetti ambientale e paesaggistico sia stato completamente mancato.
Ciò in quanto la eccessiva difformità della sabbia sversata da quella prevista in capitolato e, conseguentemente, la troppo sensibile differenza dalla sabbia nativa, ha finito per alterare profondamente, ben al di là di quanto fosse strettamente necessario per il conseguimento degli obiettivi di protezione civile, la preziosa morfologia originaria del litorale.
L’opera, pertanto, in quanto eseguita con modalità tali da renderla del tutto inidonea ad una funzione essenziale per la quale era stata programmata, deve essere ritenuta totalmente inaccettabile e quindi inutile. Dal che consegue che l’assunto del Procuratore regionale è anche sotto tale profilo fondato.
3. Occorre ora esaminare quali siano le cause che hanno determinato tale negativo risultato.
Dall’analisi della vicenda, un motivo di particolare sconcerto si trae dal constatare che l’evento in questione, lungi dall’essere stato l’inatteso effetto di cause imponderabili, era stato previsto in termini sostanzialmente molto simili a quelli in cui poi si è realizzato non da improvvisati vaticinatori di disastri ecologici, bensì proprio dagli stessi tecnici della Provincia che avevano curato la progettazione dell’opera.
Già nell’allegato 8 al progetto esecutivo, cui hanno fatto riferimento alcune difese per le parti di esso ritenute funzionali alle tesi difensive, si era esaminata la possibilità del prelievo della sabbia da mare.
Nel documento l’ipotesi in questione era stata definita pressoché improponibile per una serie articolata di ragioni.
Dato il carattere sperimentale dell’intervento, il quale avrebbe richiesto un costante monitoraggio nel corso della sua esecuzione, si prevedeva la possibilità, nell’interesse di un risultato positivo del ripascimento, di un incremento o di una riduzione della prevista gradualità dell’immissione di sabbie nell’ambiente del Poetto, nonché la non improbabile necessità di rimodulare in corso d’opera le fasi operative di approvvigionamento e stesa delle sabbie.
Le evidenziate esigenze si ponevano in contraddizione con il prelievo da mare, per le seguenti ragioni:
“a) difficoltà di reperimento a mare, in termini economicamente validi, di sabbie prive di limi e/o argille. La presenza della frazione limoso argillosa darebbe infatti luogo, per un tempo non valutabile, a notevole torbidità che potrebbe verosimilmente compromettere la sopravvivenza della prateria a Posidonia oceanica;
b) la mancanza di analisi e verifiche dirette che possano dare certezza della qualità e compatibilità delle sabbie individuate, in indagini precedenti, in banchi nei fondali di 40 metri ed oltre, al di là della linea esterna della prateria a Posidonia;
c) nell’ipotesi di reperimento di sabbie di qualità compatibile, l’approvvigionamento da mare per avere un sensibile riscontro economico, dovrebbe prevedere l’immissione nell’ambiente di grossi quantitativi di materiali in tempi ristretti e ciò senza possibilità di operare quella gradualità dettata dal modello di simulazione e tarata con il monitoraggio, che sarà decisiva per la gradualità dell’intervento”.
Talché, si affermava, allo stato attuale “non sussistono incertezze sull’opportunità di dare preferenza all’approvvigionamento dalle cave a terra rispetto al prelievo a mare e ciò … per la garanzia della idoneità e continuità della qualità delle sabbie, nonché per la certezza dei costi in relazione ai risultati che si vogliono raggiungere con il ripascimento”.
Avendo peraltro il Comune di Cagliari richiesto chiarimenti, tra l’altro, proprio sulla possibilità di prelevare la sabbia dal mare, la Provincia, nel dare risposta ai quesiti formulati dall’amministrazione comunale, fu se possibile ancora più chiara nell’evidenziare le ragioni per le quali tale forma di prelievo fosse sconsigliabile (v. “Risposta ai quesiti posti dal Consiglio Comunale di Cagliari con Ordine del giorno n. 17 del 30 luglio 1999”, fgl. 2858-2867 delle produzioni di parte attrice).
Nella risposta al quesito n. 3, per l’appunto riguardante l’approvvigionamento della sabbia da terra o da mare, si premetteva che “la definizione degli elaborati progettuali doveva e deve essere tale da escludere le approssimazioni e/o le incertezze che dopo l’appalto, in fase esecutiva, possano mettere in discussione le scelte progettuali sì da dar luogo a varianti in corso d’opera. Questo grado di definizione, vista l’incidenza economica sull’importo del progetto, vale in modo particolare per la scelta e l’individuazione delle sabbie da utilizzare per il ripascimento”.
In ragione del già evidenziato carattere sperimentale dell’intervento, era stato elaborato un modello di simulazione, predisposto dal Prof. Leopoldo FRANCO, con il quale erano state definite le quantità, i tempi e le modalità di immissione delle sabbie “in termini ambientali compatibili con il sistema spiaggia emersa, spiaggia sommersa, prateria a Posidonia Oceanica”.
In relazione alla scelta delle fonti di approvvigionamento, si afferma nel documento che risultavano effettuate ricerche sui sedimenti marini condotte su larga scala con metodi geofisici, i quali avevano permesso di individuare possibili siti di prelievo.
Tuttavia, le informazioni tratte da tali indagini indirette avrebbero necessitato, per le caratteristiche dell’intervento, di “essere meglio definite e tarate con adeguata campagna di sondaggi, prelievi di campioni ed analisi degli stessi”. Le verifiche in questione, nel caso specifico, venivano definite “assolutamente indispensabili per potere (con il grado di definizione richiesto dalle norme che governano la progettazione ed affido delle opere pubbliche) fornire elementi certi su: a) ubicazione e distanza dal litorale dei materiali; b) battente d’acqua esistente nella zona dei possibili prelievi; c) potenza e quantità di materiali prelevabili; d) qualità e caratteristiche dei materiali dei sedimenti e verifica della compatibilità con le specifiche definite nel C.S. d’A.”.
Peraltro, proseguiva il documento, alcune ricerche condotte negli anni precedenti da docenti e ricercatori dell’Università degli Studi di Cagliari avevano segnalato, sulla base di analisi effettuate su campioni prelevati dai fondali marini del Golfo di Cagliari, la presenza di contaminazioni di origine organica e da metalli pesanti, il che portava ad escludere che tali sedimenti fossero utilizzabili per il ripascimento del Poetto.
Tale conclusione avrebbe potuto essere rivista solo ad esito di un’indagine diretta e dettagliata, i cui tempi sarebbero però stati incompatibili con le scadenze del finanziamento.
Quand’anche tali difficoltà fossero state superabili, la scelta di sabbie marine sarebbe però stata sconsigliata per la presenza significativa nei sedimenti prelevati di limi e argille con le conseguenze già evidenziate nell’allegato 8.
Nel rappresentare, per converso, la preferibilità del prelievo da terra, il documento rilevava che attraverso tale modalità di approvvigionamento sarebbe stato possibile, nel corso dei lavori, introdurre aggiustamenti con riguardo alla granulometria e alla gradualità della stesa della sabbia, nonché (rilievo che appare altamente significativo alla luce dei successivi accadimenti) monitorare continuamente la rispondenza delle sabbie alle specifiche di capitolato, cosa assolutamente impossibile nel caso di prelievo da mare.
Il documento concludeva quindi sul punto con la perentoria affermazione che “allo stato attuale pertanto non sussistono incertezze sull’opportunità di dare preferenza all’approvvigionamento dalle cave a terra rispetto al prelievo a mare e ciò, come visto, per le garanzie di carattere ambientale, per la continuità della qualità delle sabbie, per la certezza dei costi in relazione ai risultati che si vogliono raggiungere ed infine particolare non trascurabile, per la possibilità di intervenire con gli adattamenti che il monitoraggio dovesse indicare come utili al fine di un miglioramento dell’intervento del ripascimento”.
Nonostante la chiarezza e la logicità delle ragioni che avevano consigliato la scelta del prelievo da terra, il Consiglio comunale di Cagliari rimase sulle sue posizioni e ottenne che il CSA venisse modificato per prevedere la possibilità dell’esecuzione dei lavori anche con sabbia prelevata dal mare.
Secondo il Procuratore regionale (v. pag. 88 della citazione), la previsione del capitolato non costituirebbe soltanto il momento prodromico degli esiti deleteri dell’intervento, “ma un utile mezzo di copertura delle responsabilità di quanti hanno potuto e voluto operare, nell’ambito dell’intervento, per finalità non certamente riconducibili ad esigenze di interesse pubblico”.
L’affermazione può essere condivisa quanto meno per la parte in cui individua nella modificazione del capitolato il fatto che ha posto le premesse dell’esito disastroso dei lavori in questione.
Anche una lettura superficiale delle norme del CSA rende evidente che lo stesso era stato pensato e redatto avendo presente come unica opzione tecnica quella che prevedeva la realizzazione del ripascimento con sabbie prelevate da terra, talché la previsione della possibilità del prelievo anche da mare, di per sé ammissibile, ha assunto in concreto la consistenza di un corpo estraneo nel contesto del documento in quanto, per un verso, non è stata accompagnata da prescrizioni coerenti, per altro verso appariva addirittura incompatibile con precise modalità esecutive ritenute essenziali per la migliore realizzazione dell’opera (ci si riferisce in particolare alla necessità della immissione graduale della sabbia del ripascimento).
Tale difetto “genetico” dell’appalto, per quanto di rilevanza non marginale, non sarebbe tuttavia stato di per sé tale da produrre le conseguenze deleterie che hanno dato origine alla richiesta risarcitoria del Procuratore regionale.
A questo proposito, occorre intanto tenere presente, anche al fine di valutare l’elemento psicologico delle condotte dei convenuti, che, per quanto previsto in capitolato come modo alternativo di approvvigionamento del materiale di ripascimento, il prelievo da mare, consentito per scelta politica, senza che fossero state superate le perplessità di natura tecnica che erano state puntualmente indicate nei documenti a cui si è fatto poc’anzi riferimento, rimaneva ad alto rischio di causare i problemi evidenziati.
Tanto avrebbe imposto, a tutto concedere, ove ciononostante si fosse optato per tale modalità di estrazione della sabbia, di prestare un’attenzione ancor più intensa di quella già di per sé richiesta da un lavoro di così particolare rilevanza, in tutte le fasi in cui si sarebbe articolato l’appalto, dall’aggiudicazione sino all’esecuzione, al fine di scongiurare la possibilità che i rischi paventati si concretizzassero.
Viceversa, nonostante in vari momenti della vicenda siano emersi, come si vedrà, elementi di conoscenza che non solo non consentivano di escludere, ma anzi univocamente rafforzavano la probabilità (per non dire la certezza) che l’opera venisse eseguita malamente, la condotta dei soggetti a vario titolo in essa coinvolti non si è rivelata improntata a tale regola di puro buon senso.
Con riguardo alle fasi precedenti all’esecuzione dei lavori, si può rilevare che già in occasione della prima aggiudicazione l’ATI Mantovani aveva spontaneamente prodotto campioni di sedimenti marini prelevati nel corso di una campagna geognostica.
Nonostante tali campioni avessero evidenziato una non compatibilità con le prescrizioni di capitolato, la circostanza venne ingiustificatamente tralasciata dalla commissione di aggiudicazione, nonostante suonasse come conferma dei timori già palesati circa la non reperibilità a mare di sabbie di qualità adeguata.
Dopo che il Consiglio di Stato ebbe censurato l’omissione di apposite verifiche su tale essenziale aspetto dell’appalto, la commissione di aggiudicazione, in sede di rinnovo della procedura, ritenne sufficiente la produzione di nuovi campioni fatti prelevare dall’ATI Mantovani, nonostante gli stessi non dimostrassero in maniera adeguata l’esistenza di giacimenti marini suscettibili di fornire materiale idoneo per il ripascimento, tanto è vero che in prosieguo di tempo si resero necessarie, pur senza esito positivo, come si vedrà, ulteriori campagne di indagine geognostica.
Già in tale occasione, inoltre, venne evidenziata dalla stessa impresa la necessità di procedere all’eliminazione di frazioni del materiale prelevato con la draga non rientranti nei parametri contrattuali.
Come si è visto, il CSA prevedeva l’effettuazione di operazioni di pulitura della sabbia prima del suo riversamento, dovendo la stessa essere lavata e vagliata nello stesso sito di estrazione. Tuttavia, come detto, le prescrizioni di capitolato erano state redatte con riguardo all’ipotesi del prelievo da cave di terra, talché rimaneva imprecisato come e se tali operazioni fossero possibili e praticabili nel caso del prelievo da mare.
In proposito, l’impresa, nella nota già citata del 9 aprile 2001, aveva affermato (v. fgl. 1333 delle produzioni di parte attrice) che “per eliminare le parti più leggere della miscela aspirata e caricata, durante il dragaggio viene utilizzato un sistema di “overflow” ad altezza regolabile con scarico al livello della chiglia della nave. Questa procedura consente il lavaggio e la vagliatura della sabbia”. Ma la modalità indicata sarebbe dovuta apparire ictu oculi inadeguata, posto che, a tutto concedere, avrebbe consentito l’eliminazione solo della frazione granulometricamente più fine, ma non di quella più grossolana, e comunque non avrebbe certo reso possibile la vagliatura della sabbia con riguardo alle altre caratteristiche richieste (composizione mineralogica e colore).
Ancora, le stesse quantità di sabbia da sversare indicate dall’impresa nella medesima nota apparivano incompatibili con l’esigenza di procedere al ripascimento in maniera graduale, chiaramente evidenziata nell’art. 64 del CSA.
Come si è accennato, prima dell’inizio dei lavori di ripascimento vennero effettuate ulteriori indagini geognostiche dalla società Fugro Oceansismica S.p.A. su incarico dell’ATI Mantovani.
Tali indagini consistettero in 25 campionamenti eseguiti mediante un sistema di carotaggio a vibrazione, al largo della spiaggia del Poetto, nel periodo tra il 24 luglio e il 6 agosto 2001 (v. Sezione Informazioni generali del rapporto finale, fgl. 1364/4 e sgg. delle produzioni di parte attrice).
Nel rapporto suddetto si afferma (v. fgl. 1364/8) che “la particolare conformazione stratigrafica dell’area oggetto dei sondaggi presentava a diverse profondità livelli variamente cementati di “beach-rock” di spessore decimetrico e livelli di spessore dell’ordine del metro di depositi di ghiaie e ciottoli con clasti di dimensioni anche dell’ordine del decimetro”.
A tale non proprio rassicurante affermazione non facevano certo da contrappeso le analisi effettuate dalla Geoplanning S.r.l. per la determinazione delle percentuali di quarzo e feldspati su dodici campioni di sabbie selezionati tra i migliori risultati delle prove geotecniche (v. fgl. 1364/51-77 delle produzioni di parte attrice), le quali evidenziavano la presenza significativa sia di elementi mineralogici diversi dai quarzi e feldspati, con punte del 77,8% (v. tabella a fgl. 1364/53), sia di granulometrie assai variabili, ma anche in questo caso con presenza rilevante di sabbie grossolane e anche molto grossolane o addirittura di ghiaia (v. le descrizioni dei singoli campioni).
Più dettagliatamente, per i singoli punti di prelievo presi in considerazione (da P14 a P17, mentre per il punto P18, essendo mancanti nell’atto prodotto dalla Procura attrice le relative pagine, si sono tratti i dati dal medesimo documento prodotto dalla difesa dei convenuti GARDU e PISTIS, v. documento n. 13 delle produzioni depositate il 24 dicembre 2007), si veda (tenendo conto che, secondo l’art. 4 del decreto ministeriale di autorizzazione, la quota di scavo doveva essere limitata ad un metro, v. fgl. 1520 delle produzioni di parte attrice) la relazione sulle prove geotecniche di laboratorio (fgl. 2571/1-263 delle produzioni di parte attrice), ove si riporta:
P14: 5 strati esaminati (fgl. 2571/154)
1° strato (spessore 38 cm.): sabbia media e grossolana ricca di materiale bioclastico (bivalvi) presenti ciottoli debolmente cementati;
2° strato (spessore 1,06 m): sabbie grossolane-medie addensate parzialmente cementate con materiale bioclastico;
3° strato (spessore 42 cm.): sabbia sciolta media e grossolana con ciottoli granitici di dimensioni centimetriche;
4° strato (35 cm.): sabbia sciolta media e grossolana con ciottoli granitici di dimensioni centimetriche con tritume di materiale organico;
5° strato (32 cm.): sabbia quarzosa ben classata con all’interno ciottoli fino ad un diam. 10 cm.
P14A: 5 strati esaminati del medesimo spessore del punto P14 (fgl. 2571/175)
1° strato: sabbia media e grossolana ricca di materiale bioclastico (bivalvi) presenti ciottoli debolmente cementati;
2° strato: sabbie grossolane-medie addensate parzialmente cementate con materiale bioclastico;
3° strato: sabbia sciolta media e grossolana con ciottoli granitici di dimensioni centimetriche;
4° strato: sabbia sciolta media e grossolana con ciottoli granitici di dimensioni centimetriche con tritume di materiale organico;
5° strato: sabbia quarzosa ben classata e bassa componente limosa.
P15: 2 strati esaminati (fgl. 2571/177)
1° strato (spessore 1,66 m.): sabbie grossolane medie addensate con ciottoli centimetrici;
2° strato (spessore 1,24 m.): sabbie grossolane con ciottoli di dimensioni centimetrici e presenza di limo.
P16: 2 strati esaminati (fgl. 2571/187)
1° strato (spessore 1,35 m.): sabbia media e grossolana grigio-chiaro ricca di materiali bioclastici (bivalve). Presenti ciottoli delle stesse sabbie cementati assenza di silt;
2° strato (spessore 0,87 m.): sabbie medie ricche di materiale bioclastico presente ghiaia e piccola % di limo.
P17: 2 strati esaminati (fgl. 2571/197)
1° strato (spessore 1,42 m.): sabbia media e grossolana grigio-chiaro ricca di materiali bioclastici (bivalve). Presenti ciottoli delle stesse sabbie cementati assenza di silt;
2° strato (spessore 0,54 m.): sabbie medie ricche di materiale bioclastico presente ghiaia e piccola % di limo.
P18: 4 strati esaminati
1° strato (spessore 0,40 m.): sabbia limosa grigio-chiaro, non si riconosce una variazione graduale della faci;
2° strato (spessore 0,62 m.): sabbia media di colore giallo-chiaro prevalentemente quarzosa, presenza di feldspati;
3° strato (spessore 0,70 m.): sabbia grossolana i cui granuli sono composti prevalentemente da quarziti e feldspati; presenza di ciottoli anche centimetrici;
4° strato (spessore 0,20 m.): argilla grigio-scuro con presenza di gasteropodi.
I risultati delle indagini furono oggetto di esame dettagliato da parte del prof. Paolo COLANTONI, consulente della direzione lavori per la parte sedimentologica.
Nel corso della riunione della Commissione di monitoraggio del 12 ottobre 2001 (v. fgl. 2521-2522 delle produzioni di parte attrice), il suddetto consulente si espresse in termini molto severi sulla inadeguatezza delle ricerche effettuate per conto dell’impresa appaltatrice, rilevando diverse manchevolezze le quali, in definitiva, lasciavano “indeterminato, di fatto, il tipo di materiale ritrovato ed il volume delle sabbie con caratteristiche idonee per il ripascimento. Ne consegue che, in queste condizioni, la scelta della cava è responsabilità dell’Impresa e che perché si possa condividere tale responsabilità è necessario che vengano forniti i dati di base e che l’Impresa sia disponibile a un incontro fra i propri esperti e gli specialisti della D.L.
Con il quadro di conoscenze a disposizione, che non consentono una verifica diretta delle condizioni del giacimento di sabbia, sarà necessario e fondamentale un controllo puntuale e ripetuto con elevata frequenza del materiale prelevato, prima della sua messa in opera.
Tali controlli dovranno verificare in particolare, oltre l’idoneità delle caratteristiche mineralogiche anche l’esecuzione di tutti i lavaggi necessari ad eliminare la frazione di materiale pelitico [cioè argilloso] responsabile di torbidità”.
La Commissione di monitoraggio, preso atto di tali valutazioni e concordando con esse, concludeva riaffermando “la necessità di controlli estremamente accurati e continui, in draga, della qualità dei materiali”.
Anche l’analisi del prof. COLANTONI avrebbe dovuto destare allarme, in quanto segnalava che, a pochi mesi dalla scadenza del termine per l’effettuazione dei lavori, non era stata ancora individuata una cava marina suscettibile di fornire sabbia qualitativamente adeguata e nella quantità necessaria per l’esecuzione del ripascimento. Di fatto, inoltre, la verifica dell’adeguatezza del materiale veniva rimessa al controllo dello stesso effettuato “prima della sua messa in opera” e sulla draga, senza però considerare le difficoltà, o addirittura l’impossibilità, già segnalate, di tali operazioni.
Tuttavia, di tale allarmante situazione non v’è traccia nella “Relazione Generale di sintesi degli studi effettuati per la caratterizzazione dell’area di prelievo e di ripascimento” (documento a cui si è già accennato), in cui addirittura si affermava la non necessità di uno scarto dei materiali prelevati dall’area individuata, salvo per quanto riguarda la selezione granulometrica ottenuta mediante il procedimento di overflow di cui si è detto (v. fgl. 2073/6). Affermazione doppiamente inspiegabile ove si consideri: 1) che già in una nota del 18 settembre 2001, a firma del PISTIS, del MULAS e del CABRAS, indirizzata all’impresa (v. fgl. 1467-1468 delle produzioni di parte attrice), gli scriventi, evidentemente consapevoli delle difficoltà suddette, avevano sollecitato la Mantovani a fornire una relazione che evidenziasse, oltre all’area da utilizzare per il prelievo, i volumi da scavare in considerazione della percentuale di scarto e le modalità tecnologiche prevedibili per il trattamento del sedimento, al fine di renderlo compatibile con le specifiche di progetto; 2) che nella stessa Relazione di sintesi, nella parte dedicata alla caratterizzazione del sito di prelievo (v. fgl. 2073/10), vengono indicate caratteristiche della sabbia ove spiccano percentuali significative (16%) di ghiaia (cioè di materiale di diametro superiore ai 2 mm), di sabbia grossolana, cioè di diametro compreso tra 1 e 2 mm. (3,5%), e fine (28,1%), quindi fuori dai parametri di capitolato, e di materiale organogeno (frammenti conchigliari, 22%), caratteristiche peraltro anche non del tutto concordanti con i risultati delle analisi della Geoplanning, che avevano rilevato una percentuale di ghiaia addirittura del 29% (v. fgl. 2571/179 delle produzioni di parte attrice).
In questo contesto già in sé a dir poco preoccupante si inserisce la vicenda della errata indicazione delle coordinate dell’area di prelievo nel provvedimento di autorizzazione emesso dal Ministero dell’ambiente, cui ha fatto riferimento il Procuratore regionale a pag. 35 della citazione.
E’ emerso infatti che, sebbene l’Impresa appaltatrice avesse indicato correttamente le coordinate dell’area in questione, le stesse siano state riportate erroneamente nel decreto ministeriale, talché l’area autorizzata è risultata quasi completamente diversa da quella individuata dall’Impresa.
Quest’ultima si premurò di segnalare la circostanza alla Provincia già con nota del 14 dicembre 2001 (v. fgl. 1531 delle produzioni di parte attrice), sottolineando la necessità della correzione per consentire non solo la normale operatività della draga, ma anche e soprattutto per poter disporre di un giacimento di sabbia idoneo in quantità e qualità ai requisiti di progetto. La planimetria allegata alla successiva nota del 19 dicembre 2001, di identico contenuto (v. fgl. 1541), dà conto della gravità dell’errore, posto che solo una parte assolutamente minimale dell’area autorizzata ricadeva nell’ambito di quella richiesta dall’Impresa, la quale, con altra nota del 23 gennaio 2002, pervenuta alla Provincia il 29 gennaio 2002 (v. fgl. 1561), nel rilevare che la richiesta correzione non era ancora stata apportata, manifestava “la preoccupazione che, in mancanza di tale modifica, la sabbia ottenibile nella ristretta area ora autorizzata possa non essere del tutto conforme alle attese”.
Nonostante le rassicurazioni provenienti dalla Provincia (v. in particolare la nota prot. n. 1444USV del 9 gennaio 2002, a firma del GARDU, del PISTIS, del MULAS e dell’Assessore ZIRONE, fgl. 1556 delle produzioni di parte attrice), la modifica delle coordinate non venne mai apportata ed è risultato dalle indagini esperite in sede penale che l’Impresa effettuò l’estrazione del materiale nella diversa area autorizzata (v. quanto dichiarato in proposito dallo stesso rappresentante dell’ATI Mantovani, ing. BAITA, al Pubblico ministero penale nell’audizione tenutasi il 27 maggio 2004, fgl. 3305 e sgg. delle produzioni di parte attrice, in part. fgl. 3309).
A questo proposito, la difesa del GARDU e del PISTIS ha replicato che l’area autorizzata dal Ministero sarebbe stata più ridotta rispetto a quella individuata dall’impresa, ma comunque rientrante all’interno di quella più vasta, fatta oggetto delle indagini geognostiche, la quale avrebbe avuto caratteristiche omogenee.
L’affermazione non può essere condivisa, a meno che non si intenda che l’unica omogeneità riscontrabile nell’area vasta interessata dalle ricerche fosse nel senso che in nessuno dei punti analizzati si rinvenivano siti idonei a fungere da giacimento per il prelievo della sabbia.
A questo proposito, oltre a quanto già detto in ordine agli esiti delle analisi condotte dalla Geoplanning, si veda la più volte richiamata Relazione generale di sintesi, ove si affermava (v. fgl. 2073/9) che “l’esame delle stratigrafie indica la presenza generalizzata di una coltre di sabbie bioclastiche, di colore nerastro o grigio nerastro. Lo spessore risulta variabile e in genere compreso fra 0,1 m. e 1 m. circa. Al di sotto la sequenza sedimentaria è caratterizzata da orizzonti di sabbie quarzose e quarzoso feldspatiche con percentuali variabili di componente organogena, in genere sino al 20% circa, costituita da frammenti minuti di conchiglie, passanti localmente a ghiaie con ciottoli” e poco oltre “le stratigrafie e i dati sismici, mostrano un livello di materiale bioclastico, di colore grigio nerastro, di spessore variabile, che in genere si riduce in corrispondenza di aree in cui sabbie quarzose, da medie a fini sono sub affioranti o comunque sotto una modesta copertura di materiale bioclastico”.
In ogni modo, l’area prescelta era stata indicata dall’Impresa in quanto considerata, tra quelle esaminate, come la più promettente, talché, sebbene anch’essa non potesse considerarsi idonea come giacimento, giusta quanto sopra osservato, è presumibile che, se la sabbia fosse stata prelevata da essa, la difformità dalle specifiche di capitolato sarebbe stata minore. Talché non è condivisibile l’assunto difensivo della irrilevanza del fatto in questione, tanto più ove si consideri che l’Ing. BAITA, nelle dichiarazioni rese al Pubblico ministero penale cui si è già fatto riferimento, ha affermato chiaramente che dall’area autorizzata, sebbene compresa nella più vasta area indagata, non era stato prelevato alcun campione, riconoscendo che il prelievo della sabbia da essa avrebbe comportato una minore probabilità statistica di recuperare un prodotto simile a quello atteso (v. fgl. 3308).
Comunque, al di là della maggiore o minore incidenza causale, la vicenda delle errate coordinate è anch’essa significativa dell’atteggiamento degli organi della Provincia, i quali si sono interessati più al celere compimento dell’opera che alla buona esecuzione della stessa.
Venendo infine alla fase della esecuzione dei lavori, cioè del riversamento finalizzato al ripascimento, è quasi superfluo sottolineare che la sabbia sversata si manifestò ictu oculi (almeno per le caratteristiche di essa immediatamente percepibili, cioè quelle della granulometria e del colore) di qualità inadeguata, dando definitivamente corpo alle preoccupazioni che tutti i fatti sinora evidenziati avevano destato (o per meglio dire, purtroppo, avrebbero dovuto destare) in tutti coloro che, a vario titolo, avevano partecipato alla realizzazione dell’opera.
Tanto è vero che sin dai primi riversamenti vi furono segnalazioni e denunce, provenienti da organizzazioni ambientalistiche o anche da semplici cittadini, le quali richiamavano l’attenzione degli organi competenti sulla opportunità di sospendere l’esecuzione dei lavori sino all’effettuazione di adeguate verifiche sulla qualità del materiale prelevato dalla draga e sversato sul litorale.
Viceversa, i lavori continuarono in maniera imperterrita, salvo una breve sospensione dovuta al ritrovamento di un ordigno bellico, in quanto tutti i soggetti che avevano la possibilità e il dovere di intervenire omisero di farlo e anzi taluni, con pervicacia e sicumera deprecabili, pretesero addirittura di sostenere, sfidando l’evidenza e il buon senso, che l’allarme destato nella popolazione fosse del tutto infondato, con gli esiti ben documentati e illustrati dai consulenti tecnici del Pubblico ministero penale di cui si è estesamente detto.
Ad avviso della Sezione, tale evento ampiamente negativo (e anche doloroso, vista l’importanza persino affettiva che la spiaggia del Poetto riveste per la comunità locale) e il danno che ne è la conseguenza, di cui è stato chiesto il risarcimento in questa sede, sono l’effetto della condotta illecita di tutti i convenuti. Ritiene altresì la Sezione che tale condotta non possa che essere qualificata come dolosa.
Va ricordato che la responsabilità amministrativa può e deve essere imputata a titolo di dolo all’autore dell’illecito ogni qual volta la condotta di questi sia intenzionalmente e consapevolmente indirizzata alla violazione degli obblighi inerenti al rapporto di servizio intercorrente con la pubblica amministrazione, a prescindere dalla consapevolezza (che peraltro, nel caso di specie, sicuramente sussisteva, per le ragioni che si sono evidenziate) che l’agente abbia avuto del danno conseguente.
Nel caso in esame, gli elementi a disposizione dei convenuti avrebbero dovuto portarli, secondo una ragionevole previsione formulabile ex ante, alla conclusione che non sarebbe stato possibile eseguire i lavori di ripascimento in conformità alle prescrizioni di contratto o, in alternativa, ad accettare un rischio elevatissimo di un grave ed irreversibile danneggiamento dell’arenile. Talché appare del tutto condivisibile l’affermazione del Procuratore regionale in citazione secondo cui quello che si è verificato è stato un “disastro annunciato”.
In sostanza, di fronte ad un complesso di fatti, i quali indicavano univocamente che non vi era alcuna certezza che la sabbia estratta dal mare possedesse le caratteristiche richieste, ma addirittura che vi era l’elevatissima probabilità del contrario, è del tutto inverosimile pensare che l’esecuzione del ripascimento ciononostante consentita sia stata l’effetto di una scelta “solo” gravemente colposa. Tanto più ove si consideri che ciò era stato già previsto in sede di progettazione sulla base di un ragionamento logico e fondato su solide ragioni di carattere tecnico, e che non vi era la concreta possibilità di vagliare e scartare preventivamente in draga il materiale difforme.
Anche la cervellotica reinterpretazione (ma sarebbe meglio parlare di stravolgimento) delle norme contrattuali, che teoricamente potrebbe ritenersi frutto di imperizia, sia pure di sommo grado, appare invece come l’esito di una scelta consapevole, se collocata nel contesto in cui è stata operata.
Si è avuto modo di notare che sino al momento della riaggiudicazione dell’appalto (aprile 2001) non erano sorti dubbi, né da parte dell’impresa, né da parte dei tecnici della Provincia, sulla corretta interpretazione delle disposizioni del capitolato riguardanti le caratteristiche della sabbia. Va soggiunto che gli stessi componenti della direzione lavori GARDU e PISTIS, nella relazione riservata sulle riserve dell’impresa apposte sul registro di contabilità in data 20 settembre 2002 (v. fgl. 1995-2007 delle produzioni di parte attrice), e quindi in epoca successiva all’effettuazione dei lavori, avevano riportato testualmente quanto affermato dall’impresa nella già citata nota del 9 aprile 2001 circa le caratteristiche granulometriche della sabbia previste in capitolato senza aggiungere o modificare alcunché in ordine al fuso granulometrico ivi indicato.
Invece, nella più volte citata “Relazione Generale di sintesi degli studi effettuati per la caratterizzazione dell’area di prelievo e di ripascimento”, si presero a riferimento proprietà della sabbia profondamente diverse da quelle precedentemente considerate, come ammesso dallo stesso rappresentante dell’ATI Mantovani, ing. BAITA, al Pubblico ministero penale nell’audizione di cui si è già detto, allorquando riferì che “l’Impresa ha proposto un tipo di sabbia, che seppure pacificamente diversa da quella indicata dal Capitolato originario, ritenuto idoneo e la Provincia l’ha accettato ed ha chiesto al Ministero dell’Ambiente l’autorizzazione al prelievo in quell’area, perché lì era stata individuata la sabbia idonea ancorché non coincidente con quella originaria di Progetto”. Secondo il BAITA, la proposta dell’Impresa sarebbe stata dovuta al fatto che le specifiche contrattuali definivano un tipo di sabbia non esistente in natura. La falsità di tale affermazione è lampante, ove si consideri che non solo tale sabbia esisteva, ma era stata rinvenuta nelle cave di terra esaminate nello studio di fattibilità dell’intervento, di cui si dava atto nell’allegato 8 di progetto.
E’ facile quindi opinare che il cambiamento dei parametri di riferimento sia stato dovuto non a presunte ragioni tecniche, inerenti alla migliore esecuzione dell’opera e/o all’impossibilità di reperire sabbia rientrante nelle prescrizioni di contratto, bensì alla ormai matura consapevolezza, tratta dai risultati sconfortanti dei sondaggi effettuati per conto dell’impresa, che fosse praticamente impossibile procurarsi dai siti marini individuati una sabbia pienamente corrispondente a quella prescritta e che quindi fosse opportuno “aggiustare” le previsioni contrattuali in maniera da farvi rientrare la sabbia che sarebbe stata sversata sull’arenile. Peraltro neppure tale tentativo è stato coronato da completo successo, dato che, come si è visto, anche i più ampi parametri di accettabilità del materiale non furono rispettati dall’impresa.
Persino il sostanziale disinteresse mostrato, al di là di vuote rassicurazioni, verso le ripetute sollecitazioni provenienti dall’impresa ad attivarsi per ottenere la modifica delle coordinate dell’area di prelievo autorizzata è presumibilmente interpretabile, come già accennato, alla stregua di una sostanziale accettazione di detto prefigurato esito.
In definitiva, lo sviluppo complessivo della vicenda indica chiaramente che tutti i convenuti, ciascuno nell’ambito del proprio ruolo, abbiano concorso nel conseguire purchessia l’obiettivo dell’esecuzione dell’opera entro i termini previsti, pur avendo la consapevolezza che non solo non vi fosse alcuna garanzia che la stessa sarebbe stata portata a compimento nel rispetto delle prescrizioni di contratto, ma anzi che vi fossero elevate probabilità del contrario.
Viene spontaneo interrogarsi sulle ragioni che abbiano indotto i convenuti ad adoperarsi intenzionalmente affinché l’esecuzione dei lavori procedesse nonostante tutto.
Sono possibili al riguardo diverse ipotesi, tra cui quella, ritenuta valida dal giudice penale in primo grado, sia pure solo per alcuni imputati, secondo cui lo scopo perseguito era quello di favorire le ragioni patrimoniali dell’impresa.
Ad ogni modo, la risposta a tale domanda non ha rilevanza per la decisione della causa, una volta che si pervenga alla conclusione che vi sia stata da parte dei convenuti intenzionale violazione dei propri obblighi di servizio.
3.1. Tanto premesso in linea generale, può ora passarsi ad esaminare in dettaglio le posizioni dei singoli convenuti.
1) Sandro CABRAS, responsabile del procedimento sino al 31 dicembre 2001.
Sebbene il convenuto sia cessato dal servizio prima dell’inizio della fase esecutiva dei lavori che hanno interessato il ripascimento del Poetto, anch’esso ha concorso in maniera determinante alla causazione dell’evento dannoso.
Come sottolineato dal Procuratore regionale, il responsabile del procedimento costituisce una figura centrale nell’ambito dei lavori pubblici, trattandosi del funzionario che ha la diretta responsabilità e vigilanza dell’intervento, secondo le disposizioni contenute negli artt. 7 della legge MERLONI e 7 e 8 del regolamento sui lavori pubblici (v. ora l’art. 10 del d. l.vo 12 aprile 2006, n. 163).
In particolare, egli ha il dovere di segnalare “eventuali disfunzioni, impedimenti o ritardi nell’attuazione degli interventi” e di fornire all’amministrazione “i dati e le informazioni relativi alle principali fasi di svolgimento del processo attuativo necessari per l’attività di coordinamento, di indirizzo e di controllo di sua competenza”. Tra i suoi poteri, vi sono quelli di accertare “la data di effettivo inizio dei lavori e ogni altro termine di svolgimento dei lavori”, di ordinare la sospensione dei lavori “per ragioni di pubblico interesse o necessità, nei limiti e con gli effetti previsti dal capitolato generale”, di irrogare “le penali per il ritardato adempimento degli obblighi contrattuali, anche sulla base delle indicazioni fornite dal direttore dei lavori” e di proporre “la risoluzione del contratto ogni qual volta se ne realizzino i presupposti”.
Orbene, nel periodo in cui il convenuto ha svolto le funzioni di responsabile del procedimento, non solo è palese che “disfunzioni, impedimenti o ritardi” nell’attuazione dell’opera si sono ampiamente manifestati, giusta quanto precedentemente posto in evidenza, ma è altrettanto indubitabile che gli stessi sono stati in gran parte dovuti anche alla sua stessa condotta.
Già nella fase della prima aggiudicazione, poi annullata dal giudice amministrativo, il convenuto, assieme agli altri componenti della commissione preposta, si è reso responsabile di palesi errori nella valutazione dell’anomalia dell’offerta presentata dall’impresa vincitrice della gara.
L’annullamento dell’aggiudicazione ha comportato ritardi nell’esecuzione dei lavori, dovuti alla sospensione degli stessi, ed è francamente paradossale che la difesa del convenuto, nel replicare alla contestazione dell’accusa, di aver tollerato che l’impresa, nonostante le formali diffide, si attardasse, per circa un anno e mezzo, nell’effettuazione di studi, ricerche e analisi dirette all’individuazione della cava marina, adduca a scusante proprio la vicenda giudiziaria sfociata nella pronuncia di annullamento.
Non ci si sofferma sul dettaglio degli errori commessi nell’occasione aventi un carattere più squisitamente giuridico, del resto ben evidenziati nelle sentenze del giudice amministrativo in primo e secondo grado e riportati in citazione.
Si vuole invece sottolineare il fatto, che nella dinamica degli eventi successivi appare di assoluto rilievo, dell’aver ingiustificatamente trascurato l’importanza della presentazione, da parte dell’impresa, di campioni di sabbia marina che, secondo quanto ammesso dalla stessa impresa, non erano conformi alle prescrizioni contrattuali (all’epoca non ancora “rielaborate”).
La Sezione non ritiene, come fa il Procuratore regionale, che la commissione di aggiudicazione potesse interpretare le norme di capitolato per espungere dallo stesso la possibilità, ivi chiaramente contemplata, sia pure con le incongruenze già dette, di approvvigionamento della sabbia dal mare.
E’ però certo che, per le ragioni che si è avuto modo di sottolineare, la commissione avrebbe dovuto esaminare con particolare attenzione tutti gli aspetti tecnici di un tale tipo di offerta (con particolare riguardo alla qualità del materiale) che ne manifestassero le incongruenze e rendessero non improbabile l’evenienza di future difficoltà esecutive.
La difesa del convenuto, in disparte la presunta irrilevanza causale di tale illegittima aggiudicazione, in relazione al fatto che la stessa venne poi rinnovata e riconosciuta stavolta legittima dal giudice amministrativo (su cui si dirà oltre), ha replicato dando degli errori commessi la seguente spiegazione: “l’ing. CABRAS – pur di fronte a delle giustificazioni insufficienti relativamente all’anomalia del prezzo offerto e non all’inidoneità del ripascimento a mezzo sabbie marine – [ha] optato, nell’interesse esclusivo dell’amministrazione che il finanziamento comunitario non poteva vedere dissolto, per l’aggiudicazione all’ATI Mantovani, nel convincimento che tale proposta – come acclarato nel secondo ricorso dal TAR Sardegna – costituisse la soluzione più coerente con gli interessi dell’amministrazione”.
L’affermazione, che se provenisse dallo stesso interessato equivarrebbe ad una confessione, lascia sconcertati.
Non è infatti consentito ad un funzionario pubblico far prevalere sue personali convinzioni in ordine a cosa sia meglio per l’interesse della P.A. in presenza di aspetti che attengano alla legittimità dell’azione amministrativa: in poche parole, non è consentito adottare atti illegittimi arrogandosi il potere di stabilire che ciò sia più funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico.
Oltre tutto, anche ad aderire a siffatta malintesa concezione efficientistica dell’azione amministrativa, è facile rilevare che, per effetto di tale decisione, i lavori sono rimasti sospesi per diversi mesi e la circostanza è poi stata purtroppo utilizzata per giustificare il prelievo dal mare, come l’unico ritenuto a quel punto idoneo a consentire l’effettuazione dei lavori nei tempi programmati, nonostante la natura sperimentale dell’opera non consentisse invece un’esecuzione accelerata dei lavori.
Quanto infine al fatto che la decisione avrebbe consentito di salvare il finanziamento pubblico, può osservarsi che tale pur giusto intento non avrebbe mai potuto prevalere a fronte della possibilità di permettere l’effettuazione dei lavori con modalità che ponessero a rischio la buona esecuzione dell’opera e, soprattutto, per conseguenza, il profilo paesaggistico-ambientale della spiaggia.
Si è detto che, secondo la difesa del CABRAS, la decisione di aggiudicare l’appalto alla Mantovani (se pure illegittima, si sostiene, per meri aspetti formali) sarebbe stata comunque corretta nella sostanza, come sarebbe dimostrato dal fatto che il ricorso proposto contro il provvedimento di riaggiudicazione alla stessa impresa è stato respinto dal giudice amministrativo.
La tesi, pur suggestiva, non regge ad un esame dei fatti.
Come è agevole desumere dalla lettura della sentenza n. 660/2001 del TAR Sardegna (documento n. 2 delle produzioni difensive del CABRAS, in allegato alla memoria di costituzione depositata in data 22 dicembre 2007), il giudice amministrativo è stato chiamato in quell’occasione a scrutinare la legittimità dell’atto impugnato soltanto per aspetti formali e/o procedimentali (fatta eccezione di un unico motivo di impugnazione del tutto marginale, relativo ad una presunta inadeguatezza del mezzo navale indicato per l’esecuzione dei lavori), talché non ha esaminato, né avrebbe potuto farlo, considerati i noti limiti che il sindacato del TAR incontra in relazione ai motivi di impugnazione formulati dal ricorrente, altri profili, quali quelli presi in considerazione nel corso del primo contenzioso amministrativo, inerenti alla congruità delle motivazioni addotte dall’amministrazione per ritenere valide le giustificazioni fornite dall’impresa in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta.
Poiché la pronuncia del giudice amministrativo di reiezione del ricorso può avere valore di accertamento della legittimità dell’atto impugnato solo con riguardo ai motivi di gravame proposti, non v’è chi non veda che dalla sentenza de qua non possa trarsi, come invece vorrebbe la difesa, alcun argomento in ordine alla legittimità dell’atto di riaggiudicazione per gli aspetti che interessano nel presente processo.
A questo riguardo, non può che rilevarsi, relativamente al punto la cui importanza vitale per la buona riuscita dell’intervento è stata più volte sottolineata, che neanche nella ripetizione della procedura di verifica l’impresa ha fornito adeguate giustificazioni in ordine alla individuazione di un giacimento marino che garantisse la piena fattibilità dell’intervento, assicurando la provvista di sabbia qualitativamente e quantitativamente corrispondente a quella richiesta.
La produzione di campioni non ancora soddisfacente sotto il profilo evidenziato, che la Commissione ha omesso di rilevare, costituisce del resto il corollario dell’inerzia serbata dall’impresa (anche al di fuori dei periodi di sospensione dei lavori imposta dal contenzioso giudiziario), ingiustificatamente tollerata dalla Provincia, e per quanto qui interessa, dal convenuto, nella effettuazione di indagini geognostiche volte all’individuazione di detto giacimento.
Non è comprensibile, almeno a voler seguire la tesi della difesa, il motivo per cui quello stesso funzionario che tanto si era preoccupato del buon esito dell’opera da adottare un provvedimento illegittimo pur di non perdere il finanziamento pubblico, sia rimasto poi sostanzialmente passivo di fronte agli indugi dell’impresa che rischiavano di compromettere il suddetto esito.
Si è già detto, ma repetita iuvant, che, stanti le motivate perplessità che il ripascimento con sabbia marina aveva suscitato, di cui il convenuto era ben consapevole, tanto più pressante si palesava la necessità di porre rapidamente termine all’incertezza sulla concreta fattibilità dello stesso, anche al fine, nell’ipotesi in cui la stessa non fosse dissolta, di ripiegare tempestivamente sul ripascimento eseguito con la sabbia delle cave di terra, previa adozione di un provvedimento di risoluzione del rapporto con l’impresa aggiudicataria, considerato che, secondo quanto chiarito dal giudice amministrativo, non sarebbe stato possibile pretendere dalla stessa, che aveva presentato un’offerta incentrata esclusivamente sul prelievo da mare, l’esecuzione dell’opera con la modalità alternativa.
Appare pertanto condivisibile quanto affermato dal Procuratore regionale secondo cui sarebbe stato opportuno azzerare la situazione, prendendo spunto dall’annullamento della prima aggiudicazione, al fine di ricondurre l’intervento nei giusti binari.
Tanto più l’inversione di rotta sarebbe stata non solo opportuna, ma necessaria, nel momento in cui l’impresa rese noti i risultati delle ulteriori indagini geognostiche eseguite in epoca successiva, e precisamente nel luglio-agosto del 2001, le quali di fatto confermavano i rischi elevatissimi che sarebbero stati connessi al prelievo da mare.
Invece di trarre, sia pure in colpevole ritardo, le dovute conclusioni sulla impossibilità tecnica di procedere nell’esecuzione dei lavori, il CABRAS, nella sua qualità di responsabile del procedimento, avallò la decisione di proseguirvi e di assecondare l’impresa contribuendo (o comunque consentendo) alla alterazione arbitraria delle condizioni contrattuali, anticipata nella Relazione di sintesi.
Quanto alla proroga concessa all’impresa poco tempo dopo averla (inutilmente) minacciata di infliggerle una penale per i ritardi nell’esecuzione dei lavori, la Sezione ritiene che il fatto censurato dall’attore sia significativo - non tanto considerato isolatamente, ma visto nel contesto del complessivo comportamento del convenuto - di un atteggiamento nella sostanza del tutto remissivo nei confronti dell’impresa.
Non è dato comprendere con certezza se il movente della condotta del convenuto fosse quello di favorire le ragioni economiche dell’impresa, ovvero quello di portare a compimento l’esecuzione dei lavori anche a costo di comprometterne il buon esito per altre ragioni (scongiurare la perdita del finanziamento pubblico e/o la possibilità di azioni risarcitorie da parte dell’Impresa). In questa sede ciò che rileva è però che il CABRAS dovette sicuramente avere, secondo una ragionevole conclusione basata sui fatti accertati, la consapevolezza che l’esecuzione dei lavori mediante il prelievo della sabbia dal mare avrebbe comportato, con elevatissima probabilità, il mancato rispetto delle prescrizioni contrattuali e le conseguenze che si sono poi verificate, e ciononostante intenzionalmente non fece nulla per impedirla, e anzi si adoperò per consentire che il rapporto con l’Impresa proseguisse come se nulla fosse.
Da ciò consegue l’affermazione della sua responsabilità.
2) Lorenzo MULAS, ingegnere capo e, dal gennaio 2002, responsabile del procedimento.
Valgono anche per questo convenuto osservazioni analoghe a quelle svolte per il CABRAS.
Infatti, il MULAS, nella sua qualità, dapprima di coordinatore del gruppo di progetto, poi di ingegnere capo e di componente della Commissione di aggiudicazione, ha avuto anch’esso parte attiva nelle decisioni che hanno determinato l’andamento della vicenda sin dai suoi momenti iniziali.
Inoltre, avendo ricoperto l’incarico di responsabile del procedimento nella fase conclusiva dell’esecuzione dei lavori, ha concorso anche in tale momento alla causazione del danno. Quando i primi sversamenti effettuati hanno infatti reso palese quello che sarebbe stato l’esito, peraltro anche precedentemente da lui del tutto prevedibile, del ripascimento eseguito mediante il prelievo della sabbia dal mare, ha omesso di disporre, come era nei suoi poteri, la sospensione dei lavori e la risoluzione del contratto d’appalto per grave inadempimento da parte dell’Impresa.
L’ingiustificata omissione di tali essenziali e doverosi provvedimenti appare il frutto anche in questo caso di intenzionale decisione, avendo avuto il convenuto la cognizione chiara della situazione e non potendosi ragionevolmente ritenere che egli desse degli elementi a sua disposizione una lettura diversa da quella che qualunque persona dotata di buon senso, e tanto più un professionista, avrebbe operato. E’ superfluo sottolineare che, a fronte della concreta probabilità, per non dire della certezza, che la prosecuzione dei lavori si traducesse in una grave ed irreversibile compromissione della spiaggia, appare non credibile che il convenuto abbia considerato e fatto prevalere altre preoccupazioni, quali quelle connesse ad eventuali ritardi nella conclusione dei lavori.
E’ più verosimile ritenere, come si desume da quanto dichiarato da lui stesso al Pubblico ministero penale che lo ha sentito nel corso delle indagini penali (v. fgl. 3209 delle produzioni di parte attrice), che la sua condotta sia stata orientata dalle pressioni provenienti dalla sfera politica (“c’è stata una accelerazione spinta dall’organo politico affinché i lavori venissero comunque effettuati, anche se avrebbero richiesto, avendo tutto il tempo a disposizione, certamente ulteriori approfondimenti o comunque valutazioni più approfondite”).
3-4) Andrea GARDU e Salvatore PISTIS, componenti dell’ufficio di direzione dei lavori e della Commissione di monitoraggio.
In base all’art.124 del regolamento sui lavori pubblici (d.P.R. n. 554/1999 cit.), il direttore dei lavori “cura che i lavori cui è preposto siano eseguiti a regola d’arte ed in conformità al progetto e al contratto”, è responsabile “del coordinamento e della supervisione dell’attività di tutto l’ufficio di direzione dei lavori, ed interloquisce in via esclusiva con l’appaltatore in merito agli aspetti tecnici ed economici del contratto”, nonché specificamente “dell’accettazione dei materiali, sulla base anche del controllo quantitativo e qualitativo degli accertamenti ufficiali delle caratteristiche meccaniche di questi così come previsto dall’articolo 3, comma 2, della legge 5 novembre 1971, n. 1086, ed in aderenza alle disposizioni delle norme tecniche di cui all’articolo 21 della predetta legge”.
Lo stesso “riferisce tempestivamente al responsabile del procedimento in merito agli eventuali ritardi nell’andamento dei lavori rispetto al programma di esecuzione” (art. 117 regol. cit.) e procede alla sospensione dei lavori “qualora circostanze speciali impediscano in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d’arte” (art. 133 regol. cit.).
Alla luce dei fatti di causa come ampiamente descritti, appare palese il ruolo determinante svolto nella causazione del danno da parte dei suddetti convenuti, da considerare pienamente responsabili per la violazione degli obblighi su di essi incombenti in virtù delle disposizioni testé riportate. Tanto più netta appare la individuata responsabilità ove si consideri che gli stessi sono stati anche componenti della Commissione di monitoraggio, talché può ben dirsi che essi hanno avuto la piena e completa conoscenza di tutti i dati necessari a valutare le problematiche connesse all’esecuzione dell’opera.
Va altresì soggiunto che il PISTIS, oltre ad aver fatto parte anche della commissione di aggiudicazione (valgono quindi in relazione alla sua posizione le osservazioni già mosse all’operato di detto organismo di cui facevano parte anche il CABRAS e il MULAS), ha collaborato alla stesura del progetto e, in particolare, dell’allegato 8 allo stesso. Il che dà conto della ancor maggiore consapevolezza che egli necessariamente aveva sia delle caratteristiche della sabbia nativa (e quindi della particolare importanza di tale elemento nel contesto di assoluto pregio ambientale e paesaggistico del sito su cui si doveva intervenire), sia delle implicazioni di un ripascimento eseguito con sabbia marina.
Lungi dall’adottare o da proporre i provvedimenti che avrebbero consentito di evitare la deturpazione della spiaggia, i convenuti hanno anch’essi intenzionalmente consentito la prosecuzione dei lavori, ignorando sistematicamente i plurimi segnali e le circostanze che nel corso della vicenda indicavano quale ne sarebbe stato l’esito finale.
Non fossero bastati, a comprendere quali fossero i provvedimenti adeguati allo scopo suddetto, i dati disponibili prima dell’inizio della fase esecutiva del ripascimento, quelli acquisiti a seguito delle verifiche effettuate nel corso dei lavori sulla sabbia di prestito avrebbero dovuto eliminare qualsiasi dubbio in proposito.
Le analisi granulometriche condotte nel marzo 2002 dalla direzione dei lavori sulla sabbia sversata o in draga evidenziavano infatti che il materiale compreso nell’intervallo contrattuale di accettazione, calcolabile nella differenza tra la percentuale di sabbia passante al setaccio da 1 mm e quella passante al setaccio da 0,250 mm, oscillava da un massimo del 78,8% (v. rapporto di prova n. 10870, fgl. 2084 delle produzioni di parte attrice) a un minimo del 32% (v. rapporto di prova n. 10877, fgl. 2093 delle produzioni di parte attrice) e si attestava in media intorno al 59% (v. “Verifiche della direzione lavori sulla sabbia di dragaggio”, fgl. 2074-2101 delle produzioni di parte attrice), percentuale sostanzialmente corrispondente a quella riscontrata dai CCTT del Pubblico ministero penale.
Per quanto riguarda la composizione mineralogica della sabbia, verificata in draga con modalità su cui dirà più avanti, gli esiti sono riportati nella tabella di cui al fgl. 2236 delle produzioni di parte attrice, da cui risulta che vennero analizzati n. 41 carichi di sabbia.
Orbene, può notarsi che la somma dei quarzi e dei feldspati non supera in nessun caso il 77,5% (v. carico n. 27) e in un caso (v. carico n. 5) si arresta addirittura al 42% (costituito, peraltro, dal solo quarzo), attestandosi in media nel 61% circa.
Il dato appare di notevole importanza, ove si consideri che esso evidenzia misure percentuali inferiori persino a quelle (della cui erroneità non si può dubitare, alla luce delle prescrizioni contrattuali di cui si è detto) indicate nella più volte richiamata “Relazione Generale di sintesi degli studi effettuati per la caratterizzazione dell’area di prelievo e di ripascimento”, assunta a riferimento dagli stessi convenuti, a tenore della quale la somma dei suddetti componenti non avrebbe mai potuto essere inferiore al 76%, con un rapporto Qz/Fd pari a circa il 60/40% (non rispettato in nessuno dei carichi analizzati, ove i feldspati sono costantemente in proporzione molto inferiori ai quarzi e talvolta, come nella sabbia dei carichi 5 e 6, addirittura assenti). Per due carichi (il n. 5 e il n. 15) l’analisi composizionale ha evidenziato una somma di quarzi e feldspati addirittura inferiore persino a quella del 51% indicata da alcune difese come necessaria e sufficiente per affermare la natura quarzoso-feldspatica della sabbia. Ciononostante, neppure tali carichi sono stati rifiutati dalla direzione dei lavori.
Ancora, dalla medesima tabella già si evinceva la presenza, in percentuali significative, di materiale bioclastico (con punte del 17,8 e del 17% nei carichi 15 e 28), peraltro con tutta probabilità abbondantemente sottostimata, alla luce dei risultati delle analisi condotte dai CCTT del Pubblico ministero penale e, come si vedrà, anche da quelle condotte dal prof. VALLONI su incarico della Commissione di collaudo.
Anche a voler ammettere, cosa da escludere per le ragioni già illustrate, che i convenuti potessero aver solo colpevolmente errato nella interpretazione delle disposizioni contrattuali relative alla granulometria della sabbia, ritenendo per effetto di tale errore ad esse conforme la sabbia del ripascimento, è del tutto certo che un siffatto errore non sarebbe neppure ipotizzabile per l’aspetto della composizione mineralogica, atteso che, come si è appena visto, la sabbia prelevata dal fondo marino presentava caratteristiche palesemente diverse non solo da quelle indicate negli atti contrattuali, ma persino da quelle diverse individuate dagli stessi tecnici della Provincia. La circostanza appare quindi ulteriore dimostrazione che non si è in presenza di errori, sia pure macroscopicamente colposi, ma di vera e propria malafede.
La palese difformità dai parametri di accettazione indicati nella relazione di sintesi, sotto il profilo composizionale, della sabbia verificata in draga venne rilevata e segnalata ai convenuti dalla Commissione di collaudo in occasione della visita di collaudo in corso d’opera del 20 marzo 2002 (v. fgl. 2307 e sgg. delle produzioni di parte attrice, in part. v. fgl. 2312-2313). Secondo quanto riportato nel verbale, la D.L. replicò che la difformità era dovuta alle differenti modalità di analisi, in quanto, mentre l’analisi a bordo della draga era stata effettuata con l’utilizzo di un microscopio ottico, in fase progettuale si era eseguita un’analisi petrografica-mineralogica su sezioni sottili dei campioni. L’applicazione di tale metodologia di analisi sulla sabbia di prestito avrebbe consentito, sempre secondo la D.L., di verificare che anche gli elementi definiti dal GELLON (incaricato dalla D.L. delle verifiche a bordo della draga) come litici rosa o scuri (come tali indicati nella tabella già richiamata) fossero in realtà da attribuire parzialmente alle classi dei quarzi e dei feldspati.
L’ipotesi formulata dalla D.L. non è stata confermata dalle analisi eseguite ex post oltre che dai CCTT del Pubblico ministero penale, anche dal prof. VALLONI incaricato dalla Commissione di collaudo di effettuare l’analisi petrografica-mineralogica delle sabbie del ripascimento, i cui esiti sono riportati nel verbale di collaudo finale (v. in part. fgl. 2272 delle produzioni di parte attrice).
Ma, al di là di ciò, la giustificazione fornita dalla D.L. ai collaudatori è risibile e costituisce ulteriore dimostrazione dell’atteggiamento dei convenuti.
Nel documento “Progetto per il risanamento del litorale Poetto. Verifiche in corso d’opera. Analisi geologica dei materiali di dragaggio” (fgl. 2131-2137 delle produzioni di parte attrice) la Direzione lavori ha dato atto che le verifiche per l’accettazione delle sabbie da utilizzare per il ripascimento erano state effettuate in continuo con personale a bordo della draga ed a terra in coincidenza con ogni carico.
Le analisi di caratterizzazione dei materiali venivano effettuate a bordo dal GELLON per quanto riguardava “il riconoscimento macroscopico della granulometria e l’analisi mineralogica al microscopio ottico”, mentre a terra, presso il Laboratorio Geotecnico Provinciale, venivano effettuate le analisi granulometriche ed emessi i certificati di prova (v. punto 2, pag. 3 del cit. documento).
Più oltre (pag. 5, punto 2.2.2) si affermava testualmente che “le analisi, finalizzate alla verifica immediata delle caratteristiche dei materiali via via prelevati, vengono effettuate in draga da geologo della D.L. e sono criterio di accettazione del carico effettuato”.
Orbene, se queste erano le condivisibili finalità delle analisi condotte a bordo della draga (anche se, ad avviso della Sezione, le misure adottate non erano comunque sufficienti, atteso che, come si ricorderà, il CSA, all’art. 20, prevedeva che l’Impresa “dovrà esibire prima dell’impiego al D.L. per ogni categoria di lavoro i relativi certificati di qualità rilasciati dal laboratorio Prove e Materiali della Provincia per quanto concerne la sabbia”), non si comprende come, a dar retta a quanto riferito dalla D.L. alla Commissione di collaudo, si potesse fare affidamento su una metodologia asseritamente non precisa, tale da rendere le analisi in questione sostanzialmente inutili.
Ma v’è di più.
A concedere che le analisi a bordo sulla composizione mineralogica della sabbia fossero solo di prima approssimazione, ci si aspetterebbe che la D.L. le facesse ripetere con metodologie più accurate su campioni prelevati a terra dalla sabbia sversata (anche al fine già ricordato dell’emissione dei necessari certificati di qualità del materiale).
Invece, come si è detto, il Laboratorio Geotecnico Provinciale stranamente effettuava solo le analisi granulometriche, tanto è vero che la “distratta” Direzione lavori scopre la necessità di analizzare anche la composizione mineralogica solo quando, nella già richiamata occasione, la Commissione di collaudo glielo fa notare.
La realtà è che le analisi condotte dal GELLON erano sostanzialmente corrette, almeno per quanto riguarda la verifica della presenza dei quarzi e dei feldspati, e le assurde giustificazioni della D.L. non costituivano altro che un tentativo di occultare la realtà dei fatti.
Che tale fosse l’intento dei convenuti è dimostrato anche dall’esame di altre parti del già richiamato documento “Progetto per il risanamento del litorale Poetto. Verifiche in corso d’opera. Analisi geologica dei materiali di dragaggio”.
Oltre ad affermazioni non veritiere riguardanti la granulometria della sabbia riversata, che viene definita perfettamente conforme al fuso di progetto (in base al criterio di accettazione della cui erroneità si è detto), il suddetto documento riporta caratteristiche composizionali della sabbia nativa (secondo cui il contenuto di quarzo sarebbe variato mediamente tra il 33% e il 62%) palesemente false, posto che nell’allegato 8, alla cui stesura come si è ricordato, ha collaborato lo stesso PISTIS, la componente quarzosa della sabbia del Poetto veniva definita come prevalente e presente in misura compresa tra l’80% ed oltre il 95% (v. fgl. 570 delle produzioni di parte attrice).
Solo in questo modo, cioè alterando i dati di riferimento, la direzione lavori poté affermare che la sabbia di ripascimento presentava una composizione in quarzo analoga a quella della sabbia nativa.
Il documento si sofferma anche sulla componente organogena, affermando che la stessa, attestantesi in percentuali varianti tra il 6% e il 16% circa, sarebbe stata destinata a diminuire nei valori percentuali, per effetto di disgregazione e selezione granulometrica operato dal moto ondoso e dagli agenti atmosferici (v. punto 2.2.2, pag. 6). La clamorosa falsità di tale affermazione è facilmente valutabile alla luce degli esami condotti dai CCTT del Pubblico ministero penale e financo dal prof. VALLONI, secondo cui (v. verbale finale di collaudo, fgl. 2272 delle produzioni di parte attrice), la componente bioclastica, che venne definita dai collaudatori come “abnorme”, risultava presente in percentuali variabili dal 38,8% al 75,8%.
In definitiva, dagli elementi disponibili, si trae la certa conclusione che non solo i convenuti omisero di adottare gli atti necessari, primo fra tutti il provvedimento di sospensione dei lavori, per impedire che l’opera venisse eseguita in difformità dalle disposizioni contrattuali, nonostante che di tale difformità avessero la sicura conoscenza, ma si adoperarono attivamente e dolosamente per occultare la realtà dei fatti, certificando, anche attraverso la alterazione dei parametri di accettazione del materiale, la conformità della sabbia sversata a quella prevista in capitolato.
5) Antonello Priamo Luciano GELLON, assistente della direzione dei lavori.
Il convenuto, nella sua qualità di assistente della direzione lavori, è stato specificamente incaricato di condurre le verifiche sulla qualità della sabbia a bordo della draga, ovverosia, come detto in citazione, il suo compito era quello “di analizzare di volta in volta i campioni del materiale prelevato dalla cava di mare per verificarne le caratteristiche granulometriche, mineralogiche e di colore, a confronto con le prescrizioni di progetto e di contratto”.
La difesa del convenuto ha obiettato che i compiti del GELLON sarebbero stati in realtà diversi e ben più limitati, in quanto egli non avrebbe dovuto certificare la perfetta conformità delle caratteristiche della sabbia a quelle di progetto, ma semplicemente verificare che il materiale dragato rientrasse nell’ambito della sabbia come tecnicamente intesa, ovverosia quella che, secondo la sedimentologia, è compresa granulometricamente nell’intervallo tra 2 mm e 0,075 mm.
La tesi difensiva, oltre ad essere in contrasto persino con il più elementare buon senso, è smentita documentalmente, giusta quanto risulta dal già citato documento “Progetto per il risanamento del litorale Poetto. Verifiche in corso d’opera. Analisi geologica dei materiali di dragaggio”, i cui contenuti sono stati prima esaminati.
Si è infatti visto che il GELLON, contrariamente all’assunto della difesa, non doveva limitarsi a verificare la granulometria del materiale, e non nei ristretti termini da essa indicati, ma era tenuto anche ad effettuare l’analisi della composizione mineralogica (come del resto ammesso dallo stesso GELLON nelle dichiarazioni rese di fronte al Pubblico ministero penale in data 15 ottobre 2002, v. fgl. 3253-3255 delle produzioni di parte attrice).
I risultati di tali analisi sono stati riportati nella già citata tabella di cui al fgl. 2236 delle produzioni di parte attrice (tabella che, pur non sottoscritta dal GELLON, è stata però da lui compilata, come affermato dal convenuto nelle medesime dichiarazioni di cui sopra). Come si è detto, tutti i carichi analizzati, ben 41, evidenziavano la difformità del materiale esaminato dalle prescrizioni contrattuali e financo dai criteri di accettazione presi in considerazione dalla direzione lavori sotto il profilo composizionale. Appare pertanto clamorosamente non veritiera la dichiarazione resa dal GELLON al Pubblico ministero penale secondo cui “non è mai capitato che vi fossero campioni che non fossero conformi dal punto di vista mineralogico alle percentuali di quarzo, feldspati ed altri minerali richieste” (v. citato documento, fgl. 3254).
Peraltro, come osservato dal Procuratore regionale, anche per quanto riguarda la granulometria le analisi condotte dal GELLON (dei cui esiti, a differenza che per le analisi composizionali, non vi sono riscontri documentali) non devono essere state particolarmente puntuali, a giudicare dalla significativa quantità di materiale difforme sversato sulla spiaggia (oltre al residuato bellico, ghiaia e perfino ciottoli, quindi materiale di cui, anche secondo l’assunto della difesa del GELLON, questi avrebbe dovuto verificare l’assenza).
Ad ogni modo, anche solo limitandosi all’aspetto composizionale, non è verosimile che il convenuto non si sia reso conto della totale inaccettabilità della sabbia prelevata dalla draga, atteso che il contenuto di quarzi e feldspati si palesava come nettamente inferiore a quello richiesto.
Poiché le analisi a lui demandate erano, come già visto, finalizzate alla “verifica immediata delle caratteristiche dei materiali” e costituivano “criterio di accettazione del carico effettuato”, sarebbe stato suo preciso dovere segnalare tempestivamente alla direzione dei lavori la riscontrata difformità, tanto più ove si consideri che l’utilità delle analisi a bordo della draga era proprio quella di scongiurare il pericolo che venisse riversata sul litorale sabbia avente caratteristiche diverse da quelle previste in capitolato.
La particolare evidenza della riscontrata difformità traentesi dai dati raccolti (ripetesi, riguardante tutti i carichi analizzati), che tanto più avrebbe dovuto essere tale per un soggetto professionalmente qualificato come il GELLON, oltre alla palese non veridicità delle dichiarazioni da lui rese sul punto al Pubblico ministero penale, costituisce chiara dimostrazione del fatto che l’omissione censurata è stata l’effetto di una scelta consapevole del convenuto, la cui condotta deve pertanto essere qualificata come dolosa.
6-7) Paolo COLANTONI e Leopoldo FRANCO, consulenti della direzione lavori.
I professori COLANTONI e FRANCO sono stati citati in giudizio dal Procuratore regionale in esecuzione dell’ordine di integrazione del contraddittorio dato dalla Sezione con ordinanza letta nell’udienza del 16 gennaio 2008, nel rilievo che gli stessi, nello svolgimento dei rispettivi incarichi (di esperti chiamati a collaborare con l’Ufficio di Direzione lavori), “si sono anch’essi espressi favorevolmente sulla conformità del materiale impiegato per il ripascimento alle prescrizioni contrattuali, in date precedenti a pagamenti effettuati per l’esecuzione dei lavori”.
Per la precisione, risulta che il prof. COLANTONI (che già precedentemente aveva partecipato alla redazione del progetto) è stato chiamato a collaborare con la direzione dei lavori in qualità di esperto di sedimentologia, previa stipulazione di una convenzione con la Provincia di Cagliari (v. allegato n. 9 delle produzioni degli avvocati POGLIANI e MUGONI per il suddetto convenuto, allegate alla memoria di costituzione depositata in data 20 maggio 2008).
Sulla base di detta convenzione, al COLANTONI è stato affidato “l’incarico di componente della Direzione lavori nelle attività di sedimentologia relative al ripascimento del Litorale Poetto, nelle seguenti attività: fornire consulenza e assistenza quale componente dell’Ufficio D.L. per la verifica delle condizioni sedimentologiche e granulometriche dei corpi geologici indicati dall’impresa come possibili fonti di approvvigionamento, siano essi di terra o di mare, verificando le caratteristiche della curva granulometrica di campioni prelevati in vari punti del giacimento di sabbia e collaborando con il Direttore dei lavori per la definizione dei trattamenti da effettuare sul materiale del giacimento per renderlo compatibile con le specifiche granulometriche del progetto. Consulenza per il controllo continuo dell’evoluzione delle condizioni geomorfologiche e sedimentologiche della spiaggia sommersa, finalizzata alla gestione giornaliera da parte della D.L., delle operazioni di ripascimento, da attuarsi con cadenza settimanale o quindicinale, o comunque su richiesta della D.L. attraverso interpretazioni di analisi granulometriche e di dati geomorfologici forniti dalla D.L. Consulenza alla D.L. per le operazioni di verifica e collaudo dei risultati delle operazioni di ripascimento, relativamente agli aspetti sedimentologici, alla fine dei periodi invernali e alla fine dei periodi estivi. Consulenza per la valutazione di merito di eventuali proposte operative provenienti dall’Impresa esecutrice dei lavori”.
Al prof. COLANTONI, come si è già avuto modo di accennare, vennero sottoposti i risultati delle indagini geognostiche effettuate per conto dell’Impresa su alcuni siti marini individuati come possibili giacimenti da cui prelevare la sabbia occorrente per il ripascimento.
Il professionista espose, nella riunione della Commissione di monitoraggio tenutasi nell’ottobre 2001, le sue conclusioni ampiamente negative sui campioni da lui esaminati per le ragioni che si sono già illustrate.
Successivamente, in un documento del novembre 2001, intitolato “Brevi note sul materiale da impiegare per il ripascimento della spiaggia del Poetto (Cagliari)” (v. allegato n. 6 delle produzioni degli avvocati POGLIANI e MUGONI, allegate alla memoria di costituzione depositata in data 20 maggio 2008), il COLANTONI, nel riferire gli esiti di un controllo eseguito, unitamente al PISTIS, in data 26 ottobre 2001 presso il laboratorio della GEOPLANNING in Roma, sui campioni di sedimento ivi conservati, con particolare riguardo a quelli provenienti dai carotaggi ubicati nella zona proposta per il recupero della sabbia, espresse valutazioni nel complesso simili a quelle esternate nella riunione della Commissione di monitoraggio di cui sopra.
Infatti, pur dando atto che il materiale (limitatamente ai campioni raccolti) appariva nel complesso idoneo al ripascimento della spiaggia per le sue caratteristiche tessiturali e composizionali e (con riguardo ad alcuni campioni prelevati per controllo, non meglio precisati) con moda compresa nell’intervallo granulometrico previsto dal capitolato, il convenuto osservò che “la stratigrafia delle carote raccolte è molto schematica e non è pertanto possibile stimare la rappresentatività dei campioni. Mancando inoltre il dettaglio dello studio eseguito ed in particolare dei profili ecografici e sismici, non è possibile valutare l’estensione e il volume del giacimento di sabbia e quindi l’idoneità della cava in generale”.
Inoltre, dato atto che alcuni campioni presentavano una percentuale piuttosto elevata di materiale fine, la cui eliminazione avrebbe potuto comportare problematiche di rilievo ambientale, evidenziò che “un altro limite all’utilizzo del materiale raccolto è inoltre la quantità del materiale organogeno grossolano, spesso presente in quantità rilevanti”.
Orbene, ad onta delle pertinenti osservazioni sulla impossibilità, perlomeno sulla base dei dati disponibili, di considerare idoneo il giacimento individuato, a tenore delle quali, come si è già detto, si sarebbe dovuto ritenere impraticabile la decisione di procedere ugualmente al ripascimento attingendo dalla cava marina in questione, il professionista, a lavori iniziati, ma non ancora terminati, inopinatamente si espresse (v. le “Brevi note sul ripascimento in atto sulla spiaggia del Poetto (CA)” del 12 marzo 2002, fgl. 2210-2212 delle produzioni di parte attrice) in termini sostanzialmente positivi sull’opera in corso di esecuzione. Minimizzò le criticità ormai evidenziatesi, che apparivano gli effetti conseguenti delle perplessità da lui stesso avanzate nei documenti sopra richiamati, facendo altresì affermazioni (come quella relativa all’avvenuta individuazione, a cura dell’Impresa, di un giacimento idoneo per la fornitura di sabbia compatibile con quella della spiaggia originaria) palesemente contrastanti con quelle di epoca precedente, nonostante che medio tempore non fossero intervenuti fatti o elementi di valutazione nuovi che consentissero un siffatto radicale rovesciamento di opinione.
Analoga osservazione va fatta con riguardo ad altra affermazione del COLANTONI, secondo cui la sabbia presente nel sito individuato dall’Impresa era prevalentemente quarzosa. Affermazione formalmente corretta, se intesa nel senso che la componente quarzosa della sabbia di ripascimento era mediamente maggiore rispetto agli altri componenti, ma che sottaceva completamente il dato, la cui essenzialità non sarebbe dovuta sfuggire al convenuto, che le prescrizioni contrattuali prevedevano una percentuale di quarzo sensibilmente superiore a quella riscontrata nel materiale di prestito.
Con riguardo infine alla valutazione da lui fatta secondo cui il colore della sabbia era destinato a divenire più chiaro con il trascorrere del tempo, per effetto della ossidazione e del dilavamento, non può che rilevarsi come la stessa si sia dimostrata fallace (come dimostrato dal fatto che il colore grigio scuro della sabbia è stato riscontrato dai CCTT del Pubblico ministero penale ancora a distanza di un anno dalla fine dei lavori).
Tanto più considerando che, come rilevato dai suddetti consulenti, la colorazione scura della sabbia del ripascimento è essenzialmente dovuta alla presenza in percentuali consistenti di materiale organogeno (e, in particolare, di talli di alghe rosse), guarda caso cioè proprio di quella componente che lo stesso COLANTONI aveva segnalato come presente in quantità rilevanti nei campioni di sabbia prelevati nei siti individuati dall’Impresa.
Il COLANTONI era in sostanza perfettamente consapevole, come emergeva già dalla citata nota del novembre 2001, che nei campioni tratti dal sito individuato dall’Impresa vi era una significativa componente di materiale organogeno. La presenza di una componente biogena nel caso di materiale prelevato dal fondo marino costituiva del resto un’evenienza normale, come lui stesso ha ammesso nel corso della sua audizione nel processo penale (v. pag. 123 della sentenza penale acquisita con l’ordinanza istruttoria n. 149/2008).
Anche nel corso della seduta del Consiglio comunale di Cagliari del 28 marzo 2002 (v. documento n. 6 delle produzioni della difesa di Luigi ASCHIERI, allegate alla memoria di costituzione depositata il 24 dicembre 2007) il COLANTONI fece affermazioni in linea con quelle contenute nella citata missiva del 12 marzo 2002, secondo cui era stata riscontrata “la presenza di una risorsa di materiale e di sedimento ad un’ottima compatibilità, rispetto ai parametri accennati prima” (cioè quelli relativi alle caratteristiche che avrebbe dovuto possedere la sabbia del ripascimento) e “in pochi mesi la spiaggia dovrebbe riacquistare il suo colore ed il suo profilo d’equilibrio, quindi non credo che gli allarmismi siano giustificati”.
Sotto il profilo causale, non possono esservi dubbi sul fatto che l’intervento del COLANTONI, nella sua veste di esperto particolarmente qualificato, abbia contribuito alla produzione del danno per cui è causa, in quanto le sue affermazioni, tanto rassicuranti quanto palesemente infondate, hanno fornito un ulteriore sostegno al disegno di procedere comunque nell’esecuzione dei lavori senza le cautele che viceversa sarebbero state necessarie alla luce anche delle precedenti affermazioni dello stesso convenuto, di segno diametralmente opposto a quelle ora censurate.
Per quanto riguarda l’elemento psicologico, proprio il contrasto radicale tra le valutazioni espresse in epoca precedente all’inizio dei lavori e quelle rese successivamente, senza che il convenuto abbia dato spiegazioni convincenti di tale mutamento e senza che sussistessero ragioni oggettive che lo giustificassero, induce a ritenere che il COLANTONI abbia fatto tali affermazioni non veritiere per effetto di una scelta intenzionale e consapevole, cioè dolosa.
Venendo ora all’esame della posizione del prof. FRANCO, va detto che lo stesso, già partecipante alla stesura del progetto, è stato chiamato a collaborare con la Direzione dei lavori sulla base di una convenzione stipulata con la Provincia di Cagliari il 10 aprile 2000 (v. documento n. 2 allegato alla memoria di costituzione del convenuto, depositata in data 20 maggio 2008).
In base ad essa il FRANCO doveva svolgere l’incarico di consulenza alla D.L. nelle attività di controllo, verifica nell’ambito delle operazioni di ripascimento del litorale del Poetto, nelle seguenti attività:
“a) consulenza alla D.L. nell’interpretazione e verifica degli effetti delle condizioni meteomarine sull’andamento del ripascimento, finalizzata alla gestione giornaliera delle operazioni di ripascimento;
b) valutazione periodica e comunque con cadenza [sic] settimanali o quindicinali, o comunque su richiesta della D.L., dell’evoluzione della linea di costa e del trasporto eolico in funzione dei quantitativi via via immessi e delle caratteristiche granulometrica ottimale [sic] da utilizzare in funzione dell’evolversi delle condizioni del litorale a seguito delle operazioni di ripascimento;
c) consulenza alla D.L. per le operazioni di verifica e collaudo dei risultati delle operazioni di ripascimento alla fine dei periodi invernali e alla fine dei periodi estivi;
d) consulenza per la valutazione di merito di eventuali proposte operative provenienti dall’impresa esecutrice dei lavori”.
Come si desume dalla lettura dell’atto, l’incarico del convenuto era quindi professionalmente orientato all’esame di problematiche non attinenti alla verifica delle caratteristiche della sabbia del ripascimento.
Tuttavia, anche il prof. FRANCO ritenne di formulare sue valutazioni in ordine alla compatibilità della sabbia sversata con una nota, indirizzata ai componenti dell’Ufficio di Direzione dei lavori, del 15 marzo 2002 (v. fgl. 2213 delle produzioni di parte attrice).
In tale missiva il convenuto affermava, a seguito di osservazioni direttamente da lui compiute sui luoghi interessati dai lavori, che la sabbia di prestito presentava caratteristiche granulometriche “ben rispondenti alle specifiche progettuali, con un diametro mediano leggermente superiore a quello “nativo”” e che, in relazione alla differenza di colore tra detta sabbia e quella originaria, “si può condividere l’ottimistica previsione di un progressivo schiarimento delle nuove sabbie per effetto di soleggiamento ed ossidazione all’aria”.
Non occorre soffermarsi sull’infondatezza delle valutazioni del FRANCO, che emerge da quanto si è già detto.
Va invece sottolineata la gravità delle affermazioni del convenuto, con particolare riferimento a quelle relative al colore della sabbia, basate, come si evince dalle dichiarazioni da lui rese di fronte al giudice penale (v. pagg. 106 e sgg. della sentenza penale acquisita con ordinanza istruttoria n. 149/2008), non sulla sua preparazione scientifica (il FRANCO è esperto di idraulica marittima), ma sull’esperienza di altri interventi (peraltro, come rilevato nella medesima sentenza, aventi ad oggetto spiagge che non possedevano caratteristiche di pregio ambientale e paesaggistico come quella del Poetto).
Sul piano causale, è evidente, valendo considerazioni analoghe a quelle svolte con riguardo al COLANTONI, che l’intervento del FRANCO, richiestogli dalla Provincia, come da lui dichiarato di fronte al giudice penale (v. pag. 114 della sentenza già richiamata), ha avuto il significato di un supporto anch’esso decisivo alla decisione di non interrompere i lavori in corso, consentendo di contrapporre un parere comunque qualificato, anche se proveniente da un soggetto non esperto di sedimentologia e geologia, alle perplessità e ai dubbi che erano stati motivatamente sollevati in ordine all’intervento.
Per ciò che concerne l’elemento psicologico, ritiene la Sezione che esso vada apprezzato proprio in relazione alla mancanza di competenze specifiche del convenuto nelle materie più direttamente attinenti alle problematiche coinvolte. Non si può spiegare altrimenti che con la volontaria scelta di compiacere la tesi della regolare esecuzione dei lavori il fatto che l’interessato, pur non avendo la preparazione professionale per farlo, si sbilanciò, per usare il termine da lui stesso utilizzato di fronte al giudice penale, in valutazioni del tutto svincolate dalla realtà dei fatti.
8-11) Andrea ATZENI, Paolo ORRÙ, Luigi ASCHIERI e Giovanni SERRA, componenti della Commissione di monitoraggio.
Date le caratteristiche sperimentali dell’opera, l’allegato 11 al progetto (v. fgl. 617 e sgg. delle produzioni di parte attrice) prevedeva la necessità dello svolgimento, da parte dell’amministrazione committente, di un monitoraggio “accurato e pressoché continuo sia per ottimizzarne l’efficacia sia per cogliere con prontezza eventuali situazioni di scompenso ed introdurre il più rapidamente possibile eventuali provvedimenti correttivi”.
All’uopo era previsto che la Provincia si avvalesse di un apposito organismo comprendente, oltre al direttore dei lavori, delle figure scientificamente qualificate, ovverosia un supervisore scientifico (responsabile del progetto di monitoraggio), un direttore operativo (responsabile del coordinamento) e due responsabili di settore (nei campi rispettivamente della oceanografia, della idrodinamica e della idrobiologia il prmo e della geomorfologia, del telerilevamento, della topografia e della elaborazione cartografica il secondo).
Inizialmente la provincia di Cagliari intese avvalersi dell’Università degli studi di Cagliari, ma poi, con delibera della Giunta provinciale n. 321 del 3 agosto 2001, l’incarico, per rappresentate ragioni di maggiore celerità, fu conferito ad alcuni esperti direttamente nominati dall’amministrazione provinciale, ovverosia i sig.ri Andrea ATZENI (supervisore scientifico), Paolo ORRU’ (direttore operativo), Bruno FLORIS (idrobiologo) e Gianni SERRA (geomorfologo). Successivamente, il FLORIS venne sostituito dal sig. Luigi ASCHIERI.
Tra i compiti della Commissione, come desumibili dalla convenzione di incarico stipulata con il supervisore scientifico di essa prof. ATZENI (v. documento n. 3 delle produzioni allegate alla comparsa di costituzione degli avvocati SEGNERI e PIRAS per ATZENI, ORRU’ e SERRA, depositata il 27 dicembre 2007), vi erano “c) valutazione ed analisi periodica dei dati forniti dalla D.L. e di quelli rilevati attraverso l’utilizzo di boa ondametrica e della centralina meteo; d) analisi e valutazione degli effetti dal punto di vista fisico ambientale che gli interventi di ripascimento comportano alla modifica dell’arenile e all’equilibrio morfologico del litorale e valutazione della loro congruità ed utilità”.
Secondo il Procuratore regionale, l’attività della Commissione di Monitoraggio sarebbe stata caratterizzata “dalla più completa indifferenza verso i gravi problemi che sono via via emersi, in tutta la loro gravità, nel corso dell’intervento e perfino nella fase esecutiva” (v. pag. 115 della citazione).
Nel corso dell’esecuzione dei lavori la Commissione di Monitoraggio avrebbe peraltro evidenziato, sempre secondo l’attore, non soltanto la propria sostanziale inutilità e inadeguatezza ai compiti che era stata chiamata a svolgere nell’ambito dell’intervento, ma avrebbe avallato, o addirittura tentato di coprire, l’esito negativo dell’intervento e il disastro che ne è stato il concreto risultato (v. pag. 117 della citazione).
Il riferimento è al verbale della Commissione del 22 marzo 2002 (quindi a lavori ancora in corso), nel quale, su richiesta della Capitaneria di porto di Cagliari, si esprimevano valutazioni totalmente positive sulla corretta esecuzione del ripascimento con riguardo al materiale utilizzato e conseguentemente di non fondatezza delle preoccupazioni e degli allarmi destati nella popolazione.
Inoltre, sempre secondo l’attore, la Commissione, in epoca precedente all’inizio dei lavori, avrebbe sottovalutato la portata di quanto rappresentato dal COLANTONI nella riunione del 12 ottobre 2001 e, lungi dallo svolgere esclusivamente i propri compiti, si sarebbe preoccupata, a lavori in corso, di raccomandare all’amministrazione l’esecuzione di una campagna informativa tesa a controbilanciare l’eccessivo (a detta della Commissione) clamore sollevato, a mezzo degli organi di stampa, sulle conseguenze del ripascimento.
Giusta quanto già detto, gli addebiti mossi dal Procuratore regionale sono da ritenere fondati.
In primo luogo, non è giustificabile il comportamento della Commissione, che, resa edotta dal COLANTONI, nel corso della seduta del 12 ottobre 2001, della insufficienza dei dati disponibili per valutare l’idoneità del sito individuato dall’Impresa quale possibile giacimento per il prelievo del materiale, non ha rilevato l’importanza di tali affermazioni. Il senso delle quali, peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei convenuti ATZENI, ORRU’ e SERRA, non è stato affatto contraddetto, come si è già avuto modo di chiarire esaminando la posizione del COLANTONI, dalle successive analisi dei campioni prodotti dall’Impresa, alla luce delle valutazioni esposte dal COLANTONI nella già richiamata nota del novembre 2001, i cui contenuti furono illustrati dal PISTIS alla Commissione nella seduta del 9 novembre 2001 (v. fgl. 2523 delle produzioni di parte attrice).
La Commissione avrebbe dovuto percepire e sottolineare, nell’esercizio dei propri compiti consultivi, il rischio elevatissimo che l’utilizzo di sabbia prelevata da un sito non adeguatamente esplorato potesse determinare esiti fortemente negativi sull’equilibrio ambientale e paesaggistico della spiaggia. La raccomandazione fatta all’Amministrazione di eseguire “controlli estremamente accurati e continui, in draga della qualità dei materiali”, oltre ad essere di fatto irrealizzabile, date le difficoltà, di cui si è già detto, di operare tali controlli, ha avuto sostanzialmente l’effetto di minimizzare, banalizzandola, l’importanza delle valutazioni espresse dal prof. COLANTONI.
Ma ancor più grave è stato il comportamento dei componenti della Commissione allorquando la Capitaneria di Porto di Cagliari chiese di fornire chiarimenti sui lavori di ripascimento e in particolare, per quanto qui interessa, sulla corrispondenza fra le caratteristiche delle sabbie messe in opera durante il ripascimento e le sabbie descritte nello studio approvato dal Ministero dell’Ambiente. Nell’occasione essi hanno fatto all’unanimità, come risulta pacificamente dal documento scaturito dalla riunione del 22 marzo 2002 (v. verbale di cui ai fgl. 2528-2532 delle produzioni di parte attrice), affermazioni totalmente false, a tenore delle quali: 1) vi era piena corrispondenza fra le caratteristiche delle sabbie messe in opera e le sabbie analizzate e descritte nello studio approvato dal Ministero dell’Ambiente; 2) dalle verifiche di laboratorio effettuate su 25 campioni prelevati sia in draga che nei diversi tratti del ripascimento era risultato che le caratteristiche granulometriche erano perfettamente conformi a quelle di progetto; 3) la composizione mineralogica, rilevata in draga su ogni carico, da geologo specializzato assistente della D.L., era risultata perfettamente coincidente a quella rilevata nell’ambito dello studio approvato dal Ministero dell’Ambiente; 4) le caratteristiche dei materiali apportati e le modalità di messa in opera erano tali da non destare preoccupazioni o allarme.
Si è già avuto modo di sottolineare che, anche a non voler considerare l’aspetto della granulometria, la sabbia prelevata dalla draga ed analizzata dal GELLON a bordo della stessa evidenziava, per quanto riguardava la sua composizione mineralogica, una manifesta difformità, non solo dai requisiti previsti in contratto, ma anche da quelli presi in considerazione nello studio (la più volte richiamata Relazione generale di sintesi) che la Commissione di monitoraggio ha preso a riferimento.
Come si è detto, ciascuno dei carichi analizzati dal GELLON (nel momento in cui la Commissione si è espressa, erano noti i dati relativi ai primi venticinque carichi, ma il fatto non ha rilevanza, essendo gli elementi di giudizio traibili dai primi carichi già significativi e non smentiti, ma anzi confermati, da quelli successivi) mostrava che sia la somma dei quarzi e dei feldspati, sia il rapporto reciproco tra detti componenti erano ampiamente diversi da quelli indicati nel citato documento.
Una difformità così palese induce a due considerazioni.
La prima è che non è rilevante che i componenti della Commissione potessero avere competenze scientifiche diverse da quelle più propriamente attinenti alla mineralogia. Secondo la tesi sostenuta dalla difesa dell’ASCHIERI, questi, in quanto chiamato a far parte della Commissione per la sua specializzazione in biologia, non poteva essere in grado di valutare - né ne avrebbe avuto il dovere - se i materiali del ripascimento fossero o meno conformi alle caratteristiche prescritte.
In realtà, la evidente discrepanza tra i parametri (pur errati) presi a riferimento e i dati disponibili sui valori accertati nei vari carichi di sabbia prelevata dalla draga, non richiedeva altro, per il suo riscontro, che la semplice capacità di constatare la differenza di valori numerici, e non il possesso di sofisticate competenze specialistiche.
La seconda considerazione è che una valutazione così semplice non può essere stata sbagliata per mero errore, sia pure causato da grossolana negligenza.
L’ipotesi della colpa non è verosimile altresì ove si consideri il contesto nel quale la Commissione dovette pronunciarsi. Gli sversamenti erano iniziati pochi giorni prima e già si erano manifestati lo sconcerto e l’allarme della popolazione per la evidente differenza tra la sabbia di prestito e quella nativa. Non è pensabile che un consesso così qualificato e investito di un compito così importante e delicato quale quello di fornire consulenza all’amministrazione provinciale sugli aspetti dell’intervento incidenti sull’evoluzione delle condizioni fisico-ambientali del litorale potesse, tanto più in quel preciso momento, affrontare con leggerezza l’incombenza di dare risposta ai quesiti sottopostigli.
Ne deriva che l’elemento psicologico riscontrabile nella condotta dei convenuti non può che essere quello del dolo.
Quanto all’incidenza causale della condotta, non è necessario diffondersi particolarmente, ove si consideri che l’intervento della Commissione, stante la già ricordata importanza dell’organismo, nonché il particolare momento in cui si pronunciò, non poté che tradursi in decisivo appoggio alla tesi propugnata dagli organi tecnici e, come si vedrà, politici della Provincia, secondo cui la sabbia utilizzata per il ripascimento era perfettamente in linea con quella prescritta e quindi i lavori potevano proseguire senza necessità di alcuna sospensione. Coerente con tale disegno fu anche la proposta, poi attuata, di condurre una campagna informativa (ma alla luce dei fatti accertati sarebbe meglio definirla disinformativa) nei confronti della popolazione, al fine di illustrare la “brillante” riuscita dell’intervento.
12-13) Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS, componenti della Commissione di collaudo.
I convenuti sono stati citati in giudizio dal Procuratore regionale in esecuzione dell’ordine di integrazione del contraddittorio dato dalla Sezione con ordinanza letta nell’udienza del 16 gennaio 2008, nel rilievo che “trattandosi di collaudo in corso d’opera, sono stati effettuati pagamenti in base agli stati di avanzamento dei lavori senza che i collaudatori abbiano, prima del collaudo finale, rilevato le presunte difformità, rispetto agli atti progettuali, del materiale impiegato per il ripascimento, contestate dal Procuratore regionale”.
Va detto che il Procuratore regionale, pur stigmatizzando, come si è avuto modo di ricordare, le conclusioni dei collaudatori in ordine alla (almeno parziale) accettabilità dell’opera eseguita, ha però ritenuto di escludere l’efficienza causale della loro condotta nella produzione del danno contestato (v. pag. 115 della citazione e anche pag. 147, ove una analoga considerazione è posta a giustificazione della mancata chiamata in giudizio, oltre che dei collaudatori, anche del prof. COLANTONI).
Secondo l’art. 187 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (nuovo regolamento sui lavori pubblici) “il collaudo ha lo scopo di verificare e certificare che l’opera o il lavoro sono stati eseguiti a regola d’arte e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto, delle varianti e dei conseguenti atti di sottomissione o aggiuntivi debitamente approvati. Il collaudo ha altresì lo scopo di verificare che i dati risultanti dalla contabilità e dai documenti giustificativi corrispondono fra loro e con le risultanze di fatto, non solo per dimensioni, forma e quantità, ma anche per qualità dei materiali, dei componenti e delle provviste, e che le procedure espropriative poste a carico dell’appaltatore siano state espletate tempestivamente e diligentemente. Il collaudo comprende altresì tutte le verifiche tecniche previste dalle leggi di settore”.
Il comma 3 della medesima disposizione prevede altresì in quali casi sia obbligatorio il collaudo in corso d’opera, ovverosia:
“a) quando la direzione dei lavori sia stata affidata, ai sensi dell’articolo 27, comma 2, lettere b) e c) della Legge;
b) quando si tratti di opere e lavori di cui all’articolo 2, comma 1, lettera i);
c) nel caso di intervento affidato in concessione;
d) nel caso di intervento affidato ai sensi dell’articolo 19, comma 1, lettera b), punto 1), della Legge;
e) nel caso di opere e lavori su beni soggetti alla vigente legislazione in materia di beni culturali e ambientali;
f) nel caso di opera o lavoro comprendenti significative e non abituali lavorazioni non più ispezionabili in sede di collaudo finale;
g) nei casi di aggiudicazione con ribasso d’asta superiore alla soglia di anomalia determinata ai sensi delle vigenti disposizioni”.
La Commissione di collaudo venne nominata dalla Giunta provinciale di Cagliari con deliberazione n. 152 del 14 aprile 2000. Con successiva determinazione dirigenziale n. 163 del 5 luglio 2001 venne disposta la sostituzione del Dott. Guido DEMONTIS con l’Ing. Mario CONCAS.
Con riguardo alle operazioni di ripascimento, risultano effettuate, prima del collaudo finale e, per quanto qui interessa, prima del 5° certificato di pagamento, emesso il 15 aprile 2002 (v. fgl. 1931 delle produzioni di parte attrice), in cui sono comprese le somme corrisposte all’Impresa per la fornitura e la posa in opera della sabbia, secondo le risultanze del 4° S.A.L. (v. fgl. 1926 e sgg. delle suddette produzioni), alcune visite di collaudo in corso d’opera, di cui ai verbali n. 3 del 17 dicembre 2001 (fgl. 2297-2300), n. 5 del 20 marzo 2002 (fgl. 2307-2318), n. 6 del 3 aprile 2002 (fgl. 2319-2325), n. 7 del 6 aprile 2002 (fgl. 2343-2347).
Nel corso della prima delle suddette visite, i collaudatori presero atto della decisione di utilizzare sabbie provenienti dal fondale marino, anche se chiesero “di conoscere le esatte modalità di versamento delle sabbie sulla battigia e che venisse verificata la compatibilità, rispetto all’ambiente marino, della forte concentrazione dei lavori rispetto ai tempi originariamente previsti dal progetto”.
Nella visita di collaudo del 20 marzo 2002, la Commissione si propose di verificare “la rispondenza dei lavori a quanto previsto in proposito dal Capitolato Speciale d’appalto”.
Allo scopo, la Commissione decise di articolare le operazioni di collaudo nelle tre seguenti fasi: “1) Esame delle caratteristiche delle sabbie impiegate; 2) Esame delle procedure amministrative adottate; 3) Prelievo di campioni di sabbia da sottoporre ad analisi”.
In relazione al primo punto, il PISTIS presentò un elaborato consistente in 20 analisi granulometriche su campioni prelevati sia sulla spiaggia che in draga, a partire dal 9 marzo, aggiornato sino al 18 marzo.
La Commissione osservò che “la curva granulometrica di ogni singolo campione è riportata all’interno di un fuso che la D.L. dichiara essere quello assunto in fase di progettazione. Tale fuso trova riscontro nell’allegato n. 8 – Interventi di ripascimento, facente parte del progetto e ha come limiti quelli estremi della sabbia del Poetto. In tale elaborato il fuso è impiegato al fine di determinare l’idoneità di una serie di campionature di sabbia provenienti da cave terrestri. In proposito, occorre, peraltro, segnalare che il Capitolato Speciale d’Appalto, all’art. 20 – lettera t, cita il suddetto allegato 8 come riferimento per valutare le caratteristiche granulometriche e mineralogiche delle sabbie, facendone, di fatto, un documento contrattuale”.
Dopo aver riportato il testo del citato art. 20 lett. t (senza peraltro rilevare che lo stesso contraddiceva quanto appena affermato in ordine al richiamo all’allegato 8, limitato alla composizione mineralogica e non alla granulometria), la Commissione osservò che “l’esame delle curve granulometriche eseguite a cura della D.L. porta, in linea generale, a riscontrare positivamente l’idoneità delle sabbie in riferimento al fuso granulometrico adottato. Lievi anomalie ai limiti inferiore e superiore della curva granulometrica non possono alterare il giudizio sostanzialmente positivo e rientrano nella discrezionalità della D.L. ammessa dallo stesso capitolato”.
Passando all’esame della composizione mineralogica, dopo aver riscontrato una (a suo dire) evidente contraddizione tra la norma di capitolato e le specificazioni di cui alle tabelle 1-3 dell’allegato 8 (inesistenti, in quanto il suddetto allegato riporta un’unica tabella riguardante la granulometria), la Commissione pervenne, non si comprende bene come, all’affermazione che “in realtà la percentuale dell’85% deve intendersi riferita alla somma delle componenti fondamentali di quarzo e feldspati, come risulta dalla tabella 1 del suddetto allegato” (valgano le medesime osservazioni di cui sopra), da cui si desumeva che “la percentuale dei due minerali fondamentali è pari a circa l’80% [contraddicendo quindi immediatamente la percentuale dell’85% appena indicata] con una ripartizione media tra quarzo e feldspati di 60-40%. Sul complesso, quindi, il quarzo dovrebbe avere una percentuale pari al 48% e il feldspato al 32%” (nonostante non sia citata, la coincidenza dei dati numerici fa ritenere che i collaudatori si riferissero alle indicazioni della più volte richiamata Relazione generale di sintesi).
Dopo tale a dir poco confusa, e soprattutto erronea, ricostruzione del contenuto delle prescrizioni contrattuali, la Commissione, preso atto delle analisi composizionali effettuate in draga su 41 carichi, non poté esimersi dal rilevare, come si è già visto, esaminando la posizione dei direttori dei lavori, che “l’esame composizionale delle sabbie provenienti dal dragaggio porta a riscontrare valori diversi tra quelli precedentemente descritti ed assumibili come di riferimento progettuale”.
A questo punto, preso atto delle giustificazioni della D.L., della cui illogicità si è già detto, la Commissione di collaudo decise “di procedere, in una prossima visita, ad un ulteriore campionamento, da eseguire in contraddittorio, per sottoporlo ad analisi petrografica-mineralogica, simile a quella eseguita in fase di progetto, presso un laboratorio specializzato”. Immediatamente, invece, vennero prelevati tre campioni di sabbia da sottoporre ad analisi granulometrica presso il Laboratorio Geotecnico Provinciale (v. fgl. 2317-2318).
L’operato della Commissione di collaudo si presta ad alcune osservazioni.
In primo luogo, la Commissione di collaudo ha recepito acriticamente la tesi della D.L. circa il contenuto delle prescrizioni contrattuali in materia di caratteristiche granulometriche e mineralogiche della sabbia di prestito, nonostante dalla lettura della norma di capitolato si evincesse chiaramente che il rinvio all’allegato 8 riguardava solo l’aspetto composizionale. Peraltro, anche solo relativamente alla composizione della sabbia, le prescrizioni che si sarebbero dovute trarre dal predetto allegato erano comunque diverse da quelle, cui i collaudatori si sono invece attenuti nella relazione finale di collaudo (v. in part. fgl. 2268 delle produzioni di parte attrice), contenute nella più volte citata Relazione generale di sintesi, documento che, come i collaudatori avrebbero dovuto ben sapere, non era né avrebbe mai potuto essere un riferimento contrattuale.
Ove avesse correttamente analizzato la normativa contrattuale, la Commissione non avrebbe potuto che constatare, già sulla base dei dati disponibili nella visita del 20 marzo 2002, la non conformità della sabbia, sotto l’aspetto granulometrico.
In secondo luogo, va detto che le verifiche di collaudo in corso d’opera sono finalizzate ad accertare la buona esecuzione dei lavori, compresa ovviamente la qualità dei materiali impiegati, per trarne elementi di giudizio utilizzabili non solo per la relazione di collaudo finale, ma in primo luogo per le conseguenti (e tempestive) valutazioni di competenza dell’amministrazione committente, alla quale, e precisamente, per essa, al responsabile del procedimento, come previsto dall’art. 194, comma 3 del d.P.R. n. 554 del 1999, la Commissione di collaudo in corso d’opera rivolge “le osservazioni ed i suggerimenti ritenuti necessari, senza che ciò comporti diminuzione delle responsabilità dell’appaltatore e dell’ufficio di direzione dei lavori, per le parti di rispettiva competenza”.
Ciò doveva essere ben presente ai collaudatori, tanto più in un contesto, cui gli stessi convenuti danno rilievo nella loro relazione finale, nel quale la palese inadeguatezza della sabbia sversata aveva dato luogo a polemiche, denunce e segnalazioni a cui si è fatto già cenno.
Tenuto presente quanto appena detto e il fatto che la visita di collaudo si svolse il 20 marzo 2002, quindi proprio quando la preoccupazione dell’opinione pubblica si era già manifestata pienamente, il comportamento dei collaudatori appare contrario al più elementare buon senso.
Posto che le analisi disponibili sui campioni esaminati sembravano (sia pure erroneamente) rassicuranti sulla qualità della sabbia di ripascimento per quanto riguardava la granulometria, mentre erano, come constatato dagli stessi collaudatori, a dir poco allarmanti sotto il profilo composizionale, e considerato che le verifiche condotte dalla D.L. sul punto erano, a detta della stessa D.L., solo approssimative, logica avrebbe voluto che la Commissione di collaudo disponesse immediatamente e senza indugio l’effettuazione di nuove analisi più approfondite proprio sulle caratteristiche composizionali della sabbia di prestito, avvalendosi degli ampi e discrezionali poteri assegnati dalla normativa al collaudatore (stabilisce l’art. 192, comma 2 del d.P.R. n. 554 del 1999 che “la verifica della buona esecuzione di un lavoro è effettuata attraverso accertamenti, saggi e riscontri che l’organo di collaudo giudica necessari” e più oltre “ferma restando la discrezionalità dell’organo di collaudo nell’approfondimento degli accertamenti ...”).
Tanto più opportuni sarebbero stati tali accertamenti ove si consideri che la composizione mineralogica influiva (come confermeranno le analisi successive, ma come si sarebbe potuto e dovuto considerare almeno possibile già ex ante) anche sull’aspetto del colore della sabbia, che, assieme a quello della granulometria, costituiva il motivo di maggiore allarme per la popolazione.
Inoltre, i collaudatori avrebbero dovuto pretendere, come invece non hanno fatto, il rilascio dei certificati di qualità da parte del Laboratorio provinciale, espressamente previsti, come detto, dal C.S.A. (infatti emessi per i materiali utilizzati per la costruzione della strada litoranea e visionati dai collaudatori, v. verbale di visita n. 4, fgl. 2305 delle produzioni di parte attrice).
Viceversa, come si è detto, la Commissione dispose sì l’immediato prelievo di tre campioni di sabbia, ma per l’effettuazione delle analisi granulometriche (v. fgl. 2317), cioè quelle che, almeno secondo quanto ritenuto dalla stessa Commissione, si palesavano come le meno urgenti, mentre il prelievo dei campioni per l’analisi composizionale venne incomprensibilmente, senza alcuna motivazione, rimandato ad una successiva visita, di cui non fu nemmeno puntualmente fissata la data, e poi in concreto eseguito, una prima volta, durante la visita di collaudo del 6 aprile 2002, cioè a distanza di ben diciassette giorni, e poi ripetuto il 23 aprile e il 19 giugno dello stesso anno.
Ne è derivato che i risultati delle analisi, effettuate presso un laboratorio di Parma dal prof. VALLONI, del cui esito si è già accennato, pervennero quando ormai i lavori erano stati portati a compimento e l’Impresa era stata già pagata.
Sotto il profilo del nesso causale, non può trarsi in dubbio che le erronee valutazioni (sulla adeguatezza granulometrica della sabbia di ripascimento) e l’ingiustificato ritardo nell’effettuazione dei prelievi e delle analisi (sulla composizione mineralogica della medesima sabbia) da parte della Commissione di collaudo abbiano svolto un ruolo determinante nella causazione del danno di che trattasi.
Tanto si può affermare sia in relazione alla prosecuzione dei lavori, sia al pagamento del compenso all’Impresa, essendo di palese evidenza che una valutazione negativa da parte dell’organo di collaudo sulla qualità della sabbia sversata ben difficilmente avrebbe potuto essere ignorata dai vertici tecnici e politici della Provincia.
Poiché è dimostrato che la Commissione di collaudo avrebbe potuto esprimersi in proposito già nel momento in cui conobbe i risultati delle analisi granulometriche (ove avesse correttamente applicato le prescrizioni contrattuali) e comunque, ove si fosse attivata tempestivamente, avrebbe potuto constatare in maniera definitiva la non accettabilità della sabbia anche sotto il profilo composizionale ben prima che l’Impresa fosse pagata, non si comprende il senso dell’obiezione difensiva, secondo cui la Commissione sarebbe stata informata dell’emissione del 5° certificato di pagamento solo in un momento successivo alla sua emanazione, durante la visita di collaudo del 17 aprile 2002 (v. fgl. 2348 e sgg. delle produzioni di parte attrice, in part. fgl. 2353).
Per esercitare i suoi poteri, la Commissione di collaudo non aveva nessuna necessità di essere informata sulla tempistica dei pagamenti all’Impresa, la cui sospensione non rientrava del resto tra i suoi poteri; vero è però che, come detto, se avesse rilevato per tempo l’inaccettabilità dei materiali, il pagamento in questione non sarebbe ragionevolmente avvenuto.
Per quanto riguarda l’elemento psicologico, si può ritenere che la condotta dei convenuti sia stata intenzionalmente orientata a consentire la prosecuzione dei lavori nonostante la evidente difformità dai parametri contrattuali della sabbia del ripascimento.
Non altrimenti può essere spiegato il perché la Commissione, oltre ad aver accettato la grossolana alterazione dei parametri contrattuali di accettazione del materiale perpetrata dalla D.L., abbia evitato accuratamente di approfondire subito l’esame delle caratteristiche composizionali della sabbia (sollecitando l’amministrazione provinciale a produrre i certificati di qualità dei materiali o comunque a procedere ai relativi controlli) e a prelevare immediatamente i campioni necessari alle autonome verifiche di propria competenza.
Non è comprensibile, a fronte di dati mostranti, per tutti i carichi analizzati in draga, una palese non congruità della composizione mineralogica della sabbia, per quale ragione la Commissione, oltre tutto ben consapevole dell’importanza di una pronta risposta (anche per la parte di sua competenza) al motivato allarme destato nell’opinione pubblica dall’esecuzione del ripascimento, si sia placidamente accontentata della puerile spiegazione data dalla D.L. senza nemmeno trarne la conseguenza dell’essenzialità di procedere senza indugio alle opportune verifiche.
E’ del tutto ragionevole arrivare alla conclusione che anche i collaudatori abbiano aderito al disegno politico, di cui ha riferito il MULAS al Pubblico ministero penale, di far eseguire l’opera a tutti i costi, rimandando al momento del collaudo finale quelle valutazioni negative, peraltro pure incomplete e non corrette, come giustamente sottolineato dal Procuratore regionale, sulla difformità della sabbia che, se espresse subito, avrebbero ostacolato sicuramente tale obiettivo.
14-15) Sandro BALLETTO e Renzo ZIRONE, Presidente ed Assessore ai Lavori Pubblici, Viabilità e Trasporti della Provincia di Cagliari.
I convenuti, secondo il Procuratore regionale, “risultano pienamente coinvolti nella vicenda, in quanto hanno consapevolmente tollerato e infine omesso di impedire, in violazione di precisi doveri di mandato, che l’attività ostensivamente pregiudizievole posta in essere dai dirigenti tecnici della Provincia e dai numerosi professionisti incaricati andasse a compimento, fino all’esito disastroso che ne è derivato”.
Con specifico riguardo all’Assessore ZIRONE, “risulta per tabulas che ha operato fattivamente in tutte le fasi del processo attuativo dell’intervento di salvaguardia del litorale del Poetto”. L’attività svolta nell’esercizio delle funzioni di Assessore ai Lavori Pubblici costituirebbe “la prova inequivocabile che egli era perfettamente al corrente dell’andamento dei lavori e delle difficoltà, oltre che delle irregolarità, che di volta in volta emergevano”.
Sarebbe infatti del tutto inimmaginabile, secondo il Procuratore regionale, che il convenuto “non abbia avvertito le gravi difficoltà e i possibili rischi che andavano profilandosi, in dipendenza di una assurda conduzione tecnico – amministrativa dei lavori. Così pure è inconcepibile, che egli non si sia attivato per dirimere questioni risolvibili, più che sotto il profilo tecnico, alla stregua del buon senso e dell’esperienza comune” quali ad esempio, il lungo tempo impiegato a lavori consegnati e in corso d’opera per la verifica della cava di mare, nonché lo stridente contrasto fra tale soluzione, che sarebbe stata in pratica imposta arbitrariamente dall’Impresa, con le modalità di versamento graduale espressamente previste dal Capitolato speciale, che avrebbe comportato l’evidente impossibilità di rispettarne le prescrizioni.
Ad avviso del Procuratore regionale, lo ZIRONE “per motivi che verranno accertati in altra sede giudiziaria, ha scientemente agevolato, in uno con i dirigenti tecnici della Provincia più sopra citati, le ragioni economiche dell’Impresa appaltatrice a discapito non solo degli interessi erariali, ma perfino della conservazione della spiaggia, che è rimasta definitivamente deturpata per effetto dell’improvvido intervento di salvaguardia”.
Ad asseverare tale conclusione concorrerebbero due fatti: l’aver richiesto al Dipartimento della Protezione Civile, unitamente al responsabile del procedimento CABRAS, la proroga del termine per l’ultimazione dei lavori, che avrebbe sicuramente assolto “alla sola finalità di coprire l’inefficienza e i ritardi gravissimi dell’Impresa, oltre che degli stessi tecnici dell’Amministrazione”, e l’aver caldeggiato l’esecuzione immediata dei lavori, omettendo di attivarsi con il Ministero dell’Ambiente, nonostante avesse dato assicurazioni del contrario, pur essendo a conoscenza del problema relativo all’errore, contenuto nel decreto ministeriale, in ordine alla zona oggetto dell’autorizzazione al prelievo da mare, in tal modo consentendo ed anzi sollecitando l’esecuzione del ripascimento con l’impiego di materiale prelevato da una cava diversa da quella verificata.
Al Presidente BALLETTO andrebbe ascritta “la responsabilità della mancata adozione di iniziative e provvedimenti, nell’esercizio del potere – dovere di sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti previsto dall’art. 50, comma 2, del Testo Unico sull’ordinamento degli enti locali, approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n° 267, e successive modificazioni” e, conseguentemente, “di non aver ordinato ai propri Dirigenti tecnici, incaricati della vigilanza e del controllo sull’esecuzione dei lavori, l’immediata sospensione delle operazioni di versamento del materiale sull’arenile”. Tale omissione sarebbe stata, secondo il Procuratore regionale, del tutto inaccettabile, a fronte delle pressanti e giustificate sollecitazioni provenienti dall’opinione pubblica (organi di informazione, associazioni ambientalistiche, semplici cittadini), volte ad ottenere il blocco almeno temporaneo delle operazioni di sversamento, in considerazione del fatto che, sin dall’inizio, si era materializzato il sospetto (poi rivelatosi fondato) che le medesime stessero provocando un profondo e deteriore mutamento delle preziose caratteristiche paesaggistiche del litorale.
In definitiva, comune alla posizione dei convenuti sarebbero, per un verso, la consapevolezza, più intensa da parte dello ZIRONE, del fatto che i lavori erano stati eseguiti in difformità dalle prescrizioni contrattuali e si sarebbero risolti in deturpazione della spiaggia, per altro verso, il mancato esercizio dei propri poteri allo scopo di evitare tale esito.
In ordine al primo punto, è indubitabile che entrambi i convenuti, se non altro per la particolare rilevanza dell’opera, abbiano seguito l’andamento dei lavori sino al loro completamento.
Nel caso dello ZIRONE, inoltre, risulta documentalmente che lo stesso ha preso parte attiva nella vicenda già prima dell’inizio della fase esecutiva dello sversamento della sabbia, intervenendo in più circostanze in prima persona, firmando atti (indicati dal Procuratore regionale), partecipando a riunioni, presso il Ministero dell’ambiente o la Commissione di monitoraggio, e a incontri con la stampa, nel corso dei quali difese l’operato della Provincia e, in particolare, dei suoi organi tecnici, sostenendo la corretta esecuzione del ripascimento.
In relazione alla consapevolezza che egli invece avrebbe avuto, secondo l’attore, dell’irregolare esecuzione dell’opera, non può che ritenersi certo che il convenuto sia stato costantemente informato dell’andamento dei lavori, e in particolare dei ritardi, ingiustificati, anche tenendo conto dei periodi di sospensione dovuti al contenzioso giudiziario, con i quali l’Impresa aveva proceduto alle indagini finalizzate alla individuazione del giacimento marino.
Ma alla Sezione appare di ancor più significativo rilievo il fatto che, come si è avuto modo di vedere, il convenuto sia stato reso edotto direttamente e ripetutamente dall’Impresa, prima e durante l’esecuzione dei lavori, dell’errore contenuto nel decreto ministeriale circa l’estensione dell’area autorizzata per il prelievo della sabbia, e, nonostante avesse assicurato, insieme ai responsabili tecnici della Provincia, un pronto intervento presso il Ministero dell’ambiente, non solo non diede seguito a tali assicurazioni, ma anzi, nella stessa missiva del 9 gennaio 2002 con la quale rispose all’Impresa (v. fgl. 1556), si premurò di spingere l’ATI Mantovani a predisporre senza indugio tutti i mezzi affinché il ripascimento fosse completato entro la data del 15 aprile 2002, secondo il cronoprogramma presentato dall’Impresa e approvato dalla Provincia.
Si evince da ciò che egli dovette avere, già prima dell’inizio dei lavori di ripascimento, la contezza di un fatto che sarebbe dovuto apparire anche ad un non tecnico come di sicura gravità, atteso, per un verso, che gli venne rappresentata, anche graficamente (v. mappa allegata alla comunicazione dell’Impresa del 19 dicembre 2001, già citata), la quasi completa diversità dell’area autorizzata da quella richiesta, e per altro verso, che l’Impresa chiarì come, in assenza di una correzione dell’errore, vi sarebbe stata la concreta possibilità che dal sito autorizzato non potesse ricavarsi sabbia idonea qualitativamente e quantitativamente.
La circostanza che il convenuto abbia non solo ignorato, nella sostanza, se non a parole, l’avvertimento dell’Impresa, ma la abbia addirittura sollecitata a procedere senza indugio nell’esecuzione dei lavori, rende del tutto verosimile l’affermazione fatta dal MULAS al Pubblico ministero penale, già ricordata, secondo cui si era in presenza di una forte spinta politica all’esecuzione “comunque” dei lavori nonostante vi fosse l’esigenza, secondo quanto eufemisticamente detto dall’interessato, di “ulteriori approfondimenti o comunque di valutazioni più approfondite”.
Ad ogni modo, quando i lavori ebbero inizio, la possibilità paventata dall’Impresa prese concretezza, avendo la sabbia sversata manifestato la sua evidente diversità da quella originaria, talché insorsero dubbi e preoccupazioni nell’opinione pubblica circa la corretta esecuzione dei lavori, di cui si fecero portavoce, oltre a semplici cittadini, gli organi di informazione (anche a livello nazionale) e le associazioni ambientaliste (v. documentazione di cui ai fgl. 152 e sgg. delle produzioni di parte attrice).
Oltre al colore sensibilmente più scuro della sabbia del ripascimento e alla presenza in essa di materiale palesemente più grossolano rispetto a quello originario (non occorre dimenticare che, oltre a sabbia, eccedente il fuso di capitolato, sull’arenile erano stati sversati anche ghiaia e ciottoli in quantità non marginali), venne rilevato anche il fatto che i lavori, in evidente difformità da precise disposizioni di capitolato e in contraddizione con la natura sperimentale dell’intervento, fossero eseguiti in tempi particolarmente ridotti, rendendo difficili, per non dire impossibili, ove fossero proseguiti allo stesso ritmo, le opportune preventive valutazioni sulla qualità della sabbia impiegata.
Ragioni di elementare prudenza avrebbero voluto che venisse disposta la sospensione dei lavori, in attesa di verifiche più approfondite.,
infatti sussisteva stante il rilevante pericolo di compromettere irreversibilmente il profilo paesaggistico di un sito di rilevante bellezza, motivatamente paventato, pur di fronte alle affermazioni degli organi tecnici della Provincia, secondo cui la sabbia utilizzata per il ripascimento era conforme alle prescrizioni contrattuali.
Non va dimenticato, tra l’altro, che i dubbi sulla perfetta conformità della sabbia di prestito alle prescrizioni contrattuali non erano stati sollevati soltanto da osservatori esterni, magari politicamente orientati, come insinuato dalla difesa del BALLETTO, ma anche dalla Commissione di collaudo, a lavori non ancora terminati.
Viceversa, né il Presidente BALLETTO, né l’Assessore ZIRONE (con l’aggravante, per quest’ultimo, della maggiore conoscenza che egli aveva delle problematiche che avevano caratterizzato lo svolgimento dei lavori e di cui si è detto) si attivarono in tal senso e anzi avallarono e sostennero, anche pubblicamente, la necessità che i lavori proseguissero senza soluzione di continuità.
Secondo le difese dei convenuti, l’addebito mosso dal Procuratore regionale non avrebbe fondamento, per la ragione che non sarebbe rientrato nei poteri degli organi politici (tanto più, si sostiene, nel caso dello ZIRONE, il quale non sarebbe stato destinatario di alcuna delega da parte del Presidente della Provincia relativamente al settore cui era preposto) assumere provvedimenti di sospensione dei lavori, in quanto ciò avrebbe determinato l’illegittima invasione della sfera dell’attività gestionale, riservata normativamente alla competenza esclusiva dell’apparato burocratico della Provincia.
Il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18-8-2000 n. 267), all’art. 50 così disciplina le competenze del Sindaco e del Presidente della Provincia:
“1. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell’amministrazione del comune e della provincia.
2. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l’ente, convocano e presiedono la Giunta, nonché il consiglio quando non è previsto il presidente del consiglio, e sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti.
3. Salvo quanto previsto dall’articolo 107 essi esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all’espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia”.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di esaminare la portata della citata normativa, al fine di stabilire se e in che misura tale disciplina implichi l’esclusione o la limitazione della responsabilità amministrativa dei vertici politici degli enti locali in relazione a danni derivanti da attività gestionali di competenza dell’apparato burocratico.
Secondo Corte dei conti, Sezione 2^ giurisdizionale centrale d’appello, n. 53 del 3 febbraio 2006, il Sindaco si pone “come il motore del funzionamento della intera macchina burocratica dell’Ente locale, spettando a lui la sovrintendenza a tutti i servizi municipali”, per cui egli svolge “un ruolo preponderante, per la posizione apicale rivestita ed i connessi doveri generali di sovrintendenza e di vigilanza” su lui incombenti.
Pertanto, sebbene vada dato atto che l’assetto normativo è mutato rispetto al passato, non è però possibile ritenere che ogni responsabilità di tipo gestionale gravi sul dirigente preposto al settore, con affrancamento totale da ogni obbligo relativo e dalle conseguenti responsabilità per il vertice politico, il quale viceversa risponde direttamente quando venga meno ai doverosi compiti di sovrintendenza degli uffici dell’ente o non formuli chiari indirizzi (così Sezione giurisdizionale Lazio, n. 262 del 2 marzo 2009).
Anche questa Sezione (v. sentenza n. 614 del 12 ottobre 2006, confermata da Sezione 3^ giurisdizionale centrale d’appello, n. 73 del 20 febbraio 2009), ha precisato che l’affidamento al Sindaco del potere di sovrintendenza ex cit. art. 50 comporta lo svolgimento da parte di questi di un’attività di vigilanza e controllo sul buon andamento dell’amministrazione comunale, che deve necessariamente riguardare le pratiche e gli affari che, per qualche ragione, assumano una rilevanza particolare, si distacchino cioè dal complesso dell’attività ordinaria dell’ente locale.
Ciò posto, non può non riconoscersi che, nell’attuale assetto normativo, la dirigenza delle pubbliche amministrazioni è titolare di una competenza primaria, diretta ed esclusiva all’emanazione degli atti amministrativi in cui si concreta l’attività gestionale attuativa degli indirizzi politico programmatici dettati dagli organi politici di vertice (v. per gli enti locali, l’art. 107 del TUEL n. 267 del 2000 e, in generale, per tutte le amministrazioni pubbliche, l’art. 4, comma 2 del d. l.vo 30 marzo 2001, n. 165).
Secondo l’art. 14 del d. l.vo n. 29 del 1993 (ora art. 14 del d. l.vo n. 165/2001 cit.), nelle amministrazioni statali l’autorità politica di vertice, ovverosia il Ministro, “non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l’inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinano pregiudizio per l’interesse pubblico, il Ministro può nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri del relativo provvedimento. Resta salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400. Resta altresì salvo quanto previsto dall’articolo 6 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni ed integrazioni, e dall’articolo 10 del relativo regolamento emanato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635. Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità”.
Sebbene la norma testé richiamata riguardi esclusivamente le amministrazioni statali (v. art. 13 del d. l.vo 165/2001), tuttavia essa detta evidentemente un principio di carattere generale (a tenore del quale l’autorità politica non può direttamente sostituirsi al dirigente competente nell’adozione degli atti amministrativi), al quale anche gli enti locali sono tenuti ad adeguarsi, secondo il preciso disposto dell’art. 111 del T.U.E.L. n. 267/2000.
Tuttavia, ciò non esclude comunque che l’attività di sovrintendenza di cui si discute implichi, come si è detto, un dovere di controllo e vigilanza in capo alla figura politicamente ed amministrativamente apicale dell’ente locale (così Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, n. 2478 del 17 gennaio 2008), il cui mancato esercizio è giustificabile soltanto quando l’attività gestionale sia andata incontro a difficoltà meramente contingenti e di ordinaria amministrazione (Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, n. 23855 del 21 giugno 2002).
Tanto premesso, ritiene la Sezione che la funzione di sovrintendenza, intesa nei termini sopra delineati, possa essere assolta anche mediante l’emanazione di atti, come quelli genericamente denominati di direttiva e di indirizzo, attraverso i quali l’organo politico di vertice dell’ente locale, senza incidere sugli autonomi e discrezionali poteri del dirigente preposto, ne orienta tuttavia doverosamente l’azione in funzione del conseguimento degli obiettivi di interesse pubblico. A questo proposito, e non a caso, l’art. 23 dello Statuto della Provincia di Cagliari (v. documento n. 4 delle produzioni della difesa dello ZIRONE, depositate in data 27 dicembre 2007), nello stabilire le funzioni del Presidente della Provincia, prevede infatti, al comma 2, lett. h), che lo stesso “emana direttive nell’esercizio delle proprie funzioni di sovraintendenza, indirizzo e controllo”.
Obietta la difesa del BALLETTO che le direttive “debbono limitarsi a definire la linea generale dell’azione amministrativa trattandosi di atti di ampia portata”.
L’obiezione non può essere condivisa, perché, sebbene tale sia normalmente il contenuto della direttiva, nessuna norma o principio esclude che essa possa avere riguardo anche al compimento di singoli atti, sempre che (quando, come avviene nel caso di specie, il rapporto tra organo sovraordinato e organo sottordinato non sia di tipo gerarchico, essendo il secondo dotato di potestà decisorie autonome) non si traduca in ordine, dovendo lasciare integro il potere discrezionale del destinatario di essa.
Riassumendo, può quindi affermarsi che la direttiva ha un contenuto positivo generico, non altrimenti definibile che con riferimento alla sua funzione di indirizzare l’attività degli organi sottordinati al migliore perseguimento dell’interesse pubblico ad essi assegnato, e un contenuto negativo, per cui essa non può incidere sulla potestà decisoria dell’organo che la riceve, il quale mantiene intatta la discrezionalità normativamente attribuitagli.
Pertanto, nell’ambito della direttiva possono rientrare, oltre ad atti che definiscano obiettivi generali o specifici, priorità dell’azione amministrativa, et similia, anche altri atti (che la dottrina anglosassone ha definito di cd. moral suasion), quali possono essere, a titolo esemplificativo, la segnalazione ai dirigenti di eventuali illegittimità riscontrate negli atti da loro emessi, o di possibili effetti negativi per l’interesse pubblico conseguenti a ritardi e omissioni nell’emanazione di atti di loro competenza, sempre che, naturalmente, giusta quanto si è detto, tali interventi riguardino pratiche di particolare importanza nell’ambito della generale attività dell’ente e che involgano la soluzione di problematiche non di minuta rilevanza, e siano attuati in uno spirito di corretta e leale collaborazione finalizzata al miglior perseguimento dell’interesse pubblico, nel rispetto della sfera di competenza dell’organo dirigenziale.
Orbene, non è contestabile che il ripascimento del Poetto costituiva, nell’ambito dell’attività della Provincia di Cagliari, un affare di primaria importanza, di rilevanza tanto più grande quando, iniziati gli sversamenti della sabbia effettuati dall’Impresa esecutrice dei lavori, si destò la preoccupazione dell’opinione pubblica di cui si è più volte detto.
Nel contesto descritto, in cui il pericolo di un’irreversibile deturpazione della spiaggia doveva costituire, anche agli occhi di chi non possedeva cognizioni tecniche, un’eventualità tutt’altro che ipotetica, che si prospettava come l’effetto di una scorretta esecuzione dei lavori, sarebbe stato preciso dovere del Presidente della Provincia, nel puntuale esercizio dei poteri di sovrintendenza, non ordinare la sospensione dei lavori, cosa che, per quanto detto, esulava dalle sue competenze, ma richiamare i funzionari, responsabile del procedimento e direttori dei lavori, che tale sospensione avrebbero potuto disporre, al puntuale e responsabile esercizio dei propri poteri, rappresentando la presenza di elementi di valutazione che, quand’anche non fossero stati sufficienti per formulare un giudizio conclusivo sulla bontà dei lavori in corso di esecuzione, erano però ictu oculi più che bastanti per indurre ad un atteggiamento di elementare cautela in relazione alla gravità delle conseguenze paventate.
L’intervento sarebbe stato tanto più opportuno qualora il Presidente BALLETTO avesse verificato che, come già ricordato, anche i collaudatori avevano rilevato l’esistenza di dati sulla composizione mineralogica della sabbia di prestito i quali, anche a voler accedere alla tesi della D.L., secondo cui gli stessi non erano sufficientemente precisi, quanto meno necessitavano di immediati riscontri prima della prosecuzione dei lavori.
Anche al convenuto ZIRONE può muoversi un analogo rimprovero, pur se lo stesso non era formalmente titolare di poteri di direzione politico-amministrativa, non essendogli stati conferiti con delega dal Presidente BALLETTO.
Come detto, risulta documentalmente provato che il convenuto ha svolto un ruolo attivo nella vicenda, talché può ben dirsi che con il suo comportamento lo stesso si è di fatto ingerito nella gestione amministrativa dell’appalto, svolgendo concretamente un’azione di sicuro e costante stimolo, sia nei confronti dei tecnici della Provincia, sia dell’Impresa, alla celere esecuzione dei lavori, dando inoltre copertura politica all’attività dell’apparato burocratico, come si è visto particolarmente nell’episodio relativo alla errata indicazione delle coordinate dell’area di prelievo.
Per quanto non vi sia prova che egli abbia addirittura esautorato gli organi amministrativi preposti alla direzione dei lavori o il vertice politico dell’amministrazione, non v’è tuttavia alcun dubbio che la sua condotta non sia stata contenuta nel ristretto ambito dei poteri a lui spettanti secondo il dettato normativo. E poiché nella valutazione di un comportamento asseritamente produttivo di nocumento erariale la sostanza deve prevalere sulla forma, l’imputazione di un determinato evento di danno non può prescindere dall’esame delle effettive modalità con le quali la condotta di un convenuto si è concretamente manifestata, sino al punto di comportare, nel giudizio di responsabilità, l’affievolimento o la completa pretermissione di aspetti puramente formali, quali quelli inerenti al riparto delle competenze in ambito di azione amministrativa, quando risulti, come nella specie, che gli stessi, di fatto, non siano stati pienamente osservati.
L’ampiezza e la molteplicità degli interventi dispiegati dallo ZIRONE, il protagonismo da lui manifestato nel corso della vicenda, rendono, anche al di là della incidenza causale dei singoli atti posti in essere, del tutto improponibile la tesi, avanzata dalla sua difesa, che egli abbia solo operato al fine di fornire un mero avallo politico a scelte altrui, sul cui merito non sarebbe stato in suo potere o dovere di esprimere alcun giudizio, o di rimuovere, sempre solo sul piano politico, ostacoli burocratici all’andamento dei lavori.
Emerge invece chiaramente dagli atti una costante sinergia di azione tra il convenuto e i funzionari tecnici preposti all’appalto, in cui il primo ha svolto, anche in assenza di espressa delega presidenziale, un’opera di indirizzo politico-amministrativo, orientata a perseguire l’intento del celere compimento dell’opera purchessia, senza curarsi (o per meglio dire, con la consapevole accettazione) dei rischi correlati, di cui anche lo ZIRONE, pur presumibilmente non del tutto addentro agli aspetti più strettamente tecnici, era comunque al corrente, quanto meno per il fatto di essere stato avvisato dall’Impresa che l’area di prelievo individuata nel decreto ministeriale era diversa da quella campionata e che era stata fatta oggetto della richiesta di autorizzazione, e delle conseguenze di tale circostanza.
Pertanto, stante il concreto atteggiarsi del rapporto tra l’Assessore ZIRONE e l’apparato burocratico dell’ente, non può dubitarsi del fatto che fosse in suo potere, non solo non contribuire ad imprimere alcuna accelerazione all’andamento dei lavori, ma anzi richiamare gli organi tecnici competenti quanto meno ad un comportamento responsabilmente più cauto.
Sul piano causale, è ragionevolmente certo che un intervento di entrambi i convenuti, tanto più ove fosse stato adottato congiuntamente, avrebbe indotto la direzione dei lavori e/o il responsabile del procedimento ad emettere un provvedimento di sospensione dei lavori, stanti le evidenti ragioni di rilevante interesse pubblico sottese.
Per quanto riguarda l’elemento psicologico, gli elementi a disposizione inducono a ritenere che la decisione dei convenuti di non intervenire nei termini indicati sia il frutto di una scelta effettuata con la piena consapevolezza delle conseguenze che ne sarebbero derivate.
Essendo il BALLETTO e lo ZIRONE evidentemente al corrente del rischio elevato che una prosecuzione dei lavori comportasse un rilevante danneggiamento della spiaggia, non può pensarsi che la loro condotta non sia stata determinata da una volontaria accettazione di detto rischio.
E’ pur vero che gli organismi tecnici della Provincia avevano affermato la piena conformità della sabbia sversata a quella prevista in progetto, ma è altrettanto vero che la sabbia stessa mostrava troppo palesemente caratteristiche ampiamente diverse da quelle della sabbia nativa.
Pur se è presumibile che i convenuti non fossero in grado di valutare in termini strettamente tecnici quale fosse il reale stato delle cose, non è però credibile che abbiano tralasciato solo colpevolmente di considerare la necessità di una, anche breve, sospensione dei lavori, per il solo tempo necessario ad operare una valutazione più approfondita delle caratteristiche della sabbia utilizzata dall’Impresa.
Né può pensarsi che gli stessi abbiano assunto la decisione di non intervenire, o meglio di intervenire sì, ma a sostegno della posizione assunta dai tecnici della Provincia, ritenendo, anche solo colpevolmente, che la sospensione dei lavori esponesse l’ente a conseguenze negative di altro genere, come la perdita del finanziamento pubblico e/o la richiesta da parte dell’Impresa di risarcimenti o maggiori compensi.
Anche a voler ammettere che tali rischi avessero una reale consistenza (si vedano sul punto le pertinenti osservazioni di segno contrario del giudice penale, pagg. 283-286 della sentenza acquisita con l’ordinanza n. 149/2008), l’evidente sproporzione tra gli interessi pubblici in gioco rende inverosimile che i convenuti abbiano effettuato una siffatta ponderazione e si siano indotti a reputarli più importanti di quelli connessi alla prosecuzione dei lavori.
4. In ordine al danno contestato dal Procuratore regionale, non vi sono particolari considerazioni da fare con riguardo alla prima partita di esso, che correttamente l’attore ha quantificato tenendo conto del complesso delle somme spese (inutilmente, dato l’esito constatato) dalla Provincia di Cagliari per l’esecuzione dei lavori di ripascimento.
L’ordinanza istruttoria n. 149/2008 della Sezione ha infatti consentito di verificare che il contenzioso tra la Provincia e l’Impresa appaltatrice è ancora in corso e che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei convenuti RITOSSA e CONCAS, l’ente non ha incamerato la cauzione, talché, allo stato, il danno per la parte in questione non risulta diminuito in alcuna sua componente.
In proposito, la difesa del BALLETTO ha obiettato che il danno per cui il Procuratore regionale agisce non sarebbe stato sopportato dalla Provincia, mera esecutrice dei lavori, finanziati con fondi dello Stato e dell’Unione europea, ma semmai dal demanio statale, proprietario della spiaggia e del mare, la cui gestione è affidata alla Regione Sardegna.
L’assunto difensivo non ha pregio.
Va intanto osservato che un eventuale errore commesso dal Procuratore regionale nell’individuazione dell’amministrazione danneggiata non determinerebbe inammissibilità della domanda, ma avrebbe come unica conseguenza che la Sezione, nel pronunciare sentenza, dovrebbe indicare quale sia la diversa amministrazione a cui favore è disposto il risarcimento a carico dei condannati (v. Corte dei conti, Sezione 2^ centrale d’appello, n. 52 del 20 marzo 2007).
Ritiene peraltro la Sezione che il danno di cui si discute non è quello inferto alla spiaggia, per cui non viene in rilievo quale sia l’amministrazione proprietaria della stessa o incaricata della sua gestione, bensì quello conseguente alla ingiustificata diminuzione patrimoniale subita dalla Provincia a fronte di lavori eseguiti in difformità dal contratto (né rileva, sotto tale profilo, che l’opera fosse finanziata con fondi di provenienza statale e comunitaria, come chiarito da Corte di cassazione, n. 515 del 24 luglio 2000), talché la domanda attrice non appare meritevole di alcuna correzione.
Qualche osservazione in più occorre fare relativamente al danno all’immagine.
Va premesso che, in ordine alla eccezione di improcedibilità del presente giudizio per contemporanea pendenza della causa instaurata innanzi al giudice ordinario dalla Provincia di Cagliari per il ristoro del medesimo danno, sollevata in udienza dall’avv. MELONI, valgono le considerazioni già svolte da questa Sezione nella sentenza parziale in ordine alla impossibilità di una sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del processo civile.
L’ormai consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione riconosce che “rientra nella giurisdizione della Corte dei conti anche l’azione di responsabilità per il danno arrecato da pubblici dipendenti (o da soggetti comunque inseriti nell’apparato organizzativo di una pubblica amministrazione) all’immagine dell’ente, trattandosi di danno che, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di valutazione patrimoniale, sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso” (così, da ultimo, Sezioni Unite, sentenza n. 14297 del 20 giugno 2007).
Tale danno, “conseguente alla perdita di prestigio ed al grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica” (Sezioni Unite, ordinanza n. 4582 del 2 marzo 2006), è risarcibile “pure in assenza dell’accertamento di reato, sempre che risultino accertate condotte gravemente trasgressive dei più elementari doveri di fedeltà di ogni pubblico agente” (Sezioni Unite, Sentenza n. 20886 del 27 settembre 2006; per una fattispecie di danno all’immagine conseguente a fatti di nessuna rilevanza penale v. Sezioni Unite, Sentenza n. 744 del 25 ottobre 1999).
Le Sezioni riunite di questa Corte (v. sentenza n. 10/QM/2003 del 23 aprile 2003) hanno affrontato, in sede di risoluzione di questione di massima, le maggiori problematiche inerenti la figura di danno di che trattasi.
Secondo la citata sentenza, si verterebbe in un’ipotesi di danno esistenziale, da collocare nell’ambito dei danni non patrimoniali come danno - evento e non come danno – conseguenza.
Per ciò che concerne la sua quantificazione, la dimostrazione dell’entità del danno dovrà essere data nella maggior parte dei casi in via equitativa, facendo riferimento a presunzioni, nozioni di comune esperienza, a criteri oggettivi, soggetti o sociali “quali il rilievo e la delicatezza dell’attività svolta dall’amministrazione pubblica, la già ricordata posizione funzionale dell’autore dell’illecito, le negative ricadute socioeconomiche (il non poter più fare) sui componenti dell’amministrazione o sui soggetti da essa amministrati come quelle derivanti dalla presenza di sistema concussivo idoneo a scoraggiare l’attività imprenditoriale, la diffusione, la gravità e la ripetitività dei fenomeni di malamministrazione, la significativa rilevante compromissione dell’efficienza dell’apparato, la necessità di onerosi interventi correttivi, la negativa impressione suscitata dal fatto lesivo nell’opinione pubblica per effetto del clamor fori e/o della risonanza data dai mezzi di informazione di massa (cfr. sez. Umbria, 4 marzo 1998, n. 252)”.
E’ pur vero che alla categoria del danno esistenziale è stata recentemente negata consistenza (v. Corte di cassazione, Sezioni Unite, n. 26972 dell’11 novembre 2008), essendosi ritenuto che, all’interno di quello non patrimoniale, non sia enucleabile una pluralità di fattispecie di danno, ognuna delle quali suscettibile di autonomo risarcimento. Tale ultimo orientamento non comporta tuttavia la necessità di un sostanziale ripensamento dell’indirizzo giurisprudenziale cui si è fatto cenno, atteso che, come chiarito nella stessa sentenza della Cassazione da ultimo citata, l’espressione danno esistenziale (lo stesso discorso vale per le denominazioni di altri tipi di pregiudizio, rientranti nella categoria del danno non patrimoniale) risponde ad esigenze puramente descrittive.
Parimenti non rilevante, ai fini della affermazione della giurisdizione di questa Corte, appare la qualificazione del danno di che trattasi come danno non patrimoniale.
Come ricordato nella citata sentenza n. 26972 dell’11 novembre 2008, l’opinione tradizionale riteneva che il danno non patrimoniale conseguente all’inadempimento delle obbligazioni non fosse risarcibile, mancando, nella disciplina della responsabilità contrattuale, una norma analoga a quella contenuta nell’art. 2059 c.c., dettato in materia di fatti illeciti.
Ma, come ora precisato nella suddetta sentenza, “dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale”. Ciò in quanto anche interessi di natura non patrimoniale possono assumere rilevanza nell’ambito delle obbligazioni contrattuali, come è confermato dalla previsione dell’art. 1174 c.c., secondo cui la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.
Sempre secondo la citata sentenza “l’individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell’area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale”.
Ne consegue che “nell’ambito della responsabilità contrattuale il risarcimento sarà regolato dalle norme dettate in materia, da leggere in senso costituzionalmente orientato.
L’art. 1218 c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può quindi essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l’inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Ed eguale più ampio contenuto va individuato nell’art. 1223 c.c., secondo cui il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti”.
Orbene, ritiene la Sezione che, nell’ambito di un rapporto di servizio, o relazione funzionale che dir si voglia, intercorrente tra la P.A. ed un soggetto che per essa agisce, gli obblighi di servizio incombenti su quest’ultimo non possano che essere sempre orientati a far sì che l’azione amministrativa si conformi ai principi costituzionali della legalità, dell’imparzialità e del buon andamento.
L’inadempimento di tali obblighi che comporti altresì violazione dei suddetti principi può quindi ben implicare una lesione di interessi non patrimoniali costituzionalmente rilevanti della persona giuridica pubblica, che costituisce un danno risarcibile innanzi a questa Corte, ai sensi dell’art. 52 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, sulla base di una lettura di esso costituzionalmente orientata, secondo l’insegnamento della Cassazione.
Tanto premesso, va quindi affermato che il pregiudizio in questione si compendia nella perdita di immagine pubblica che deriva dal comportamento gravemente illecito di soggetti legati da un rapporto di servizio alla P.A., sulla quale ultima finiscono per riverberarsi gli effetti negativi, in termini di lesione della sua dignità e del suo prestigio, connessi a detta attività illecita.
Si è infatti osservato che “il danno all’immagine, in base al principio di immedesimazione organica, di rilievo sociologico ancora prima che giuridico, porta sempre ad identificare l’Amministrazione con il soggetto che per essa ha agito” (Sezione giurisdizionale Umbria, n. 501 del 28 maggio 1998). Tale identificazione opera nel bene, quando l’azione di chi rappresenta l’amministrazione si modelli sui principi costituzionali di legalità, buon andamento ed imparzialità, e nel male, quando viceversa la stessa azione vada in senso contrario a detti principi.
Nel caso di specie, non è dubitabile che l’amministrazione provinciale di Cagliari abbia subito un rilevantissimo vulnus alla propria immagine per effetto del comportamento tenuto dai convenuti nella descritta vicenda.
Si è detto quanto la spiaggia del Poetto rivestisse un’enorme importanza per la comunità locale, non solo in attinenza a profili strettamente economici, connessi allo sfruttamento turistico del sito, ma anche in sé, per la sua bellezza incomparabile che ne faceva, e in parte tuttora ne fa, un simbolo per gli stessi Comuni nel cui territorio insiste e, più in generale, per l’intera Isola.
Ben si comprende quindi che, data l’enorme importanza che da parte della popolazione si attribuiva alla proficua esecuzione dei lavori di ripascimento, anche qualora l’esito disastroso degli stessi che si è accertato fosse stato dovuto a mera negligenza degli organi preposti, ne sarebbe comunque derivata una sicura lesione all’immagine dell’ente, quanto meno nei termini di una conclamata incapacità dei suoi organi di preservare un bene di rilevantissimo interesse collettivo.
Tanto più grave deve quindi considerarsi tale lesione quando si constati che l’esito in questione sia stato dimostrato essere la conseguenza di comportamenti che, al di là dei loro risvolti penali, ancora non accertati in via definitiva, e che comunque non interessano tutti i convenuti nel presente giudizio, sono stati però sicuramente contraddistinti da volontaria pretermissione dell’interesse pubblico primario sotteso all’opera appaltata, tenuti talvolta con pervicacia e arroganza, ma comunque sempre con sostanziale disprezzo dell’opinione pubblica, all’insegna, non, come dovrebbe essere tratto distintivo di una PA, della trasparenza dell’azione amministrativa, ma al contrario, dell’opacità spinta talora sino al punto persino del mendacio.
L’immagine che una siffatta condotta trasmette ai propri cittadini è in sostanza, nella migliore delle ipotesi, quella di un’amministrazione al contempo inefficiente e chiusa al confronto, tesa a perseguire interessi tanto contrari a quelli pubblici quanto oscuri, e quindi, in una sola parola, inaffidabile.
Venendo alla quantificazione del suddetto danno, va detto che necessariamente un pregiudizio siffatto impone una valutazione equitativa, poiché “l’immagine ed il prestigio della P.A. sono beni-valori coessenziali all’esercizio delle pubbliche funzioni, così che l’esatta determinazione dei costi per il loro ripristino – in caso di lesione – sfugge ad una precisa determinazione. [...] Di qui la giuridica necessità di determinare l’entità del risarcimento con esclusivo riferimento alla dimensione della lesione (recte: perdita) dell’immagine” (Corte dei conti, Sezione 3^ centrale d’appello, n. 143 del 9 aprile 2009).
A questo proposito, oltre all’oggettiva gravità dei comportamenti dei convenuti in rapporto all’entità delle conseguenze che ne sono derivate, va sottolineato quanto segue:
a) la condotta censurata è imputabile ai vertici politici dell’ente ed a figure di elevato rilievo nell’ambito dell’apparato tecnico-burocratico, nonché a collaboratori esterni scelti in ragione della loro particolare autorevolezza, il che ha consolidato l’impressione di un’amministrazione ampiamente e gravemente coinvolta in comportamenti illeciti, rendendo impossibile pensare che l’esito della vicenda sia stato il risultato di isolate e marginali deviazioni individuali;
b) la vicenda ha avuto e ha tuttora ampio risalto sugli organi di informazione;
c) poiché il ripascimento eseguito nel 2002 costituiva, secondo quanto indicato in fase di progettazione, solo un primo intervento ripristinatorio, che dovrebbe essere periodicamente seguito da altri di analogo tenore (essendo una tale tipologia di opera orientata ad incidere sugli effetti del degrado del litorale e non sulle cause), è facile immaginare quanto saranno difficili tali futuri interventi, al di là delle problematiche di carattere più squisitamente tecnico, nel clima di generale sospetto e sfiducia ormai ampiamente diffusosi nell’opinione pubblica a seguito dei fatti descritti (con evidenti ricadute negative anche sui costi che dovranno essere sostenuti dall’amministrazione pubblica).
Per tale complesso di ragioni, la Sezione ritiene che il Procuratore regionale abbia equamente quantificato il danno di che trattasi nella misura del 20% del danno patrimoniale diretto contestato, e pertanto nell’importo di € 797.382,07, che va posto a carico dei convenuti alla data della presente sentenza.
5. Consegue, per le ragioni esposte, la condanna di tutti i convenuti, per l’intero e in solido tra loro, in ragione della natura dolosa delle condotte ascritte, al risarcimento del danno contestato.
La somma di € 3.986.910,35, corrispondente al danno patrimoniale diretto sopportato dalla Provincia di Cagliari, andrà rivalutata a decorrere dalle date dei singoli pagamenti e sino alla data della presente sentenza sulla base degli indici ISTAT.
Sulla somma così rivalutata e su quella corrispondente al danno all’immagine dovranno altresì essere corrisposti gli interessi legali, dalla data della sentenza e sino al soddisfo.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando, condanna Sandro CABRAS, Lorenzo MULAS, Andrea GARDU, Salvatore PISTIS, Antonello Priamo Luciano GELLON, Luigi ASCHIERI, Andrea ATZENI, Paolo ORRÙ, Giovanni SERRA, Renzo ZIRONE, Sandro BALLETTO, Gian Paolo RITOSSA, Mario CONCAS, Paolo COLANTONI, e Leopoldo FRANCO a pagare in solido tra loro, a titolo di risarcimento di danno, a favore del pubblico erario e per esso a favore della Provincia di Cagliari, la somma di euro 4.784.292,42 (diconsi euro quattromilionisettecentottantaquattromiladuecentonovantadue e quarantadue centesimi), oltre rivalutazione monetaria e interessi legali da calcolarsi nel modo e con la decorrenza precisati in motivazione; condanna altresì i suddetti convenuti soccombenti al pagamento, in solido tra loro e a favore dello Stato, delle spese processuali, che fino alla presente fase di giudizio si liquidano nell’importo di euro 31667,37------------------------------------
( diconsi euro trentunomilaseicentosessantasette/37).
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio del 9 marzo 2009.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Antonio Marco CANU f.to Antonio VETRO

Depositata in Segreteria il 21/07/2009
Il Dirigente
f.to Paolo Carrus