LA DISCIPLINA DEL TRASFERIMENTO INTERNAZIONALE DI VEGETALI: UNA COMPARAZIONE ITALO-ALBANESE
Avv. Vito Plantamura
Sommario: 1. La rilevanza dell’indagine; 2. La normativa italiana: un “passaporto” per le piante; 2.1 Le deroghe per l’attività scientifica; 2.2 L’apparato sanzionatorio; 3. La normativa albanese; 4. Conclusioni.

1. La rilevanza dell’indagine – Un sempre più massiccio, e frequente, trasferimento internazionale di vegetali risulta essere una delle tante caratteristiche peculiari, di questa nostra età post-moderna. Conseguentemente, pure diversi Paesi prima poco sensibili al tema si sono ora dotati di una propria severa disciplina al riguardo, e questo essenzialmente per evitare che, assieme ai vegetali, siano introdotti, quali ospiti indesiderati, dei relativi parassiti, che possono dimostrarsi pericolosi tanto per l’ambiente, quanto per l’economia: non solo con riferimento alla produzione, ed al commercio, delle piante ornamentali (si pensi al devastante “punteruolo rosso” delle palme), ma anche, e soprattutto, alla produzione agricola.
L’opportunità di uno studio comparato della disciplina italo-albanese in argomento nasce, però, da una prospettiva che non è propriamente di tipo economico, ma piuttosto di tutela delle piante, e quindi dell’ambiente. Proprio in Albania, infatti, fortunatamente si sono ancora conservate numerose specie vegetali endemiche mediterranee, terrestri ed acquatiche, che purtroppo, in Italia, e in altri Stati della U.E., per via degli ultimi anni di capitalismo scarsamente dotato di una coscienza ambientale, si sono invece estinte.
Quindi, la tutela degli endemismi, e della bio-diversità, in campo vegetale, ben può passare anche attraverso una meditata opera d’importazione, dall’Albania - ed in genere da tutti i Paesi dell’area balcanica -, di alcune specie vegetali mediterranee estinte in Italia; delle quali, poi, bisognerebbe curare la ridiffusione. A tal fine, grazie ai fondi comunitari, attualmente si sta già progettando la creazione di un organismo internazionale (inizialmente italo-albanese) di ricerca, che si occupi di raccogliere il germoplasma di maggiore interesse, di conservarlo, catalogarlo, moltiplicarlo, e dunque di ridiffonderlo. Da un punto di vista giuridico, quindi, diviene vieppiù interessante analizzare la disciplina del trasferimento internazionale di vegetali, appunto, nell’ordinamento italiano e in quello albanese.

2. La normativa italiana: un “passaporto” per le piante – L’Italia è dotata di una propria normativa sul trasferimento di semi e piante, diretta ad evitare la diffusione di organismi nocivi ai vegetali, o ai prodotti vegetali, sin dal 1931. Attualmente, la materia è disciplinata, in modo particolarmente rigoroso, dal d.lgs. del 19 agosto 2005, n.214, che rappresenta l’attuazione italiana della direttiva 2002/89/CE, la quale, del resto, a sua volta risulta chiaramente ispirata al principio di precauzione: già emerso nella Dichiarazione di Rio e nel Protocollo di Kyoto, ma soprattutto espressamente recepito, in tema di ambiente, dall’art.174 del Trattato C.E.; e solo successivamente esteso, sempre in sede europea, ai settori della salute pubblica e della sicurezza alimentare.
Si deve ricordare, inoltre, che gli allegati del d.lgs. n.214/05 sono stati poi modificati - sempre in applicazione di direttive e decisioni comunitarie - con il Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, del 12 aprile 2006. E questo secondo quanto previsto dall’art.57 del d.lgs. medesimo, in virtù del quale, infatti, gli adeguamenti tecnici contenuti nelle direttive non self executive, non necessitano di una legge dello Stato, ma possono essere operati, appunto, con decreto ministeriale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome.
Ebbene, il d.lgs. di cui trattasi prevede un’ampia serie di divieti, che, per altro, attengono non solo alla commercializzazione, ma anche semplicemente all’introduzione, nel territorio dello Stato, di specifici organismi nocivi, o vegetali, elencati negli allegati I, II, III, e IV, del d.lgs. stesso. Si tratta di divieti che possono riguardare l’intero territorio della Repubblica italiana, o delle zone protette (in genere delle regioni). Per altro, tali divieti possono essere collegati alla presenza, sui vegetali medesimi, di parassiti, o comunque di organismi nocivi, ma possono anche riguardare i vegetali in sé, a prescindere dall’effettivo accertamento di ospiti indesiderati.
I divieti in questione, inoltre, possono essere assoluti, ma anche relativi, nel caso in cui l’introduzione (e, dunque, la relativa commercializzazione) sia possibile qualora siano state rispettate particolari condizioni, che variano a seconda del tipo di vegetale, e spesso anche del Paese di provenienza del vegetale stesso, soprattutto nell’ipotesi in cui si tratti di un Paese extraeuropeo.
D’altra parte, però, il d.lgs. n.214/05 – così come, del resto, il precedente d.lgs. n.536/92, anch’esso di attuazione della normativa comunitaria – si caratterizza anche per la previsione di quel particolare strumento costituito dal c.d. passaporto delle piante - di cui agli artt.25ss. del d.lgs. medesimo - che, all’interno della Comunità, consente ai vegetali che ne sono dotati un’ampia libertà di circolazione, anche se non esclude la possibilità di ispezioni, ai sensi dell’art.11 del d.lgs. stesso.
In particolare, il passaporto delle piante consiste in un’etichetta ufficiale - che dev’essere applicata non solo alle piante, ma ai vegetali in genere, e dunque anche alle sementi; le quali, infatti, ai sensi dell’art.2 d.lgs. n.214/05, rientrano nel concetto di vegetali - atta a dimostrare che le disposizioni previste dal d.lgs. medesimo sono state effettivamente rispettate.
Le etichette ufficiali in questione devono essere realizzate in materiale non deteriorabile, e devono essere stampate e conservate a cura dei soggetti che le utilizzano - sotto il controllo dei Servizi fitosanitari regionali -, i quali soggetti provvedono, sotto la loro responsabilità, ad apporre le etichette in questione, in modo da impedirne il reimpiego. Il passaporto delle piante, inoltre, deve essere compilato, in ogni sua parte, a macchina, o in stampatello con inchiostro indelebile, indicando, con il nome latino, la denominazione botanica dei vegetali; mentre lo stesso passaporto risulta invalidato, qualora contenga cancellature o modifiche.
Il passaporto delle piante si applica specificatamente ad alcuni vegetali, e, in particolare, a quelli previsti dall’allegato V parte A del decreto legislativo in oggetto – tale allegato, infatti, è diviso in due parti, A e B, relative, rispettivamente, ai vegetali di origine comunitaria, o extracomunitaria –: i vegetali in questione, chiaramente, non sono soggetti ai menzionati divieti di introduzione e/o commercializzazione, ma possono circolare liberamente, se sono accompagnati, appunto, dal c.d. passaporto delle piante, salva la possibilità d’ispezione.
Mentre, per quanto riguarda i vegetali provenienti dai Paesi extracomunitari – come ad es. l’Albania - di cui all’allegato V parte B, l’autorizzazione all’introduzione dev’essere concessa, a seguito di apposita ispezione operata dal Servizio fitosanitario territorialmente responsabile per il punto di entrata utilizzato (per il porto di Bari, ad es., è responsabile chiaramente il Servizio fitosanitario della Regione Puglia), diretta ad operare, per così dire, dei controlli di identità sui vegetali, e ad accertare, da un lato, che i vegetali stessi non siano contaminati dagli organismi nocivi di cui all’allegato I del d.lgs. n.214/05, e, dall’altro, che i medesimi siano accompagnati da un certificato fitosanitario del Paese d’origine, conforme alle disposizioni di cui alla Convenzione internazionale per la protezione dei vegetali, anche qualora il Paese in questione non vi aderisca: ma questo non è il caso dell’Albania, che anzi ha sottoscritto subito, e cioè dal 1999, pure la versione aggiornata della Convenzione, mentre l’Unione europea lo ha fatto solo nel 2004.
Tale certificato fitosanitario dev’essere scritto in una delle lingue ufficiali della Comunità, e sostituisce il passaporto delle piante solo fino alla prima destinazione in territorio italiano, mentre, successivamente, per eventuali trasferimenti ulteriori, dovrà essere applicato il passaporto delle piante.
Non si deve ritenere, però, che i controlli fitosanitari riguardino solo le importazioni, perché, invece, anche nel caso di esportazione verso Paesi extracomunitari, gli ispettori fitosanitari provvedono alle relative ispezioni, al termine delle quali rilasciano un certificato fitosanitario, conformemente alle esigenze della normativa dei Paesi destinatari, nonché alla citata Convenzione internazionale per la protezione dei vegetali.

2.1 Le deroghe per l’attività scientifica - Come si può facilmente apprezzare, si tratta di una normativa alquanto stringente, e macchinosa, specie con riferimento ai rapporti con i Paesi extraeuropei. Opportunamente, tuttavia, vi sono previste delle eccezioni per l’introduzione e trasferimento di vegetali, e persino degli stessi organismi nocivi, per gli scopi che più direttamente riguardano il progetto di ridifussione degli endemismi, ovverosia quelli scientifici.
In tal caso, infatti, non valgono i menzionati divieti di introduzione dei vegetali e/o degli organismi nocivi, eventualmente presenti sui vegetali, puntualmente elencati negli allegati I, II, III e IV, del d.lgs. 214/05. Ma i vegetali in questione devono essere comunque autorizzati al transito dal Servizio fitosanitario competente per territorio, a seguito di apposita richiesta, dalla quale devono risultare: il nome e l’indirizzo della persona responsabile dell’attività; il nome scientifico del vegetale e, nel caso, del relativo organismo nocivo; la quantità; il luogo d’origine; la durata, la natura e gli obiettivi delle attività previste; l’indirizzo e la descrizione del luogo di quarantena; il metodo di distruzione previsto al termine delle attività autorizzate; il punto di entrata nel territorio comunitario (questo, chiaramente, per i soli vegetali provenienti da Paesi terzi).
In ogni caso tale autorizzazione può sempre essere revocata, qualora vengano meno le condizioni previste. Inoltre, la lettera di autorizzazione deve sempre accompagnare il carico, che dev’essere portato in condizioni di “quarantena” direttamente nella sede indicata nell’apposita domanda di autorizzazione, dove, se i vegetali risulteranno esenti da qualsiasi organismo nocivo elencato negli allegati al d.lgs. n.214/05, potranno essere ufficialmente svincolati.
Per quanto riguarda, invece, i vegetali non soggetti a divieto, ovverosia quelli di cui al citato allegato V parte B, è importante ricordare che la finalità scientifica, che consente di ottenere la summenzionata autorizzazione al transito, esenta dalle ispezioni fitosanitarie all’entrata, il che comporta, per altro, che i vegetali in questione, diversamente da quelli introdotti per scopi commerciali, non sono vincolati ai punti aeroportuali, portuali, etc. di ingresso in Italia, predeterminati sempre in un allegato al d.lgs. di cui trattasi.
Ciò nondimeno, l’autorizzazione al transito non esenta dal normale “certificato sanitario”, così come del resto, nel caso di vegetali “comunitari” di cui alla parte A dell’allegato V, tale autorizzazione non esenta dall’utilizzo del passaporto delle piante, tanto che in quest’ultimo caso si ottiene un effetto di complicazione, non bilanciato da vantaggi corrispettivi.
D’altronde, bisogna chiarire che anche i soggetti che svolgono attività scientifica, qualora importino/esportino vegetali, hanno l’obbligo di richiedere l’autorizzazione ai sensi dell’art.19 d.lgs. n.214/05, e dunque di iscriversi all’apposito registro ufficiale. Dopo di che, tali soggetti sono tenuti agli obblighi e alle prescrizioni di cui agli artt.21 e 22 del d.lgs. in questione – come, ad es., la conservazione per almeno un anno dei passaporti relativi al materiale ricevuto, la designazione di un soggetto responsabile per i rapporti con il servizio fitosanitario per territorio, etc. -, altrimenti l’autorizzazione può essere revocata loro.

2.2 L’apparato sanzionatorio - Inoltre, bisogna ricordare che la violazione degli obblighi e dei divieti previsti nel d.lgs. n.214/05, salvo che il fatto costituisca autonomo reato, risulta punita con una serie, abbastanza ampia, di sanzioni amministrative pecuniarie piuttosto gravose. Sono puniti, infatti, con sanzioni da 1.000 a 15.0000 euro: l’introduzione di organismi nocivi; la mancanza di rispetto dei divieti di diffusione; lo svolgimento dell’attività in mancanza di autorizzazione; l’impedimento delle ispezioni, etc. Le sanzioni in questione, tuttavia, sono dirette alle persone fisiche, e non, come sarebbe più opportuno, a quelle giuridiche, responsabili delle violazioni stesse, inoltre, in modo non condivisibile, sono appunto esclusivamente pecuniarie, e non anche di tipo interdittivo.
Per quanto riguarda, invece, la possibilità che fatti rilevanti, da un punto di vista amministrativo, ai sensi della disciplina in commento, costituiscano, altresì, autonomamente reato, si deve considerare che nel nostro ordinamento, specie dopo la riforma del settore dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., operata con la l. n.86/90, si è accolta la concezione oggettivo-funzionalistica della nozione di p.u. Per cui, a prescindere da un rapporto di impiego – in questo caso mancante – con la P.A., i soggetti autorizzati a compilare i passaporti delle piante si possono ritenere, con specifico riferimento a tale attività, dei p.u. svolgenti una pubblica funzione amministrativa, ex art.357 co.2 c.p.
Non si può negare, infatti, che la loro attività è disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, né, tantomeno, si può negare la sussistenza, in capo a tali soggetti, di un potere certificativo. Conseguentemente, si deve ritenere che il soggetto autorizzato alla compilazione che dovesse produrre un passaporto delle piante falso – materialmente o ideologicamente – dovrebbe rispondere di falso in atto pubblico, ai sensi, rispettivamente, dell’art.476 c.p. o dell’art.479 c.p.
3. La normativa albanese – In Albania, la materia è regolata dalla l. n.9326 del 24 marzo 2005 – che, per altro, ha espressamente tra i suoi scopi quello di adeguare la disciplina albanese alle convenzioni internazionali –, la quale ha completamente abrogato la precedente l. n.7662/93, ma, a sua volta, è attualmente al vaglio di un comitato di esperti, di nomina ministeriale, incaricato di riformarla. Bisogna tener presente, infatti, che uno degli obiettivi politici dell’Albania è quello, in futuro, di entrare a far parte della U.E., ed il voluminoso Piano Nazionale elaborato a tal proposito contiene anche una parte dedicata alla protezione delle piante, nella quale si indica la necessità di arrivare, in materia, ad un livello di protezione adeguato allo standard europeo, anche per via di una modifica della legge in questione.
Sempre in tale Piano, tuttavia, giustamente si sottolinea pure come l’Albania stia già tentando da tempo di adeguarsi autonomamente alle direttive europee, e, in particolare, alla direttive 2000/29/CE e 2002/89/CE, sulla protezione delle piante; e come sia perfino arrivata a recepire in parte, con una decisione del Consiglio dei Ministri – la nr.72 del 6 febbraio 2003 – tali direttive, compresi i relativi allegati tecnici (quantomeno quelli dall’uno al cinque): che poi sono proprio quegli allegati di cui si è fin qui riferito, trattando della normativa italiana.
Ebbene, per comprendere la legge citata bisogna conoscere la distinzione centrale – che si evince dal testo della menzionata decisione del CdM - tra i parassiti comuni e i c.d. “parassiti di quarantena”, ovverosia quelli che, da un lato, risultano pericolosi per l’economia del Paese, e, dall’altro, non sono ampiamente diffusi, e dunque combattuti, in Albania. La legge, infatti, pone dei divieti – per quello che qui più direttamente interessa – all’importazione e all’esportazione di piante infette da parassiti, solo qualora si tratti di parassiti di quarantena, mentre sembra tollerare i parassiti comuni.
Inoltre, un altro punto debole della normativa è quello relativo alle sanzioni, perché si tratta di sanzioni amministrative pecuniarie che, se giustamente possono essere dirette anche alle persone giuridiche, e non solo a quelle fisiche, come in Italia, risultano, tuttavia, particolarmente blande, nel quantum. Ad es., per la violazione degli artt.13 e 14, che statuiscono, rispettivamente, la necessità di superare l’ispezione fitosanitaria nei punti doganali, ed il divieto di circolazione per le piante infettate da parassiti di quarantena (o comunque il divieto di circolazione in assenza di un certificato fitosanitario), la sanzione pecuniaria corrisponde a circa 80 euro: anche in questo caso, quindi, sarebbero auspicabili delle sanzioni interdittive, che meglio potrebbero attagliarsi, sia a realtà interne albanesi, che ad operatori provenienti da altri Paesi.
Per quanto riguarda, invece, la più volte citata decisione del CdM, si può notare un’ampia ricezione della normativa europea, e quindi emergono forti similitudini con quella italiana già esposta: in particolare, le regole per il certificato fitosanitario interno – che non assume il nome di passaporto per le piante, in quanto diretto a funzionare in un unico Paese - sono simili a quelle già trattate con riferimento alla normativa italiana. Ad es.: le cancellature non autorizzate rendono automaticamente nullo il documento; vi è la necessità, per potere usufruire di tale documento interno, di iscriversi all’apposito registro; il nome del vegetale dev’essere quello latino, e non quello “volgare”; etc.
Pure alcuni divieti, del resto, ricalcano quelli già illustrati, e dunque è inutile ripeterli; mentre la differenza più immediata, con la normativa europea/italiana, appare quella in virtù della quale l’allegato V parte A, chiaramente, invece di essere riferito ai vegetali prodotti nella C.E., viene applicato ai vegetali prodotti in Albania. D’altronde, risulta paradigmatico, di tale situazione di ampia ricezione della normativa europea, il fatto che si richiede che il certificato fitosanitario di vegetali provenienti da un altro Paese sia scritto, appunto, in una delle lingue ufficiali della C.E.
In fine, si deve sottolineare che la grande apertura all’esterno dell’Albania e la sua voglia di internazionalizzazione, sono ribadite anche dall’art.14 della decisione in commento, che espressamente autorizza, in virtù di eventuali accordi bilaterali con altri Paesi, al reciproco riconoscimento dei rispettivi certificati fitosanitari interni, e delle ispezioni compiute.

4. Conclusioni – La normativa sul trasferimento di piante e semi è particolarmente stringente, e dettagliata, sia nell’ordinamento albanese, che ancor più in quello italiano: nel quale, del resto, il diritto nazionale non costituisce altro che l’esecuzione delle direttive europee, che devono attenersi, in materia ambientale, al principio di precauzione. In particolare, poi, sempre con riferimento alla previsione propria dell’ordinamento italiano, si può notare una sensibile differenza, per quanto attiene alla disciplina sul trasferimento dei vegetali, ed ai relativi divieti ed obblighi, appunto di natura precauzionale, a seconda che i vegetali stessi provengano da (o siano destinati a) Paesi europei o extraeuropei.
All’interno della Comunità, infatti, la circolazione dei vegetali è notevolmente semplificata dalla presenza di un documento unico costituito dal c.d. passaporto delle piante, la cui redazione, per altro, è affidata agli stessi soggetti interessati al trasferimento, che si siano preventivamente iscritti nell’apposito registro, essendo stati autorizzati allo svolgimento della loro attività: chiaramente, però, né la presenza dell’autorizzazione, né quella del passaporto delle piante, esclude la possibilità di un controllo dei servizi fitosanitari competenti per territorio, ai quali, infatti, è attribuita in ogni caso una incisiva potestà ispettiva.
Ciò nondimeno, è innegabile che, per il perseguimento delle finalità dell’istituendo organismo internazionale italo-albanese – ovverosia quelle di raccolta del germoplasma, e dunque di ridiffusione degli endemismi vegetali -, sarebbe estremamente vantaggioso che l’ambito di operatività della semplificazione rappresentata dal passaporto delle piante fosse allargato anche ai trasferimenti di vegetali tra l’Italia e l’Albania, nonché, in prospettiva futura, tra tutti i Paesi che vorranno aderire all’organismo internazionale medesimo.
In questa direzione, un precedente importante è rappresentato dall’accordo internazionale, in vigore dal 1° aprile 2004, in base al quale è stata riconosciuta l’equivalenza tra i provvedimenti fitosanitari emanati nella C.E. ed in Svizzera, ed è stato assunto – tra le suddette parti contraenti - l’impegno ad adottare, in futuro, provvedimenti identici per impedire l’introduzione, e la diffusione, di organismi nocivi. In definitiva, però, il punto centrale dell’accordo è rappresentato dal fatto che l’Unione europea ha riconosciuto la validità del passaporto della Confederazione elvetica, e viceversa.
Ebbene, sarebbe sicuramente importante che ciò avvenisse anche con la documentazione fitosanitaria albanese, sempre, chiaramente, alle medesime condizioni di reciprocità. Tuttavia, si tratta di un obiettivo particolarmente ambizioso, che dev’essere perseguito nel tempo, e che comunque, riferendosi anche all’attività commerciale, ha un ambito di applicazione notevolmente più ampio, rispetto a quello che direttamente interessa il progetto di ridiffusione delle specie vegetali endemiche mediterranee, terrestri ed acquatiche.
Allora, però, sotto questo speciale punto di vista – in attesa di auspicabili accordi internazionali più estesi -, proprio in virtù della natura internazionale – ed intergovernativa - dell’ente istituendo, ben si potrebbe introdurre, già all’interno dell’accordo istitutivo stesso, la possibilità, per l’ente in questione, di rilasciare un documento fitosanitario speciale - quello che, per continuare a sfruttare l’analogia utilizzata dallo stesso legislatore europeo, si potrebbe definire un “passaporto diplomatico” -, per i suoi vegetali. In modo da facilitare al massimo il trasferimento internazionale di piante e semi, nella prospettiva della ricostruzione del nostro patrimonio di endemismi.

avv. Vito Plantamura
progetto Interreg III A Italia-Albania CERATONIA