Concorrenza letale
di Stefano PALMISANO
Proprio non se ne fanno una ragione, evidentemente.
L’idea che la tutela dell’ambiente e del lavoro, o meglio dei diritti, della salute e della vita stessa di chi lavora, possa, debba costituire un vincolo, un laccio (o lacciuolo, non ho mai colto fino in fondo la qualificante differenza che passa tra i due termini del binomio a base della perspicua vulgata confindustriale) per i sacri dogmi di “libertà di iniziativa economica sancito dall'articolo 41 della Costituzione e [….] di concorrenza sancito dal Trattato dell'Unione europea” deve risultare davvero incomprensibile, al limite dello sconcertante, per il Governo dei Professori di tecnica aziendale, invero debitamente spalleggiato in ciò, seppure in posizione vagamente prona, dalla fiera assise parlamentare che oggi rappresenta questo degno Paese.
E le recenti, sobrie, evoluzioni parlamentari del c.d. “Decreto semplificazioni”, in sede di conversione, ne sono solo l’ultima, in ordine di tempo, illuminante conferma.
L’8 marzo scorso, infatti, la Camera ha approvato in blocco (non avrebbe potuto fare granché di differente, invero, stante la questione di fiducia posta dal Governo) il testo di legge licenziato dalle competenti commissioni, tra cui l’ormai rinomato art. 14 in materia di “Semplificazione dei controlli sulle imprese”.
Levigato un minimo nelle sue più vistose asperità di stretta e ottocentesca ispirazione filo-padronale, quale la previsione del testo originario, culturalmente rivelatrice, per la quale i regolamenti “al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese e di assicurare la migliore tutela degli interessi pubblici” avrebbero dovuto esser emanati dal Governo “sentite le (sole) associazioni imprenditoriali”, senza alcun riferimento alle organizzazioni sindacali; ripulito appena da autentiche perle di macchiettismo legislativo, come la “collaborazione amichevole” tra controllori e controllati, che ben poco aveva da invidiare alle più alte vette di tecnica redazionale di limpido conio berlusconiano; rabberciato alla meglio nelle ulteriori “smagliature”, per usare una pietosa litote, che produceva nell’apparato di controlli e, dunque, di sanzioni, già di suo non proprio draconiano, in materia di sicurezza sul lavoro, il “Decreto semplificazioni” approvato dalla Camera proprio non ce la fa a rendere più semplice, per non dire più sicura, la tutela dell’ambiente e, dunque, della salute pubblica, per ricorrere anche qui ad un delicato eufemismo.
Non è nato per questo, semplicemente.
Lo sforzo massimo, letteralmente titanico, si può facilmente immaginare, che le commissioni parlamentari sono riuscite a produrre per ridurre l’impatto potenzialmente devastante, vieppiù in questo Paese già, in sé, notoriamente pregno di etica pubblica e di spirito legalitario, di queste escrescenze terminali di thatcherismo normativo non è riuscito ad andare oltre la, pur lodevole, sottrazione della materia della sicurezza dei lavoratori al meccanismo della certificazione (privata) al posto dei controlli (pubblici), previsto dall’art. 14, c. 4, lett. f), acuta intuizione legislativa che tante magnifiche sorti e progressive dischiude alla tutela dei beni giuridici, o meglio dei beni comuni, oggetto di questo scambio.
Chiedere di estendere la deroga, di cui al comma 6, nei confronti del su citato meccanismo anche all’ambito della tutela dell’ambiente e, quindi, della salute pubblica era pretendere troppo da questo Governo e da questo Parlamento.
Un Governo che continua a mostrare, per facta concludentia, di considerare l’ambiente poco più che una cartolina illustrata, o meglio una natura morta, con cui ornare sobriamente le stanze di Palazzo Chigi ove si lavora alacremente per rendere più bello e ubertoso l’unico ambiente che a questo Esecutivo sta davvero a cuore: quello “imprenditoriale” (come da relazione di accompagnamento, pag. 2, al disegno di legge per la conversione del decreto in esame).
Eppure, in una siffatta augusta compagine ministeriale di diplomatici, dotti, medici e sapienti, non dovrebbe esser difficile trovare qualche diplomato che ricordi che, ormai da decenni, la giurisprudenza della Corte di Cassazione e, soprattutto, della Corte Costituzionale fondano il diritto all'ambiente salubre, ossia l'obbligo per gli apparati dello Stato di tutela dell'ambiente, oltreché nell'art. 9 della Costituzione (per il quale "La Repubblica tutela il paesaggio..."), anche e soprattutto negli articoli 32 ("La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività"), così riconoscendo espressamente l'inscindibile legame tra tutela dell'ambiente e difesa della salute, e 41 ("L'iniziativa economica privata .... non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana"), in questo modo qualificando apertamente la tutela dell'ambiente come limite e condizione, ossia come priorità, rispetto allo stesso diritto all'iniziativa economica privata.
Ma, ancor più bizzarro è l’approccio che questo Esecutivo, finissimo distillato di europeismo in purezza, ha alla normativa comunitaria in materia di tutela ambientale: semplicemente, nelle formulazioni di principio la omaggia, nei fatti, ossia nelle norme concrete, la rimuove.
Difatti, lo stesso art. 14 del “decreto semplificazioni”, quello che contiene tutte (ed altre ancora) le gemme sopra sinteticamente elencate, si apre, al suo primo comma, con un'espressa (ovvia) clausola di salvezza di "quanto previsto dalla normativa dell'Unione europea".
Anche in questo caso, dunque, non pare fuori luogo stupirsi che nessuno degli innumerevoli specialisti in “quello che ci chiede l’Europa” che annovera questo Governo abbia rammentato che il Trattato sull'Unione Europea, nella sua versione in vigore dal 1 dicembre 2009, ossia quella consolidata a seguito delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007, al suo art. 3, c. 3, statuisce che "L'Unione [....] si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente.
Attendiamo frementi, di sapere dal Governo bocconiano come si possa, in Italia, garantire seriamente "un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità ambientale" solo con un “certificato” invece che con un apparato di regole, di procedure, di controlli e di sanzioni certo, effettivo e idoneo ai fini ed agli obiettivi su citati, fondativi della stessa Unione Europea.
Il timore è che lo scopriremo solo vivendo, per dirla con il poeta.
Anzi, solo inquinando.
Fasano, 16\3\2012
Stefano Palmisano