Il futuro che vogliamo, istruzioni da Rio per un futuro sostenibile

di Lorenzo Calabrese

Un soldato nell’antica Bassora, pieno di paura, andò dal suo re e gli disse: “Salvami, sovrano, fammi fuggire di qua. Ero nella piazza del mercato e ho incontrato la Morte vestita di nero, che mi ha guardato con malignità. Prestami il tuo cavallo così che possa correre fino a Samarra”. […] “ Dategli il miglior destriero”, disse il sovrano, “figlio del lampo degno di un re”.

Più tardi il re incontrò la Morte in città e le disse: “Il mio soldato era molto impaurito. Mi ha detto che ti ha incontrato oggi al mercato e che lo guardavi con malignità” – “Oh no”, rispose la Morte, “il mio era solamente uno sguardo stupito, perché non sapevo cosa faceva oggi qua, dato che lo aspettavo per stanotte a Samarra. Stamani ne era lontanissimo”(1).

Così come il soldato corre inconsapevole incontro alla sua fine, l’uomo oggi sembra correre inesorabilmente verso un tragico destino e ciò che è peggio è che egli ignora che lo sta facendo il più velocemente possibile.

Una crescita incontrollata e incontrollabile, un inquinamento senza limiti, un consumo sfrenato sono solo alcuni dei mezzi mediante cui l’umanità sembra essersi auto condannata a una fine tanto lenta quanto certa e inesorabile.

Potrebbe dirsi che l’umanità ignori la tragica situazione, ma possibile che gli uomini non si siano accorti della crisi ambientale da loro stessi causata?.

La risposta più plausibile è che fattori quali il benessere, la ricchezza e il consumo abbiano inebriato l’umanità intera, è come se l’umanità fosse stata imbrigliata dall’idea di un benessere fittizio che oggi viene individuato solo con la crescita economica o con “l’aumento del prodotto nazionale lordo”(2). Infatti anziché misurare l’equilibrio tra uomo e natura o vigilare su uno sviluppo che sia sostenibile, l’uomo è oggi impegnato a ideare modi per produrre e consumare più di quanto possa fare.

Ecco perché la sfida affrontata nella Conferenza di Rio de Janeiro (20-22 Giugno 2012) è più difficile e impegnativa che mai: il pericolo infatti non viene dall’esterno, ma è l’uomo stesso a essere diventato una minaccia per la sua specie. Un paradosso enorme, ma reale e di cui tutti dobbiamo essere coscienti per non fuggire dalle nostre responsabilità e per iniziare da subito a “promuovere dal punto di vista economico, sociale e ambientale un futuro sostenibile”(3).

Bisogna far presto, Laura Conti scrive “da qui in avanti il momento in cui fermarsi è ORA. Ora è più difficile di ieri, ma più facile di domani” (Questo pianeta, Editori Riuniti, Roma 1983).

Dunque ciò che ci interessa è capire se oggi la comunità internazionale sia concretamente in grado di affrontare la crisi ambientale senza essere distratta, come invece sembra, dal risolvere l’attuale crisi economica. E non si dimentichi che crisi economica, ambientale ed energetica sono fra loro legate e cercare di risolvere una sola di esse trascurando l’altra è dannoso e controproducente.

La crisi ambientale infatti è dovuta soprattutto a uno sfruttamento incontrollato delle risorse energetiche non rinnovabili prodotte utilizzando il fattore capitale e non il fattore lavoro e contribuendo così ad acuire l’attuale crisi occupazionale e economica.

La comunità internazionale ha però mostrato con la Conferenza di Rio de Janeiro sullo sviluppo sostenibile di voler compiere gli sforzi necessari e di voler analizzare temi essenziali mai fino ad oggi messi in luce.

Già prima della Conferenza di Rio il Commissario dell’Unione Europea all’Ambiente, lo sloveno Janez Potocnik, si mostrava ottimista sull’esito dei lavori di Rio de Janeiro e in un’intervista a “Repubblica” pubblicata online il 7-06-12 a cura di Valerio Gualerzi il commissario individuò alcuni temi chiave da elaborare in Brasile tra cui spiccano l’energia, l’acqua, la terra coltivabile e la tutela degli ecosistemi e, a leggere il documento finale della Conferenza The future we want, Potocnik può dirsi più che soddisfatto.

Nel documento The future we want si riconosce espressamente che uno sviluppo sostenibile è necessario per la salvaguardia delle future generazioni e per ridurre la povertà e gli evidenti squilibri economici nel mondo.

E’ chiaro infatti sia che i nostri figli pagheranno le conseguenze di uno sviluppo incontrollato sia che un modello come quello attuale basato sul consumo, sullo spreco delle risorse e sul benessere economico di una piccola parte della popolazione mondiale è possibile solo grazie allo sfruttamento e a una radicata povertà del Terzo e Quarto Mondo.

Uno svizzero consuma quanto quaranta somali, un abitante dell’America settentrionale (6% della popolazione mondiale) consuma in media 62 barili di petrolio all’anno mentre ciascun’ abitante di America Latina, Asia e Africa (71% della popolazione mondiale) ne consuma in media 3(4).

Dunque uno sviluppo sostenibile ha come effetti diretti la conservazione degli ecosistemi per le future generazioni e un’equa ridistribuzione delle risorse naturali.

Un altro aspetto essenziale su cui insiste il documento finale della Conferenza di Rio nel raggiungere un futuro sostenibile è l’importanza di un’attiva partecipazione della società civile e delle istituzioni pubbliche centrali e locali.

Il documento stesso indica come coinvolgere concretamente la società: un facile accesso alle informazioni e lo scambio di conoscenze tecnologiche per uno sviluppo sostenibile sono i primi passi per building civil society capacity (5)(“costruire la capacità della società civile”).

La società è il motore di ogni cambiamento: solo dai cittadini si può partire per una rivoluzione culturale che cambi le abitudini quotidiane di tutti noi e, insiste il documento, che sia peoplecentred(6), cioè proveniente dal basso.

Creare le giuste opportunità per un risveglio della società civile spetta a Governi centrali e locali. E proprio a questi ultimi sono indirizzate le raccomandazioni della comunità internazionale che insiste affinché sin dalle più piccole amministrazioni si favorisca la c.d. “green economy”.

Women, workers, trade unions, ONG, farmers, fisherfolk, pastoralists7 sono queste le categorie da coinvolgere per una rivoluzione sociale che ponga fine a sprechi di risorse naturali e che chiuda il “divario tecnologico tra Stati in via di sviluppo e Stati sviluppati” (The future we want).

L’azione di governanti e governati deve essere finalizzata inoltre alla protezione degli ecosistemi della Terra, o come meglio definita a Rio, the Mother Earth.

L’uomo ha dimostrato di essere un animale capace di modificare profondamente l’ambiente in cui vive, ma non deve dimenticarsi che la sua sopravvivenza dipende proprio dalla diversità degli ambienti e degli ecosistemi sulla Terra.

Dobbiamo a tutti i costi preservare the genetic resources8 (le risorse genetiche), cioè la c.d. biodiversità su cui si poggiano i presupposti della nostra esistenza, anzi il documento finale incita a sfruttare al meglio la biodiversità (use the biodiversity9) come ulteriore risorsa per l’uomo.

Se si pesca o si dibosca senza tener conto della capacità di rigenerazione di tali risorse naturali si rompe “l’equilibrio biologico”10 e si riducono le possibilità di sopravvivenza per l’uomo e per le altre specie animali.

Si chiama quindi “green economy” la politica, il metodo con cui istituzioni e società civile s’impegnano a rispettare l’ambiente da cui traiamo sostentamento e ormai tale termine è entrato con naturalezza nel nostro linguaggio quotidiano.

Adottare decisioni per un’economia sostenibile significa ad esempio valorizzare l’agricoltura vista come “l’attività umana da sempre servita per portare energia al nostro sistema”11 riscoprendo così i veri valori nutrizionali di un cibo sano prodotto con sistemi ed energie rinnovabili; è “green economy” utilizzare e sviluppare una rete di trasporti sostenibile venendo incontro alla sempre più crescente esigenza di mobilità della popolazione, ma riducendo emissioni inquinanti e rispettando gli ambienti naturali su cui tali reti insistono.

Un evolversi sostenibile delle città intese come centro di convivenza ispirata al rispetto dell’ambiente è “green economy” e significa costruire un futuro sostenibile.

Le città e i piccoli centri devono promuovere energia e trasporti sostenibili, garantire una salutare qualità dell’aria e istituire green urban spaces12 (aree verdi) cosicché la società prenda direttamente coscienza di un nuovo modo di vivere e convivere.

Tianjin Eco-City è la prima città ecologica creata in Cina e sorta su una vecchia discarica. La città è completamente alimentata con fonti rinnovabili e ospiterà 350.000 abitanti che per metà lavorano per la sua realizzazione, un altro esempio di come promuovendo un’economia sostenibile si aumenti il tasso occupazionale e si contribuisca a sconfiggere la crisi economica.

In Italia ad esempio aumenta il fascino delle auto elettriche, anche se “Tutti le vogliono, pochi le comprano” come titola un articolo di Vincenzo Borgomeo su “Repubblica” online e incoraggiante è anche la notizia della convocazione, su impulso del Ministro dell’Ambiente Clini, degli Stati Generali per aiutare la “green economy” il 7 e l’8 Novembre 2012 a Rimini: istituzioni pubbliche e società civile italiana si uniranno per dar concretezza al documento The future we want che pone al centro del suo programma proprio una massiccia collaborazione tra governanti e governati, senza la quale sono vani gli sforzi degli uni e degli altri, e che finalmente sembra abbandonare meri formalismi e prendere coscienza delle reali conseguenze di uno sviluppo e di una crescita che, ormai è chiaro, non possiamo più permetterci.

Lorenzo Calabrese.

 

1. La storia è tratta dal libro “Tempi storici, tempi biologici” di Enzo Tiezzi, 2001,2005 Donzelli Editore.

4. Dati tratti da “Tempi storici, tempi biologici”, Enzo Tiezzi, Donzelli Editore.

2 - 10 - 11. Enzo Tiezzi, “Tempi storici, tempi biologici” Donzelli Editore.

7. "donne, lavoratori, sindacati, o.n.g, agricoltori,pescatori, pastori" The future we want.

3 - 5 - 6 - 8 - 9 - 12. The future we want. www.uncsd2012.org