Cass. Sez. III n. 25647 del 5 luglio 2022 (CC 3 mag 2022)
Pres. Sarno Est. Pazienza Ric. De Martino
Beni Ambientali.Gazebo

Si configura la violazione paesaggistica quando l’autorizzazione paesaggistica a suo tempo ottenuta per tre gazebo si riferiva “a manufatti destinati a fronteggiare contingenti necessità (tanto è vero che si trattava di gazebo non fissi e ne era previsto montaggio in caso di necessità e smontaggio subito dopo l’uso” quando totalmente differente è la situazione accertata in concreto, dal momento che i gazebo, oltre ad essere ancorati al suolo, presentavano “impianti elettrici, di diffusione sonora e di condizionamento d’aria nonché binari per consentire la totale chiusura dello spazio ricettivo.

RITENUTO IN FATTO

    1. Con ordinanza del 15/12/2021, il Tribunale di Napoli, adito con richiesta di riesame ex art. 324 cod. proc. pen. da DE MARTINO Edoardo, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso nel procedimento a suo carico per i reati di cui agli artt. 44 lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001 (capo 1), e 169 (in relazione all’art. 10) e 181 (in relazione agli artt. 136, 142-146) d.l.vo 42 del 2004 (capo 2).
    2. Ricorre per cassazione il DE MARTINO, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
    2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus quanto al capo 1). Si censura l’ordinanza per aver affermato la mancanza di un titolo abilitativo alla realizzazione dei gazebo sul piano urbanistico, quando invece era stata in relazione a tali opere presentata una d.i.a. con successiva formazione del c.d. silenzio-assenso (sul piano paesaggistico, invece, il DE MARTINO aveva ottenuto la c.d. autorizzazione surrogatoria). SI lamenta la mancata considerazione della documentazione a tal fine prodotta in sede di riesame.
    2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla configurabilità di “nuove costruzioni” nelle opere realizzate. Si censurano le conclusioni del Tribunale alla luce degli approdi della giurisprudenza amministrativa in tema di nuove costruzioni, si sottolinea che l’ordine di demolizione emesso dal comune di Castellammare di Stabia era stato sospeso dal T.A.R., in attesa del giudizio di merito.
    2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta idoneità delle opere a violare la disciplina in tema di immobili dichiarati di particolare interesse storico. Si deduce che le opere insistono su area pertinenziale esterna, posta oltre il muro di cinta dell’immobile sottoposto a vincolo; né poteva affermarsi che l’occasionale locazione a terzi per la celebrazione di feste o eventi era circostanza idonea a modificare la destinazione d’uso dell’area, né a violare la disciplina posta a tutela del vincolo.
    2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla pavimentazione di cui al capo c). Si deduce la piena legittimità dell’intervento, risalente al 1933, correlato all’esistenza di una cisterna avente funzioni di raccolta delle acque meteoriche, mai contestato dalla Sovrintendenza anche nella disamina dell’originaria richiesta del DE MARTINO.
    2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla intervenuta prescrizione dei reati contestati. Si censura la valorizzazione del sopralluogo del 2018, nonostante l’accesso non risulti corredato da documentazione fotografica e sia stato contraddetto dalle produzioni difensive, documentali e dichiarative, concernenti la celebrazione di due matrimoni: produzioni comprovanti l’esistenza delle opere almeno dal luglio 2017, con conseguente decorso dell’intero termine quadriennale ordinario prima degli accertamenti dell’ufficio tecnico e dell’emissione del decereto di sequestro preventivo. Si censura il percorso motivazionale tracciato dal Tribunale, volto a valorizzare quanto ricostruito nel 2021 dall’ufficio tecnico comunale, evitando così di prendere atto della maniera “non proprio precisa” con cui era stato redatto il verbale di sopralluogo del 2018.
    3. Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, ritenendo essersi in presenza di “nuova costruzione” alla luce della stessa giurisprudenza amministrativa citata dalla difesa ricorrente, e delle modifiche che avevano reso stabili le strutture originariamente assentite sul piano paesaggistico. Si rileva, in tale diversa prospettiva, il carattere reiterativo e aspecifico delle doglianze prospettate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è inammissibile.
    2. Il primo motivo appare privo di adeguata correlazione con il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata. Invero, la doglianza imperniata sul mancato esame della documentazione relativa alla d.i.a., a suo tempo presentata per gli originari gazebo, non tiene in alcun conto il fatto che, dalle pronunce del G.i.p. e dello stesso Tribunale, emerge che quelle originarie strutture presentavano caratteristiche del tutto diverse da quelle successivamente accertate.
    In particolare, l’autorizzazione paesaggistica a suo tempo ottenuta per i tre gazebo originari si riferiva “a manufatti destinati a fronteggiare contingenti necessità (tanto è vero che si trattava di gazebo non fissi e ne era previsto montaggio in caso di necessità e smontaggio subito dopo l’uso” (cfr. pag. 6-7 del decreto di sequestro, pag. 4 dell’ordinanza impugnata). Totalmente differente è la situazione accertata dagli operanti, dal momento che i gazebo, oltre ad essere ancorati al suolo, presentavano “impianti elettrici, di diffusione sonora e di condizionamento d’aria nonché binari per consentire la totale chiusura dello spazio ricettivo” (pag. 7 del decreto).
     3. Per ciò che riguarda le residue censure, è opportuno anzitutto richiamare l’insegnamento di questa Suprema Corte, del tutto consolidato, secondo cui «il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice» (così per tutte Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656 – 01).
    Nonostante il ricorrente abbia chiarito – nella “premessa metodologica” posta ai motivi di ricorso - di avere ben presente l’oggetto e i limiti dello scrutinio demandato a questa Suprema Corte in tema di misure cautelari reali, deve osservarsi che le censure prospettate si risolvono, in realtà, nella prospettazione di una diversa lettura delle risultanze acquisite rispetto a quella che il Tribunale ha accolto nell’ordinanza impugnata, con un percorso argomentativo certamente immune da censure deducibili in questa sede.
    In particolare, quanto al secondo ordine di doglianze, il Tribunale ha motivatamente affermato il rilievo anche delle nuove strutture realizzate, da un lato richiamando la necessità di valutare gli interventi nel loro complesso, e non in una prosprettiva atomistica, dall’altro evidenziando che gli ulteriori manufatti avevano consentito di ampliare la zona coperta di ulteriori 125 mq, e presentavano le stesse caratteristiche di non precarietà dei precedenti (oltre alla pavimentazione e copertura con teli ancorati alla struttura principale con cavi di acciaio: cfr. pag. 5 dell’ordinanza impugnata). Si tratta di un percorso motivazionale che appare non solo privo delle criticità “estreme” denunciabili in questa sede, ma anche pienamente in linea con l’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «le tensostrutture sono opere realizzabili in regime di attività edilizia libera, senza necessità di permesso di costruire, soltanto se funzionali a soddisfare esigenze contingenti, temporanee e destinate ad essere rimosse entro novanta giorni, essendo irrilevante la tipologia dei materiali impiegati per la loro edificazione» (Sez. 3, n. 38473 del 31/05/2019, Bossone, Rv. 277837 – 01).
    Considerazioni sostanzialmente analoghe devono essere svolte con riferimento al terzo e al quarto motivo. Invero, sia la questione della necessità o meno dell’autorizzazione (avuto riguardo alla specifica collocazione delle opere per cui è causa rispetto al muro di cinta del castello), sia quella del carattere asseritamente occasionale dell’utilizzo delle strutture a fini turistico-ricettivi, sia anche quella dell’epoca di realizzazione della pavimentazione, non potranno che essere adeguatamente affrontate e sviluppate nella sede propria del procedimento di merito, essendo estranee all’ambito riservato alle valutazioni di questa Suprema Corte, in presenza di una motivazione che non può essere in alcun modo considerata mancante o meramente apparente.
    Allo stesso modo, con riferimento alle doglianze relative al tempus commissi delicti, deve osservarsi che la ritenuta inattendibilità del sopralluogo compiuto dagli operanti nel 2018 non potrà che essere prospettata dinanzi al giudice di merito: sul punto, il Tribunale ha ritenuto – anche in questo caso, in termini non censurabili in questa sede – di attribuire decisiva rilevanza al fatto che in quella occasione fu accertata la sola presenza dei tre originari gazebo, senza alcun accenno alle sostanziali modificazioni successivamente accertate (definitivo ancoraggio al suolo, binari per la chiusura ecc.) e alla realizzazione degli ulteriori manufatti (cfr. pagg. 5 e 7 dell’ordinanza). La prospettata realizzazione in epoca anteriore delle strutture oggetto di sequestro, rispetto a quanto ritenuto dai giudici della cautela sulla scorta degli accertamenti in sede di indagine, potrà essere oggetto, se del caso, di adeguati approfondimenti nella sede propria di merito.
    4. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 3 maggio 2022