Taranto parte civile

di Stefano PALMISANO

Le concrete modalità di gestione dello stabilimento siderurgico dell’Ilva di Taranto – che hanno determinato la continua e costante dispersione nell’aria ambiente di enormi quantità di polveri nocive e di altri inquinanti di accertata grave pericolosità per la salute umana (alla cui esposizione costante e continuata sono correlati eventi di malattia e di morte, osservati con picchi innegabilmente preoccupanti, rispetto al dato nazionale e regionale, nella popolazione della città di Taranto, specie tra i residenti nei quartieri Tamburi e Borgo, più vicini allo stabilimento siderurgico, nonché la contaminazione di terreni ed acque ed animali destinati all’alimentazione umana [….] – integrano senz’altro l’elemento materiale del reato in esame (quello di disastro ambientale, n.d.r.), in termini di condotta ed evento di disastro.”

Così il Tribunale del Riesame di Taranto nella nota ordinanza depositata (il 20\8 u.s.) nel procedimento penale a carico dei massimi dirigenti dell’Ilva, nonché dello stabilimento di Taranto.

Dunque, a Taranto è stato consumato un reato di disastro ambientale.

Ad affermarlo, ora, non sono più solo una Procura della Repubblica o una qualsiasi “zitella rossa” (per dirla con un nobile foglio che, per decenza e attendibilità, potrebbe egregiamente figurare nel reparto riviste pornografiche, più che in quello dei quotidiani) travestita da G.I.P., ma anche un Tribunale Collegiale.

E’ un importantissimo passaggio procedimentale.

La conferma della sussistenza di questo illecito, infatti, consolida l’ accusa nel suo punto giuridicamente più significativo, perché si afferma, da parte del Riesame, che il delitto in questione è stato integralmente compiuto dagli indagati nella sua forma più grave, quella prevista dal 2° comma dell’art. 434 c.p., ossia quello che prevede il disastro e i conseguenti danni e non solo “gli atti preparatori” dello stesso (com’è, invece, disposto dal 1° comma).

Ipotesi di reato, quella “di danno”, per la quale, infatti, è prevista una pena decisamente più pesante (da tre a dodici anni di reclusione) rispetto a quella disposta per la fattispecie più lieve (da uno a cinque anni).

Ma, nel caso di specie, v’è ancora di più.

Da quello che si legge nell’ordinanza, in quella martoriata città non solo si è arrivati al disastro ambientale vero e proprio, ma si è oltrepassata ampiamente anche la soglia della mera esposizione a pericolo del bene incolumità pubblica, protetto dalla norma penale, attingendo ampiamente, anche in questo caso, lo stadio del danno.

Quest’ultima forma di nocumento, diffusa e devastante, è costituita, com’è facilmente intuibile, dai trenta morti annui e dalle centinaia di malati attribuiti dalla perizia epidemiologica, effettuata in sede d’incidente probatorio, all’inquinamento provocato dall’Ilva.

Questi “danni”, tuttavia, non rientrano formalmente in questo procedimento penale, giacché, tra le imputazioni a carico degli indagati non c’è quella di lesioni né di omicidio colposo.

In pratica, quelle vittime, singolarmente intese, in quanto tali, da questo procedimento non avranno, comunque, giustizia.

Non è, pertanto, solo un imprescindibile moto della coscienza civile quello che impone di prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di allargare lo spettro delle ipotesi di reato a base di questo procedimento o di farne avviare uno autonomo incentrato sulle lesioni (ovvero sulle malattie) e sugli omicidi (cioè sulle morti) colposi seriali che sono verosimilmente ascrivibili a tutti o a parte di questi stessi indagati.

E’ un gran numero di atti d’indagine e di prova già contenuti in questo stesso fascicolo processuale che milita univocamente in tal senso, a partire proprio dalla perizia epidemiologica, che dall’ordinanza del Riesame esce poderosamente rafforzata in tutte le sue componenti e che costituisce una pressante invocazione all’Organo investito di quest’attribuzione, ossia la Procura della Repubblica, a “completare” l’ottimo lavoro svolto finora.

E la conferma più autorevole a questa (doverosa) prospettiva di completamento dell’azione penale la si trova ancora nel provvedimento del Riesame.

Difatti, rispondendo alla consueta, vieta, eccezione difensiva dei legali degli indagati sull’inidoneità della stima epidemiologica a far affermare il nesso causale tra le condotte criminose contestate ai dirigenti Ilva e la verificazione del disastro ambientale, il Tribunale le liquida come “prive di pregio”.

Ma i Giudici di secondo grado non si fermano lì, e chiosano questa parte dell’ordinanza con un’illuminante periodo: “peraltro, a parere del Collegio, una relazione causale di tipo probabilistico riconosciuta in via prevalente dalla comunità scientifica potrebbe rendere possibile, anche con riferimento alle morti ed alle malattie, giungere nel caso di specie ad un giudizio prossimo alla certezza, espresso in termini di probabilità logica o credibilità razionale, in ordine alla loro derivazione causale dalle emissioni inquinanti.”

Traduzione: anche una “mera” perizia epidemiologica, se fatta bene, può esser, da sola, sufficiente a dimostrare che un numero, più o meno alto, di persone si sono ammalate e\o sono morte per la massa di cancerogeni in libertà che si sprigionava e si sprigiona ancora dallo stabilimento Taranto.

E anche secondo il Tribunale del Riesame la perizia dei professori Forastiere, Triassi e Biggeri è fatta molto bene.

Tuttavia, coloro che hanno subito un danno in questa vicenda non sono solo i malati, i morti o i parenti di questi ultimi.

Pur in maniera assai meno grave, tutti i residenti nelle zone più esposte alle immissioni nocive del siderurgico sono, in forma diversa, danneggiati, quantomeno sotto il profilo “morale”, dal reato di disastro ambientale.

Dunque, potrebbero chiedere il risarcimento di questi danni, o costituendosi parte civile in questo processo oppure (com’è preferibile, per evitare di intasare il giudizio di parti civili che, fatalmente, rallenterebbero il procedimento) promuovendo un’autonoma causa civile di danno. Lo ha affermato chiaramente la Cassazione nel 2009: “Il responsabile del disastro ambientale deve risarcire il danno morale ai residenti nell'area in quanto soggetti a rischio: va ristorata la lesione costituita dalla paura di ammalarsi come conseguenza del reato.”

Insomma, Taranto, o almeno la parte più colpita di essa, può finalmente costituirsi parte civile, anche in ambito giudiziario, contro chi ne ha fatto un emblema europeo di inquinamento e di morte.

Se non ora, quando?

Fasano, 28\8\2012