TAR Toscana Sez. I n. 64 del 19 gennaio 2017
Ambiente in genere.Procedura di VIA e assenza di impatti significativi sull’ambiente
Ai sensi della legislazione statale in materia, la condizione affinché un progetto venga escluso dalla valutazione di impatto ambientale è che esso non produca impatti significativi sull'ambiente, ciò che implica la tollerabilità di una qualche ricaduta ambientale del progetto, purché suscettibile di essere contenuta mediante il ricorso a specifiche prescrizioni (art. 20 co. 5 D.Lgs. n. 152/06). La verifica dell'assenza di impatti significativi presuppone, evidentemente, l'acquisizione in via istruttoria di tutti gli elementi conoscitivi necessari a fornire una compiuta rappresentazione dell'incidenza ambientale del progetto sottoposto al c.d. screening, elementi che la stessa legge regionale si preoccupa di indicare, dettando altresì i criteri valutativi cui la verifica di assoggettabilità è sottoposta
Pubblicato il 19/01/2017
N. 00064/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00118/2014 REG.RIC.
N. 01004/2014 REG.RIC.
N. 01147/2015 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 118 del 2014, proposto da:
Roberto Ronchi, Angelo Bianchi, Claudio Mario Pietro Gaiaschi, Purettino S.a.s. - Società Agricola di Sofia Gaiaschi & C., Werner Anselm Kainzinger, Christiane Annette Pronnet, rappresentati e difesi dagli avvocati Jacopo Michi e Fausto Falorni, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Firenze, via dell'Oriuolo 20;
contro
Comune di Pomarance, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gaetano Viciconte, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Firenze, viale G. Mazzini 60;
Provincia di Pisa, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Silvia Salvini e Maria Antonietta Antoniani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Silvia Marchese in Firenze, piazza C. Beccaria 7;
Regione Toscana;
nei confronti di
Granchi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Massimo Negrini, Franco Granchi, rappresentati e difesi dagli avvocati Monica Passalacqua e Flavia Pozzolini, con domicilio eletto presso lo studio delle stesse in Firenze, via XX Settembre 60;
sul ricorso numero di registro generale 1004 del 2014, proposto da:
Roberto Ronchi, Angelo Bianchi, Claudio Mario Pietro Gaiaschi, Purettino S.a.s. - Società Agricola di Sofia Gaiaschi & C., rappresentati e difesi dagli avvocati Jacopo Michi e Fausto Falorni, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Firenze, via dell'Oriuolo 20;
contro
Unione Montana Alta Val di Cecina, in persona del Presidente pro tempore, Comune di Pomarance, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Gaetano Viciconte, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Firenze, viale G. Mazzini 60;
Provincia di Pisa, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Silvia Salvini e Maria Antonietta Antoniani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Silvia Marchese in Firenze, piazza C. Beccaria 7;
Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fabio Ciari, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale della Regione Toscana in Firenze, piazza dell’Unità Italiana 1;
Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, in persona del Ministro pro tempore, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici e per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnografico delle Province di Pisa e Livorno, in persona del Soprintendente pro tempore, Soprintendenza per i Beni Archeologici per la Toscana – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la cui sede sono domiciliati in Firenze, via degli Arazzieri 4;
Gestione Associata Valutazione Impatto Ambientale dell'Unione Alta Val di Cecina, Comune di Monteverdi Marittimo, Comune di Montecatini Val di Cecina, Agenzia Regionale per la Protezione Ambiente - Toscana, Azienda U.S.L. n. - Pisa;
nei confronti di
Granchi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Massimo Negrini, Franco Granchi, rappresentati e difesi dagli avvocati Monica Passalacqua e Flavia Pozzolini, con domicilio eletto presso lo studio delle stesse in Firenze, via XX Settembre 60;
sul ricorso numero di registro generale 1147 del 2015, proposto da:
Roberto Ronchi, Angelo Bianchi, Claudio Mario Pietro Gaiaschi, Purettino S.a.s. - Società Agricola di Mario Gaiaschi & C., rappresentati e difesi dagli avvocati Jacopo Michi e Fausto Falorni, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Firenze, via dell'Oriuolo 20;
contro
Comune di Pomarance, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gaetano Viciconte, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Firenze, viale G. Mazzini 60;
Provincia di Pisa, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Silvia Salvini e Maria Antonietta Antoniani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Silvia Marchese in Firenze, piazza C. Beccaria 7;
Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, in persona del Ministro pro tempore, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici e per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnografico delle Province di Pisa e Livorno, in persona del Soprintendente pro tempore, Soprintendenza per i Beni Archeologici per la Toscana – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la cui sede sono domiciliati in Firenze, via degli Arazzieri 4;
Comunità Montana Alta Val di Cecina, Comune di Monteverdi Marittimo, Comune di Montecatini Val di Cecina, Gestione Associata Valutazione Impatto Ambientale Unione Montana Alta Val di Cecina, Regione Toscana, Agenzia Regionale Protezione Ambiente - Toscana, Azienda U.S.L. n. 5 - Pisa;
nei confronti di
Granchi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Massimo Negrini, Franco Granchi, rappresentati e difesi dagli avvocati Monica Passalacqua e Flavia Pozzolini, con domicilio eletto presso lo studio delle stesse in Firenze, via XX Settembre 60;
A.S.A. – Azienda Servizi Ambientali S.p.A.;
per l'annullamento,
quanto al ricorso n. 118 del 2014:
-della variante al Regolamento Urbanistico del Comune di Pomarance di recepimento e adeguamento al P.A.E.R.P. della Provincia di Pisa - I stralcio, adottata con deliberazione del Consiglio Comunale n.11 in data 27.3.2013 ed approvata con deliberazione del Consiglio Comunale n.51 in data 19.9.2013, con contestuale svolgimento e positiva conclusione della procedura di VAS;
- del Piano delle attività estrattive di recupero delle aree escavate e riutilizzo dei residui recuperabili (P.A.E.R.P.) della Provincia di Pisa, I stralcio, adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.105 in data 16.12.2010, con contestuale svolgimento e positiva conclusione della procedura VAS;
nonché di tutti gli atti presupposti, conseguenti e comunque connessi, ancorché sconosciuti ai ricorrenti, tra cui:
i seguenti atti del Comune di Pomarance relativi al procedimento di variante al Regolamento Urbanistico ed alla connessa Valutazione Ambientale Strategica;
- di tutti gli atti e gli elaborati della variante al Regolamento Urbanistico (tra cui la relazione illustrativa, le N.T.A., la scheda relativa alla cava in località Podere Santa Emilia, le tavole grafiche, ecc.);
- il provvedimento del Settore Gestione del Territorio n.489 del 29.12.2011;
- la delibera della Giunta Comunale n.20 in data 3.2.2010;
- la delibera della Giunta Comunale n.177 del 14.8.2012;
- la nota prot.n.6579/VI/3 del 14.8.2012;
- la delibera della Giunta Comunale n.234 del 21.11.2012;
- la nota in data 12.4.2013 prot.3010;
- la nota in data 16.4.2013 prot.3063;
i seguenti atti della Provincia di Pisa, relativi al procedimento di formazione del P.A.E.R.P. ed alla connessa Valutazione Ambientale Strategica:
- tutti gli atti e gli elaborati del P.A.E.R.P. (tra cui le tavole grafiche, la scheda relativa alla cava in località Podere Santa Emilia, la relazione tecnica, la relazione sintetica, ecc.) e della VAS (tra cui il parere motivato, il rapporto ambientale, la relazione di sintesi, ecc.);
- la delibera del Consiglio Provinciale n.12 del 12.2.2009 e tutti gli atti ad essa allegati;
- la delibera della Giunta Provinciale n.74 del 7.4.2010;
- la delibera della Giunta Provinciale n.206 del 1.12.2010;
e, in quanto occorrer possa, l'art.4 del Regolamento Regionale approvato con D.P.G.R. 23.2.2007, n. 10/R..
Quanto al ricorso n. 1004 del 2014:
- della determinazione n. 424 in data 8.4.2014 del Dirigente del Settore Tecnico dell’Unione Montana Alta Val di Cecina, che - nel concludere il procedimento di verifica di assoggettabilità a V.I.A. - ha escluso, ai sensi dell’art. 49 della L.R. n.10/2010 e s.m.i., dalla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, il “Progetto di coltivazione di una cava di inerti in loc. S. Emilia (Comune di Pomarance)”, presentato dal proponente Granchi s.r.l., con sede in Pomarance (Pi), loc. Ponte di Ferro, 296;
nonché di tutti gli atti presupposti, conseguenti e comunque connessi, ancorché sconosciuti ai ricorrenti, tra cui:
- la nota della Regione Toscana – Direzione Generale Politiche Ambientali, Energia e Cambiamenti Climatici – Settore Autorità di Vigilanza sulle Attività Minerarie, assunta al protocollo dell’Unione Montana Alta Val di Cecina in data 23.12.2013, prot. n. 7657;
- il parere della Provincia di Pisa – Settore Ambiente U.O. VIA – AIA del 10.01.2014, prot. n. 11573;
- il parere dell’ARPAT - Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana trasmesso con nota del 10.01.2014, prot. n. PI.01.03.28/7.1;
- la nota dell’Azienda USL 5 di Pisa in data 13.01.2014, prot. n. 1409;
- il parere della Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per le Province di Pisa e Livorno in data 13.1.2014, prot. n. 347;
- il parere di competenza del Dirigente Settore Gestione del Territorio – Servizio Edilizia Privata del Comune di Pomarance in data 10.01.2013 (rectius: 2014), prot. n. 218/VI-3;
- il “contributo istruttorio per gli aspetti del vincolo idrogeologico alla C.D.S. del 14/01/2014”, a firma del Dott. Geol. Simone Fiaschi, in data 13.1.2014;
- il verbale della Conferenza dei Servizi tenutasi in data 13.1.2014, redatto su carta intestata del Settore Tecnico - Gestione Associata Valutazione Impatto Ambientale dell’Unione Montana Alta Val Di Cecina;
- la nota in data 22.1.2014, contenente la richiesta di documentazione integrativa indicata nel verbale della Conferenza dei Servizi in data 13.1.2014;
- il “parere sulle integrazioni” dell’ARPAT - Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana trasmesso con nota del 25.3.2014, prot. n. PI.01.03.28/7.1;
- il parere istruttorio della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana – Firenze in data 31.3.2014, prot. n. 0004940;
- il “parere di competenza a seguito presentazione integrazioni” del Dirigente Settore Gestione del Territorio – Servizio Edilizia Privata del Comune di Pomarance in data 1.4.2014, prot. n. 2834/VI-3;
- la nota dell’Azienda USL 5 di Pisa in data 26.3.2014, prot. n. 18683/2014;
- il parere della Provincia di Pisa – Settore Ambiente U.O. VIA – AIA del 31.3.2014, prot. n. 84555/DP.06.00;
- il verbale della Conferenza dei Servizi tenutasi in data 1.4.2014, redatto su carta intestata del Settore Tecnico - Gestione Associata Valutazione Impatto Ambientale dell’Unione Montana Alta Val Di Cecina;
- il “contributo istruttorio per gli aspetti del vincolo idrogeologico alla C.D.S. del 01/04/2014”, a firma del Dott. Geol. Simone Fiaschi recante la data (evidentemente errata) del 13.1.2014;
- il parere della Commissione del Paesaggio del Comune di Pomarance in data 4.4.2014;
- il verbale della Conferenza dei Servizi tenutasi in data 7.4.2014, redatto su carta intestata del Settore Tecnico - Gestione Associata Valutazione Impatto Ambientale dell’Unione Montana Alta Val Di Cecina;
- la nota di comunicazione dell’Unione Montana Alta Val di Cecina, prot. n. 2139/6.9.1. in data 23.4.2014.
Quanto al ricorso n. 1147 del 2015:
del verbale della conferenza di servizi tenutasi il 27.4.2015 del Settore Gestione del Territorio-Servizio Urbanistica-Edilizia Privata del Comune di Pomarance, nonché di tutti gli atti presupposti, conseguenti e comunque connessi, ancorché sconosciuti ai ricorrenti;
ed altresì, con motivi aggiunti depositati il 9.11.2015:
- dell'Autorizzazione n.1 del 28.10.2015, a firma del Direttore del Settore Gestione del Territorio - Servizio Edilizia Privata del Comune di Pomarance, "per l'attività di coltivazione" della cava posta in località Sant'Emilia, e dei relativi allegati;
- della nota del Settore Gestione del Territorio - Servizio Urbanistica Edilizia Privata del Comune di Pomarance, in data 19.6.2015, prot.n.5158;
- di tutti gli atti presupposti, conseguenti e comunque connessi, ancorché sconosciuti ai ricorrenti.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pomarance, della Provincia di Pisa, dei controinteressati Massimo Negrini, Franco Granchi e Granchi S.r.l., dell’Unione Montana Alta Val di Cecina, della Regione Toscana e del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, della Soprintendenza B.A.P.S.A.E. per le Province di Pisa e Livorno e della Soprintendenza per i Beni Archeologici per la Toscana – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2016 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I signori Roberto Ronchi, Angelo Bianchi, Claudio Mario Pietro Gaiaschi, Werner Anselm Kainzinger, Christiane Annette Pronnet e la Purettino S.a.s. di Sofia Gaiaschi & C. sono proprietari nel Comune di Pomarance di alcuni poderi e case coloniche ubicati nell’area collinare compresa tra la località “Il Palagetto” e la riserva naturale del Berignone, e adibiti a residenza, nonché allo svolgimento di attività agrituristiche e agricole (agricoltura biologica).
1.1. Premessa l’eccezionale bellezza e rilevanza del contesto naturalistico e ambientale in questione, attestata dall’esistenza di vincoli paesaggistici sin dal 1960 ed altresì espressamente riconosciuta dai vigenti strumenti di governo del territorio, con un primo ricorso, iscritto al n. 118 R.G. 2014, il signor Ronchi e i suoi litisconsorti insorgono avverso il primo stralcio del piano delle attività estrattive, approvato dalla Provincia di Pisa con deliberazione n. 105 del 27 maggio 2010, e la conforme variante di adeguamento al regolamento urbanistico comunale di Pomarance, approvata con deliberazione n. 51 del 19 settembre 2013, nella parte in cui individuano in località Santa Emilia, nei pressi degli immobili di loro proprietà e su fondi attualmente ricoperti da terreno coltivato e bosco, una cava di ghiaia e sabbia estesa per oltre 125.000 metri quadrati, con volume estraibile pari a 1.400.000 metri cubi.
I ricorrenti sostengono che la scelta – incongrua – del pianificatore provinciale, non preceduta da valutazione ambientale strategica e neppure imposta dalla soprastante pianificazione regionale, avrebbe quantomeno richiesto lo svolgimento, da parte del Comune di Pomarance, di un’attenta e ponderata istruttoria circa gli effetti dell’apertura della cava in un simile contesto ambientale. Sulla scorta di quattordici motivi in diritto, essi concludono dunque per l’annullamento del piano provinciale e della variante al regolamento urbanistico comunale.
1.2. Con successivo ricorso, iscritto al n. 1004 R.G. 2014, i soli signori Ronchi, Bianchi e Gaiaschi, unitamente alla Purettino S.a.s., impugnano la determinazione n. 424 dell’8 aprile 2014, in epigrafe, mediante la quale è stato escluso dalla sottoposizione a valutazione di impatto ambientale il progetto di coltivazione della cava di inerti ubicata presso la località S. Emilia del Comune di Pomarance, presentato dalla Granchi S.r.l., e ne chiedono l’annullamento deducendone l’illegittimità in ordine a dieci motivi in diritto.
1.3. Con un terzo ricorso, iscritto al n. 1147 R.G. 2015, i medesimi Ronchi, Bianchi, Gaiaschi e Purettino S.a.s. impugnano, infine, la determinazione conclusiva della conferenza di servizi indetta dal Comune di Pomarance, adottata il 27 aprile 2015 e recante parere favorevole in merito alla coltivazione della cava in località S. Emilia.
Con motivi aggiunti in seno allo stesso giudizio, l’impugnazione è stata quindi estesa all’autorizzazione alla coltivazione della cava, rilasciata dal Comune di Pomarance alla Granchi S.r.l. con provvedimento del 28 ottobre 2015.
1.4. In ciascuno dei ricorsi menzionati si sono costituiti, per resistere alle domande proposte, il Comune di Pomarance, la Provincia di Pisa e i controinteressati Granchi S.r.l., Franco Granchi e Massimo Negrini.
Nel procedimento n. 1004/2014 R.G., si sono altresì costituiti la Regione Toscana e il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali con la Soprintendenza B.A.P.S.A.E. delle Province di Pisa e Livorno e la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana.
Le amministrazioni statali sono costituite anche nel giudizio n. 1147/2015 R.G..
1.5. Nella camera di consiglio del 9 dicembre 2015, il collegio ha respinto la domanda cautelare di sospensiva formulata in seno ai motivi aggiunti proposti nel ricorso n. 1147/2015 R.G..
1.6. Le tre cause sono state infine discusse congiuntamente nella pubblica udienza del 26 ottobre 2016, e trattenute per la decisione.
2. Come già riferito, il primo stralcio del piano delle attività estrattive della Provincia di Pisa, (P.A.E.R.P.) approvato con deliberazione n. 105/2010, identifica nel territorio del Comune di Pomarance un’area di cava denominata “podere Santa Emilia”, su terreno di proprietà dei signori Franco Granchi e Massimo Negrini.
La previsione è stata recepita dal Comune di Pomarance attraverso variante di adeguamento del regolamento urbanistico approvata a sua volta con deliberazione n. 51/2013.
Il progetto di coltivazione della cava Santa Emilia, presentato dalla Granchi S.r.l., avente causa dai proprietari della cava, è stato escluso dalla sottoposizione a valutazione di impatto ambientale in forza di provvedimento dell’Unione Montana dell’Alta Val di Cecina in data 8 aprile 2014. Il 28 ottobre 2015, la Granchi S.r.l. è stata autorizzata dal Comune di Pomarance all’attività di coltivazione della cava.
La descritta sequenza di provvedimenti forma oggetto delle impugnative proposte, con i ricorsi iscritti ai nn. 118 e 1004 R.G. 2014, 1147 R.G. 2015, da alcuni proprietari di poderi che si trovano in un raggio di 1.500 metri dal perimetro del sito estrattivo, e dai quali l’area di cava è visibile. Costoro, con ciò rivendicando la propria legittimazione ad agire, lamentano in primo luogo che l’apertura della cava determinerebbe una radicale diminuzione del valore di mercato degli immobili di loro proprietà, oltre che un sensibile peggioramento della qualità della vita di tutti i residenti nella zona a causa del maggior carico di inquinamento, traffico veicolare e rumore dovuto all’attività di estrazione.
A questi pregiudizi si aggiungerebbe, per i ricorrenti Ronchi, Bianchi, Gaiaschi e Purettino S.a.s., il pesantissimo danno arrecato alle strutture ricettive da essi gestite dalla perdita di amenità dell’area, attualmente frequentata dai turisti unicamente in ragione della bellezza e tranquillità dei luoghi, attributi destinati a venire meno con l’apertura della cava.
2.1. Evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva rendono opportuna la riunione delle controversie, ai fini della loro trattazione e decisione congiunta.
3. In via pregiudiziale, la Provincia di Pisa eccepisce il proprio sopravvenuto difetto di legittimazione passiva nei ricorsi n. 1004 R.G. 2014 e n. 1147 R.G. 2015 atteso che, a partire dal 1 gennaio 2016, essa non eserciterebbe più alcuna funzione nelle materie dell’ambiente e della difesa del suolo, trasferite alla Regione Toscana dalla legge regionale n. 22/2015, attuativa dell’accordo raggiunto nella conferenza unificata fra Stato, Regioni, Comuni e Province indetta ai sensi dell’art. 1 co. 91 della legge n. 56/2014.
La legittimazione provinciale non potrebbe poi fondarsi sull’art. 10 della citata legge regionale n. 22/2015, che esclude dalla successione tra Province e Regione i procedimenti già avviati al momento del trasferimento delle funzioni. Detta disposizione si porrebbe infatti in insanabile contrasto con l’art. 1 co. 56 della parimenti citata legge n. 56/2014, che contempla un’ipotesi di successione ex lege nelle funzioni provinciali e che, operando in ambito riservato al legislatore statale dall’art. 117 co. 2 lett. l) Cost., non potrebbe essere contraddetto dai legislatori regionali.
Analogamente l’art. 11-bis della stessa legge regionale toscana n. 22/2015, nel perpetuare la competenza delle Province relativamente alle controversie attinenti procedimenti originati da fatti anteriori al 1 gennaio 2016, contrasterebbe con le previsioni di cui alla legge n. 56/2014.
Sia dell’art. 10, sia dell’art. 11-bis l.r. toscana n. 22/2015, la Provincia resistente sollecita il T.A.R. a sollevare questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 97, 3 e 24 Cost..
3.1. L’eccezione è infondata.
3.1.1. La legge statale n. 56/2014, recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni” (la c.d. “abolizione delle province”), all’art. 1 comma 89 demanda allo Stato e alle Regioni, secondo le rispettive competenze, di attribuire le funzioni provinciali, diverse da quelle che la stessa legge individua come fondamentali, in attuazione dell'art. 118 della Costituzione e per il perseguimento di una serie di finalità ivi elencate.
Il successivo comma 96, lett. c), prevede quindi che, nell’ipotesi di trasferimento ad altri enti di funzioni già provinciali, l’ente subentrante “succede anche nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso; il trasferimento delle risorse tiene conto anche delle passività; sono trasferite le risorse incassate relative a pagamenti non ancora effettuati, che rientrano nei rapporti trasferiti”.
Come già statuito dalla Sezione (sentenza 27 giugno 2016, n. 1075), la disposizione non può che essere letta alla luce dei principi generali che governano la successione nel processo: precisato che la legge n. 56/2014 non ha determinato l’estinzione delle province, il riordino delle funzioni, e di quelle non fondamentali in particolare, dà luogo a una successione a titolo particolare disciplinata dall’art. 111 c.p.c., applicabile nel processo amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a.; di modo che, nei singoli giudizi pendenti, la successione dell’ente subentrato alla provincia resta comunque mediata dall’iniziativa delle parti, ovvero all’intervento dell’ente subentrante o alla sua chiamata in giudizio, e alla eventuale estromissione della provincia.
Diversamente, il processo prosegue tra le parti originarie. E, del resto, il citato art. 1 co. 96 lett. c), ancorché disponga la successione nei rapporti attivi e passivi con espressa estensione al contenzioso, non appresta alla scopo specifici meccanismi processuali, dovendosi perciò ritenere che abbia implicitamente inteso rinviare a quelli disciplinati dai codici di rito (l’espressione “compreso il contenzioso”, adoperata dal legislatore del 2014, è a ben vedere sovrabbondante, atteso che la successione nei rapporti attivi e passivi di per sé include i rapporti controversi, rispetto ai quali non può che operare la disciplina dell’art. 111 c.p.c.).
Resta fermo che la sentenza produce effetti nei confronti dell’ente subentrante, mentre i rapporti interni fra enti sono regolati dalla normativa sostanziale che ha previsto la successione.
3.1.2. Tanto premesso, l’art. 2 delle legge regionale toscana n. 22/2015, attuativa della legge n. 56/2014, ha trasferito dalle province alla Regione una serie di funzioni, ivi comprese quelle in materia ambientale e di tutela del suolo oggetto delle controversie in esame.
Il trasferimento delle funzioni e del personale decorre dal 1° gennaio 2016 (art. 9 co. 1 l.r. n. 22/2015). Esso non coincide, peraltro, con il trasferimento dei beni, delle risorse strumentali e dei rapporti attivi e passivi in corso, affidato alla conclusione di accordi organizzativi da formalizzarsi a mezzo di deliberazione della Giunta regionale entro un anno dal trasferimento delle funzioni (art. 10 co. 1 e 13 l.r. n. 22/2015); e la conclusione di un siffatto accordo con la Regione non è stata neppure allegata dalla Provincia di Pisa.
Dalla successione nei beni e nei rapporti attivi e passivi sono esclusi “i procedimenti già avviati al momento del trasferimento delle funzioni. Le province e la città metropolitana concludono tali procedimenti, mantengono la titolarità dei rapporti attivi e passivi da essi generati, curano l’eventuale contenzioso e l’esecuzione delle sentenze che ad essi si riferiscono” (art. 10 co. 3 l.r. n. 22/2015). La norma è criticata dalla resistente Provincia di Pisa, la quale ne ravvisa il contrasto con l’art. 1 co. 96 della legge n. 56/2014: essa, tuttavia, non trova applicazione nella fattispecie, giacché gli atti provinciali qui impugnati afferiscono a procedimenti oramai definiti, e non a “procedimenti già avviati” ed ancora in corso.
Del pari si riferisce ai procedimenti in corso l’art. 11-bis l.r. n. 22/2015, che, in deroga al precedente art. 10, prevede il subingresso della Regione, per quanto qui interessa, nei rapporti attivi e passivi connessi allo svolgimento dei procedimenti in materia di ambiente e di difesa del suolo, quanto ai secondi limitatamente al caso in cui le risorse siano già previste nel bilancio regionale. Ancora una volta, il subingresso è condizionato all’individuazione puntuale dei procedimenti interessati, da effettuarsi con deliberazione della Giunta regionale, che, per inciso, non risulta essere stata adottata con riguardo ai procedimenti in questione.
Ai fini della legittimazione processuale della Provincia non rileva, pertanto, il comma 5 dell’art. 11-bis, che esclude comunque dal trasferimento alla Regione “le controversie […]originate da fatti antecedenti alla data del 1° gennaio 2016, e l’esecuzione delle relative sentenze, con riferimento agli eventuali effetti di natura finanziaria da esse derivanti”. La norma pone infatti un limite all’effettività di trasferimenti che, come detto, non risultano allo stato deliberati; e, in ogni caso, ha un’esclusiva valenza nei rapporti interni fra province e Regione, in ordine agli effetti finanziari del contenzioso pregresso.
A venire in considerazione è, semmai, il comma 17 dell’art. 10, in forza del quale “Per quanto non diversamente regolato dalla presente legge, a seguito del trasferimento delle funzioni deriva la successione nei diritti e nelle eventuali relative controversie, ferma restando la disciplina dell’articolo 111 del codice di procedura civile, ove applicabile”. La previsione, modificata dalla legge regionale n. 9/2016 con l’aggiunta del riferimento all’art. 111 c.p.c., non fa altro che esplicitare quanto già stabilito dall’art. 1 co. 96 lett. c) della legge n. 56/2014, nella lettura che se ne è data inizialmente, risultandone confermata la persistente legittimazione della Provincia a stare in giudizio, salva l’opponibilità di eventuali effetti conformativi della sentenza alla Regione, divenuta frattanto titolare della funzione del cui esercizio si discute.
Va esclusa, conseguentemente, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollecitata dalla stessa Provincia nei confronti dei citati artt. 10 co. 3 e 11-bis l.r. n. 22/2015.
4. Ancora, la Provincia di Pisa eccepisce l’inammissibilità dei gravami per difetto di legittimazione e di interesse ad agire in capo ai ricorrenti. Costoro non avrebbero fornito una prova sufficiente circa la titolarità di una posizione qualificata e differenziata, e di un interesse attuale e concreto, dal momento che la previsione del sito di cava e il relativo inserimento paesaggistico e ambientale sarebbero stati attentamente valutati sia in sede di pianificazione, sia in sede di verifica di assoggettabilità a V.I.A., sia nell’ambito della procedura per il rilascio dell’autorizzazione all’attività; mentre le doglianze svolte con i ricorsi sarebbero il frutto di affermazioni indimostrate e del tutto contestabili.
4.1.1. Neppure tale eccezione coglie nel segno.
La giurisprudenza, anche di questo T.A.R., è oramai orientata nel senso che una situazione di stabile e significativo collegamento (c.d. vicinitas) con una porzione di territorio interessata da attività di trasformazione, non necessariamente di carattere edilizio, fonda la legittimazione a impugnare in giudizio gli atti e provvedimenti amministrativi in virtù dei quali si pretende di operare quella trasformazione. Alla prova della legittimazione, deve accompagnarsi quantomeno l’allegazione dello specifico pregiudizio arrecato dagli atti impugnati alla sfera giuridica del ricorrente, che può consistere nella perdita di valore di beni di proprietà, ovvero in una obiettiva compromissione della salute, dell’ambiente, purché assuma una concreta dimensione individuale e non si risolva nell’affermazione di un nocumento generico, come tale rivendicabile da qualsiasi soggetto residente, anche non stabilmente, nella zona interessata dall’azione amministrativa (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2016, n. 1861; id., 22 febbraio 2016, n. 719).
Nella specie, risulta dagli atti che le case coloniche dei poderi Santa Emilia, Santa Lina e Santa Bianca, di proprietà rispettivamente dei ricorrenti Ronchi, Bianchi e Gaiaschi, sorgono nelle immediate vicinanze della cava Santa Emilia. Il podere Santa Emilia è addirittura a ridosso del fronte di cava e, insieme agli altri due, è inserito nella “carta dell’intervisibilità” predisposta dalla controinteressata Granchi S.r.l. all’interno della fascia della “vista di primo piano” dell’area estrattiva dalle zone limitrofe.
A una distanza di poco superiore in linea d’aria si trova il podere Sant’Arturo, di proprietà dei ricorrenti Kainzinger e Pronnet (inserito nella carta dell’intervisibilità all’interno della fascia della “vista intermedia”), mentre il podere Purettino si trova a circa 800 metri dalla cava, in linea d’aria, in posizione elevata, dalla quale l’area estrattiva è pur sempre visibile (si veda, ancora, la carta dell’intervisibilità).
La vicinanza dell’area di cava alle proprietà dei ricorrenti, così come la sua visibilità, è riconosciuta dalla stessa Provincia, che, nel contributo tecnico depositato sub 27, tenta di dimostrare il contenuto impatto visivo della cava, ma lo fa servendosi di elaborazioni fotografiche alle quali non può riconoscersi sufficiente attendibilità a fronte delle specifiche contestazioni mosse dai ricorrenti con la memoria difensiva del 5 ottobre 2016.
4.1.2. Assodato, in punto di legittimazione ad agire, il presupposto della vicinitas, sul piano dell’interesse processuale non può non rilevarsi come l’apertura di una cava – per le sue caratteristiche di attività industriale – produca un impatto negativo sull’assetto urbanistico, paesaggistico e ambientale del territorio di riferimento, nella misura in cui determina un complessivo aumento dei carichi inquinanti riferiti a emissioni in atmosfera e nei recettori idrici, produzione di rifiuti, rumorosità, traffico di mezzi pesanti, per tacere del disturbo visivo arrecato dalla presenza dell’impianto.
Nella specie, i molteplici profili nei quali il concreto impatto della cava si manifesta sono tutti plasticamente descritti nel provvedimento di esclusione dalla V.I.A. del progetto di coltivazione della cava Santa Emilia, impugnato con il ricorso n. 1004/2014 R.G.. E che l’apertura di cave sia fonte di “disagio ambientale… per quanto si cerchi di minimizzarlo” è espressamente riconosciuto nella stessa relazione provinciale sui criteri per la redazione del P.A.E.R.P., così come la concreta incidenza paesaggistica dell’apertura della cava Santa Emilia è attestata dai pareri resi dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Pisa e Livorno e dalla Commissione per il paesaggio del Comune di Pomarance in seno al procedimento per la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale del progetto di coltivazione della cava.
Non può dunque negarsi che i ricorrenti, in quanto proprietari di immobili in una zona di riconosciuto pregio paesaggistico-ambientale, abbiano interesse a verificare la legittimità delle decisioni che in sede amministrativa hanno condotto all’insediamento della cava in prossimità delle loro abitazioni, e ciò in funzione di tutela sia della propria qualità della vita, sia del valore economico dei loro beni, ben potendosi presumere che l’una e l’altro siano diminuiti dalla vicinanza della cava (in questo senso la giurisprudenza si è più volte pronunciata: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 1229; id., sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4728; id., sez. VI, 16 febbraio 2005, n. 479).
A questo si aggiunge l’ulteriore profilo che attiene alla tutela delle attività imprenditoriali turistico-ricettive condotte dagli stessi ricorrenti presso quegli immobili.
È, infatti, di intuitiva evidenza che l’amenità e la tranquillità dei luoghi orientano la clientela che intende praticare l’agriturismo, di modo che qualsiasi fattore negativamente incidente sul contesto ove sono ubicate le strutture ricettive determina a carico dei titolari di queste ultime uno svantaggio competitivo, che in definitiva si traduce nella minore redditività/minor valore delle attività medesime.
Al riguardo, appare del tutto fuori luogo il tentativo della Provincia di Pisa di equiparare la vicinanza della cava a quella di una stalla, se non altro perché, nel caso in esame, mentre la presenza della cava e il suo impatto sul territorio sono certi (salvo verificare, come si farà trattando del merito dei ricorsi, la correttezza delle sottostanti scelte amministrative), nessuna delle strutture ricettive gestite dai ricorrenti risulta edificata in prossimità di stalle, né, tantomeno, di allevamenti di dimensioni paragonabili, per dimensioni, a fenomeni industriali quali l’attività estrattiva, il che rende l’osservazione provinciale del tutto irrilevante.
Quanto alla presunta transitorietà del disturbo provocato dalla presenza della cava, basti rilevare che il periodo di quattro anni e cinque mesi di durata dell’autorizzazione rilasciata alla società controinteressata eccede ampiamente la normale tollerabilità, costituendo un lasso di tempo sufficiente ad arrecare una stabile compromissione degli interessi pregiudicati dall’attività estrattiva.
5. La Provincia e di Pisa e i controinteressati Granchi, Negrini e Granchi S.r.l. eccepiscono, altresì, l’irricevibilità dell’impugnazione proposta nei confronti del piano delle attività estrattive approvato dalla Provincia di Pisa. Trattandosi di atto immediatamente lesivo, esso avrebbe dovuto essere impugnato nel termine di decadenza decorrente dalla scadenza del periodo di pubblicazione, e i ricorrenti avrebbero pertanto tardato nel differirne l’impugnativa solo al momento dell’approvazione della variante di adeguamento del regolamento urbanistico del Comune di Pomarance.
In contrario, deve osservarsi che – nel sistema delineato dagli artt. 7 e seguenti della legge regionale toscana n. 78/1998, oggi abrogati dalla legge regionale n. 35/2015, ma applicabili ratione temporis alla fattispecie – le prescrizioni localizzative del P.A.E.R.P., ancorché vincolanti per la pianificazione comunale, di per sé sono improduttive di effetti nei confronti di chi, come gli odierni ricorrenti, riveste la posizione di terzo controinteressato rispetto allo svolgimento dell’attività estrattiva e, pertanto, non può dirsi destinatario di alcun pregiudizio attuale quantomeno sino a quando quelle localizzazioni non vengano recepite e rese concretamente realizzabili dallo strumento urbanistico operativo, rappresentato, nell’ordinamento toscano, dal regolamento urbanistico recante la disciplina delle trasformazioni degli assetti insediativi, infrastrutturali ed edilizi del territorio a norma dell’art. 55 l.r. n. 1/2005, vigente all’epoca dei fatti di causa.
Ne discende la piena ammissibilità e ricevibilità del ricorso contro il P.A.E.R.P., correttamente impugnato – come atto presupposto – insieme alla variante di adeguamento del R.U. approvata dal Comune di Pomarance con deliberazione n. 51/2013.
I due atti formano oggetto del ricorso n. 118/2014 R.G., dal quale muoverà l’esame del merito del contenzioso, atteso che l’ordine logico delle questioni da esaminare coincide con la scansione cronologica dei provvedimenti impugnati.
6. Sul ricorso n. 118/2014 R.G..
6.1. Con il primo motivo di gravame, i ricorrenti sostengono che l’approvazione del piano provinciale delle attività estrattive, condotta per stralci e non in modo unitario, contrasterebbe con la disciplina regionale della materia e, segnatamente, con gli artt. 7 e 9 della legge regionale n. 78/1998 e con il regolamento di cui alla D.P.G.R. n. 10/R del 23 febbraio 2007. La necessaria unitarietà della pianificazione provinciale, sancita anche dal piano regionale delle attività estrattive, risponderebbe all’esigenza di garantire che dette attività siano pianificate dalla Provincia sulla base di una visione d’insieme del proprio territorio; ove così non fosse, sarebbe impossibile comprendere l’entità dei fabbisogni di materiale estrattivo, con il rischio di dare luogo a potenziali squilibri, soprattutto laddove l’approvazione dei diversi stralci avvenga a grande distanza di tempo.
La pianificazione per stralci, del resto, non potrebbe giustificarsi in ragione della necessità di fare fronte a situazioni di crisi del settore, e, come affermato dalla Provincia nella relazione tecnica allegata al P.A.E.R.P., di rispondere alla crisi occupazionale del settore estrattivo in determinate aree del territorio.
6.2. Con il secondo motivo, sono denunciate le illogicità ed incongruenze che vizierebbero uno degli aspetti decisivi del piano provinciale impugnato, vale a dire la stima del fabbisogno di materiali inerti.
Il bilanciamento tra domanda e offerta di materiali estraibili troverebbe fondamento nell’art. 4 co. lett. c) della citata legge regionale n. 78/1998, recepito dal piano regionale delle attività estrattive, che individua la stima dei fabbisogni riferita alle diverse tipologie di materiale come elemento conoscitivo fondamentale della pianificazione. Di esso non avrebbe invece tenuto conto il piano provinciale impugnato, che – pur constatando il sovradimensionamento dei fabbisogni ad opera del piano regionale – avrebbe perseverato nel fare applicazione di un criterio previsionale errato, perché fondato sulla presunzione della crescita tendenziale o, quantomeno, della stabilità nel tempo dei fabbisogni.
Il piano approvato dalla Provincia di Pisa non conterrebbe alcun elemento a supporto della previsione secondo cui il fabbisogno di materiali di cava sarebbe stato destinato a crescere con continuità nei successivi dieci anni, né terrebbe conto delle ricadute della nota crisi che ha colpito l’economia mondiale in tutti i suoi settori e che in Italia, per quanto qui interessa, ha gravemente penalizzato il settore dell’edilizia.
Né sarebbe dato comprendere quali ragioni avrebbero giustificato l’attribuzione ai territori inseriti nel primo stralcio del P.A.E.R.P. di una percentuale del 30% del fabbisogno complessivo di inerti dell’intera Provincia: secondo quanto riconosciuto dal soprastante piano regionale, il fabbisogno della zona meridionale della Provincia di Pisa – quella interessata dal primo stralcio del piano provinciale – rappresenterebbe infatti l’11% del valore del complessivo fabbisogno provinciale; con il risultato che il piano provinciale avrebbe assegnato all’area interessata dal primo stralcio il compito di coprire un fabbisogno di gran lunga superiore a quello stimato, il tutto in assenza di adeguata istruttoria e sulla scorta di una valutazione del tutto approssimativa della ripartizione dei fabbisogni fra le diverse zone del territorio provinciale.
Le carenze dell’istruttoria svolta dalla Provincia riguarderebbero altresì la stima delle quantità di materiali di recupero riutilizzabili per soddisfare una parte dei fabbisogni, eseguita sulla base di dati definiti “sporadici” dalla stessa amministrazione procedente. Tale modus procedendi avrebbe illegittimamente condotto alla localizzazione di ben dieci nuove cave nel territorio di Pomarance, compresa quella in località Santa Emilia, con un aumento del 250% rispetto alla situazione precedente, benché – affermano i ricorrenti – sia la stessa Provincia a riconoscere di aver ecceduto nella localizzazione nuovi siti, avuto riguardo al fabbisogno di materiale (già di per sé sovrastimato).
6.3. La considerazione da ultimo riferita conduce al terzo motivo di gravame, con il quale si ribadisce che l’individuazione dei nuovi siti di cava sarebbe avvenuta disattendendo tutte le prescrizioni imposte dalla normativa vigente ed i più elementari criteri di logica e razionalità.
La Provincia avrebbe individuato un numero così alto di nuovi siti di cava, da determinare un surplus nell’offerta di materiale estraibile pari a circa il 150% del fabbisogno stimato. Resasi essa stessa conto di tale incongruenza (le nuove localizzazioni hanno il dichiarato intento di coprire le carenze della produzione di inerti), la Provincia avrebbe poi deciso di selezionare alcuni giacimenti “prioritari”, dando preferenza non soltanto ai siti già individuati dal P.R.A.E.R., ma anche – in maniera arbitraria – a quelli dotati delle maggiori volumetrie disponibili, in modo da concentrare l’estrazione nel minoro numero possibile di siti.
Il criterio adottato non risponderebbe ad alcuno degli obiettivi enucleati dal pianificatore regionale e recepiti dallo stesso P.A.E.R.P. pisano, ed anzi si porrebbe in contraddizione con essi. Nell’individuare il più ampio numero possibile di siti di cava, evidentemente per venire incontro alle pressanti richieste in tal senso, la Provincia avrebbe trascurato di effettuare le doverose valutazioni relativamente all’impatto sul paesaggio delle nuove localizzazioni e alla loro compatibilità con le infrastrutture viarie esistenti, e l’omissione riguarderebbe nello specifico la cava in località Santa Emilia, la cui individuazione non sarebbe stata accompagnata da alcun approfondimento circa il pregio ambientale dell’area di riferimento e circa la mancanza di idonee vie di accesso.
6.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono delle lacune istruttorie e motivazionali che avrebbero contraddistinto la procedura di valutazione ambientale strategica condotta dalla Provincia di Pisa ai fini dell’approvazione del primo stralcio del P.A.E.R.P..
Gli atti della procedura di V.A.S. – rapporto ambientale, parere motivato, relazione di sintesi – si limiterebbero ad affermazioni assolutamente generiche e astratte circa il complesso delle scelte pianificatorie compiute dalla Provincia e, soprattutto, non conterrebbero alcuna indicazione in ordine all’impatto ambientale cagionato dalla localizzazione della nuova cava in località Santa Emilia, come pure in ordine agli effetti della localizzazione di un elevato numero di nuove cave.
6.5. Fra gli atti della procedura di V.A.S., il parere motivato espresso dalla Giunta provinciale con delibera n. 206 del 1 dicembre 2010 è investito dalle censure articolate con il quinto motivo, diretto a evidenziare come la Provincia si sia discostata dalle osservazioni impartite dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali in sede di partecipazione al procedimento. Il piano impugnato non terrebbe in adeguata considerazione l’impatto paesaggistico delle nuove cave, né risponderebbe alle indicazioni ministeriali, che richiedevano la redazione di apposite schede paesaggistiche di piano contenenti la descrizione dei luoghi interessati dalla presenza dell’attività estrattiva, con specifico riferimento alle preesistenze storiche, naturali e antropiche e con il corredo di fotografie, disegni o rendering, in modo da fornire una ricostruzione dello stato di consistenza delle località interessate. La scheda riferita al podere Santa Emilia, per quanto qui interessa, sarebbe stata redatta pressoché “in bianco”, con l’allegazione di tre sole fotografie; mentre la redazione della “mappa della visibilità”, parimenti richiesta dal MIBAC, sarebbe stata irragionevolmente rinviata dalla Provincia alla successiva fase procedimentale del rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava.
6.6. Con il sesto motivo, è dedotta infine la contrarietà del piano provinciale impugnato ai consolidati principi in materia di governo del territorio e alle previsioni del vigente piano regionale di indirizzo territoriale, che, ad avviso dei ricorrenti, sarebbero chiare nel garantire la tutela delle aree collinari attraverso azioni di mantenimento degli elementi strutturanti il paesaggio agrario.
6.7. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati.
6.7.1. La legge regionale toscana n. 78/1998, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge regionale n. 35/2015, sottoponeva l’esercizio dell’attività di cava a una pianificazione articolata sul duplice livello regionale e provinciale.
Nel dettaglio, la legge citata individuava nel piano regionale delle attività estrattive, di recupero delle aree escavate e di riutilizzo dei residui recuperabili (P.R.A.E.R.) l'atto di programmazione settoriale recante gli indirizzi e gli obiettivi di riferimento per l’attività di pianificazione in materia di cave, riservata alla competenza delle Province.
A norma dell’art. 4 della legge n. 78/1998, il P.R.A.E.R. era ripartito in due settori autonomi, da approvarsi anche separatamente, concernenti da un lato i materiali per usi industriali, per costruzioni e opere civili, e i materiali ornamentali dall’altro. Gli elementi essenziali di ciascun settore del piano regionale erano costituiti, fra l’altro, dalla complessiva individuazione delle risorse relative ai materiali estrattivi e, nell'ambito di queste, dei giacimenti potenzialmente coltivabili, nel rispetto dei vincoli e delle limitazioni d'uso del territorio, unitamente alla stima della produzione dei materiali assimilabili a quelli provenienti da attività estrattive e all'individuazione del relativo potenziale di riutilizzo nel periodo considerato dal piano, nonché alla stima del fabbisogno complessivo dei materiali da estrarre, nel periodo definito dal P.R.A.E.R., e al conseguente dimensionamento dei Piani delle Attività Estrattive e di Recupero delle Province.
Il successivo art. 7 assegnava al piano delle attività estrattive di recupero delle aree escavate e riutilizzo dei residui recuperabili della provincia (P.A.E.R.P.) il compito di attuare gli indirizzi e le prescrizioni dei due settori del piano regionale, individuandone come elementi essenziali: a) la specificazione del quadro conoscitivo delle risorse estrattive, dei giacimenti, dei materiali recuperabili assimilabili individuati dal P.R.A.E.R. e delle altre risorse essenziali del territorio potenzialmente interessate dai processi estrattivi, nonché il censimento delle attività estrattive in corso; b) le prescrizioni localizzative delle aree estrattive in relazione al dimensionamento e ai criteri attuativi definiti dal P.R.A.E.R., ai fini della pianificazione comunale di adeguamento, precisando i criteri e i parametri applicati nella redazione del P.A.E.R.P. per la valutazione degli effetti territoriali, ambientali e igienico sanitari sulla base delle prescrizioni del P.R.A.E.R.; c) le interrelazioni con gli altri piani di settore regionali e provinciali interessati; d) i termini, comunque non superiori a sei mesi, per l'adeguamento della pianificazione comunale al P.A.E.R.P.; e) le eventuali misure di salvaguardia; f) il programma di monitoraggio del P.A.E.R.P. anche ai fini della verifica del rispetto del dimensionamento definito dal P.R.A.E.R..
Infine, secondo l’art. 9 della legge regionale n. 78/1998 il P.A.E.R.P., da adottarsi entro un anno dall’entrata in vigore del P.R.A.E.R., costituiva elemento del piano territoriale di coordinamento provinciale disciplinato dall’art. 16 della legge regionale n. 5/1995 e, successivamente, dall’art. 51 della legge regionale n. 1/2005.
Le disposizioni appena richiamate presuppongono la regola dell’unitarietà interna ai due livelli di pianificazione, salva la facoltà di articolare in due settori autonomi e suscettibili di approvazione separata il piano regionale e, di conseguenza, i piani provinciali.
Al di là della distinzione per settori espressamente contemplata dalla legge, e rimessa a una scelta iniziale del pianificatore regionale, l’esercizio della pianificazione provinciale richiede l’attuazione contestuale degli indirizzi dettati dal P.R.A.E.R., come si ricava inequivocabilmente dai contenuti tipici individuati per il P.A.E.R.P., a partire dallo sviluppo del quadro conoscitivo delle risorse estrattive e delle risorse del territorio provinciale potenzialmente interessate dai processi estrattivi, dal censimento delle attività estrattive in corso, e dalla localizzazione delle attività estrattive in relazione al dimensionamento definito dal piano regionale, tutti elementi che implicano un’analisi estesa all’intero territorio della Provincia interessata.
La regola dell’unitarietà degli atti della pianificazione territoriale risponde, del resto, a ovvie esigenze di idoneità, adeguatezza e razionalità dell’azione amministrativa, giacché solo la considerazione in unico contesto di tutte le necessità ed esigenze facenti capo all’ambito spaziale di riferimento del piano permette all’amministrazione procedente di enucleare gli opportuni meccanismi di regolamentazione degli usi del territorio, volti a disciplinare il rapporto fra iniziativa privata e interessi collettivi da tutelare.
Si vuol dire, in termini generali, che una corretta ed equilibrata distribuzione dell’impatto della pianificazione richiede che questa abbia riguardo al territorio di riferimento nella sua interezza. Nondimeno, la prassi dell’approvazione per stralci degli atti di pianificazione territoriale/governo del territorio, cui sono ascrivibili gli atti di pianificazione delle attività estrattive, ha da tempo trovato l’avallo della giurisprudenza, pur senza il conforto di espresse previsioni normative.
Si tratta di una prassi tradizionalmente riferita all’ipotesi di approvazione non integrale di uno strumento urbanistico, al quale l’autorità competente avesse apportato, appunto, uno o più stralci, in modo da non procrastinare l'entrata in vigore di un piano che, nel suo insieme, apparisse meritevole di approvazione, tranne che per alcuni aspetti. Lo stralcio viene tradizionalmente legittimato alla stregua del principio secondo cui l'autorità cui compete approvare un atto o un provvedimento può approvarlo anche solo in parte, riservandosi un riesame per le parti residue, a condizione peraltro che non siano lasciate indefinite o incerte le scelte fondamentali che integrano l’impianto dell’atto di pianificazione (fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2006, n. 5203; id., 29 ottobre 2002, n. 5912).
In definitiva, pur in assenza di una esplicita previsione in tal senso, la pianificazione “con” stralci (vale a dire, l’approvazione parziale) non incontra particolari ostacoli, se condotta nel rispetto delle ridette coordinate giurisprudenziali.
6.7.2. Analogamente, sembra potersi ammettere la pianificazione “per” stralci successivi, ovvero avente a oggetto sin dall’origine non l’intero territorio attribuito alle cure dell’autorità procedente, ma una porzione ristretta di esso: occorre, tuttavia, che una scelta siffatta sia assistita da adeguata motivazione e non determini situazioni di disequilibrio all’interno della più ampia area destinataria della pianificazione.
Nella specie, la resistente Provincia di Pisa ha giustificato la decisione di procedere all’approvazione del P.A.E.R.P. per stralci territoriali successivi con la volontà di “venire incontro” a situazioni di crisi del settore in zone individuate come particolarmente carenti di siti estrattivi, dal punto di vista sia quantitativo, sia qualitativo. L’area della Val di Cecina, al cui interno ricade il Comune di Pomarance, è indicata come quella caratterizzata dalle maggiori difficoltà, soprattutto a causa della mancata realizzazione delle previsioni contenute nel vigente P.R.A.E. (si vedano i “criteri di attuazione PAERP”, allegati alla deliberazione del Consiglio provinciale n. 12 del 12 febbraio 2009).
La relazione tecnica allegata al primo stralcio del P.A.E.R.P. approvato, al paragrafo “1.Premessa”, sottolinea a sua volta come la maggiore necessità di aggiornare la pianificazione per l’ambito della Val di Cecina intenda rispondere alla crisi occupazionale del settore estrattivo e della lavorazione di inerti, dovuto in buona parte alla mancata attuazione delle previsioni del precedente piano regionale. E, in sede di controdeduzioni alle osservazioni presentate al piano adottato, la Provincia ha ulteriormente evidenziato come approvare il P.A.E.R.P. in soluzione unica avrebbe comportato tempi più lunghi, a fronte della necessità di colmare celermente “un annoso deficit fabbisogno/disponibilità di materiale sul territorio”, al contempo escludendo che l’approvazione per stralci avrebbe potuto condurre a significativi squilibri sul piano della corretta concorrenza fra operatori, sul presupposto che le cave del primo stralcio “assai difficilmente vendono materiale a impianti o clienti diretti degli altri stralci” (si veda il “parere motivato su integrazioni, emendamenti e risposte alle osservazioni”, allegato alla delibera di approvazione del P.A.E.R.P.).
Nessuno degli argomenti utilizzati dalla Provincia a sostegno dei propri provvedimenti può reputarsi convincente.
L’art. 9 co. 1 della legge regionale n. 78/1998 stabiliva che i piani provinciali delle attività estrattive fossero adottati entro un anno dall’entrata in vigore del piano regionale. Il termine annuale non è stato rispettato dalla Provincia di Pisa, la quale, come detto, motiva la scelta di procedere per stralci con la necessità di intervenire rapidamente a risolvere le situazioni critiche presenti, innanzitutto, nell’area della Val di Cecina. Sul punto, l’istruttoria a corredo dei provvedimenti impugnati appare tuttavia obiettivamente lacunosa, non dandosi alcun conto delle concrete dimensioni della crisi del settore in termini, ad esempio, di diminuzione del numero degli occupati; e la necessità di accelerare i tempi del procedimento non può certo giustificare la rinuncia ai doverosi approfondimenti procedimentali.
Al di là di questo, deve più in generale considerarsi che il primo stralcio del P.A.E.R.P., qui impugnato, si riferisce a un’area il cui fabbisogno di materiali inerti è stato stimato dalla stessa Provincia nell’11% del fabbisogno provinciale complessivo.
Come si è detto, nel motivare i propri atti la Provincia di Pisa afferma che vi sarebbe una sostanziale corrispondenza fra la suddivisione territoriale degli stralci di pianificazione e le aree di approvvigionamento degli impianti di lavorazione e commercializzazione degli inerti, nel senso che i materiali provenienti dalle cave allocate nell’area interessata dal primo stralcio sarebbero stati per lo più destinati all’utilizzo da parte di impianti o clienti allocati nella medesima area. L’affermazione è però smentita dalla decisione di attribuire all’area oggetto del primo stralcio una volumetria di materiale estraibile ben superiore al fabbisogno locale, con il dichiarato scopo di costituire un serbatoio di materiale anche per il resto della Provincia (si veda ancora la relazione tecnica al primo stralcio del P.A.E.R.P. approvato, pag. 11): il che mette in luce non solo il carattere ondivago delle motivazioni addotte dall’amministrazione nel corso del procedimento di approvazione del piano, ma anche l’irrazionalità complessiva della scelta di scorporare il piano in stralci separati, quando l’interrelazione tra le diverse aree del territorio provinciale è espressamente riconosciuta, a livello dei fabbisogni di materiali estrattivi, dalla stessa Provincia.
D’altro canto, fra i criteri di attuazione del P.R.A.E.R. la Provincia di Pisa ha recepito quello dell’autosufficienza provinciale, inteso a evitare la concentrazione della produzione di inerti solo in alcune aree del territorio regionale, in modo da distribuire nel modo più equo possibile il relativo disagio ambientale.
Del pari, la scelta di procedere all’approvazione del P.A.E.R.P. per stralci si sarebbe potuta giustificare se effettivamente le aree oggetto di stralcio fossero state munite di una almeno tendenziale autosufficienza, come pure adombrato dalla Provincia di Pisa. Ma se così non è, lo stralcio impedisce di eseguire una corretta valutazione comparativa del rapporto fra costi e benefici delle scelte localizzative, con il rischio di dare luogo all’interno del territorio provinciale a situazioni di squilibrio simili a quelle che il P.R.A.E.R. ha inteso scongiurare per il territorio regionale.
Ne discende, più precisamente, che la sostenibilità del maggior carico ambientale imposto a un’area, come quella della Val di Cecina, non può essere adeguatamente valutata in funzione dell’obiettivo, dichiarato dalla Provincia di Pisa, di fronteggiare la locale crisi occupazionale del settore estrattivo e della lavorazione di inerti. Infatti, nel momento in cui la stessa Provincia assegna a quell’area il ruolo di “serbatoio” di materiali da destinare all’esterno, lo stralcio della pianificazione avrebbe dovuto essere esteso quantomeno alle altre aree presumibilmente interessate ad acquistare la produzione della Val di Cecina (vale a dire le aree incluse nel secondo stralcio: relazione tecnica al primo stralcio approvato, pag. 11, cit.), giacché solo in tal modo la Provincia avrebbe potuto rappresentarsi correttamente le ricadute delle proprie scelte localizzative ed effettuare il proprio giudizio in punto di ragionevolezza d’insieme delle scelte adottate.
Se il primario obiettivo della pianificazione territoriale è quello di perseguire uno sfruttamento equilibrato delle risorse, le interferenze fra usi del territorio e iniziativa economica privata debbono formare oggetto di considerazione estesa a tutte le aree interessate dalle ricadute delle scelte localizzative, per verificarne la coerenza e proporzionalità.
In questo senso, la scelta di attribuire alla Val di Cecina di quantitativi di materiale da estrarre sovradimensionati rispetto al fabbisogno locale avrebbe pertanto potuto e dovuto essere effettuata nell’ambito di una valutazione unitaria non solo dei fabbisogni, ma anche delle risorse già disponibili altrove; il che avrebbe richiesto che le aree individuate come potenziali destinatarie della produzione eccedente le necessità della Val di Cecina fossero contestualmente coinvolte nello stralcio di pianificazione riguardante quest’ultima, ad evitare possibili diseconomie e incongruenze nel corretto utilizzo delle risorse complessivamente disponibili sul territorio provinciale.
Al contrario, la Provincia resistente non solo ha trattato l’area della Val di Cecina separatamente, nel primo stralcio del piano, pur assegnandole la funzione di alimentare un mercato più ampio di quello locale, ma non ha fornito alcuna concreta indicazione circa le disponibilità di inerti all’interno dei possibili mercati di destinazione, con particolare riferimento all’area inclusa nel secondo stralcio di piano (mentre per quella inclusa nel terzo stralcio, la relazione tecnica al P.A.E.R.P. approvato attesta la mancanza di cave disponibili, ma, allo stesso tempo, nega la relazione commerciale con la Val di Cecina). E non si vede come possa addivenirsi a un esaustivo bilanciamento dei contrapposti interessi, in mancanza di una considerazione unitaria di tutti i fattori che debbono concorrere alla decisione.
6.7.3. Le considerazioni appena esposte conducono altresì a ritenere inattendibile il calcolo dei fabbisogni effettuato dalla Provincia in relazione alle aree incluse nel primo stralcio del P.A.E.R.P..
Si è visto come i quantitativi di materiali inerti estraibili dalle aree incluse nel primo stralcio di piano siano stati stimati nel 30% del fabbisogno dell’intero territorio provinciale. La stima tiene conto della circostanza che il P.R.A.E.R. individua la maggior parte dei giacimenti di inerti nell’area della Val di Cecina, la cui produzione, secondo la Provincia, dovrà essere destinata a soddisfare un fabbisogno più ampio di quello locale (stimato, quest’ultimo, nell’11% della complessiva produzione provinciale).
La stima del 30% origina, per ammissione della stessa Provincia, da un calcolo “grossolano”, riferito ai bisogni delle aree incluse nel primo stralcio del piano sommati a quelli delle aree incluse nel secondo stralcio. Nessuna indicazione è tuttavia fornita circa le modalità di calcolo del fabbisogno di queste ultime, così come – lo si è detto in precedenza – non sono noti i quantitativi di inerti disponibili all’interno del secondo stralcio, di talché la stima operata risulta di fatto arbitraria, prima ancora che approssimativa; né essa può dirsi utilmente avvalorata dai dati della produzione delle aziende operanti in Val di Cecina, in mancanza di riscontri dai quali desumere che quella produzione sia stata interamente utilizzata all’interno del territorio provinciale e possa rappresentare con sufficiente attendibilità una frazione del fabbisogno stimato per la Provincia (per potersi avere un risultato attendibile, la produzione della Val di Cecina avrebbe dovuto essere parametrata all’ammontare dell’intera produzione provinciale, e questa ai fabbisogni, onde scongiurare la formazione di eccedenze).
Anche per questo aspetto, la considerazione parcellizzata del territorio – frutto della scelta di approvare il P.A.E.R.P. per stralci – ha impedito alla Provincia di eseguire la necessaria valutazione contestuale degli elementi rilevanti ai fini delle scelte localizzative.
Approssimativa è, ugualmente, la stima delle quantità disponibili di materiali di riciclo, condotta sulla base di interviste alle aziende autorizzate.
La stessa Provincia di Pisa, nella relazione tecnica al primo stralcio di P.A.E.R.P. approvato, riconosce che le risposte alle interviste sono state “assai sporadiche”. Nondimeno, essa ha ritenuto di poter concludere che la produzione di materiali di riciclo non supera alcune decine di migliaia di metri cubi all’anno, incorrendo in un manifesto difetto di istruttoria dovuto alla riconosciuta inadeguatezza delle risposte ricevute rispetto alla rilevanza del tema del riciclo: inadeguatezza che, integrando il riciclo uno degli obiettivi privilegiati dal P.A.E.R.P. in coerenza con il P.R.A.E.R. (cfr. la relazione sui criteri di attuazione del P.A.E.R.P., allegata alla delibera del consiglio provinciale n. 12/2009), avrebbe dovuto indurre la Provincia a rinnovare le interviste alle imprese interessate o comunque ad approfondire l’indagine sul punto, e, in ogni caso, a stabilire per l’utilizzo di materiali riciclati quantitativi prudenzialmente stimati per eccesso, piuttosto che attenendosi agli scarsi dati raccolti, in ossequio al principio di precauzione nello sfruttamento delle risorse ambientali.
6.7.4. Secondo il D.Lgs. n. 152/2006 (art. 13 e Allegato VI alla Parte Seconda) e la legge regionale Toscana n. 10/2010 (art. 24 e Allegato 2), le informazioni da fornire con i rapporti ambientali che devono accompagnare le proposte di piani e di programmi sottoposti a valutazione ambientale strategica debbono riguardare, per quanto qui interessa, lo “stato attuale dell’ambiente e sua evoluzione probabile senza l’attuazione del piano o del programma”, “le caratteristiche ambientali, culturali e paesaggistiche delle aree che potrebbero essere significativamente interessate”, “i possibili impatti significativi sull’ambiente, compresi aspetti quali la biodiversità, la popolazione, la salute umana, la flora e la fauna, il suolo, l’acqua, l’aria, i fattori climatici, i beni materiali, il patrimonio culturale, anche architettonico e archeologico, il paesaggio e l’interrelazione tra i suddetti fattori”. Gli impatti significativi debbono essere considerati nella loro totalità, compresi quelli secondari, cumulativi, sinergici, a breve, medio e lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi.
La Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Pisa e Livorno, nell’esprimersi sul primo stralcio di P.A.E.R.P. adottato dalla Provincia di Pisa, ha osservato che, per potersi valutare in modo compiuto i vantaggi e gli svantaggi del piano, mettendo in relazione sistematica gli effetti negativi e positivi delle azioni previste, sarebbe stato necessario integrare i dati forniti dalla Provincia con una “scheda paesaggistica” di piano, a sua volta composta di una serie di schede contenenti la descrizione dello stato di consistenza di tutti i luoghi interessati da interventi di rilievo, per consentire di valutare non tanto la fattibilità di ciascun intervento singolarmente considerato, quanto “le opportunità di integrazione o di alternativa tra le varie componenti paesaggistiche risultanti dai singoli interventi”.
All’osservazione, la Provincia ha controdedotto (si veda l’allegato 8 alla delibera n. 105/2010) di non aver svolto un’approfondita analisi paesaggistica, trattandosi di attività estranea al P.A.E.R.P., ma di aver seguito nell’individuazione dei nuovi siti di cava una metodologia di per sé idonea a escludere numerose aree paesaggisticamente sensibili. Allo stesso tempo, la Provincia ha espressamente rimesso il “merito della tutela del paesaggio” alle valutazioni da effettuarsi ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 ai fini del rilascio delle autorizzazioni comunali all’attività di cava, di fatto rinviando a quella fase anche la produzione delle integrazioni documentali prescritte dalla Soprintendenza e rivendicando, in ogni caso, l’ampio spazio già dedicato dal piano alla caratterizzazione dell’ambiente naturale.
Ora, dalla relazione tecnica al P.A.E.R.P., il perimetro delle aree potenzialmente utili per il soddisfacimento dell’approvvigionamento di materiali estrattivi risulta essere stato circoscritto in ragione di una pluralità di criteri concorrenti, quali la presenza di aree naturali protette, di aree boscate non trasformabili, ovvero della distanza dai centri abitati. Se tale metodologia può effettivamente costituire una prima garanzia per salvaguardare una serie di aree sensibili, come affermato dalla Provincia, essa non esime però l’amministrazione procedente dal verificare gli impatti della pianificazione sulle porzioni di territorio incluse fra gli ambiti potenzialmente interessati dall’attività estrattiva.
A questo fine, la V.A.S. condotta in seno al procedimento per l’approvazione del primo stralcio di P.A.E.R.P. dà conto delle caratteristiche delle aree individuate per lo svolgimento dell’attività e delle ricadute di quest’ultima sulle diverse matrici ambientali.
L’analisi dei potenziali impatti, con particolare riguardo a quelli sul paesaggio, è tuttavia condotta in termini generali e astratti, consistendo nella (finanche ovvia) presa d’atto delle modifiche indotte dall’attività di cava sulla topografia dei versanti interessati e nella valorizzazione delle scelte localizzative, operate nel senso di individuare siti estrattivi tali da consentire lo scavo mediante l’arretramento in parallelo dei versanti. L’impiego di una tecnica di scavo rispettosa, per quanto possibile, del paesaggio, rappresenta infatti l’indicazione di una misura di mitigazione e/o compensazione degli impatti negativi, ma di per sé non esaurisce la stima delle ricadute significative dell’attività estrattiva, e, in particolare, degli effetti paesaggistici temporanei – appunto, la modifica dei versanti – prodotti dalla presenza delle cave, indipendentemente dalla tecnica di scavo utilizzata, nel breve, medio e lungo periodo, nonché degli inevitabili effetti paesaggistici permanenti (lo stesso rapporto ambientale attesta l’impossibilità che i versanti scavati tornino ad avere la stessa forma, una volta cessata l’attività di cava).
L’omissione è tanto più grave se si ha riguardo al consistente numero di nuove cave previsto dallo stralcio di P.A.E.R.P., combinato con la sensibilità paesaggistico-ambientale e la tutela che la pianificazione territoriale regionale pacificamente riconosce al patrimonio collinare toscano (si vedano gli articoli da 20 a 25 della disciplina generale del P.I.T., che, fra l’altro, sottopongono a rigorose limitazioni il fenomeno della sottrazione di suolo agro-forestale per altre finalità) e, nello specifico, all’area cui appartengono i Comuni dell’area volterrana, fra i quali Pomarance, dotata di valori estetico-percettivi giudicati di grado notevole quanto agli elementi costitutivi naturali, e di grado eccezionale quanto agli elementi costitutivi antropici, ivi compreso il paesaggio agrario e forestale (si veda la “scheda dei paesaggi” n. 29, allegata al P.I.T., che pone fra gli “obiettivi di qualità” per l’ambito territoriale in questione il mantenimento degli elementi strutturanti il paesaggio rurale, anche attraverso politiche di disincentivazione dell’impiego di suolo non connesso allo svolgimento di attività agricolo-produttive).
Coerentemente con il P.I.T., anche il piano strutturale di Pomarance evidenza d’altronde l’elevato tasso di naturalità del territorio comunale, attestandone la vocazione alle attività agrituristiche.
L’intrinseca debolezza della V.A.S. è dunque aggravata dall’irrisolto contrasto con gli altri strumenti della pianificazione territoriale. Nella medesima prospettiva, le sollecitazioni contenute nelle osservazioni formulate dalla Soprintendenza pisana valgono come segnalazione della necessità di disancorare la valutazione strategica da stilemi precostituiti, applicabili indifferentemente a qualsiasi ambito territoriale, in favore di una visione d’insieme delle conseguenze in concreto attese dall’attuazione del piano: una visione d’insieme e in concreto, finalizzata a un giudizio di complessivo bilanciamento degli impatti e degli interessi all’interno del territorio interessato dalla pianificazione, che nella specie è invece immotivatamente assente, e che non può certo essere supplita dalla valutazione puntuale, sui singoli interventi, da operarsi in sede di rilascio delle autorizzazioni all’avvio dell’attività estrattiva.
6.8. Il vizio che affligge la scelta di procedere all’approvazione del P.A.E.R.P. per stralci successivi, anziché unitariamente, l’inattendibile stima dei fabbisogni operata nell’ambito del primo stralcio del P.A.E.R.P. e l’inadeguatezza della V.A.S. conducono all’annullamento degli atti e provvedimenti della Provincia di Pisa impugnati con i primi sei motivi di cui al ricorso n. 118/2014 R.G., con assorbimento dei rimanenti profili di gravame.
L’annullamento degli atti provinciali, e, segnatamente, del primo stralcio del P.A.E.R.P. approvato con deliberazione n. 105/2010, si riverbera inevitabilmente sulla legittimità della variante al regolamento urbanistico comunale di Pomarance, approvata in adeguamento al P.A.E.R.P. in forza di deliberazione n. 51/2013: il venir meno dell’atto presupposto travolge quello consequenziale, che, adottato dal Comune ai sensi dell’art. 10 della legge regionale n. 78/1998, deve essere annullato in accoglimento del settimo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti motivi dall’ottavo al quattordicesimo.
9. Sul ricorso n. 1004/2014 R.G..
9.1. L’impugnativa investe la determinazione dirigenziale n. 424 dell’8 aprile 2014, con cui l’Unione Montana dell’Alta Val di Cecina – ente preposto dai Comuni di Pomarance, Montecatini Val di Cecina e Monteverdi Marittimo alla gestione associata della funzione di V.I.A. – ha escluso dalla sottoposizione a valutazione di impatto ambientale il progetto di coltivazione della cava in località Santa Emilia del Comune di Pomarance, presentato dalla controinteressata Granchi S.r.l..
La caducazione del primo stralcio del P.A.E.R.P. e della variante di adeguamento dello strumento urbanistico comunale di Pomarance implicano, evidentemente, la fondatezza del primo motivo di ricorso, con il quale è dedotta l’invalidità derivata di tutti gli atti della serie procedimentale avente ad oggetto l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di cava presso il podere Santa Emilia, la cui stessa localizzazione come sito estrattivo deve ritenersi venuta meno.
9.2. Il provvedimento impugnato è altresì affetto da vizi autonomi in ordine alle censure dedotte con il secondo, settimo, ottavo, nono e decimo motivo, che il collegio ritiene comunque di dover analizzare anche in ottica conformativa del futuro operato delle amministrazioni interessate.
Il secondo motivo di gravame investe l’esclusione dalla procedura di V.I.A. del progetto di coltivazione della cava Santa Emilia sotto il profilo della violazione del principio di precauzione di derivazione europea. Dopo ampia – e pletorica – ricostruzione dei principi e delle regole in materia, i ricorrenti sostengono che il progetto e lo studio ambientale presentati dalla Granchi S.r.l. sarebbero inidonei a dimostrare l’assenza di significativi riflessi negativi dell’apertura della cava sul contesto territoriale, ed, anzi, proverebbero che l’incidenza del progetto è tale da richiedere l’avvio della valutazione di impatto ambientale.
Con il settimo motivo i ricorrenti si dolgono quindi delle carenze istruttorie che, a loro avviso, avrebbero contraddistinto l’operato della Comunità Montana procedente. In particolare, l’esclusione dalla V.I.A. sarebbe stata disposta senza alcuna preventiva valutazione delle conseguenze dell’avvio dell’attività estrattiva sulle attività turistico-ricettive circostanti e sulla popolazione residente, oltre che sull’attività di ricerca di risorse geotermiche in corso nella stessa area. Evidenti errori affliggerebbero altresì i pareri resi dalle diverse autorità intervenute in conferenza di servizi relativamente alle caratteristiche dell’area interessata e alla sua vulnerabilità idrogeologica.
Con l’ottavo motivo, i ricorrenti lamentano che l’autorità procedente avrebbe escluso dall’attività di coltivazione della cava una porzione dell’area indicata in progetto, interessata da vincolo paesaggistico ex art. 136 D.Lgs. n. 42/2004, di fatto realizzando un arbitrario scorporo dell’area stessa in lotti al solo scopo di evitare la sottoposizione a V.I.A. della porzione rimanente. Con la conseguenza paradossale di far ricadere il giudizio di esclusione dalla V.I.A. su di un progetto diverso da quello presentato dalla società proponente.
Il nono motivo è volto a denunciare l’inadeguatezza delle prescrizioni apposte al provvedimento impugnato, incapaci di garantire la minimizzazione dell’impatto ambientale dell’attività di cava.
Oltre che l’impatto sui beni di interesse archeologico, a venire in rilievo sarebbe quello sul paesaggio, che non potrebbe considerarsi superato in virtù dell’esclusione dalla coltivazione dell’area di cava soggetta a vincolo paesaggistico. La soluzione adottata dall’autorità procedente sarebbe per questo aspetto illogica, in quanto frutto di una visione parcellizzata del paesaggio, e non terrebbe in alcun conto le inevitabili interferenze fra l’area di cava e quella confinante protetta dal vincolo; inoltre, essa avrebbe immotivatamente trascurato i pareri resi dalla competente Soprintendenza B.A.P.S.A.E., secondo la quale il progetto avrebbe dovuto essere sottoposto alla valutazione di impatto ambientale. D’altronde, la stessa Commissione per il paesaggio del Comune di Pomarance avrebbe attestato, nel parere del 4 aprile 2014, il rilevante effetto dell’apertura della cava sullo stato delle componenti ambientali coinvolte, salvo rinviare alla sede della progettazione definitiva il superamento delle criticità e convenire sull’esclusione del progetto dalla V.I.A., condizionata al rispetto di prescrizioni ancora una volta del tutto inefficaci.
Allo stesso modo l’A.R.P.A.T., nell’esaminare il problema delle emissioni acustiche, pur mostrando di non ritenere sufficienti le indicazioni contenute nello studio ambientale e nelle successive integrazioni, non ne avrebbe tratto l’unica conseguenza plausibile, quella dell’assoggettamento a V.I.A. del progetto, ma si sarebbe limitata a impartire prescrizioni. E la necessità della V.I.A. emergerebbe anche relativamente al tema della regimazione idraulica e degli scarichi idrici, cui sono dedicate ben dieci prescrizioni, nonché alle modalità di coltivazione, alla viabilità e al ripristino finale, quest’ultimo lasciato, secondo i ricorrenti, all’arbitrio della proponente.
In definitiva, le prescrizioni apposte al provvedimento di esclusione dalla V.I.A. sarebbero per un verso illogiche, vaghe e irrealizzabili, e, per l’altro, inidonee a superare le criticità rilevate dalla stessa amministrazione procedente e comunque non tali da escludere l’esistenza di significativi effetti sull’ambiente.
Con il decimo motivo, infine, i ricorrenti sostengono che la mole delle prescrizioni apposte al provvedimento impugnato (circa quaranta) rivelerebbe la criticità dell’opera e costituirebbe la più seria conferma dell’opportunità e necessità di procedere alla valutazione di impatto ambientale.
9.2. Le censure, da esaminarsi congiuntamente, sono fondate nei termini di seguito precisati.
9.2.1. Ai sensi della legislazione statale in materia, la condizione affinché un progetto venga escluso dalla valutazione di impatto ambientale è che esso non produca impatti significativi sull'ambiente, ciò che implica la tollerabilità di una qualche ricaduta ambientale del progetto, purché suscettibile di essere contenuta mediante il ricorso a specifiche prescrizioni (art. 20 co. 5 D.Lgs. n. 152/06).
La legislazione regionale toscana, a sua volta, precisa che per non aversi sottoposizione a V.I.A. occorre potersi escludere “la presenza di effetti negativi significativi sull'ambiente, tali da richiedere per la loro precisa individuazione e valutazione, e per l'individuazione delle eventuali misure di mitigazione ad essi relative, l'elaborazione di uno studio di impatto ambientale e lo svolgimento di una procedura di valutazione” (così l’art. 49 co. 1 della l.r. toscana n. 10/2010, nel testo vigente anteriormente alla soppressione disposta dalla l.r. n. 17/2016).
La verifica dell'assenza di impatti significativi presuppone, evidentemente, l'acquisizione in via istruttoria di tutti gli elementi conoscitivi necessari a fornire una compiuta rappresentazione dell'incidenza ambientale del progetto sottoposto al c.d. screening, elementi che la stessa legge regionale si preoccupa di indicare, dettando altresì i criteri valutativi cui la verifica di assoggettabilità è sottoposta. Nella specie, viene particolarmente in considerazione l'Allegato D della citata legge n. 10/2010 (riproduttivo dell’Allegato V alla seconda Parte del D.Lgs. n. 152/2006), in forza del quale la verifica deve tenere conto delle caratteristiche del progetto (dimensioni del progetto, anche in rapporto alla durata, alla frequenza ed alla entità del suoi probabili impatti; cumulo con altri progetti; utilizzazione delle risorse naturali, considerando la rinnovabilità delle risorse utilizzate; produzione di rifiuti; inquinamento e disturbi ambientali; rischio di incidenti, per quanto riguarda, in particolare, le sostanze o le tecnologie utilizzate) e della sua localizzazione, avuto riguardo alla sensibilità ambientale delle zone geografiche interessate (qualità e a capacità di rigenerazione delle risorse naturali e della zona, capacità di carico dell'ambiente naturale).
La determinazione impugnata, dato atto dell’iter procedimentale articolatosi attraverso le sedute della conferenza di servizi nelle date del 13 gennaio e del 1 e 7 aprile 2014, assume di volersi adeguare alle indicazioni scaturite dai pareri resi dalle autorità competenti ed alle risultanze della stessa conferenza di servizi, e, con questa premessa, conclude per l’incompatibilità dell’attività di coltivazione con il vincolo paesaggistico gravante su di una parte dell’area di cava indicata dalla società proponente. Quanto all’area rimanente, l’autorità procedente ha ritenuto di poter escludere il progetto della valutazione di impatto ambientale, sia pure con il corredo di numerose prescrizioni (trentotto, suddivise in dieci gruppi).
In astratto, la presenza di molteplici prescrizioni e condizioni non permette, di per sé sola, di esprimere un giudizio di disvalore del provvedimento, ben potendosi trattare, da parte dell’autorità procedente, di una modalità di preventiva indicazione degli elementi occorrenti per superare la necessità della V.I.A., in ossequio ai principi di economicità dell'azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 2009, n. 1049).
Dovendo perciò essere valutato in concreto il contenuto delle prescrizioni apposte all’atto impugnato, viene innanzitutto in rilievo quella riguardante l’esclusione dalla coltivazione di una porzione dell’area di cava, interessata da vincolo paesaggistico imposto a norma dell’art. 136 D.Lgs. n. 42/2004.
In ordine agli aspetti paesaggistici, la conferenza di servizi indetta dalla comunità Montana procedente ha fatto invero emergere le contrapposte posizioni della Soprintendenza per le Province di Pisa e Livorno, contraria all’esclusione dell’intervento dalla V.I.A., e della Commissione per il paesaggio del Comune di Pomarance, favorevole all’esclusione.
La contrarietà della Soprintendenza, inizialmente pronunciatasi a favore dell’intervento (si veda il parere del 13 gennaio 2014), ha preso forma con il parere del 28 marzo 2014, adottato a seguito delle integrazioni documentali presentate dalla proponente Granchi S.r.l., e nel quale si rileva “la presenza di elementi di interesse paesaggistico, naturali e rurali, all’interno di un contesto ambientale sostanzialmente integro e ben curato”, tali da rendere necessaria la sottoposizione del progetto alla valutazione di impatto ambientale.
Nella seduta del 1 aprile 2014, la conferenza di servizi ha ritenuto dover acquisire chiarimenti dalla Soprintendenza in merito al parere predetto, perché “non adeguatamente motivato in relazione alla progettazione di cui trattasi”, ed ha sospeso il procedimento.
In risposta alla richiesta di chiarimenti, la Soprintendenza ha confermato il proprio parere contrario all’esclusione dalla V.I.A., stante “la compresenza di valori paesaggistici e ambientali di notevole consistenza e complessità nonché l’attivazione nelle vicinanze di iniziative agroturistiche” (parere del 28 marzo 2014).
Nella seduta del 7 aprile 2014, la conferenza di servizi – sostenendo che il nuovo parere della Soprintendenza non aggiungesse nulla di nuovo alle motivazioni già addotte in precedenza – si è pronunciata in senso favorevole all’esclusione del progetto dalla V.I.A., subordinatamente all’osservanza di una serie di prescrizioni da recepire con la progettazione di corredo alla richiesta di rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava. La posizione assunta dalla conferenza rispecchia quella espressa dalla Commissione per il paesaggio del Comune di Pomarance, che aveva ritenuto potersi escludere la sottoposizione a V.I.A. a condizione che in sede di progettazione esecutiva fossero approfonditi alcuni profili critici (antropico ambientale, vincolistico, economico-sociale, viario), oggetto di apposite prescrizioni.
In realtà, a differenza di quanto ritenuto dalla conferenza di servizi, il parere reso dalla Soprintendenza a seguito della richiesta di chiarimenti contiene elementi di novità rispetto a quello precedente. Questi consistono, in particolare, nel rimarcare la prossimità della cava ad attività di agriturismo, oltre che nell’enfatizzare la rilevanza dei valori paesaggistici in gioco, ora definiti “di notevole consistenza e complessità”, e non più “di interesse”, come in precedenza.
I medesimi elementi si trovano evidenziati, a ben vedere, nel parere della Commissione comunale per il paesaggio, la quale non manca di constatare la rilevante influenza della cava sull’aspetto paesaggistico e naturale dei luoghi, e di prendere in esame la presenza limitrofa di poderi sparsi, molti dei quali ad uso agrituristico. La diversità di vedute fra Soprintendenza e Commissione riguarda, dunque, non l’impatto ambientale della cava, bensì la possibilità di minimizzare tale impatto attraverso l’imposizione delle prescrizioni.
La determinazione conclusiva del procedimento, qui impugnata in via principale, sembra voler operare una sintesi fra le due posizioni con la scelta di escludere tout court dal perimetro di cava l’area interessata dal vincolo paesaggistico, allo stesso tempo escludendo dalla procedura di V.I.A., con prescrizioni, il progetto di coltivazione sull’area rimanente. Se, peraltro, i pareri espressi in sede di conferenza di servizi dalle autorità preposte alla tutela del paesaggio sono univoci nel riconoscere un impatto rilevante all’apertura della cava, è evidente che la tenuta della scelta dipende dall’efficacia ed effettività delle prescrizioni impartite ai fini dell’esclusione dalla V.I.A..
9.2.2. Tanto premesso, osserva innanzitutto il collegio come l’amministrazione procedente appaia ben consapevole del fatto che sottrarre alla coltivazione una parte dell’area di cava – quella sottoposta al vincolo ex art. 136 D.Lgs. n. 42/2004 – non garantisce sufficiente tutela agli interessi paesaggistici coinvolti dall’intervento, proprio in virtù della ineliminabile contiguità fra l’area estrattiva residua e l’area vincolata cui la parcellizzazione del progetto originario dà luogo.
Tale consapevolezza è rivelata dalla prescrizione di cui al punto 2.1 del provvedimento impugnato, che prevede l’adeguamento del progetto di coltivazione di ripristino ambientale “attraverso opere di mitigazione atte al rispetto dell’area soggetta a vincolo”: ma è palese come la previsione, per la sua genericità, non sia in grado di assicurare la dovuta tutela dell’area vincolata, venendo di fatto rinviate alla fase del rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava valutazioni che avrebbero dovuto essere completate nella fase di screening ovvero, se del caso, in sede di valutazione di impatto ambientale. Se, infatti, obiettivo della verifica di assoggettabilità è di escludere l’esistenza di un impatto ambientale rilevante, l’esclusione dalla V.I.A. implica che sia stata verificata in concreto l’idoneità delle prescrizioni eventualmente impartite allo scopo; e tale verifica non può che essere preventiva e collocarsi nella medesima fase dello screening, mentre il suo rinvio a una fase successiva realizza un’indebita inversione procedimentale che vizia sul piano della ragionevolezza l’azione amministrativa.
Rilievi non dissimili valgono per le prescrizioni relative al ripristino finale, nella parte in cui impongono alla proponente la presentazione di “varie soluzioni tecniche volte ad incrementare e diversificare la fruizione dell’area di cava a fine coltivazione, quali ad esempio la realizzazione di piccoli invasi o altre opere di riqualificazione” (punto 9.5 del provvedimento impugnato): anche in questo caso, l’indeterminatezza della prescrizione finisce con il rimettere a un momento futuro la valutazione in ordine all’effettiva capacità delle soluzioni progettuali approntate dal proponente di mitigare l’impatto della cava sull’ambiente circostante, valutazione che avrebbe invece dovuto costituire il presupposto dell’esclusione del progetto dalla V.I.A..
Lo stesso è a dirsi per le prescrizioni di cui al punto 3. del provvedimento impugnato, relative alle emissioni diffuse. Esse recepiscono le indicazioni fornite dall’A.R.P.A.T. nel “parere sulle integrazioni” del 25 marzo 2014 e, nuovamente, si risolvono in un rinvio alle future fasi procedimentali della verifica in ordine all’efficacia delle misure di mitigazione dell’impatto delle lavorazioni di cava, benché i dati forniti dalla proponente fossero risultati inattendibili e come tali considerati (per questo profilo, l’esclusione dalla V.I.A. è irragionevolmente motivata sul presupposto della astratta mitigabilità degli impatti, al di fuori di qualsiasi verifica concreta sia dei dati reali di emissione, dei quali è non a caso sollecitata la futura “revisione critica”, sia delle modalità di mitigazione).
9.2.3. Per altro verso, la determinazione di escludere il progetto della Granchi S.r.l. dalla V.I.A. ignora completamente l’impatto economico-sociale della cava, benché segnalato in conferenza di servizi sia dalla Soprintendenza, sia dalla Commissione comunale per il paesaggio, con riferimento alla vicinanza della cava stessa ad attività di agriturismo.
Tale aspetto non viene in alcun modo esaminato dal provvedimento conclusivo della procedura di screening, né ad esso è dedicata alcuna delle molteplici prescrizioni poste a corredo dell’esclusione dalla V.I.A.: è vero, infatti, che il provvedimento recepisce la generica prescrizione relativa alla riqualificazione dell’area a fine coltivazione dettata dalla Commissione per il paesaggio proprio in relazione agli aspetti economico-sociali di incidenza della cava; ma si tratta di una prescrizione che non appare frutto di una valutazione comparativa in concreto, o, per meglio dire, sembra presupporre che le attività di agriturismo non necessitino di tutele particolari per l’intera durata del periodo di coltivazione della cava, senza tuttavia che di tale assunto – implicito, ma inequivocabile – venga data alcuna spiegazione in termini di bilanciamento dei contrapposti interessi imprenditoriali investiti dalle scelte dell’amministrazione.
Si aggiunga che la legislazione regionale toscana dedica una specifica attenzione al tema delle ricadute economico-sociali dei progetti suscettibili di produrre impatti significativi sull’ambiente. L’art. 50 della legge regionale n. 10/2010 stabilisce, infatti, che lo studio di impatto ambientale illustri e quantifichi, fra l’altro, le ricadute socio-economiche del progetto sul territorio interessato, con riferimento agli effetti attesi sui livelli occupazionali, diretti e indotti, prodotti sia in fase di realizzazione che di esercizio dell’opera, nonché ai benefici economici attesi per il territorio, diretti e indiretti, prodotti sia in fase di realizzazione che di esercizio dell’opera, e questo avuto riguardo alla necessità che la valutazione dell’impatto ambientale del progetto tenga conto della necessità di garantire un’equa distribuzione dei vantaggi connessi allo svolgimento di attività economiche impattanti sul territorio.
Anche a non voler ritenere che l’esistenza di un impatto economico-sociale dell’intervento imponga sempre e comunque l’esperimento della procedura di V.I.A., è pertanto indiscutibile che la valutazione di assoggettabilità avrebbe dovuto estendersi all’analisi delle possibili conseguenze prodotte dall’apertura della cava sulle altre attività economiche già in essere nella stessa zona. Al contrario, nel procedimento in questione, l’unica traccia di una siffatta analisi è quella che si rinviene nel parere della Commissione per il paesaggio del Comune di Pomarance, che, come si è visto, ha condotto all’adozione di misure compensative del tutto inadeguate; e sul punto nessun chiarimento è offerto dallo studio preliminare ambientale redatto dalla proponente, che contiene una sommaria illustrazione delle risorse produttive caratterizzanti la realtà di Pomarance, ma non affronta il problema delle potenziali interferenze fra la cava e le altre attività economiche in essere.
A conferma del fatto che l’intero procedimento appare improntato alla esclusiva considerazione delle esigenze economiche manifestate dalla proponente, basti ricordare che lo studio preliminare esclude la praticabilità della “alternativa zero”, ovvero dell’ipotesi di non aprire il sito estrattivo, per la ragione che, delle diverse cave di ghiaia e conglomerati esistenti nel territorio di Pomarance, la cava Santa Emilia è l’unica nella disponibilità della Granchi S.r.l.. E gli effetti distorsivi di tale impostazione emergono in maniera eclatante dall’incoerenza fra le enunciazioni contenute nello stesso studio preliminare ambientale, dal quale viene enfatizzato il ruolo della cava Santa Emilia quale decisivo presidio per la conservazione della “forza lavoro” della proponente, e il ridottissimo numero di addetti (due) che, in sede di richiesta dell’autorizzazione alla coltivazione, la società controinteressata ha dichiarato di volervi destinare: un dato, quest’ultimo, che sin dalla fase dedicata alla verifica ex art.
avrebbe potuto e dovuto concorrere al giudizio comparativo sul rapporto fra costi e benefici attesi per il territorio a seguito dell’apertura della cava (è appena il caso di osservare che, in nome del principio dello sviluppo sostenibile, il sacrificio delle risorse ambientali a fronte dello svolgimento di attività economiche impattanti sul territorio si giustifica a condizione che dallo svolgimento di quelle attività derivino vantaggi collettivi perlomeno apprezzabili).
Approfondimento in sede via a maggior ragione necessario in virtù del rinvio operato dalla vas
9.3. In forza delle considerazioni esposte, in accoglimento dell’impugnazione, anche la determinazione n. 424/2014, di non sottoposizione a V.I.A. del progetto di coltivazione della cava Santa Emilia, deve essere annullata.
10. Sul ricorso n. 1147/2015 R.G..
10.1. L’impugnazione proposta con l’atto introduttivo del giudizio ricade sulla determinazione assunta, in data 27 aprile 2015, dalla conferenza di servizi indetta dal Comune di Pomarance a seguito della presentazione, da parte della controinteressata Granchi S.r.l., dell’istanza per il rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava Santa Emilia.
Con motivi aggiunti, il gravame è stato esteso alla conforme autorizzazione, rilasciata dal Comune il 28 ottobre 2015.
Tanto la determinazione impugnata in via principale, quanto l’autorizzazione oggetto dei motivi aggiunti, incorrono evidentemente – e vanno perciò annullati – nel vizio di invalidità derivata dedotto in prima battuta dai ricorrenti e originato dalla riconosciuta illegittimità sia degli atti di pianificazione, sia della determinazione di esclusione dalla V.I.A. del progetto di coltivazione della cava santa Emilia, che costituiscono presupposti indefettibili del rilascio dell’autorizzazione richiesta dalla società Granchi. Sul piano sostanziale, del resto, l’autorizzazione non può non risentire dell’inversione procedimentale che affligge gli atti e provvedimenti a monte, mentre le restanti censure di ordine formale possono reputarsi assorbite.
11. In forza di tutte le considerazioni che precedono, i giudizi riuniti debbono essere accolti, con il conseguente annullamento degli atti e provvedimenti impugnati.
11.1. Le spese di lite vanno compensate a norma dell’art. 26 co. 1 c.p.a., stante la macroscopica violazione da parte dei ricorrenti del principio di sinteticità degli atti processuali (i ricorsi introduttivi dei tre giudizi assommano, rispettivamente, a novantaquattro, centoundici e settantotto pagine, oltre alle novantatre pagine dei motivi aggiunti depositati nel ricorso n. 1147/2015 R.G.).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, riuniti i ricorsi, li accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in parte motiva.
Dichiara integralmente compensate fra tutte le parti le spese dei giudizi riuniti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati:
Armando Pozzi, Presidente
Gianluca Bellucci, Consigliere
Pierpaolo Grauso, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Pierpaolo Grauso Armando Pozzi