TAR Piemonte Sez. II n. 1165 del 26 settembre 2016
Ambiente in genere.Valutazione ambientale strategica

L’art. 11 del d.lgs. n. 152 del 2006 costruisce la valutazione ambientale strategica non già come un procedimento o sub-procedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endo-procedimentale di essa, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima, il cui contenuto ben può essere censurato per la prima volta in sede di impugnativa dell’atto di definitiva approvazione dello strumento urbanistico. L’autorità competente alla valutazione ambientale strategica (ovvero al preliminare screening) non deve necessariamente essere individuata in un’amministrazione distinta da quella avente qualità di autorità procedente. Se dalle definizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 152 del 2006 risulta infatti chiaro che entrambe le autorità sono sempre amministrazioni pubbliche, in nessuna definizione del Testo Unico si statuisce in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate.

Pubblicato il 26/09/2016

N. 01165/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00909/2014 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 909 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Alessandro Benente, Luigi Benente, Leda Martorano, rappresentati e difesi dagli avv.ti Paolo Maria Cisa Asinari di Gresy e Guido Luciano Fuscà, con domicilio eletto presso il primo in Torino, corso Re Umberto, 23;

contro

Comune di Santena, rappresentato e difeso dall’avv. Guglielmo Lo Presti, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tribunale in Torino, corso Stati Uniti, 45;
Provincia di Torino;

nei confronti di

Sintesi e Ricerca s.p.a., rappresentata e difesa dall’avv. Stefano Manni, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via Colli, 4;

per l'annullamento

- della deliberazione del Consiglio comunale di Santena del 28.4.2014 n. 16, avente ad oggetto l’approvazione definitiva del progetto di variante parziale al piano regolatore per l’area industriale in Santena, via Quaglia n. 26, ai sensi dell’art. 17, comma 5, della legge regionale n. 56 del 1977;

- della deliberazione del Consiglio comunale di Santena dell’11.12.2013 n. 50, avente ad oggetto l’adozione del progetto preliminare della predetta variante;

- della deliberazione del Consiglio comunale di Santena del 13.7.2015 n. 37, avente per oggetto l’approvazione dello schema di convenzione edilizia per l’attuazione delle previsioni contenute nella variante parziale al piano regolatore;

- per la declaratoria di nullità o invalidità della convenzione edilizia del 4.8.2015 rep. 114578 racc. 24701, sottoscritta fra la Sintesi e Ricerca s.p.a. ed il Comune di Santena;

- del permesso di costruire prot. n. 1307 del 18.12.2015;

- nonché per la condanna del Comune al risarcimento di tutti i danni;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Santena e di Sintesi e Ricerca s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 giugno 2016 il dott. Savio Picone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I ricorrenti, comproprietari di un edificio residenziale confinante con lo stabilimento della controinteressata Sintesi e Ricerca s.p.a., impugnano le delibere e gli atti con i quali il Comune di Santena ha autorizzato l’ampliamento per circa 800 mq del magazzino automatizzato asservito all’attività di produzione di cere e candele (insistente sull’area industriale di circa 30.000 mq in via Quaglia n. 26), approvando dapprima la variante parziale al piano regolatore generale e rilasciando successivamente il permesso di costruire convenzionato.

Con il ricorso originario e con plurimi motivi aggiunti, chiedono l’annullamento dei provvedimenti comunali elencati in epigrafe, deducendo censure così riassumibili:

nullità per violazione dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, violazione dell’art. 17 della legge regionale n. 56 del 1977: la deliberazione consiliare di approvazione della variante sarebbe stata assunta sulla base di una relazione tecnica non sottoscritta dal funzionario responsabile del procedimento;

violazione degli artt. 3-bis e 17 della legge regionale n. 56 del 1977, violazione degli artt. 11-ss. del d.lgs. n. 152 del 2006: il sub-procedimento di verifica dell’assoggettabilità a valutazione ambientale strategica sarebbe viziato dall’assenza della “struttura con specifica competenza in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale” prevista dalla norma regionale e, in ogni caso, il suo esito negativo sarebbe viziato dalla lacunosità e superficialità dell’istruttoria;

violazione dell’art. 41-septies della legge n. 1150 del 1942, violazione dell’art. 21 della legge regionale n. 56 del 1977, violazione dell’art. 9 della legge n. 122 del 1989 ed eccesso di potere per sviamento: il Comune avrebbe illegittimamente dismesso alcune aree di sua proprietà (situate nelle vicinanze di via Quaglia e destinate a parcheggio pubblico) per consentire alla società controinteressata di realizzare l’ampliamento del magazzino, accettando la cessione compensativa di altre aree (assai più distanti dallo stabilimento produttivo, in zona mercatale);

violazione degli artt. 32 e 43 della legge regionale n. 56 del 1977: la convenzione stipulata tra il Comune di Santena e la società controinteressata sarebbe del tutto atipica e perciò illegittima, in carenza di uno strumento urbanistico attuativo della previsione del piano regolatore;

violazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000, violazione dei principi di cui al r.d. n. 827 del 1924 ed eccesso di potere per difetto d’istruttoria e sviamento: il Comune avrebbe illegittimamente ceduto a trattativa privata un’area appartenente al patrimonio indisponibile, senza effettuare la perizia di stima e senza la preventiva declassificazione.

I ricorrenti chiedono inoltre la condanna del Comune di Santena al risarcimento del danno, quantificato in via equitativa nella somma di euro 200.000,00, in relazione all’incremento delle immissioni nocive ed al pregiudizio per la costruzione del nuovo magazzino a ridosso dell’area di loro proprietà.

Si sono costituiti il Comune di Santena e la società Sintesi e Ricerca s.p.a., eccependo l’inammissibilità del ricorso e replicando nel merito a tutti i motivi.

L’istanza cautelare è stata respinta, con ordinanza di questa Sezione n. 82 del 26 febbraio 2016.

Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza del 22 giugno 2016, nella quale la causa è passata in decisione.

DIRITTO

Sull’eccezione di inammissibilità per difetto d’interesse.

Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione della controinteressata, secondo la quale l’impugnativa sarebbe inammissibile per difetto d’interesse.

In contrario, può osservarsi che le doglianze dei ricorrenti non muovono dalla mera situazione di vicinitas, bensì attengono alla legittimità degli atti con i quali è stato assentito un rilevante intervento edilizio di ampliamento del magazzino industriale, in prossimità dell’edificio residenziale di cui sono proprietari. Tanto è sufficiente a radicare l’indiscutibile legittimazione a ricorrere (si veda, su vicenda analoga: Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2014 n. 2403 ed i precedenti ivi richiamati).

Sul primo motivo.

E’ infondata la censura riferita alla mancata sottoscrizione della relazione tecnica di accompagnamento della proposta di variante urbanistica, approvata dal Consiglio comunale di Santena con la deliberazione n. 16 del 2014.

Al punto 4. del deliberato (doc. 1 della difesa del Comune) si dà atto che il progetto è stato redatto dall’arch. Emanuele Bufano, professionista incaricato dalla società titolare dell’impianto, e si richiamano le tavole e le relazioni allegate.

Ma ciò che rileva, sul piano della regolarità formale del procedimento di formazione della variante, è che la proposta di deliberazione consiliare risulti sottoscritta sia dal sindaco Ugo Baldi che dal responsabile del procedimento geom. Claudio Cottini, per quest’ultimo anche ai fini dell’obbligatorio parere di regolarità tecnica ai sensi dell’art. 49 del d.lgs. n. 267 del 2000.

La preventiva acquisizione della proposta e del parere di regolarità è stata ritualmente attestata dal segretario comunale, in calce al testo così pubblicato. Tale attestazione fa piena prova fino a querela di falso, secondo i principi generali in materia di verbalizzazione.

Per completezza, e pur dovendo darsi atto di un contrario avviso di una parte della giurisprudenza e della dottrina, va altresì osservato che finanche l’omissione del parere di regolarità prescritto dall’art. 49 del vigente Testo Unico non potrebbe incidere sulla validità della deliberazione del Consiglio comunale (si veda, tra molte: Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2009 n. 5012; Id., sez. IV, 26 gennaio 2012 n. 351; Id., sez. V, 8 aprile 2014 n. 1663; TAR Campania, Napoli, sez. I, 8 aprile 2010 n. 1830).

Ne discende, per tale profilo, l’infondatezza del ricorso.

Sul secondo motivo.

I ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 3-bis e 17 della legge regionale n. 56 del 1977, nonché la violazione dei principi desumibili dagli artt. 11-ss. del d.lgs. n. 152 del 2006, poiché la decisione di non assoggettare la variante urbanistica a valutazione ambientale strategica sarebbe viziata dall’assenza della “struttura con specifica competenza in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale” prevista dalla normativa regionale e poiché, nel merito, l’esito negativo della verifica di assoggettabilità sarebbe scaturito da un’istruttoria erronea ed incompleta.

In senso contrario a quanto eccepito dalla difesa della controinteressata, il ricorso è ammissibile nonostante non sia stata espressamente impugnata la determinazione dirigenziale n. 411 del 20 novembre 2013, con la quale il Comune di Santena aveva escluso la necessità di valutazione. Ed infatti, secondo la ricostruzione ormai prevalsa in giurisprudenza, l’art. 11 del d.lgs. n. 152 del 2006 costruisce la valutazione ambientale strategica non già come un procedimento o sub-procedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endo-procedimentale di essa, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima, il cui contenuto ben può essere censurato per la prima volta in sede di impugnativa dell’atto di definitiva approvazione dello strumento urbanistico (così Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2011 n. 133).

Nella pronuncia da ultimo richiamata si è poi affermato, in termini che il Collegio condivide, che l’autorità competente alla valutazione ambientale strategica (ovvero al preliminare screening) non deve necessariamente essere individuata in un’amministrazione distinta da quella avente qualità di autorità procedente. Se dalle definizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 152 del 2006 risulta infatti chiaro che entrambe le autorità sono sempre amministrazioni pubbliche, in nessuna definizione del Testo Unico si statuisce in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate. Tale conclusione appare confortata dalle modifiche apportate al Testo Unico dal d.lgs. n. 128 del 2010, laddove già a livello definitorio si distingue tra il “parere” motivato che conclude la fase di valutazione ambientale strategica ed il “provvedimento” di valutazione d’impatto ambientale, a riprova che solo nel secondo caso, e non nel primo, si è in presenza di una sequenza procedimentale logicamente ed ontologicamente autonoma.

Il procedimento qui controverso ha senz’altro avuto avvio il 30 novembre 2012, con la presentazione della formale proposta di variante parziale allo strumento urbanistico (doc. 16 della difesa della controinteressata).

Nella fattispecie, non è applicabile ratione temporis la previsione innovativa contenuta nell’art. 3-bis, settimo comma, della legge regionale piemontese n. 56 del 1977, che così dispone: “Per gli strumenti di pianificazione di cui alla presente legge, l’autorità competente alla VAS è individuata nell’amministrazione preposta all’approvazione del piano, purché dotata di propria struttura con specifica competenza in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale, istituita ai sensi della normativa regionale vigente; gli enti non dotati di tale struttura svolgono la funzione di autorità competente alla VAS avvalendosi della struttura tecnica con le competenze sopra previste della Regione o della Provincia o della Città metropolitana di appartenenza o di altra amministrazione locale, anche facendo ricorso a forme associate di esercizio delle funzioni”.

Infatti, l’art. 3-bis è stato introdotto dalla legge regionale n. 3 del 2013 (pubblicata sul B.U.R. del 28 marzo 2013) e non può essere applicato retroattivamente ai procedimenti di formazione delle varianti iniziati prima della sua entrata in vigore. In via transitoria, l’art. 89 della legge n. 3 del 2013 ha disposto che i procedimenti di formazione ed approvazione delle varianti degli strumenti urbanistici generali “avviati e non ancora conclusi” possono essere portati a termine nel rispetto delle procedure previste dalle norme previgenti. In materia di valutazione ambientale strategica, nel rispetto dell’art. 17 della legge regionale n. 56 del 1977 e della delibera di Giunta regionale n. 12-8931 del 2008 – allegato II.

Ne discende l’infondatezza della censura.

Quanto, poi, al merito della decisione di non sottoporre la variante parziale a valutazione ambientale strategica, non può trascurarsi che la Provincia di Torino, con nota del 12 novembre 2013, ha ritenuto che “gli interventi previsti nella presente variante non determinino ricadute significative territoriali e che pertanto, in riferimento ai criteri individuati dalla deliberazione della Giunta Regionale n. 12-8931 del 9 giugno 2008, non debbano essere assoggettati alla successiva fase di valutazione ambientale prevista dal D.Lgs. 152/2006 e smi”; e che anche l’Organo tecnico regionale, tardivamente interpellato dal Comune di Santena, ha in ogni modo escluso l’assoggettamento della variante alla valutazione ambientale, sulla premessa che “nell’intorno dell’area d’intervento: - non sono presenti zone umide sottoposte a tutela, - le azioni della Variante sono previste in aree che non incidono direttamente sull’integrità delle aree protette e sui siti della rete Natura 2000 presenti, - l’area interessata non è sottoposta a vincolo idrogeologico, - la variante non determina significative ricadute territoriali, - considerata la presenza nell’area delle indispensabili opere di infrastrutturazione” (doc. 22 della difesa della controinteressata).

Nello stesso senso hanno concluso, in corso d’istruttoria, l’A.R.P.A. e la AS.L. TO5, dettando prescrizioni.

L’analisi d’impatto prodotta dalla società proponente (allegato C alla deliberazione del Consiglio comunale n. 16 del 2014) affronta le principali problematiche ambientali, tra cui l’interferenza con le falde d’acqua, l’incremento del traffico veicolare, la rumorosità e le misure di mitigazione dell’impatto acustico, le immissioni odorose e la prevenzione degli incendi.

Come è noto, la valutazione dell’autorità competente in fase di screening finalizzato alla verifica di assoggettabilità, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 152 del 2006, è attività tipicamente connotata da discrezionalità tecnica ed amministrativa, la quale sfugge al sindacato di legittimità, laddove non vengano in rilievo indici sintomatici di non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e della incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti (Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 2008 n. 561; Id., sez. V, 21 novembre 2007 n. 5910; TAR Puglia, Bari, sez. I, 3 agosto 2011 n. 1205). Tutto ciò, ad avviso del Collegio, non può essere ravvisato, specialmente in considerazione della modesta entità dell’intervento di ampliamento al quale è preordinata la variante impugnata, che interessa un impianto produttivo già esistente di grande dimensione.

Per quanto detto, anche il secondo ordine di censure è respinto.

Sul terzo motivo.

Secondo la tesi dei ricorrenti, con la variante al piano regolatore si sarebbe illegittimamente disposta la cessione di un terreno di proprietà comunale (mq 1.648) situato nelle vicinanze di via Quaglia e già destinato a parcheggio pubblico, al solo scopo di consentire il progettato ampliamento del magazzino. In cambio, il Comune avrebbe accettato la cessione di altre aree (mq 1.822) distanti dallo stabilimento produttivo, nella zona mercatale di via De Gasperi.

Il motivo è infondato.

I ricorrenti non hanno provato che, a seguito della riduzione della superficie a parcheggio pubblico in via Quaglia, le aree per attrezzature al servizio degli insediamenti produttivi (parcheggi, verde ed attrezzature sportive, centri e servizi sociali) siano divenute inferiori alla dotazione minima commisurata alla superficie territoriale, secondo i parametri stabiliti dall’art. 21 della legge regionale n. 56 del 1977 e dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale.

In prossimità dell’udienza pubblica, è stata prodotta in giudizio (doc. 2 della difesa del Comune) la relazione tecnica di verifica del fabbisogno di standard a parcheggio pubblico, dalla quale emerge che, per effetto delle reciproche cessioni e tenendo conto delle nuove aree localizzate in via De Gasperi: a) la superficie a parcheggio pubblico aumenterà di mq 304; b) la dotazione complessiva di parcheggi pubblici e privati e di verde privato, anche dopo l’ampliamento del magazzino, sarà pari a mq 3.880 e soddisferà il rapporto minimo stabilito nella misura del 10% della superficie fondiaria.

Non sussistendo la violazione degli standards urbanistici di zona, la descritta riduzione del parcheggio pubblico lungo la via Quaglia ed il correlato incremento della dotazione di parcheggi lungo la via De Gasperi rappresenta una legittima scelta discrezionale dell’amministrazione.

In risposta alle osservazioni formulate dalla Provincia di Torino, il Comune ha accertato “una differenza in negativo di mq 1.518” delle aree a parcheggio pubblico in via Quaglia conseguente all’approvazione della variante parziale, ma ha dichiarato che tale superficie sarà ampiamente compensata “dagli spazi destinati a parcheggio derivati dalle dismissioni recentemente effettuate in occasione dei nuovi insediamenti limitrofi soggetti a PEC (il cui standard previsto dall’art. 21 della L.R. 56/7 è stato elevato dal PRGC dal 20% al 25%) e dalla disponibilità di ulteriori mq. 639 ricavati nell’area ARVI 8”.

Nella delibera comunale n. 50 del 2013 di adozione del progetto di variante, il mutamento di destinazione dell’area di mq 1.648, di cui si prevede la retrocessione alla società controinteressata, è così motivato: “A seguito di specifica variante urbanistica effettuata con D.C.C. del 12/05/2006, venne effettuata una ridistribuzione delle aree a servizi adiacenti al complesso produttivo SER di via Quaglia 26 e conseguentemente la ditta medesima provvide ad effettuare la dismissione gratuita al Comune di una superficie complessiva di mq. 1.877. Tale area, avente forma ad ‘L’, che dipartentesi dalla via Quaglia avrebbe raggiunto, seguendo il confine sud, quasi l’estremità est della proprietà SER, non si è poi rivelata funzionale, a causa della sua stessa conformazione (stretta e lunga) che avrebbe creato seri problemi di utilizzo e di manutenzione nonché di sicurezza per l’aspetto piuttosto defilato rispetto all’ingresso dello stabilimento”.

Anche nell’allegato C alla delibera si legge, al riguardo: “La zona a servizi / parcheggi che prima era stata ottenuta in una sorta di vicolo cieco lungo il lato sud del sito SER verrebbe in parte ricollocata lungo la strada Quaglia così da permettere un veloce accesso in luogo di quanto ora progettato (che vincolerebbe tutto ad unico ingresso e con l’obbligo ad effettuare la manovra di cambio di direzione in una rotonda ricavata sul fondo dell’area); secondo vantaggio sarebbe quello della manutenzione, a carico del Comune, che invece d’esser fatto in una zona di difficile accesso sarebbe ora velocemente gestito direttamente dalla pubblica via”.

Ancora, in sede di controdeduzioni alle osservazioni, si afferma: “L’amministrazione comunale, negli incontri avuti con i rappresentanti della ditta SER, ha constatato l’estrema difficoltà di utilizzazione dell’area posta a sud del complesso industriale, attualmente destinata a parcheggio in P.R.G.C. ed avente una superficie di mq 1.877 ed ha concordato la sua parziale (mantenendo la striscia fronteggiante la pubblica viabilità per mq 229) restituzione alla ditta SER a fronte di una dismissione ben più importante (+20%) in termini di superficie, al fine di dotare la prevista area mercatale sita in via De Gasperi di un indispensabile spazio da destinarsi a parcheggio. La suddetta residua area di mq 229 unitamente alla porzione di mq 130 facente parte dell’adiacente area denominata ARVI 8, per complessivi mq 359, rimangono a disposizione del comparto produttivo circostante, con una differenza in negativo di mq 1.518, che risultano ampiamente compensati dagli ampi spazi, tutti destinati a parcheggio, derivati dalle dimissioni recentemente effettuate in occasione dei nuovi insediamenti limitrofi soggetti a PEC (il cui standard previsto dall’art. 21 della L.R. 56/77 è stato elevato dal PRGC dal 20 al 25%) e dalla disponibilità di ulteriori mq 639 ricavati nell’area ARVI 8”.

Così motivata, la scelta dell’amministrazione costituisce un legittimo bilanciamento tra l’interesse pubblico al reperimento delle aree a parcheggio nel territorio cittadino e l’interesse della società controinteressata all’ampliamento del proprio magazzino industriale e, secondo i comuni principi in tema di pianificazione urbanistica, resta immune dalle censure dedotte dai ricorrenti.

Sul quarto motivo.

E’ infondato il motivo con il quale i ricorrenti censurano l’asserita atipicità della convenzione stipulata tra il Comune di Santena e la società Sintesi e Ricerca s.p.a., affermando che sarebbe stata necessaria la preventiva approvazione di uno dei piani attuativi previsti dalla normativa urbanistica regionale.

Il piano regolatore comunale consente, per la zona interessata, la realizzazione dell’intervento diretto.

Come è noto, la possibilità di rilascio di un permesso di costruire convenzionato, non preceduto dall’approvazione di uno strumento urbanistico di dettaglio, è stata riconosciuta in via generale con l’introduzione dell’art. 28-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 (ad opera dell’art. 17 del d.l. n. 133 del 2014), per tutte le situazioni nella quali “le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata”.

Il legislatore, recependo una prassi ampiamente diffusa, ed anche sulla scorta di talune previsioni della legislazione regionale, ha introdotto una nuova figura di titolo edilizio suscettibile di trovare spazio laddove, al di fuori della pianificazione attuativa, si renda comunque necessaria la strutturazione di un rapporto giuridico tra la parte privata e l’amministrazione pubblica relativamente a profili collaterali al contenuto abilitativo del permesso di costruire.

La norma fissa un limite di ordine generale, finalizzato a distinguere lo spazio riservato all’istituto di nuovo conio rispetto agli spazi tuttora necessariamente riservati alla pianificazione attuativa.

Come osservato in dottrina, ai molteplici piani attuativi previsti dall’ordinamento compete esprimere un ordine insediativo ad una scala di maggior dettaglio, in funzione di integrazione e completamento delle linee programmatiche indicate dal piano urbanistico generale, mentre il permesso di costruire convenzionato ha la funzione di assicurare una disciplina accessoria del permesso di costruire, andando oltre la dimensione provvedimentale e consentendo di strutturare e regolare un rapporto di durata che rende più articolata la relazione giuridica tra il richiedente e l’amministrazione comunale, nonché risolvendo i problemi di disciplina che nella prassi erano inadeguatamente risolti mediante clausole unilaterali atipiche apposte al titolo edilizio.

Per i casi in cui, secondo la valutazione dell’amministrazione, le esigenze di urbanizzazione possono essere soddisfatte con una modalità semplificata, la pianificazione di secondo livello risulterebbe ridondante e non rispettosa del principio di proporzionalità tra gli interessi pubblici da perseguire e lo strumento amministrativo utilizzato, come del resto è stato costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa riferita alle fattispecie dei lotti interclusi ricadenti in aree già urbanizzate, nelle quali l’amministrazione comunale deve disapplicare la previsione dello strumento urbanistico generale che impone, senza sufficienti ragioni giustificative, una pianificazione attuativa che nulla potrebbe aggiungere a fronte di un sufficiente grado di urbanizzazione (cfr., per tutte: Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2014 n. 5488).

L’intervento di ampliamento consentito dalla variante qui impugnata interessa un impianto industriale esistente, inserito in area totalmente urbanizzata e dotata di tutti i servizi e di tutte le necessarie opere infrastrutturali, ed è stato legittimamente assoggettato al rilascio diretto del permesso di costruire.

Sul quinto motivo.

Infine, è infondato e va respinto l’ultimo ordine di censure, volte a denunciare la violazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000 e dei principi in materia di alienazione dei beni pubblici, in quanto il Comune di Santena avrebbe illegittimamente ceduto a trattativa privata un’area appartenente al patrimonio indisponibile, senza stimarne il valore commerciale e senza deliberarne la preventiva declassificazione.

L’area in questione, acquisita dal Comune nel 2007, non è mai stata destinata a parcheggio pubblico poiché, come risulta dalla documentazione fotografica e dalle planimetrie prodotte in giudizio, è sempre rimasta all’interno dello stabilimento della società controinteressata, inaccessibile alla collettività a causa della recinzione.

Né risulta che il Comune di Santena abbia mai eseguito opere di trasformazione dell’area per imprimerle la funzione di parcheggio pubblico. Deve perciò escludersi che la stessa facesse parte del patrimonio indisponibile dell’ente.

Secondo un principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, infatti, un’area di proprietà pubblica non costituisce un’opera di urbanizzazione primaria, né un bene strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente proprietario, fino a quando su di essa non siano state realizzate concrete opere di trasformazione volte a renderla fruibile da parte della collettività, imprimendo al bene una destinazione di fatto conforme a quella astrattamente prevista dal piano: solo in presenza di tali opere il bene acquista carattere strumentale rispetto ai fini dell’ente e rientra a far parte del patrimonio indisponibile, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma, cod. civ., in quanto bene di proprietà pubblica concretamente destinato ad un pubblico servizio. E la effettiva ed attuale destinazione a pubblico servizio implica la realizzazione, da parte dell’amministrazione, delle opere necessarie a rendere il bene funzionale all’esercizio di un pubblico servizio. Neppure sarebbe sufficiente la mera manifestazione di volontà dell’ente pubblico di destinarlo ad un pubblico servizio, ma è altresì necessario che a quella manifestazione di volontà abbiano fatto seguito concrete opere di trasformazione dirette ad imprimere al bene un’effettiva funzionalizzazione ad un pubblico servizio (così TAR Piemonte, sez. I, 22 luglio 2011 n. 805 ed i precedenti ivi richiamati). La decisione di permutare i terreni è stata assunta e congruamente motivata con le deliberazioni del Consiglio comunale di Santena n. 50 del 2013 e n. 37 del 2015.

Nelle predette delibere e nella premessa della convenzione, il Comune ha dato atto del valore delle aree e del metodo di stima adottato. All’area dismessa è stato attribuito il valore di euro 42.000,00, mentre i terreni acquisiti dal Comune (di maggiore estensione e situati in zona più centrale) sono stati stimati al valore di euro 56.000,00.

Quanto al mancato esperimento del pubblico incanto, è sufficiente in contrario rilevare che l’alienazione delle aree di proprietà comunale è rientrata in una più ampia e complessa concertazione con la società titolare dello stabilimento industriale. Ne consegue, per la peculiarità degli interessi pubblici e privati in gioco, la legittimità del ricorso alla trattativa privata per l’individuazione dell’acquirente, alla luce di principi stabiliti dall’art. 41 del r.d. n. 827 del 1924 in materia di contratti pubblici.

Sulle spese.

In conclusione, il ricorso è infondato.

Le spese processuali possono essere compensate, avuto riguardo alla complessità della controversia ed alla novità di alcune delle questioni giuridiche esaminate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2016 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Testori, Presidente

Savio Picone, Consigliere, Estensore

Paola Malanetto, Primo Referendario

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Savio Picone        Carlo Testori
         
         
         
         
         

IL SEGRETARIO