Cass. Sez. III n. 2475 del 17 gennaio 2008 (ud. 9 ottobre 2007)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Alghisi
Aria. Applicabilità articolo 674 c.p.

La Suprema Corte interviene nuovamente, con la decisione in esame, sulla dibattuta questione della configurabilità del reato previsto dall’art. 674, comma secondo, cod. pen. (emissione di gas, vapore o fumi atti a cagionare molestia alle persone) in presenza di emissioni moleste promananti da impianto industriale regolarmente autorizzato ed inferiori ai limiti massimi di tolleranza specificamente fissati dalla legge. La Corte, in particolare, dopo una approfondita ricognizione dello stato della giurisprudenza di legittimità sul punto, precisa che il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la violazione dell’art. 674 cod. pen. in presenza di emissioni provenienti da impianti autorizzati e nel rispetto dei valori limite fissati dalla normativa speciale trova applicazione solo nei casi in cui esistono precisi limiti tabellari fissati dalla legge; diversamente, punto di assoluto rilievo che emerge dalla pronuncia, il reato è configurabile nel caso di “molestie olfattive”, dal momento che non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori (non essendo applicabile la disciplina in materia di inquinamento atmosferico dettata dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), con conseguente necessità di individuare il parametro di legalità nel criterio della “stretta tollerabilità”, ritenendosi riduttivo ed inadeguato il riferimento a quello della “normale tollerabilità” fissato dall’art. 844 cod. civ. in quanto inidoneo ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana, attesa la sua portata individualistica e non collettiva.
(fonte Corte di cassazione)

Svolgimento del processo

Il Tribunale monocratico di Crema, con sentenza del 21 ottobre 2005, ha affermato la responsabilità penale di Alghisi Nicola e Alghisi Federico in ordine ai reati di cui:

- agli artt. 81 cpv. e 674 cod. pen., poiché, nelle rispettive qualità di presidente del consiglio di amministrazione e poi di amministratore unico della s.r.l. “Alghisi” (Alghisi Nicola) e di amministratore unico della s.r.l. “Alghisi Trippa” già s.n.c. “Alghisi” (Alghisi Federico), con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, provocavano emissioni consistite in esalazioni odorose atte a molestare le persone, in quanto nauseanti e puzzolenti, eccedendo la normale tollerabilità - acc. in Palazzo Pignano, dal 6 agosto 2002 al 15 agosto 2003 e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, condannava ciascuno alla pena di euro 180,00 di ammenda, concedendo ad entrambi il beneficio della non-menzione.

Avverso tale sentenza hanno proposto separati ricorsi i due imputati, i quali - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - hanno eccepito:

- la erroneità dell’orientamento interpretativo, condiviso dal Tribunale, secondo il quale la contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen. sarebbe sempre configurabile in presenza di una molestia ex art. 844 cod. civ. e non sarebbe esclusa dal rispetto dei limiti di tolleranza specificamente fissati dalla legge.

Gli stabilimenti di confezionamento di “trippa” alimentare e di lavorazione degli scarti animali, rispettivamente gestiti da essi imputati ed aventi un impianto comune di abbattimento dei fumi, erano muniti di regolari autorizzazioni amministrative per le emissioni in atmosfera; i limiti di emissione imposti da tali autorizzazioni erano stati sempre rispettati e, nei plurimi controlli eseguiti dalla pubblica autorità, non erano state mai riscontrate molestie olfattive.

In una situazione siffatta il giudice del merito si sarebbe dovuto conformare a quella diversa giurisprudenza secondo la quale “non è configurabile il reato nel caso che le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico, atteso che la espressione nei casi non consentiti dalla legge costituisce una precisa indicazione della necessità che l’emissione avvenga in violazione degli standards fissati dalle normative di settore, il cui rispetto integra una presunzione di legittimità”;

- la incongrua valutazione delle prove, non avendo il Tribunale tenuto conto - pure a fronte di deposizioni testimoniali tra loro contrastanti - che nella zona erano presenti altre aziende che svolgevano la medesima attività produttiva con impianti per i quali, al contrario, risultava accertato il superamento dei limiti di legge.

Essi imputati avevano agito sempre in assoluta buona fede e mai avevano ricevuto notizia di doglianze mosse dagli abitanti della zona in relazione a molestie olfattive asseritamente prodotte dalle aziende da loro gestite.

 

Motivi della decisione

I ricorsi devono essere rigettati, perché infondati.

1. In tema di emissioni inquinanti nell’atmosfera, questa Corte Suprema, in più decisioni, ha ravvisato l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 614, seconda parte, cod. pen., affermando che esse possono certamente ricondursi ad una delle tre tipologie indicate dalla norma incriminatrice (gas, vapori, fumo).

Parimenti è stata ritenuta la loro capacità offensiva, in considerazione della indubbia idoneità di tali emissioni ad arrecare molestia alle persone, dovendosi fare rientrare nel concetto di “molestia” tutte le situazioni di fastidio, disagio, disturbo e comunque di “turbamento della tranquillità e della quiete”, che producono “un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione” (vedi Cass: Sez. I, 4 febbraio 1994, n, 123, Sperotto ed altro; Sez. III, 24 gennaio 1995, n. 771, Rinaldi; Sez. I, 22 gennaio 1996, n. 678, P.M. in proc. Viale).

In tale prospettiva è stato affermato che può costituire “molestia” anche il semplice arrecare alle persone preoccupazione ed allarmi generalizzati circa eventuali danni alla loro salute per l’esposizione ad emissioni atmosferiche inquinanti (Cass., Sez. III: 7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi; 12 maggio 2003, n. 20755, Di Grado ed altri).

Deve ricordarsi, inoltre, in proposito, che la contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen., costituisce reato di pericolo, per cui non è necessario che sia determinato un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente l’attitudine concreta delle emissioni ad offenderle o molestarle nel senso sopra indicato (vedi Cass., Sez. I: 15 novembre 1993, n. 10336, Grandoni; 17 dicembre 1994, n. 12428, Montini; 4 dicembre 1995, n, 11868, Balestra ed altro; 21 gennaio 1998, n. 739, P.M. in pro. Tilli; 14 gennaio 2000, n. 407, Samengo; nonché Cass., Sez. III., 21 marzo 1998, n. 3531, Terrile).

1.2 La giurisprudenza di questa Corte, poi, ha ravvisato la possibilità del concorso tra l’art. 674 cod. pen. e le norme speciali in materia ambientale [con riferimento all’inquinamento atmosferico (vedi Cass.: Sez. III, 7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi; Sez. I, 31 agosto 1994, n. 9357, Turino), all’inquinamento idrico (Cass.; Sez. I, 10 novembre 1998, n. 13278, Mangione; Sez. III, 7 ottobre 2003, n. 37945, Graziani) e all’inquinamento elettromagnetico (Cass., Sez. I: 12 marzo 2002, n. 10475, Fantasia ed altri; 14 giugno 2002, n. 23066, Rinaldi)] e, anche in considerazione di tale asserita concorsualità, particolare attenzione, nell’interpretazione testuale dell’art. 674 cod. pen., ha riservato all’inciso “nei casi non consentiti dalla legge”.

In relazione a detto inciso, si era formato un orientamento giurisprudenziale [si ricordino, tra le molte decisioni, Cass.: Sez. I 17 novembre 1993, n. 781, Scionti; Sez. III, 7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi; Sez. I, 6 novembre 1995, n. 11984, Guarnero; Sez. I, 27 gennaio 1996, n. 863, Celeghin; Sez. I, 11 aprile 1997, n. 3919, Sartori; Sez. I, 21 gennaio 1998, n. 739, Tilli; Sez, III, 1 ottobre 1999, n. 11295, Zompa ed altro; Sez, I, 24 novembre 1999, n. 12497, De Gennaro] nel senso che rientra pacificamente nei “casi non consentiti dalla legge” il superamento della soglia delle emissioni fissata dalla normativa di settore, ma che - anche nei casi di attività esercitata previo regolare rilascio dell’autorizzazione amministrativa e nel rispetto dei limiti tabellari fissati dalla normativa speciale - la contravvenzione è pur sempre configurabile alla stregua dei criteri civilistici, in quanto la “molestia” dell’emissione non è esclusa per il solo fatto che essa sia inferiore ai limiti massimi di tolleranza specificamente fissati dalla legge.

Un diverso indirizzo interpretativo (già isolatamente enunciato da Cass., Sez. III, 26 agosto 1985, rv; 7765, Diliberto) si è sviluppato, invece, a partire dalla sentenza 7 luglio 2000, n. 8094, ric. Meo, della I Sezione di questa Corte Suprema (concernente l’emissione di fumo dagli impianti di un oleificio), con la quale è stato affermato il principio che, nella formulazione dell’art. 674 cod. pen., l’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” si collega alla necessità che l’emissione (di gas, vapori o fumi) atta a molestare le persone avvenga in violazione delle norme che regolano l’inquinamento atmosferico.

Ne consegue che, ai fini dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto dall’art. 674 cod. pen., non basta che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio, ma “è indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino gli standards fissati dalla legge”.

Nel campo dell’illecito penale, dunque, si riscontra una sorta di presunzione di legittimità per quelle emissioni che non superino le soglie fissate dalle leggi speciali.

Tali conclusioni devono ritenersi ormai largamente consolidate in una stabile interpretazione giurisprudenziale [vedi Cass., Sez. III, 3 marzo 2004, n. 9757, Pannone, per emissioni provenienti da cava di estrazione di pietra calcarea e da Cass., Sez. I: 12 marzo 2002, rv. 15717, Pagano ed altri; 14 giugno 2002, n. 23066, Rinaldi, in relazione ad emissioni di onde elettromagnetiche; nonché, tra le sentenze più recenti di questa III Sezione: 5 giugno 2007, n. 21814, Pierangeli; 10 ottobre 2006, n, 33971, Bortolato; 9 febbraio 2006, n. 8299, Tortora; 26 maggio 2005, 19898, Pandolfini; 29 settembre 2004, n. 38297, P.M. in proc. Providenti ed altri].

In ogni caso, comunque, affinché possa configurarsi il reato di cui all’art. 674 cod. pen., non basta che le immissioni in atmosfera superino i limiti eventualmente fissati dalla normativa speciale, ma occorre anche che esse abbiano carattere effettivamente molesto, nel senso dianzi delineato (vedi Cass., Sez. I: 13 gennaio 2003, n. 760, Tringali; 7 luglio 2000, n. 8094, Meo).

1.3 Il consolidato orientamento giurisprudenziale del quale si è riferito dianzi trova applicazione nei casi in cui esistono precisi limiti tabellari fissati dalla legge, ed in tali csi non possono ritenersi “non consentite” le emissioni che abbiano, in concreto, le caratteristiche qualitative e quantitative già valutate ed ammesse dal legislatore ed eventualmente trasfuse in legittimi provvedimenti amministrativi autorizzatori.

Deve ritenersi, però, che - ove un’autorizzazione abbia consentito valori in contrasto rispetto a quelli normativamente delineati - resti ferma la valutazione del giudice circa l’illegittimità dell’autorizzazione medesima, con ogni conseguenza penale, non potendo negarsi la rilevanza della produzione degli effetti che l’art. 674 cod. pen. è rivolto a scongiurare.

Diversa è l’ipotesi in cui non esiste una predeterminazione normativa, ove è affidata al giudice penale la valutazione della tollerabilità consentita, alla stregua delle conseguenze che le emissioni producono sull’area esterna all’azienda e sulle persone che vi abitano o comunque vi operano.

Tale valutazione deve operarsi secondo criteri di “stretta tollerabilità” [in tal senso Cass., Sez. III: 5 giugno 2007, n. 21814, Pierangeli; 10 ottobre 2006, n. 33971, Bortolato; 31 marzo 2006, n. 11556, Davito Bava], dovendo ritenersi riduttivo ed inadeguato il riferimento alla “normale tollerabilità” fissato dall’art. 844 cod. civ., che appare inidoneo ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana, attesa la sua portata individualistica e non collettiva (vedi sul punto Corte Cost., 23 luglio 1974, n. 247).

In quest’ottica devono essere riguardate le c.d. “molestie olfattive”, dal momento che non sussiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori-limite in materia di odori e tale materia è diversa da quella dell’inquinamento atmosferica, che I’art. 268, 1° comma - lett. a), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 definisce “ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta all’introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente”.

La normativa nazionale si limita a stabilire alcuni principi fondamentali al fine di prevenire le molestie olfattive, ovvero i criteri generali di localizzazione di alcune tipologie di impianti e le prescrizioni relative all’applicazione delle migliori tecniche disponibili per il contenimento e l’abbattimento delle emissioni. Essa, tuttavia, non prevede limiti, espressi in unità odorimetriche, alle emissioni di sostanze omogenee dagli impianti e metodologie o parametri per valutare la rilevanza o meno del livello di molestia olfattiva da essi determinato.

Solo alcune Regioni hanno individuato normativamente valori-limite alle emissioni di odori.

In assenza di una normativa di settore e di standards fissati dalla legge, dunque, può trovare senz’altro applicazione l’art. 674 cod. pen., con individuazione del parametro di legalità nel criterio della “stretta tollerabilità”, secondo le argomentazioni già svolte al riguardo.

2. Nella fattispecie in esame - in cui non risultano riscontrate violazioni della normativa in relazione al contenuto delle emissioni autorizzate di scarico in atmosfera - il giudice del merito ha tuttavia accertato la intervenuta produzione di esalazioni puzzolenti, provenienti con carattere duraturo proprio dagli stabilimenti gestiti dai due imputati, idonee a cagionare nausea e disgusto, con impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione. Né gli imputati hanno dimostrato di avere adottato tutte le misure imposte, secondo la particolarità del lavoro, dalla migliore esperienza e dalla tecnica più avanzata per evitare quelle molestie (solo nell’ottobre del 2003 è stato messo in funzione un potenziato impianto di abbattimento fumi).

In ordine all’accertamento anzidetto, va rilevato che le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione dei fatti e dell’attribuzione degli stessi alla persona dell’imputato non sono proponibili nei giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

3. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna solidale dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.