Sez. 3, Sentenza n. 978 del 20/01/2004 (Ud. 27/11/2003 n.01970 ) Rv. 227181
Presidente: Savignano G. Estensore: Fiale A. Imputato: Marino. P.M. D'Angelo G. (Conf.)
(Dichiara inammissibile, Trib.Caltanissetta, 14 novembre 2002).
614001 SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Inquinamento atmosferico - Attività di verniciatura di autoveicoli - Impianti ad inquinamento poco significativo o a ridotto inquinamento - Esclusione - d.P.R. n. 203 del 1988 - Applicabilità.
CON MOTIVAZIONE
Massima (fonte CED Cassazione)
In materia di inquinamento atmosferico, l'attività di verniciatura di autoveicoli è disciplinata dal d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, in quanto non rientra ne' tra le attività a ridotto inquinamento atmosferico previste dal punto 19 del d. p. c. m. 21 luglio 1989 ne' tra le attività i cui impianti provocano inquinamento atmosferico poco significativo, previste dal punto 25 dello stesso d. p. c. m., come modificato dal d.P.R. 25 luglio 1991, che estendendo l'ambito di applicabilità del citato d.P.R. n. 203 agli impianti di imprese artigiane e di servizi ha introdotto tali categorie, per le quali vengono introdotte procedure diversificate rispetto al disposto del d.P.R. n. 203 del 1988.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 27/11/2003
Dott. RAIMONDI Raffaele - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 1970
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 29639/2003
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARINO Pietro, n. a Serradifalco, il 4/8/1962;
avverso la sentenza 14/11/2002 del Tribunale monocratico di Caltanissetta;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Fiale Aldo;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. D'ANGELO Giovanni, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Udito il difensore, avv.to Giuseppe Dacqui, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 14.11.2002 il Tribunale monocratico di Caltanissetta affermava la penale responsabilità di Marino Pietro in ordine alle contravvenzioni di cui:
- all'art. 59, 1^ comma, D. Lgs. 11.5.1999, n. 152 (poiché, nell'esercizio di un'attività di autocarrozzeria, effettuava nuovi scarichi di acque reflue industriali contenenti residui di verniciatura e lavaggio di autoveicoli, senza autorizzazione);
- all'art. 24, 1^ comma, D.P.R. 24.5.1988, n. 203 (poiché attivava un nuovo impianto di verniciatura, che originava emissioni in atmosfera, senza la prescritta autorizzazione - acc. in Serradifalco, fino al 5.6.1999) e, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., lo condannava alla pena complessiva di euro 1.500,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza ha proposto impugnazione il difensore del Marino, il quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, l'insussistenza di entrambi i reati, in quanto:
- la responsabilità penale sarebbe stata ravvisata alla stregua di "mere congetture che certamente non possono considerarsi idoneee a provare la reità dell'imputato";
- il D. Lgs. n. 152/1999 punirebbe esclusivamente la condotta di scarico di reflui con sostanze inquinanti incluse nella tabella 5 - allegato 5, indicata dal 5 comma dell'art. 59; pertanto la condotta di scarico già penalmente sanzionata dall'abrogato art. 21 della legge 319/1976 non costituirebbe più reato se le sostanze inquinanti non sono incluse nell'anzidetta tabella.
Mancando, nella specie, un'indagine specifica sulla presenza di sostanze nocive ed inquinanti nelle acque reflue non potrebbe considerarsi integrata la contestata contravvenzione di cui all'art. 59 del D. Lgs. n. 152/1999;
- il nuovo impianto di verniciatura non era in funzione al momento dell'accertamento e, comunque, non rientrerebbe nelle previsioni dell'art. 24 del D.P.R. n. 203/1988, poiché ricollegato ad attività artigianale e non industriale.
La Corte di Appello di Caltanissetta, con ordinanza del 10.6.2003, ha trasmesso gli atti a questa Corte Suprema, ai sensi dell'art. 568, ultimo comma, c.p.p..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché contenente censure articolate in fatto e manifestamente infondate. 1. La contravvenzione contestata all'imputato al capo A) della rubrica è quella di scarico di reflui industriali non autorizzato non quella di scarico di acque reflue industriali eccedenti i limiti di legge ed in ordine a tale contestazione deve evidenziarsi che:
1.1 La legge 10.5.1976, n. 319 distingueva gli scarichi con riferimento alla loro provenienza da "insediamenti o complessi produttivi" ovvero da "insediamenti civili". A norma dell'art. 1 quater del D.L. 10.8.1976, n. 544, convertito con modificazioni nella della legge 8.10.1976, n. 690, doveva intendersi:
- per "insediamento o complesso produttivo", uno o più edifici od installazioni, collegati tra di loro in un'area determinata, dalla quale abbiano origine uno o più scarichi terminali e nella quale si svolgono prevalentemente, con carattere di stabilità e permanenza, attività di produzione di beni;
- per "insediamento civile", uno o più edifici o installazioni, collegati tra di loro in un'area determinata, dalla quale abbiano origine uno o più scarichi terminali, ed adibiti ad abitazione o allo svolgimento di attività alberghiera, turistica, sportiva, ricreativa, scolastica, sanitaria, a prestazione di servizi ovvero ad ogni altra attività, anche compresa tra quelle di cui alla precedente lettera, che dia origine esclusivamente a scarichi terminali assimilabili a quelli provenienti da insediamenti abitativi.
L'art. 2 della Direttiva 91/271/CEE distingue invece:
- "acque reflue domestiche, provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche;
- "acque reflue industriali", scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali o industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. 1.2 In seguito dell'entrata in vigore del D.L. 17.3.1995, n. 79, convertito nella legge 17.5.1995, n. 172, l'apertura o la effettuazione di scarichi civili sul suolo o nel sottosuolo senza la prescritta autorizzazione non ha costituito più reato (con effetti anche sulla fattispecie concernente il superamento dei limiti tabellari), poiché le sanzioni penali previste dall'art. 21 della legge n. 319/1976 riguardavano esclusivamente gli scarichi di "insediamenti produttivi".
1.3 Il D. Lgs. 11.5.1999, n. 152 (che ha espressamente abrogato le leggi n. 319/1976, n. 690/1976 e n. 172/1995) ha sostituito la distinzione tra insediamenti produttivi e civili (che presupponeva una diversa qualità delle acque di scarico in relazione alla provenienza) con quella tra:
- "acque reflue industriali", nozione ricomprendente "qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento" (art. 2, lett. h, nel testo modificato dal D. Lgs. 18.8.2000, n. 258);
- ed "acque reflue domestiche" (per le quali è stata esclusa la sanzione penale in mancanza dell'autorizzazione), intendendosi per tali quelle "provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche" (art. 2, lett. g).
L'art. 45, 1^ comma, del D. Lgs. n. 152/1999 (pur dopo le modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 258/2000) ribadisce il principio di cui all'art. 9 della legge n. 319/1976 secondo cui "tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati" (in deroga a tale principio gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie non necessitano di preventiva autorizzazione ma sono esplicitamente vincolati al rispetto dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato) ed il successivo art. 59, 1^ comma, sanziona penalmente "chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione...". 1.4 Nella fattispecie in esame i reflui da attività di autocarrozzeria (ma anche - secondo la giurisprudenza costante di questa Corte - quelli da impianti di autolavaggio) devono considerarsi "acque reflue industriali", non assimilabili a quelle domestiche - poiché non ricollegabili al metabolismo umano e non provenienti dalla realtà domestica - sicché lo scarico di essi in assenza della prescritta autorizzazione è tuttora previsto dalla legge come reato.
Assolutamente irrilevante deve ritenersi ogni questione relativa alla presenza di sostanze nocive ed inquinanti nelle acque reflue, poiché, nel caso che ci occupa, è stato contestato soltanto il 1^ comma dell'art. 59 del D. Lgs. n. 152/1999.
2. Il D.P.R, 24.5.1988, n. 203, nel dettare - in attuazione delle direttive C.E.E. nn. 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 - la disciplina delle emissioni inquinanti in atmosfera derivanti da impianti industriali, ha fissato in termini assai ampi la propria sfera applicativa estendendola (con l'eccezione prevista dall'art. 17 per le centrali termoelettriche e le raffinerie di olii minerali) "a tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione nell'atmosfera" (art. 1, 2^ comma - lett. a) e specificando che l'emissione considerata è soltanto quella in grado di produrre inquinamento atmosferico (art. 2, punto 4).
Per "impianto" si deve intendere, ai sensi dell'art. 2, punto 9, dello stesso D.P.R., "lo stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale".
2.1 Il D.P.C.M. 21.7.1989 (emanato dal Governo nell'ambito dei poteri di indirizzo e coordinamento alle Regioni previsti, in via generale, dall'art. 9 della legge 8.7.1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell'ambiente, e riconosciuti, con specifico riferimento alla materia dell'inquinamento atmosferico, dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 101 del 9 marzo 1989) ha esteso l'ambito di applicazione del D.P.R. n. 203/1988 anche agli impianti di imprese artigiane e di servizi ed ha introdotto le categorie:
- delle "attività i cui impianti provocano inquinamento atmosferico poco significativo" (punto 25), da individuarsi con apposito decreto e non soggette ad alcuna autorizzazione (punto 26);
- delle "attività a ridotto inquinamento atmosferico" (punto 19), stabilendo unicamente al riguardo che le Regioni possono predisporre "modelli semplificati di domande di autorizzazione in base alle quali le quantità e le qualità delle emissioni siano deducibili dall'indicazione della quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo produttivo".
2.2 Il D.P.R. 25.7.1991 (emanato, in base alle previsioni dell'art. 1 della legge 12.1.1991, n. 13, quale atto normativo di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle Regioni) ha modificato parzialmente il D.P.C.M. 21.7.1989 ed ha previsto che le "attività ad inquinamento atmosferico poco significativo" - elencate nell'Allegato 1 - non necessitano di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (art. 2), mentre le Regioni possono unicamente prevedere l'obbligo, per i titolari di tali attività, di comunicare la sussistenza delle condizioni che consentono di ritenere poco significative le emissioni dell'impianto.
Lo stesso D.P.R. 25.7.1991 ha altresì individuato le "attività a ridotto inquinamento atmosferico" (art. 4) ed ha specificato che le stesse sono:
- quelle i cui impianti producono flussi di massa degli inquinanti inferiori a quelli indicati nei decreti ministeriali che dettano le linee guida per il contenimento delle emissioni ed i valori minimi e massimi di emissione;
- quelle che "utilizzano, nel ciclo di produzione, materie prime ed ausiliarie che non superano le quantità ed i requisiti indicati nell'Allegato 2" al decreto stesso (tale Allegato contiene un elenco di 27 attività, per ciascuna delle quali è indicato il quantitativo massimo giornaliero di prodotti che possono essere utilizzati affinché l'attività possa essere ricompresa nel settore in questione).
Le Regioni autorizzano in via generale le attività a ridotto inquinamento atmosferico e possono "altresì predisporre procedure specifiche anche con modelli semplificati di domande di autorizzazione in base ai quali le quantità e le qualità delle emissioni siano deducibili dall'indicazione delle quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo" (art. 5). 2.3 Alla stregua di quanto previsto dal D.P.C.M. 21.7.1989 e dal D.P.R 25.7.1991, l'attività di verniciatura di carrozzerie di autoveicoli in oggetto non rientra tra quelle "i cui impianti provocano inquinamento atmosferico poco significativo", non soggette ad alcuna autorizzazione; ne' la difesa ha mai prospettato che la stessa (per la quantità effettiva di prodotti vernicianti pronti all'uso effettivamente utilizzata, secondo la previsione dell'Allegato 2 al D.P.R. 25.7.1991) potesse essere riconducibile a quelle "attività a ridotto inquinamento atmosferico" che le Regioni autorizzano in via generale e per le quali possono "altresì predisporre procedure specifiche anche con modelli semplificati di domande di autorizzazione in base ai quali le quantità e le qualità delle emissioni siano deducibili dall'indicazione delle quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo".
3. Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale degli episodi e dell'attribuzione degli stessi alla persona dell'imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione dei fatti, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 500,00.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di euro 500,00 (cinquecento/00) in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 27 novembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2004