Cass. Civ.. Sez. I Sent. 15298 del 6 luglio 2007
Presidente: Proto V. Estensore: Luccioli MG.
Lanucara (Lemme) contro Ass. Reg. Sicilia Bbccaa Pi (Avv. Gen. Stato)

ANTICHITÀ E BELLE ARTI - COSE DI INTERESSE ARTISTICO E STORICO - COSE DI PROPRIETÀ PRIVATA - ALIENAZIONE O TRASMISSIONE - IN GENERE - Dichiarazione di esportazione intracomunitaria di opere d'arte - Dichiarazione del valore da parte del proprietario - Diritto di prelazione per lo stesso prezzo da parte della P.A. (Assessorato della Regione Sicilia) - Annullamento parziale in sede amministrativa del decreto di prelazione limitatamente ad alcuni beni non compresi nella dichiarazione di esportazione - Determinazione assessorale del prezzo nella misura originaria - Perfezionamento dell'acquisto della P.A. per i beni oggetto di dichiarazione - Fattispecie.

In tema di diritto di prelazione della P.A. (nella specie l'Assessorato ai Beni Culturali ed Ambientali della Regione Siciliana) per le opere di interesse storico ed artistico da esportare in ambito comunitario (per la disciplina anteriore al d.lgs. 29 ottobre 1999, n.490), l'effetto traslativo della proprietà in favore del prelazionario si verifica, ai sensi dell'art. 39 della legge 1 giugno 1939, n.1089 , secondo la regola dell'automaticità, con indennizzo pari al valore dichiarato dall'esportatore in apposita denuncia ed al momento in cui il decreto della P.A. assume il carattere della definitività, consumandosi a quell'epoca la facoltà per l'esportatore di rinunciare all'esportazione per così conservare la proprietà del bene.(Nella specie la S.C., confermando la sentenza del giudice d'appello, ha negato che l'ordine rivolto dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia al predetto assessorato in sede di giudizio di ottemperanza al fine di procedere ad una nuova determinazione del prezzo dovuto per effetto dell'accertato esercizio della prelazione su un novero di beni inferiore equivalesse a far retrocedere il procedimento amministrativo alla fase iniziale, con conseguente facoltà per il proprietario dei beni di accettazione o rifiuto del prezzo e quindi della alternativa attivazione della diversa procedura con ricorso alla commissione di esperti o della rinuncia alla esportazione; ciò sul presupposto che il prezzo dei beni, anche così ridotti (senza cioè due frontoncini, non rinvenuti in denuncia), era stato confermato con decreto dell'assessorato nella identica misura di quello, iniziale, con cui la prelazione era stata esercitata su un novero più ampio di beni ed era stato altresì nel frattempo incassato, con conseguente inammissibilità della domanda, svolta avanti al giudice civile, con cui il soggetto proprietario aveva chiesto le ulteriori somme e, in via riconvenzionale, la restituzione dei due beni già divenuti di proprietà della P.A.).


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. VITRONE Ugo - Consigliere -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - rel. Consigliere -
Dott. DEL CORE Sergio - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LANUCARA CLELIA, elettivamente domiciliata in ROMA CORSO DI FRANCIA 197, presso l'avvocato LEMME FABRIZIO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
ASSESSORATO AI BENI CULTURALI E AMBIENTALI E ALLA PUBBLICA ISTRUZIONE DELLA REGIONE SICILIANA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3/03 della Corte d'Appello di PALERMO, depositata il 16/01/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2 007 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato LEMME che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per il resistente, l'avvocato dello Stato FIORILLI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 5 febbraio - 13 marzo 2001 il Tribunale di Palermo, in accoglimento dell' opposizione proposta dall'Assessorato ai Beni Culturali ed Ambientali della Regione Siciliana, revocava il decreto ingiuntivo con il quale era stato ingiunto al predetto Assessorato il pagamento in favore di Clelia Lanucara della somma di L. 4.000.000.000, quale prezzo determinato ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 31 e 39, per l'acquisto di due stele funerarie neoclassiche attribuite ad Antonio Canova, già destinate dalla Lanucara alla esportazione in Germania per il valore dichiarato di L. 55.000.000 ed oggetto di prelazione per lo stesso prezzo con Decreto del 13 marzo 1978, unitamente ai due frontoncini che completavano l'opera.
In motivazione il Tribunale, rilevato che all'esito di impugnazione dinanzi al Giudice amministrativo il decreto di prelazione era stato annullato limitatamente alla estensione della prelazione ai frontoncini, non contemplati nella domanda di esportazione, osservava che nelle more di quel processo la Lanucara aveva ceduto la res litigiosa a tale Mario Tazzoli, unitamente al quale aveva dapprima proposto giudizio di ottemperanza, in seguito al quale il prezzo delle sole due stele era stato confermato in L. 55.000.000 con decreto dell'Assessore in data 6 dicembre 1988, e poi aveva notificato all'Amministrazione l'atto di nomina del proprio arbitro, onde costituire la commissione di esperti prevista dalla L. n. 1089 del 1939, artt. 31 e 39, per la stima delle opere d' arte da esportare in ambito comunitario; che il relativo procedimento, abbandonato dalla Lanucara, era stato proseguito da Bernini Teresio Daniele, erede del Tazzoli, il quale, dopo aver ottenuto dal presidente del Tribunale di Palermo la nomina degli altri due esperti, aveva agito in sede monitoria per conseguire il pagamento del prezzo stimato dalla commissione, pari a L. 4.000.000.000, ma era restato soccombente, con sentenza divenuta irrevocabile, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo perché ritenuto carente di legittimazione attiva, sul rilievo che il passaggio in giudicato della sentenza del giudice amministrativo aveva perfezionato l'acquisto in capo all'Assessorato a decorrere dalla data del decreto di prelazione. E pertanto detto giudice da un lato escludeva la fondatezza della domanda di restituzione delle stele avanzata dalla Lanucara in via riconvenzionale, della quale rilevava anche l'inammissibilità in rito, dall' altro lato negava la legittimazione della stessa ad avvalersi della stima resa dalla commissione di esperti nel corso di un procedimento al quale ella non aveva partecipato e che non era suscettibile di ratifica, in quanto promosso da soggetto non legittimato.
Aggiungeva che, in ogni caso, rispetto alla facoltà di acquisto ai sensi della L. n. 1089 del 1939, art. 39, il destinatario doveva ritenersi titolare di un interesse legittimo, che nella specie era stato soddisfatto con la celebrazione del giudizio amministrativo, nell'ambito del quale la censura relativa alla determinazione del prezzo, in quanto non proposto dall' Assessore, ma mutuato da quello dichiarato nella richiesta di nulla osta all'esportazione, era stata dichiarata inammissibile dal TAR, senza che il relativo capo fosse stato impugnato.
Osservava infine che la rinuncia all'esportazione effettuata dopo che il provvedimento del 13 marzo 1978 era divenuto definitivo era da considerare irrilevante e che d' altro canto la Lanucara aveva accettato ed incassato il prezzo offerto, onde nessuna ulteriore somma poteva esserle riconosciuta.
Avverso tale pronuncia proponeva appello la Lanucara dinanzi alla Corte di Appello di Palermo, che con sentenza dell' 8 novembre 2002 - 16 gennaio 2003 rigettava l'impugnazione. Osservava in motivazione detta Corte che il primo Giudice, richiamando l'accertamento contenuto nella sentenza resa nel procedimento tra il Bernini e l'Assessorato, a tenore del quale l'esercizio del diritto di prelazione effettuato con il provvedimento del 13 marzo 1978 aveva determinato, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di appello del giudice amministrativo, il trasferimento coattivo della proprietà in favore dell' Assessorato, non aveva affatto violato i limiti soggettivi del Giudicato, ma aveva legittimamente condiviso tale accertamento. Analogamente, nessuna violazione dei limiti soggettivi del giudicato il Tribunale aveva commesso nel richiamare le affermazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 78 del 1987 emessa inter partes, secondo le quali la prelazione comporta la possibilità per l'esportatore di accettare il prezzo, ovvero di ricusarlo ed attivare il procedimento di stima previsto dalla legge, ovvero ancora di rinunciare all'esportazione e conservare la proprietà del bene.
In relazione al merito la Corte territoriale, condividendo gli argomenti svolti sul punto nella citata sentenza n. 78 del 1987 del Giudice amministrativo, riteneva che l'esercizio della prelazione relativamente alle due stele fosse divenuto incontestabile, con il coevo passaggio della proprietà, non già alla data di emissione del provvedimento del 13 marzo 1978, secondo quanto affermato dal Tribunale, ma alla data della pubblicazione della sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa che aveva rigettato in parte qua il ricorso e consolidato il provvedimento impugnato, così segnando anche il momento finale per la rinuncia all'esportazione. Nè poteva sostenersi che la mancanza di una originaria determinazione del corrispettivo riferito alle sole stele escludesse l'effetto traslativo della proprietà, tenuto conto che la determinazione cumulativa del prezzo, ritenuta ininfluente dal TAR, era stata oggetto di valutazione nella decisione n. 141 del 1988 emessa in sede di ottemperanza dal Consiglio di Giustizia Amministrativa, la quale sul presupposto dell' avvenuto annullamento del provvedimento del 13 marzo 1978 nella parte relativa ai due frontoncini e sul rilievo della globalità della quantificazione del prezzo aveva ordinato alla Amministrazione di quantificare e pagare la somma dovuta per le sole stele.
Quanto alle doglianze relative alla determinazione del prezzo ed alla asserita obbligatorietà della stima effettuata dalla commissione di esperti, osservava che esse muovevano dall'erroneo presupposto che l'ordine dato all'Amministrazione nel giudizio di ottemperanza di determinare e pagare la somma dovuta per le sole stele avesse prodotto l'effetto di far retrocedere il procedimento alla fase iniziale, con nuova attribuzione delle opzioni di accettazione o rifiuto del prezzo o di rinuncia alla esportazione, così ponendo nel nulla il giudizio amministrativo già svolto avente ad oggetto l'impugnazione del provvedimento di prelazione e lo stesso giudicato che la pronuncia di ottemperanza tendeva ad attuare, il cui esito aveva consolidato gli effetti ablatori del provvedimento stesso relativamente alle due stele.
E quindi, coniugando l'ordine di quantificazione del prezzo emesso nel giudizio di ottemperanza con la declaratoria di inammissibilità della censura relativa alla determinazione del prezzo, anch' essa affermata dal Giudice amministrativo, concludeva che il prezzo delle due stele andava determinato sottraendo il prezzo dei due frontoncini dall'importo di L. 55.000.000, quantificato per l'insieme di stele e frontoncini in seguito al consolidarsi del provvedimento del 13 marzo 1978, e che in tal senso appariva emanato il decreto del 6 dicembre 1978 che in esecuzione del giudicato aveva confermato il prezzo di L. 55.000.000.
Osservava infine la Corte che, anche a voler ipotizzare che il prezzo delle stele dovesse essere determinato non già in una quota parte del prezzo originario, ma mediante una nuova valutazione dell'Amministrazione, a sua volta suscettibile di essere accettata o ricusata dalla esportatrice, ugualmente non avrebbe potuto riconoscersi a, quest'ultima il credito preteso di L. 4.000.000.000, indicato dalla commissione di esperti, atteso che il procedimento di nomina della commissione, promosso ad iniziativa anche della Lanucara, non era poi stato coltivato dalla stessa, ma proseguito unicamente dal Bernini, che qualificandosi erede universale del cessionario Tazzoli aveva agito esclusivamente per proprio conto. Riteneva infine infondata la doglianza relativa alla ricettata inammissibilità della domanda restitutoria, atteso che, indipendentemente dai rilievi in precedenza svolti circa l'intervenuto acquisto delle sculture da parte dell'Assessorato, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ogni modifica della domanda proposta in monitorio da parte dell'opposto si imbatte nei limiti posti dal divieto della mutatio libelli.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Lanucara deducendo un unico articolato motivo illustrato con memoria. Ha resistito con controricorso l'Assessorato ai Beni Culturali e Ambientali e alla Pubblica Istruzione della Regione Sicilia. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 39, commi 2 e 3, e ss., omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, si deduce che la sentenza impugnata ha illegittimamente negato alla ricorrente sia la facoltà di rinunciare all'esportazione, sia in via alternativa quella di ricusare la proposta di acquisto dell'Amministrazione, sia infine quella di accertare il valore del bene mediante la procedura di nomina della commissione di esperti, nonostante ella avesse chiaramente e reiteratamente manifestato la volontà di non accettare il prezzo determinato in L. 55.000.000, e dunque, in alternativa, di rinunciare all'esportazione. Si prospetta in particolare l'errore della sentenza impugnata per aver affermato che l'effetto ablatorio si era realizzato alla data di pubblicazione della sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 78 del 1987, atteso che l'atto impugnato dinanzi al Giudice amministrativo aveva acquisito definitività solo parziale in seguito a quel giudicato, difettando la determinazione del prezzo, e che la mancanza di tale elemento essenziale aveva impedito l'acquisizione del bene da parte della Pubblica Amministrazione. Si aggiunge che, una volta esaurito il procedimento con il secondo decreto assessorale di conferma del prezzo inizialmente proposto, la Lanucara ed il Tazzoli avevano tempestivamente notificato la propria decisione di rinuncia all'esportazione.
Si deduce ancora che la sentenza impugnata ha erroneamente interpretato la decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 78 del 1987, la quale aveva in realtà affermato che a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 288 del 1972, art. 4, convertito in L. n. 487 del 1972, per le sole esportazioni intracomunitarie il corrispettivo dell'acquisto da parte dell'Amministrazione è correlato non più al valore dichiarato nella denuncia, ma ad un prezzo da questa svincolato, proposto dal Ministro ed eventualmente determinato dalla apposita commissione di esperti. Si aggiunge che la pronuncia impugnata si pone in aperto contrasto anche con l'interpretazione fornita dalla giurisprudenza delle norme che regolano la facoltà di acquisto dei beni oggetto di denunzia di esportazione nei Paesi comunitari e con la ricostruzione operata dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 23 settembre 1991 n. 7, la quale ha ritenuto che per i beni destinati alla esportazione in ambito comunitario non si configura un procedimento ablatorio con indennizzo equiparato al valore indicato dall'esportatore, essendo facoltà dell'Amministrazione formulare un' offerta di acquisto che può essere accettata, così realizzandosi un trasferimento convenzionale, ovvero non accettata, con conseguente rinunzia all'esportazione e caducazione dell'intero procedimento, ovvero senza rinunzia, ma con la instaurazione di un procedimento espropriativo nell'ambito del quale il prezzo è stabilito secondo criteri obbiettivi. Si deduce quindi l'errore della sentenza impugnata per non aver tenuto conto che nella specie si era appunto realizzata la mancata accettazione dell'offerta, con conseguente incardinamento del procedimento per la determinazione del prezzo; in via alternativa per non aver accertato l'intervenuta rinunzia all'esportazione. Si osserva ancora sul punto che la stima operata dalla commissione di esperti, da qualificare come lodo arbitrale obbligatorio, non era stata mai impugnata dall'Amministrazione.
Si censura infine la statuizione relativa alla asserita inammissibilità della domanda riconvenzionale di restituzione delle stele, richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo la quale nell'ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l'opposto può avanzare domande riconvenzionali nei confronti dell'opponente a fronte di domande riconvenzionali di quest'ultimo, a fondamento delle quali può anche dedurre un titolo non dipendente da quello posto a base dell'ingiunzione o delle relative eccezioni. Il complesso motivo di ricorso è infondato, in tutte le sue articolazioni.
Come risulta dalla sentenza impugnata, con decisione n. 78 del 1987 il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, pronunciando sul ricorso proposto dalla Lanucara avverso la sentenza del TAR per la Sicilia n. 321 del 1986, annullò il decreto di prelazione limitatamente ai due frontoncini, che non avevano costituito oggetto di denuncia e di presentazione per l'esportazione, confermando la legittimità del provvedimento con il quale l'Amministrazione aveva esercitato, ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 39, la facoltà di acquisto delle stele.
Risulta altresì che in sede di giudizio di ottemperanza al giudicato di cui alla richiamata pronuncia, promosso dalla Lanucara e dal Tazzoli, lo stesso Consiglio di Giustizia Amministrativa con decisione n. 141 del 1988 ordinò all'Amministrazione di provvedere entro novanta giorni alla nuova determinazione - resa necessaria dall'annullamento del decreto di prelazione nella parte relativa ai due frontoncini - ed al pagamento del prezzo dovuto in conseguenza dell'esercizio del diritto di prelazione sulle due stele. Risulta ancora che con decreto del 6 dicembre 1988 l'Assessore regionale confermò il prezzo di L. 55.000.000, già indicato nella denuncia e nella dichiarazione di acquisto, non diminuito per la mancata acquisizione dei frontoncini, e che tale provvedimento non venne impugnato.
Così ricostruita la complessa vicenda, osserva la Corte che la sentenza impugnata appare immune dai vizi di violazione di legge e di carenze motivazionali denunciati nel motivo di ricorso. La Lanucara si diffonde lungamente sulla problematica relativa alle modalità di acquisto della proprietà dei beni di interesse storico ed artistico da esportare in ambito comunitario, e richiama la ricostruzione offerta dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella nota decisione n. 7 del 1991, secondo la quale in relazione alla esportazione di beni nell'ambito degli Stati appartenenti alla CEE, disciplinata dal D.L. 5 luglio 1972, n. 288, convertito, con modificazioni, nella L. 8 agosto 1972, n. 487, che all'art. 4, ha modificato la L. n. 1089 del 1939, art. 39, non opera il principio di prelazione automatica con indennizzo equiparato al valore dichiarato dall'esportatore, introdotto dal citato art. 39, comma 1, in relazione alle esportazioni extracomunitarie, ma trova applicazione il sistema più articolato e complesso disciplinato nei commi successivi, secondo il quale - in adesione al principio della libera circolazione dei beni ed a seguito della abolizione del tributo sull'esportazione di cui alla L. n. 1089 del 1939, art. 37, - l'Amministrazione ha facoltà, a fronte della richiesta di autorizzazione all'esportazione, di formulare un' offerta di acquisto che può essere accettata, dando luogo ad un trasferimento convenzionale, ovvero rifiutata, con conseguente possibilità per il richiedente di rinunciare all'esportazione, così determinando l'estinzione del procedimento, ovvero di essere destinatario di un provvedimento avente natura espropriativa, costituente titolo alla corresponsione di un prezzo da determinare dalla apposita commissione, il cui versamento si pone quindi in un momento successivo a quello dell'intervenuto acquisto coattivo (ma v. in senso contrario Cass. 1982 n. 4363, che ha ritenuto che anche per le esportazioni in ambito comunitario operi la prelazione automatica, sulla base del valore dichiarato nella denuncia di esportazione). E tuttavia il richiamo alla suindicata disciplina appare in larga parte inconferente, atteso che in forza dell'intervenuto giudicato sulla legittimità del decreto di prelazione emesso dall'Assessore regionale assume rilievo centrale ai fini del decidere l'individuazione del momento in cui ebbe a verificarsi, a seguito di detto giudicato, l'effetto traslativo della proprietà: tale momento la sentenza impugnata ha esattamente collocato nella data in cui l'indicato decreto assunse il carattere della definitività, in applicazione del principio secondo il quale l'acquisizione del bene da parte dell'Amministrazione si verifica nel giorno in cui l'atto di prelazione diventa inoppugnabile, avendo sino a quella data l'esportatore la facoltà di rinunziare all'esportazione, mantenendo la proprietà.
È altresì evidente che l'ordine imposto dal giudice amministrativo alla pubblica amministrazione in sede di giudizio di ottemperanza di procedere alla nuova determinazione del prezzo dovuto in conseguenza dell'esercizio del diritto di prelazione sulle due stele oggetto del giudizio in tanto trovava la propria ragione giuridica in quanto, una volta ritenuta la legittimità della prelazione, restava ancora da definire il valore delle due stele che, sole, ne erano state oggetto. Sulla base della accertata esistenza del giudicato sulla legittimità del provvedimento di prelazione e dei conseguenti effetti ablatori, consolidati dalla decisione di ottemperanza, la Corte di Appello ha correttamente osservato che detto ordine di determinazione del prezzo per le sole stele non valeva a far retrocedere il procedimento alla fase iniziale, con nuova attribuzione delle opzioni di accettazione o rifiuto del prezzo, e quindi della alternativa della attivazione della commissione di esperti o della rinuncia alla esportazione, ed ha coerentemente ritenuto l'ininfluenza della rinuncia all'esportazione, effettuata con atti notificati all'Assessorato ed alla Soprintendenza il 4 novembre ed il 12 dicembre 1987, in quanto definitivamente preclusa dalla efficacia traslativa spiegata dal decreto di prelazione divenuto definitivo.
Per quanto attiene ancora alle censure relative alla determinazione del prezzo - sulle quali la memoria illustrativa depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c., si è unicamente soffermata, adombrando un abbandono della precedente linea difensiva diretta (anche) a far valere il diritto alla caducazione dell'atto ablativo - va osservato che altrettanto correttamente la sentenza impugnata ha escluso il valore vincolante per la Lanucara del parere della commissione di esperti che aveva indicato in L. 4.000.000.000 il valore delle stele, atteso che il relativo procedimento, sebbene proposto anche su iniziativa della predetta, non era più stato dalla stessa coltivato e che il provvedimento in quella sede adottato era stato emesso nei confronti del Bernini, soggetto non legittimato (in quanto ritenuto con sentenza del Tribunale in data 3 giugno 1994 passata in giudicato privo di legittimazione passiva, stante la nullità del titolo di acquisto del suo dante causa Tazzoni). Va inoltre rilevato sul punto che la ricorrente non ha specificamente impugnato in sede di ricorso per cassazione i passaggi motivazionali con i quali la Corte di Appello ha affermato la sua posizione di estraneità rispetto a quel procedimento.
La sentenza impugnata ha peraltro ravvisato un ulteriore motivo di inammissibilità delle doglianze attinenti alla determinazione del prezzo, osservando - ed anche su tale punto non vi è specifica censura in questa sede - che le medesime doglianze erano state dichiarate inammissibili dal TAR della Sicilia nella sentenza resa in sede di impugnazione del decreto di prelazione, e che il relativo capo non era stato oggetto di impugnazione.
Va infine dichiarata l'inammissibilità del profilo di censura volto a sostenere la proponibilità nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo della domanda riconvenzionale di restituzione delle due stele. Ed invero la Corte di Appello ha ritenuto detta domanda non accoglibile in ragione dell'accertato passaggio della proprietà delle opere alla Amministrazione, oltre che per la inammissibilità in rito di detta domanda riconvenzionale: è pertanto evidente che la radicale incompatibilità delle ragioni di merito poste a sostegno della statuizione con detta pretesa restitutoria rende irrilevante, in quanto del tutto teorica, la questione prospettata dalla ricorrente circa l'ammissibilità in rito della domanda riconvenzionale nel giudizio di opposizione.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 10.000,00 per onorario, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2007