Cass. Sez. III n. 32585 del 20 novembre 2020 (CC 16 ott 2020)
Pres. Liberati Est. Gai Ric. Cifalà
Caccia e animali. Maltrattamento

In tema di maltrattamento di animali, il reato permanente di cui all'art. 727 cod. pen., è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note, al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali, per cui non è necessario l’accertamento di lesioni. L'assenza di malattie, pertanto, non può essere considerata di per sé elemento idoneo a escludere le gravi sofferenze degli animali.


RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza in data 7 luglio 2020, il Tribunale di Catania ha respinto la richiesta di riesame, presentata da Cifalà Stefano, avverso il provvedimento di sequestro preventivo impeditivo emesso dal Giudice per le indagini Preliminari del Tribunale di Catania, con il quale erano stati sottoposti a sequestro preventivo 36 canarini, 9 pappagalli e circa kg. 1000 di rifiuti speciali costituiti da materiale ferroso (parti di auto, radio dismesse, cancelli in ferro ecc.), rinvenuti all'interno di un garage nella disponibilità del ricorrente, in relazione alle indagini per i reati di cui all’art. 2 legge n. 150/1992, art. 727, comma secondo, cod. pen. e art. 256 d.lgs. n. 152/2006.

2. Avverso l'ordinanza, Cifalà Stefano ha presentato, per mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo denuncia l'erronea applicazione della legge, nonché mancanza di motivazione, ex art. 606, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen., in relazione agli artt. 321 e 125 cod. proc. pen. con riferimento al fumus commissi delicti relativamente ai tre reati contestati.
Con riguardo al fumus del reato di cui all'art. 2 L. n. 150/1992, contesta il ricorrente che gli esemplari, canarini della specie Serinus Canaria e pappagalli della specie Agapornis, rivenuti nella disponibilità dell’indagato appartengano alle specie indicate nell'allegato B del regolamento europeo n. 407/2009, da cui l'insussistenza del fumus del reato di cui all’art. 2 lett. f) della legge  n. 150/1992, in ogni caso, si sarebbe trattato di esemplari destinati esclusivamente a un uso personale o domestico.
Con riferimento al fumus del reato di cui all'art. 727, comma secondo, cod. pen., non sarebbe sussistente per mancanza di un elemento costitutivo della fattispecie contestata, ossia l'idoneità dello stato di detenzione a provocare gravi sofferenze agli animali. Sostiene il ricorrente che gli animali erano stati trovati in buono stato di nutrizione e senza mostrare sintomi riferibili a malattie infettive.
Il Tribunale etneo avrebbe omesso di motivare sulla censura in ordine alle modalità della detenzione dei predetti animali: la difesa avrebbe evidenziato che il luogo di custodia dei volatili fosse fornito di una lunga e rettangolare grata e di un aeratore posto sul soffitto, idonei entrambi ad arieggiare il locale. La costrizione dei volatili all'interno di gabbie sarebbe, inoltre, un'affermazione meramente labiale e priva di riscontro documentale.
Infine, in ordine al fumus del reato di cui all'art. 256 D.Lgs. n. 152/2006, non sarebbe dimostrata la natura di rifiuto di quanto rinvenuto all'interno del garage del Cifalà, materiali molti dei quali destinati a essere riutilizzati. Il luogo ove essi venivano individuati, ossia un garage, è luogo deputato alla conservazione di merce di varia natura, la quantità del materiale, stimata in maniera sproporzionata e tra l'altro senza alcuna relativa operazione, avrebbero dovuto deporre per la non qualificazione di rifiuto del materiale rinvenuto. Il Tribunale del Riesame avrebbe definito tale materiale rifiuto di tipo speciale sulla scorta della sola visione delle fotografie.
L'ordinanza risulterebbe viziata anche laddove non avrebbe argomentato circa gli indici di imprenditorialità e/o professionalità, elementi da cui desumere quel minimo di organizzazione richiesta dalla giurisprudenza per la configurazione del reato in trattazione.

2.2. Con il secondo motivo denuncia l'inosservanza ed erronea applicazione della legge nonché mancanza di motivazione ex art. 606, lett. b), c) ed e) in relazione agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. con riferimento al periculum in mora.
Il Tribunale etneo si sarebbe limitato a una mera affermazione di correttezza della valutazione operata dal G.I.P., senza aggiungere alcuna motivazione sull'esistenza di un concreto pericolo di aggravamento delle conseguenze e di reiterazione dei reati, motivazione ancora più rilevante in ragione dell'incongruenza causata dall'aver lasciato il materiale e gli animali nella custodia dello stesso indagato e nel medesimo locale, senza alcuna prescrizione o accorgimento particolare.
    
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivi manifestamente infondati ed anche non appartenenti al novero di quelli denunciabili in questa sede.
Tenuto conto del limite del sindacato di legittimità nei procedimenti penali avverso ai provvedimenti cautelari reali che, ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen., è circoscritto  soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge ove rientrano, in particolare, gli errores in iudicando o in procedendo, e anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093), è inammissibile il secondo motivo di ricorso laddove, dietro l’apparente deduzione della violazione di legge, esso si sostanzia nella richiesta di rivalutazione del merito e si censura la motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che i volatili erano detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze in ragione del luogo e della modalità della detenzione invocandone una lettura alternativa, nonché de terzo motivo laddove contesta la valutazione sulla natura di rifiuto come operata dal giudice cautelare.
4. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso.
L’art. 2 della legge 7 febbraio 1992, n. 150 così recita: “Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, e' punito con l'ammenda da euro ventimila a euro duecentomila o con  l'arresto  da sei mesi ad un anno, chiunque, in violazione di quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio,  del  9  dicembre  1996,  e successive attuazioni e modificazioni, per gli esemplari appartenenti alle specie elencate negli allegati B e C del Regolamento medesimo e successive modificazioni:..
f) detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende, espone o detiene per la vendita o per fini commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta documentazione”.
Le specie di volatili rivenute nel locale dell’indagato (canarini e pappagallini, serinus canaria e agapornis) sono indicate all'interno dell'allegato B) del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio del 9 dicembre 1996, come successivamente modificato dal del Regolamento (CE) n. 407/2009, pp. 28 e 30. Correttamente il Tribunale di Catania ha ritenuto gli esemplari di volatili, ritrovati all'interno del garage dell'indagato rientranti tra gli animali la cui detenzione integra la fattispecie di cui all'art. 2 lett. f) della legge 7 febbraio 1992, n. 150.
L’ordinanza impugnata ha rilevato che i volatiti in questione erano detenuti dall’indagato ed erano privi del certificato attestante la provenienza.
Il Tribunale del Riesame etneo con congrua e non apparente motivazione ha argomentato la detenzione per la vendita, escludendo la tesi difensiva dell’uso domestico o personale in ragione del numero di animali rinvenuti – ben 36 canarini e 9 pappagalli, con alcune coppie di volatili in cova – e del luogo della detenzione – un garage privo di sufficienti meccanismi di aerazione e pieno di materiali di sgombero e ferrosi – elementi che ha ritenuto incompatibili con l'assunto difensivo.

5. Manifestamente infondata è la censura che si appunta sull’insussistenza del fumus commissi delicti della fattispecie ex art. 727, comma secondo, cod. pen. poiché contrario a un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e, in parte, anche diretto a una rivalutazione del fatto. Inoltre, il Tribunale di Catania ha fornito un'adeguata motivazione sulla detenzione in condizioni incompatibili con la loro natura e sulle gravi sofferenze da essa causate (stipati in gabbie prive di adeguata areazione e a contatto con i rifiuti).
L'orientamento costante di questa Corte ritiene che in tema di maltrattamento di animali, il reato permanente di cui all'art. 727 cod.pen., è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note, al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali, per cui non è necessario l’accertamento di lesioni (Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014, Garnero, Rv. 262529).
L'assenza di malattie, pertanto, non può essere considerata di per sé elemento idoneo a escludere le gravi sofferenze degli animali.
Il tribunale cautelare ha precisato che i volatili erano allevati in un luogo inidoneo, a causa della presenza di materiale ferroso e di sgombero di ogni genere, e privo di un ricambio d'aria sufficiente, argomentando così anche in ordine alla circostanza dell'areazione.
La valutazione sulla sufficienza o meno della grata e dell'aereatore esula dal sindacato di legittimità poiché appartiene al merito.

6. Anche il motivo in ordine al fumus del reato di cui all'art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 è manifestamente infondato. L’ordinanza impugnata, sulla scorta delle risultanze processuali (fotografie), e dunque su un accertamento di fatto non qui discutibile in presenza di congrua e non apparente motivazione, ha ritenuto sussistente la natura di rifiuti depositati nel garage del ricorrente, e, in ogni caso, deve rammentarsi che è onere di chi invoca il riutilizzo dei materiali dare dimostrazione di tale destinazione (Sez. 3, n. 56066 del 19/09/2017, Rv. 272428 – 01), onere che non risulta essere stato assolto nel caso in esame.
Infine, l'art. 256 D.Lgs. n. 152/2006, a differenza dell'art. 260 del medesimo decreto (oggi sostituito dall'art. 452-quaterdecies) che richiede(va) l'allestimento di mezzi e di attività continuative organizzate, deve essere applicato ogni qualvolta vi sia un'attività di gestione di rifiuti che non sia assolutamente occasionale. Nel caso di specie, tuttavia, l'occasionalità deve essere esclusa proprio a causa dell'ingente quantità di rifiuti speciali rinvenuti nel garage dell'indagato (cfr. Sez. 3, n. 8193 del 11/02/2016, P.M. in proc. Revello, Rv. 266305).

7. Il secondo motivo di impugnazione è manifestamente infondato.
Il Tribunale del Riesame etneo ha con congrua motivazione ritenuto sussistente il periculum in mora: la libera disponibilità della tonnellata di rifiuti ferrosi, nonché delle decine dei volatili appartenenti a specie protette, in condizioni pregiudizievoli per la loro salute, porta con sé il pericolo di aggravamento delle conseguenze dei reati e di reiterazione degli stessi. Il periculum, dunque, può dirsi dotato dei requisiti della concretezza e attualità e può dirsi dimostrato, con ragionevole certezza, che la detenzione dei beni e degli animali aggravi e faccia proseguire il reato per cui si procede (Sez. 6, n. 56446 del 07/11/2018, Rv. 274778).

8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 16/10/2020