Pres. Papa Est. Lombardi Ric. Armenise ed altro
Beni Ambientali. Interventi nel sottosuolo e necessità autorizzazione paesaggistica
Non appare dubbio, invero, alla luce dell’individuazione dei beni paesaggistici contenuta negli art. 136 e seguenti del decreto legislativo citato, che con i1 termine paesaggio il legislatore ha inteso i designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell’area vincolata, sicché ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma di qualsiasi genere, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione. Peraltro, tale nozione di paesaggio coincide con la definizione contenuta nella Convenzione europea sul paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con la recente legge 9.1.2006 n. 14, secondo la quale il termine "Paesaggio" "designa una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi
Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 16/01/2007
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 43
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - N. 40205/2007
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv. RUGGIERO Giuseppe e DENTAMARO Ida Maria, difensori di fiducia di
Armenise Vito, n. a Bari il 4.4.1962, e di Santamato Antonio Cesare, n.
a Bari il 9.6.1979;
avverso l'ordinanza in data 18.9.2006 del Tribunale di Bari, in
funzione di Giudice del riesame, con la quale è stato
confermato il decreto di sequestro preventivo di un immobile emesso dal
G.I.P. del Tribunale di Bari in data 20.7.2006;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Visti gli atti, la ordinanza denunziata ed il ricorso;
Udito il Sost. Procuratore Generale, Dott. Tindari Baglione, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori, Avv. Giuseppe Ruggiero e Ida Maria Dentamaro, che
hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Bari, in funzione di Giudice
del riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo di
un'area emesso dal G.I.P. del Tribunale di Bari in data 20.7.2006 nei
confronti di Armenise Vito e Santamato Antonio Cesare, in quanto
oggetto di interventi edilizi illegittimi.
Il Tribunale del riesame ha rilevato che i predetti Armenise e
Santamato, quali amministratori della società Edilsquadra
S.r.l., risultavano indagati dei reati di cui all'art. 110 c.p., del
D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 31 e 44; di cui all'art. 110 c.p., del
D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 142, 146 e 181, nonché di cui
all'art. 734 c.p., per avere realizzato uno sbancamento ed uno scavo di
terreno, finalizzato alla successiva edificazione, in base a permesso
di costruire illegittimo, perché in contrasto con gli
strumenti urbanistici, e senza autorizzazione paesaggistica in area
vincolata, venendo realizzati gli interventi edilizi nella fascia di
150 metri da Lama Balice e dal corso d'acqua che in esso scorre,
nonché nella fascia di 100 metri da "Masseria Maselli", bene
ritenuto dal PUTT/P (Piano Urbanistico Territoriale Tematico/Paesaggio)
meritevole di tutela, in quanto "Bene Architettonico Segnalato",
alterando mediante le descritte attività la bellezza
naturale dei luoghi soggetti a protezione.
L'ordinanza ha ripercorso analiticamente le fasi che avevano portato
all'emanazione del permesso di costruire n. 395/2002, rilasciato in
data 8.8.2005, avente ad oggetto la realizzazione di un edificio
destinato ad abitazioni ed uffici, composto da tre piani interrati ed
otto piani fuori terra.
Premesso, poi, che con il termine Lama doveva essere identificata la
sede di un antico corso d'acqua e che con D.M. 1 agosto 1985, era stato
dichiarato di notevole interesse pubblico il territorio delle Lame ad
ovest ed a sud est di Bari, tra cui la Lama Balice, si rileva che la
pubblica accusa aveva individuato, sulla base delle risultanze della
disposta consulenza tecnica, tre profili di illegittimità
del permesso di costruire ottenuto dalla Edilsquadra S.r.l., con
riferimento ai lotti 13 e 14, per la ritenuta violazione del D.M. 21
settembre 1984, in quanto gli interventi ricadevano, sia pure in parte,
in area sottoposta a vincolo di immodificabilità
dell'assetto del territorio; con la L.R. Puglia 11 magio 1990, n. 30,
art. 1, in base al quale, fino all'approvazione del PUTT e comunque non
oltre il 31.12.1990, era vietata qualsiasi modificazione dell'assetto
del territorio nelle aree comprese nella fascia di 200 metri dal piede
degli argini dei fiumi, torrenti e altri corsi d'acqua pubblici in
genere; con le prescrizioni del PUTT/P a causa del mancato rispetto
delle "Prescrizioni di base" dell'"Area annessa" al "Bene
architettonico segnalato", denominato "Masseria Maselli". Si rileva,
quindi, che, secondo la stessa pubblica accusa, la violazione delle
norme vincolistiche era configurabile per effetto delle discrasie
esistenti tra la cartografia del Comune di Bari e quelle allegate al
D.M. 21 settembre 1984 ed al PUTT/P, che includevano correttamente
nell'area vincolata una porzione di territorio più ampia.
Il Tribunale del riesame ha, quindi, osservato in linea di principio
che la verifica delle condizioni di legittimità della misura
cautelare reale deve essere effettuata sulla base delle prospettazioni
del Pubblico Ministero, con esclusione della possibilità per
il Giudice del riesame di effettuare qualsiasi accertamento in ordine
alla fondatezza dell'ipotesi accusatoria. Ripercorrendo
approfonditamente l'evoluzione giurisprudenziale in materia, si
è inoltre osservato che il sindacato del Giudice penale in
presenza di un atto amministrativo che abbia autorizzato
l'attività edificatoria, non deve avere ad oggetto la
legittimità del provvedimento autorizzatorio,
bensì la verifica della conformità
dell'attività svolta dal privato ai parametri, costituiti
dalle i disposizioni statali e regionali in materia urbanistica, che la
rendono legittima.
Sulla base delle esposte considerazioni sono state rigettate le
deduzioni degli istanti per il riesame, con le quali era stata
contestata la prevalenza attribuita dalla pubblica accusa alle
cartografie allegate al D.M. 21 settembre 1984, ed al PUTT, mentre
è stata affermata la inconferenza, con riferimento
all'oggetto del procedimento, della ordinanza di dissequestro di alcuni
immobili, emessa del G.I.P. di Bari in data 22.7.2006, rilevandosi che
nel citato provvedimento aveva costituito oggetto di valutazione
l'esistenza del vincolo storico-artistico-archeologico sulla "Masseria
Maselli", mentre nel caso in esame veniva dedotta la violazione del
vincolo paesaggistico-ambientale. L'ordinanza ha, altresì,
affermato la inconferenza, ai fini del sequestro, della violazione
delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione della Soprintendenza
per i Beni archeologici ottenuta dalla società "Sigma Sud"
di cui era stata contestata la applicabilità all'area ove
operava la Edilsquadra S.r.l., rilevandosi che la misura cautelare non
era sostanzialmente fondata su detta violazione.
Nel prosieguo dell'ordinanza vengono respinte le ulteriori censure
degli istanti per il riesame con le quali era stata contestata la
esistenza del vincolo paesaggistico.
Sul punto il provvedimento ha ripercorso minuziosamente l'iter
normativo afferente alla imposizione del vincolo paesaggistico di cui
è stata contestata la violazione dalla pubblica accusa,
rilevando, anche mediante puntuali riferimenti giurisprudenziali, che
detto vincolo, sia pure non inquadratale nel regime della
inedificabilità assoluta, è tuttora operante,
così come già affermato reiteratamente nelle
varie sedi giurisdizionali con riferimento alle dichiarazioni di
notevole interesse pubblico contenute nel D.M. 1 agosto 1985, emanati
in attuazione del D.M. 21 settembre 1984 (cosiddetti "Galassini")
successivamente alla pubblicazione della L. n. 431 del 1985, decreti
ministeriali nel cui novero rientra quello afferente alla Lama Balice.
In particolare, citando una pronuncia di questa Corte, si è
rilevato in punto di diritto che la L. n. 431 del 1985, art. 1
quinquies, ha confermato i vincoli di immodificabilità
imposti dai D.M. emanati in attuazione del D.M. 21 settembre 1984, e
pubblicati anteriormente alla emanazione della L. n. 431 del 1985,
mentre dopo l'emanazione della predetta legge non possono essere
individuati dallo Stato altri beni o aree ai sensi del D.M. 21
settembre 1984, punto 2. È, però, indubbio che,
anche dopo l'emanazione della cosiddetta Legge Galasso, il Ministero
per i beni culturali ed ambientali ha conservato il potere di integrare
gli elenchi delle bellezze naturali approvati dalli regioni, a norma
del D.P.R. n. 616 del 1977, art. 82, comma 2, lett. a), con la
conseguente efficacia del vincolo paesaggistico derivante dalla
dichiarazione di notevole interesse pubblico contenuta nei citati
Decreti Ministeriali. Inoltre, con riferimento alla contestazione dei
ricorrenti circa la perdita di operatività della L.R. n. 30
del 1990, in quanto non più applicabile a seguito della
istituzione con D.P.G.R. n. 352 del 1992, del Parco Regionale
Attrezzato si è rilevato che la istituzione del Parco, che
peraltro neppure si ritiene provata, non fa venir meno i vincoli
preesistenti ed, anzi, rende necessario l'ottenimento anche della
autorizzazione dell'Ente competente per il Parco, la cui carenza
è sanzionata dalla L. n. 394 del 1991, art. 30. Alla luce
dei citati principi di diritto è stata ritenuta la
sussistenza del fumus delle violazioni ascritte agli imputati per
l'assenza delle necessarie autorizzazioni paesaggistiche, rilevandosi
conclusivamente che le opere in corso di realizzazione non risultano di
entità così irrilevante da non porre neanche in
pericolo il paesaggio e che, anzi sono tali da rendere astrattamente
ipotizzabile anche la violazione di cui all'art. 734 c.p..
Avverso l'ordinanza hanno proposto ricorso i difensori degli indagati
di cui in epigrafe, che la denunciano per violazione di legge con sei
motivi di gravame.
Con il primo mezzo di annullamento i ricorrenti denunciano la carenza
di motivazione della ordinanza in ordine alla effettiva distanza del
bene sequestrato dalla "Masseria Maselli, nonché la
violazione d errata applicazione del PUTT/P, del D.P.R. n. 380 del
2001, artt. 31 e 44, lett. c) e del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 142,
146 e 182. Si deduce che la ordinanza impugnata ha affermato
erroneamente che l'ordinanza del G.I.P., depositata in atti dagli
istanti per il riesame, con la quale era stato disposto il dissequestro
della "Masseria Maselli", avrebbe preso in esame, per escluderlo, solo
l'esistenza di un vincolo storico-artistico-archeologico, mentre,
invece, il citato provvedimento aveva escluso l'esistenza di qualsiasi
vincolo ipotizzabile sul predetto immobile, dando altresì
atto della erroneità della indicazione cartografica del
PUTT/P e, per l'effetto, erano state ritenute prevalenti dal G.I.P., ai
sensi dell'art. 1.04 del Piano, gli elaborati scritti sulle indicazioni
cartografiche, elaborati da cui si evince la inesistenza di qualsiasi
vincolo riguardante la "Masseria Maselli".
Si deduce inoltre che dinanzi al Giudice del riesame era stata
dimostrata l'erroneità del criterio di misurazione della
distanza dalla predetta "Masseria" utilizzato dal consulente del P.M.,
in quanto questi aveva effettuato la misurazione non già dai
lotti in corso di realizzazione da parte della Edilsquadra S.r.l.,
bensì dal più vicino "lembo estremo della sagoma
circolare che comprende i lotti 13 e 14", considerando come unitario
l'immobile edificando, che invece è costituito da quattro
edifici strutturalmente e funzionalmente distinti, ciascuno oggetto di
un diverso iter amministrativo finalizzato al rilascio di autonomi
permessi di costruire.
Con il secondo mezzo di annullamento si deduce la difettosa ed erronea
motivazione sul punto afferente alla autorizzazione paesaggistica,
nonché la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 31 e
44, lett. c), e del D.Lgs. n. 42 del 2004. artt. 142, 146 e 182.
Con il motivo si deduce l'erroneità della motivazione con la
quale l'ordinanza ha escluso qualsiasi rilevanza, ai fini della
applicazione della misura cautelare, della violazione delle
prescrizioni afferenti alla autorizzazione paesaggistica ottenuta dalla
società Sigma Sud S.r.l., poiché anche detta
violazione è stata posta a fondamento dell'impianto
accusatorio, richiamato dal provvedimento di sequestro preventivo.
Con il terzo mezzo di annullamento si denuncia la omessa motivazione
del provvedimento impugnato "in ordine alla esenzione
dall'autorizzazione paesaggistica dell'intervento in ipotesi realizzato
all'interno dell'area vincolata." La contraddittorietà della
motivazione e la violazione ed errata applicazione del PUTT/P,
nonché del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 31 e 44, lett. c),
e del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 142, 146 e 182.
Si osserva che l'ordinanza impugnata ha contradditoriamente ed
apoditticamente affermato che le valutazioni esposte dal consulente del
P.M. confutano le argomentazioni difensive circa la
erroneità di tale elaborato peritale, pur avendo in
precedenza esattamente osservato che non rientra nella cognizione del
Giudice del riesame l'accertamento di questioni suscettibili di
verifica solo da parte del competente Giudice di merito.
Si osserva, poi, che nell'istanza di riesame era stato, tra l'altro,
dedotto che l'intervento edilizio, seppure fosse ricaduto per sette
metri interrati nella zona vincolata, non risultava assoggettato al
rilascio del nulla osta ai sensi della normativa del PUTT/P, approvato
con Delib. G.R. 15 dicembre 2000, n. 1748. Si era fatto osservare sul
punto che l'art. 5.02 delle NTA del Piano esentano dal nulla osta le
opere e gli interventi a carattere temporaneo con garantito ripristino
dello stato dei luoghi; che nel caso in esame l'alterazione dello stato
dei luoghi conseguente allo scavo oggetto del sequestro era solo
temporaneo, in quanto strumentale alla realizzazione dei locali
interrati destinati a parcheggio, dopo di che sarebbe stato
ripristinato lo status quo ante mediante il reintegro del terreno e
delle piantumazioni. Si deduce, quindi, la carenza assoluta di
motivazione dell'ordinanza in ordine alla applicabilità del
disposto citato, ai sensi del quale doveva in ogni caso essere esclusa
la sussumibilità della fattispecie concreta nell'ipotesi di
reato contestata.
Con il successivo motivo si deduce la incongruenza della motivazione
afferente alla applicabilità nel caso in esame del regime
vincolistico rinveniente dal cosiddetto Galassino, che non costituiva
oggetto di contestazione, mentre le questioni controverse concernevano
la effettiva esistenza dello sconfinamento e la esistenza di un regime
di esenzione dall'autorizzazione paesaggistica, stabilito con chiarezza
dal PUTT/P. Con il quinto motivo di gravame i ricorrenti denunciano
l'erroneità della motivazione con riferimento al regime
vincolistico derivante dalla L.R. n. 30 del 1990, nonché la
violazione ed errata applicazione della predetta L.R., della L. n. 394
del 1991 e degli del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 31 e 44, lett. c), e
del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 142, 146 e 182.
I ricorrenti ripropongono i rilievi già dedotti dinanzi al
Tribunale per il riesame con riferimento alla
inapplicabilità, nel caso in esame, dei vincoli derivanti
dalla L.R. n. 30 del 1990, temporaneamente operativi in attesa del
PUTT/P. Si deduce che nel territorio della Lama Belice era
già stato istituito l'omonimo Parco Naturale Regionale
Attrezzato con deliberazioni del Comune di Bari, nonché
della Regione Puglia (G.R. 22 giugno 1992, n. 3277, nonché
D.P.G.R. 14 luglio 1992, n. 352) ed era quindi vigente il "Piano del
Parco Naturale", che, ai sensi della Legge Quadro 6 dicembre 1991, n.
394, art. 25, comma 2, ha valore anche di piano paesistico e di piano
urbanistico e sostituisce i piani paesistici ed i piani territoriali o
urbanistici di qualsiasi livello", sicché il predetto
"Piano" ha sostituito ex lege lo stesso PUTT/P, così
anticipando alla data della sua approvazione l'effetto di decadenza dal
divieto assoluto di edificazione imposto in via transitoria dalla L. n.
30 del 1990. Si osserva inoltre che il Piano del Parco non fissa alcuna
ulteriore distanza minima degli edifici dal ciglio della Lama, essendo
la fascia di rispetto già compresa nel perimetro del Parco.
Si osserva, poi, che il riferimento dell'ordinanza alla
necessità di un ulteriore nulla osta dell'Ente Parco
è errato, poiché la L. n. 394 del 1991, artt. 13
e 30, si applicano solo ai Parchi Nazionali e che, altresì
erroneamente, il Tribunale del riesame ha affermato che l'istituzione
del Parco non avrebbe escluso la necessità
dell'autorizzazione paesaggistica, poiché l'intervento
contestato ricade al di fuori della fascia di protezione esterna del
Parco. Si deduce ancora che l'ordinanza ha erroneamente posto in dubbio
l'esistenza del Parco Naturale, considerati gli atti istitutivi sopra
citati, e che non si palesa idonea a contestare la preesistenza del
Parco la presentazione di un disegno di legge regionale per la
istituzione del Parco Naturale Lama Balice, poiché con detta
legge la regione ha inteso dare attuazione alla legislazione successiva
al 1992 al fine di modificare le precedenti disposizioni in materia di
aree protette.
Sotto altro profilo si deduce ancora la inapplicabilità
della L.R. n. 30 del 1990, deducendosi che non è stato mai
emanato l'apposito decreto previsto da detta legge con il quale si
sarebbero dovuti individuare i torrenti ed i corsi d'acqua in relazione
ai quali era operante il limite alla edificabilità stabilito
dalla legge. Si aggiunge che il divieto transitorio imposto dalla legge
citata costituiva un parametro di legittimità da osservarsi
con riferimento ai singoli atti autorizzativi e non poteva essere
riferito al P.Ri.U. (Programma di Riqualificazione Urbana in base al
quale è stato rilasciato il permesso di costruire). Si
osserva, peraltro, che anche il P.Ri.U. prevedeva il rispetto dei
limiti di edificabilità previsti dalla L.R. n. 30 del 1990,
ma che, allorché sono stati rilasciati i titoli edilizi, era
ormai già entrato in vigore il PUTT/P con la conseguente
abrogazione tacita della predetta legge regionale, sicché
nella specie doveva ritenersi applicabile solo il limite alla
edificabilità di 150 mt. imposto dai cosiddetti Galassini.
Con l'ultimo motivo di gravame si deduce, infine, la violazione ed
errata applicazione dell'art. 734 c.p., deducendosi che la non
configurabilità delle altre violazioni di cui alla
contestazione determina la insussistenza degli estremi del reato
previsto dalla disposizione citata.
Il ricorso non è fondato.
Giova premettere all'esame dei singoli motivi di ricorso, al fine di
precisare i confini nel cui ambito può essere esercitato da
questa Corte il sindacato di legittimità sulle ordinanze in
materia di misure cautelari reali, essendo precluso, ai sensi dell'art.
325 c.p.p., comma 1, quello per vizi della motivazione, il riferimento
al principio di diritto, già enunciato nell'ordinanza
impugnata, secondo il quale la verifica delle condizioni di
legittimità della misura cautelare reale deve essere
effettuata sulla base delle prospettazioni del pubblico ministero, con
esclusione della possibilità per il Giudice del riesame di
effettuare un accertamento più approfondito in ordine alla
fondatezza dell'ipotesi accusatoria (cfr. sez. un. 23.4.1993 n. 4,
Gifuni ed altre).
Principio di diritto cui sostanzialmente risulta essersi attenuto il
Giudice del riesame.
Si deve, quindi, rilevare in ordine al primo motivo di gravame che le
valutazioni contenute nell'ordinanza del G.I.P., con la quale
è stato disposto il dissequestro della cosiddetta "Masseria
Maselli", di cui i ricorrenti denunciano l'erronea interpretazione da
parte dei Giudici del riesame, non solo non potevano fare stato nel
presente procedimento, ma neppure costituire il presupposto per una
più esaustiva valutazione di merito in ordine alla eventuale
erroneità delle indicazioni contenute nel PUTT/P con
riferimento al citato complesso architettonico, esorbitando comunque
tale giudizio dalla competenza propria del Giudice del riesame.
Nel resto il motivo di ricorso costituisce esclusivamente una censura
della valutazione in punto di fatto circa il carattere unitario del
complesso edilizio in corso di realizzazione ed i criteri di
misurazione delle distanze dell'opera dalle aree vincolate;
accertamenti che involgono peraltro anche essi una valutazione
appartenente alla competenza del Giudice di merito. Il secondo motivo
di ricorso è inammissibile per carenza di interesse.
La motivazione della ordinanza del riesame integra o sostituisce quella
del provvedimento cautelare, sicché il fatto che la
impugnata ordinanza abbia ritenuto irrilevante la violazione delle
prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzatorio rilasciato in
favore della Sigma S.r.l., ai fini della applicazione della misura
cautelare, rende inconferente la doglianza dei ricorrenti per essere
stata eventualmente ritenuta la configurabilità anche di
detta violazione da parte del G.I.P..
Il terzo motivo di ricorso è per la prima parte
inammissibile, per carenza di interesse, e nel resto infondato.
Non vi è interesse, infatti, a rilevare che la impugnata
ordinanza avrebbe dato prevalenza ai rilievi del consulente del P.M.
per ritenere esaustivamente confutate le doglianze della difesa in
punto di contestazione della esattezza dei vari rilievi cartografici,
allorché poi si riconosce che comunque la relativa questione
deve essere demandata al Giudice di merito.
Peraltro, la valutazione del Tribunale del riesame sul punto trova il
proprio fondamento proprio nella applicazione del già
enunciato principio di diritto, secondo il quale l'accertamento del
fumus commissi delicti da parte del Tribunale del riesame deve essere
effettuato sulla base delle prospettazioni della pubblica accusa. Nel
resto il motivo di ricorso è infondato.
Il vincolo ambientale-paesaggistico si palesa operante anche con
riferimento alle opere da realizzarsi nel sottosuolo, implicando anche
queste ultime una utilizzazione del territorio idonea a modificarne
l'assetto, specie allorché, come nel caso in esame, si
tratti di opere di urbanizzazione di rilevante entità,
sicché è del tutto inconferente l'assunto secondo
il quale dopo la realizzazione dei parcheggi sotterranei la superficie
dell'area sarebbe stata riportata allo status quo ante.
Il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, infatti, vieta l'esecuzione di
lavori "di qualsiasi genere" su beni paesaggistici senza la prescritta
autorizzazione o in difformità di essa.
Devono ritenersi, pertanto, vietati, ai sensi della disposizione
citata, anche i lavori eseguiti, senza il prescritto nulla osta, nel
sottosuolo delle aree qualificate quali beni paesaggistici, ai sensi
del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 134 e segg..
Non appare dubbio, invero, alla luce della individuazione dei beni
paesaggistici contenuta negli art. 136 e segg. D.Lgs., che con il
termine paesaggio il legislatore ha inteso designare una determinata
parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o
indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di
particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero
aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata,
sicché ogni modificazione dell'assetto del territorio,
attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma di
qualsiasi genere, è soggetta al rilascio della prescritta
autorizzazione. Peraltro, tale nozione di paesaggio coincide con la
definizione contenuta nella Convenzione europea sul paesaggio, fatta a
Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con la recente L. 9 gennaio
2006, n. 14, secondo la quale il termine "Paesaggio" "designa una
determinata parte del territorio, così come percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali
e/o umani e dalle loro interrelazioni".
Va, infine, aggiunto che la esenzione dall'obbligo del nulla osta
paesaggistico è testualmente riferito dal disposto delle NTA
citato dai ricorrenti alla realizzazione di manufatti precari per uso
stagionale, da rimuoversi al termine del loro utilizzo, o a strutture
temporanee, funzionali alla realizzazione di un'opera autorizzata,
mentre i lavori in corso di esecuzione, che hanno giustificato il
sequestro, avevano ad oggetto proprio l'opera, necessitante della
prescritta autorizzazione.
Il quarto motivo, in quanto generica doglianza relativa ad una ritenuta
superfetazione motivazionale, si palesa anche esso inammissibile per
carenza di interesse.
I ricorrenti, infatti, riconoscono l'operatività del vincolo
paesaggistico derivante dai cosiddetti Galassini, affermazione di
diritto ampiamente motivata nel provvedimento impugnato e che trova
fondamento in principi interpretativi ormai consolidati sulla base dei
riferimenti giurisprudenziali contenuti nella ordinanza (sez. 3^,
3.7.1998 n. 2096, Giordano, RV 211810; sez. 3^, 16.4.2004 n. 28397,
P.G. in proc. Giordano, RV 229060), cui si rinvia.
È, altresì, infondato il quinto motivo di
gravame, anche se contiene rilievi in punto di diritto esatti, ma del
tutto ininfluenti ai fini della decisione.
È esatto, invero, che la L. n. 394 del 1991, art. 13,
prevede la necessità del nulla osta dell'Ente Parco solo con
riferimento ai Parchi Nazionali, poiché è
inserito nel titolo secondo della legge, che disciplina le Aree
Naturali Protette Nazionali, sicché la fattispecie
contravvenzionale di cui all'art. 30, per la assenza del nulla osta
prescritto dall'art. 13, è riferibile ai soli parchi
nazionali.
Inoltre effettivamente ai sensi della L. n. 394 del 1991, art. 25,
comma 2, il piano del parco "ha valore anche di piano paesistico e di
piano urbanistico e sostituisce i piani paesistici ed i piani
territoriali o urbanistici di qualsiasi livello".
Ciò precisato, però, deve essere anche rilevato
che, ai sensi della L. n. 394 del 1991, art. 23, comma 1, i parchi
naturali regionali sono istituiti con legge regionale, mentre i
ricorrenti fanno riferimento a documenti di programmazione prodromici,
ai sensi dell'art. 22, alla emanazione di una legge istituiva del
parco, sicché devono ritenersi fondati i rilievi della
impugnata ordinanza circa la attuale inesistenza del Parco Naturale
Regionale Lama Balice.
Peraltro, tutta la questione relativa alla applicabilità
della L.R. n. 30 del 1990, si palesa inconferente, poiché
nel capo di imputazione, in base al quale è stato disposto
il sequestro, si fa riferimento solo alla violazione della distanza di
150 mt., che è prevista dal DM 1 agosto 1985 (Galassino), e
non anche all'ulteriore limite di 200 mt. previsto dalla L.R. n. 30 del
1990. Va aggiunto, poi, che l'ordinanza del riesame ha puntualmente
premesso, alla valutazione delle censure formulate in ordine alla
applicabilità della L.R. n. 30 del 1990, che "L'eventuale
fondatezza di tale assunto non farebbe comunque venir meno il carattere
illecito dei fatti contestati a causa della loro rilevanza penale
desumibile in base alle altre violazioni legali commesse dagli
istanti". Sicché si palesa evidente che
l'illiceità degli interventi è stata ritenuta
sussistente dai Giudici del riesame, sulla base delle prospettazioni
della pubblica accusa, indipendentemente dalla violazione
dell'ulteriore limite alla edificabilità di 200 mt.
introdotto dalla L. n. 30 del 1990, e, quindi, con riferimento al
limite di 150 mt. imposto dal D.M. 1 agosto 1985, ed a quello di 100
mt. dalla "Masseria Maselli", di cui alla cartografia allegata al
PUTT/P.
Conclusivamente si deve osservare che nella specie, secondo le
prospettazioni della pubblica accusa, fondate su puntuali rilievi del
consulente del P.M. in base alle cartografie allegate al citato decreto
ministeriale ed al Piano Urbanistico Territoriale Tematico/Paesaggio,
l'opera in corso di esecuzione, oggetto del sequestro, insiste
parzialmente e sia pure con riferimento a volumetria da realizzarsi nel
sottosuolo in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico, e veniva
realizzata senza il nulla osta dell'amministrazione competente alla
tutela del vincolo, sicché l'accertamento della inesistenza
del predetto vincolo, per la asserita erroneità della
cartografia allegata al PUTT/P, o della erroneità dei
criteri di misurazione della distanza dell'opera dall'area vincolata
compete in via esclusiva al Giudice del merito. I rilievi che precedono
sono assorbenti delle censure, peraltro del tutto genetiche, contenute
nell'ultimo.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al rigetto dell'impugnazione segue la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16
gennaio 2007. Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2007