Cass. Sez. III Sent. 34101 del 12/10/2006 (Cc. 23/05/2006)
Presidente: De Maio G. Estensore: Onorato P. Imputato: Jonni.
(Rigetta, Trib. lib. Ancona, 10 marzo 2006)
DEMANIO - Demanio marittimo - Abusiva occupazione - Sequestro - Estensibilità a parti di demanio non occupate - Illegittimità.

Il sequestro preventivo di un bene demaniale marittimo, al fine di impedire il protrarsi di una illecita occupazione di suolo pubblico, è legittimo nella misura in cui la occupazione illecita lo sottrae alla fruizione pubblica, ma non può estendersi a parti dell'area demaniale non occupate e che pertanto permangono nell'uso pubblico.
 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 23/05/2006
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere - N. 603
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 12973/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
JONNI Giovanni Battista, nato a Senigaglia il 03/10/1948, quale legale rappresentante del "Cantiere Navalmeccanico di Senigaglia s.r.l.";
avverso la ordinanza resa il 10.3.2006 dal Tribunale per il riesame di Ancona;
Visto il provvedimento denunciato e il ricorso;
Udita la relazione svolta in Camera di consiglio dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale DI POPOLO Angelo, che ha concluso chiedendo l'annullamento dell'ordinanza con rinvio al Tribunale di Ancona.
Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con ordinanza del 10.3.2006 il Tribunale di Ancona, in sede di riesame, ha confermato il decreto con cui, in data 6.2.2006, il g.i.p. dello stesso Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo di due aree demaniali e delle opere ivi insistenti (area di mq. 3.726, occupata da un cantiere navale; e area di mq. 540, adibita a scalo di alaggio), potendosi ravvisare il reato di cui all'art. 1161 c.n., a carico del legale rappresentante della s.r.l. Cantiere Navalmeccanico di Senigaglia, Giovanni Battista Jonni. Ha osservato il Tribunale che la predetta società, titolare di concessioni demaniali sulle predette aree sino al 31.12.2001, ormai le occupava abusivamente, non avendo ottenuto il rinnovo delle stesse concessioni. Sussisteva quindi sia il fumus sia il periculum in mora richiesti dall'art. 321 c.p.p..
Ha aggiunto il Tribunale che esulavano dalla sua competenza le dedotte questioni relative ad asserite irregolarità nella esecuzione del sequestro.
2 - Il difensore dell'indagato Jonni, legale rappresentante della menzionata società, ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo quattro motivi a sostegno.
In particolare, lamenta:
2.1 - violazione e falsa applicazione degli artt. 321 c.p.p. e segg.. Sostiene che la s.r.l. Cantiere Navalmeccanico di Senigaglia aveva tempestivamente richiesto il rinnovo delle concessioni e che la Capitaneria di Porto di Ancona, erroneamente ritenendo di non esser più competente al riguardo, non aveva concluso il procedimento amministrativo. Aggiunge che, a seguito della entrata in vigore della L. 16 marzo 2001, n. 88, le concessioni dei beni demaniali marittimi hanno durata di sei anni e si rinnovano automaticamente alla scadenza per altri sei anni, salva facoltà di revoca da parte della pubblica amministrazione.
Per conseguenza, sia in virtù del silenzio-assenso da parte della Capitaneria sia in virtù del rinnovo automatico disposto dalla legge suddetta, la società dell'indagato doveva ritenersi ancora titolare della concessione. Mancava quindi l'antigiuridicità della condotta imputata all'indagato;
2.2 - ancora violazione e falsa applicazione dell'art. 321 c.p.p., posto che nella fattispecie difettava non solo il fumus del reato, ma anche il periculum in mora. Infatti, il sequestro non era idoneo a impedire la prosecuzione o l'aggravamento del reato, giacché un siffatto risultato poteva conseguirsi soltanto con la restituzione del bene demaniale al soggetto offeso dal reato;
2.3 - illegittimità del sequestro in quanto avente ad oggetto un bene demaniale, oltre tutto in stato di abbandono;
2.4 - carenza assoluta di motivazione, laddove il Tribunale del riesame ha affermato la propria incompetenza sulla dedotta irregolarità dell'esecuzione del sequestro, che aveva colpito anche cinque motopesca, un'autogrù e altri beni non menzionati nel decreto impositivo della misura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3 - Il primo motivo di ricorso (n. 2.1) è infondato.
Nessuna norma prevede il silenzio-assenso della Pubblica Amministrazione competente a fronte di una domanda per il rinnovo della concessione demaniale (neppure il ricorrente la indica). Inoltre, non è applicabile nel caso di specie la disciplina che prevede la durata di sei anni per la concessione e il rinnovo automatico a ogni scadenza.
Infatti, la disposizione che ha introdotto tale disciplina, cioè il D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, comma 2, sostituito dalla L. 16 marzo 2001, n. 88, art. 10, così come modificato e autenticamente interpretato dalla L. 8 luglio 2003, n. 172, art. 13, si riferisce esclusivamente alla concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, tra le quali non rientrano certamente le concessioni de quibus, che riguardano invece un cantiere navale e uno scalo d'alaggio.
Ne deriva che, dopo la scadenza della precedente concessione e prima del suo rinnovo espresso, la società amministrata da Jonni non poteva continuare a gestire o comunque a occupare il cantiere navale e lo scalo d'alaggio, indipendentemente dalle ragioni del mancato rinnovo. Avere invece continuato la gestione o semplicemente l'occupazione integra il contestato reato di cui all'art. 1161 c.n.. 4 - Ricorrono quindi sia il fumus delicti sia il periculum in mora che giustificano il sequestro preventivo.
In tal senso è destituito di fondamento giuridico anche il secondo motivo di ricorso (n. 2.2).
Infatti, il sequestro delle aree oggetto della concessione demaniale scaduta era l'unico mezzo per impedire la prosecuzione o l'aggravamento del reato, vale a dire la occupazione o la gestione da parte della s.r.l. Cantiere Navalmeccanico di Senigaglia del cantiere navale e dello scalo di aleggio predetti. Il fatto che al termine del sequestro e dalla connessa custodia giudiziale, le aree sequestrate possano ritornare nella piena disponibilità dell'autorità demaniale non esclude certamente che anche la misura cautelare reale possa interinalmente soddisfare ex art. 321 c.p.p., comma 1, la esigenza di tutela di quello stesso interesse che il positivo ripristino del potere demaniale potrà poi realizzare nella sua pienezza. 5 - Sotto altro profilo non può condividersi la tesi, sostenuta nel terzo motivo di ricorso (n. 2.3), secondo cui il bene demaniale in quanto tale non è suscettibile di sequestro.
Questa tesi si fonda su una indebita estensione del principio affermato da Cass. Sez. 3^, n. 270 del 27.1.1994, Filippone, rv. 197579, secondo cui "in tema di occupazione di spazio demaniale, il sequestro preventivo può avere per oggetto soltanto la cosa utilizzata dall'agente per commettere il reato, e non anche il bene demaniale stesso" in quanto questo "appartiene alla intera collettività e non può essere sottratto alle finalità e agli usi ai quali è destinato". Se si pone attenzione alla particolarità delle fattispecie esaminata, nella quale la Corte disponeva il dissequestro della spiaggia, ma manteneva il sequestro sullo stabilimento balneare che vi era stato installato senza concessione, si può condividere il principio solo nel senso che il sequestro preventivo di un bene demaniale marittimo è legittimo nella misura in cui il bene è oggetto di illecita occupazione, che lo sottrae così alla collettività; ma diventa illegittimo se si estende a porzioni dell'area demaniale non occupate e quindi disponibili per l'uso pubblico. In quest'ultimo caso infatti verrebbe meno quel requisito di legittimità della misura cautelare che è dato dal rapporto di pertinenzialità tra cosa sequestrata e reato. Per tale ragione, va invece integralmente condivisa la statuizione di Cass. Sez. 6^, n. 3947 18.1.2001, Sindoni, rv. 217890, secondo cui "è legittimo il sequestro preventivo del bene demaniale, disposto al fine di impedire il protrarsi di una illecita occupazione di suolo pubblico, derivante non solo dall'insistenza di manufatti sulle predette aree, ma anche dall'attività ad essi connesse". (Vanno implicitamente nello stesso senso Cass. Sez. 3^, n. 16561 del 19.2.2003, Barlotti e altro, rv. 227417, e Cass. Sez. 3^, n. 6450 del 1.2.2006, dep. 21.2.2006, Falcione, rv. 233314).
6 - Parimenti infondato è infine l'ultimo motivo di ricorso (n. 2.4), con cui si lamenta in sostanza che l'esecuzione del sequestro abbia colpito anche beni non menzionati nel decreto impositivo della misura.
A parte l'impossibilità di controllare in questa sede la veridicità della doglianza, va osservato che del tutto correttamente il tribunale del riesame ha ritenuto che la doglianza stessa esulava dalla sua competenza. Invero, oggetto del riesame - come risulta anche dal tenore letterale dell'art. 322 c.p.p. - è solo il decreto impositivo del sequestro preventivo, e quindi i suoi presupposti di legittimità; mentre invece le irregolarità della sua esecuzione, e in particolare l'apposizione del vincolo a cose non contemplate nel decreto impositivo, consente soltanto all'interessato ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 3, di avanzare al Pubblico Ministero (durante le indagini preliminari) o al Giudice (nelle altre fasi del processo) istanza per la restituzione delle cose abusivamente sequestrate.
Analogamente in tema di sequestro probatorio oggetto del riesame a mente dell'art. 257 c.p.p., e il decreto impositivo della misura;
mentre quando, in sede di esecuzione, il vincolo è stato apposto su cose non indicate nel decreto, l'interessato ha solo la facoltà di chiederne la restituzione a norma dell'art. 263 c.p.p., con istanza al pubblico ministero (nella fase delle indagini preliminari) o al Giudice procedente (nella altre fasi del processo) (cfr. Cass. Sez. 3^, n. 2934 del 4.7.1996, De Vivo e altro, rv. 206407). In quest'ultimo senso, per il caso analogo della convalida di sequestro probatorio eseguito d'urgenza dalla polizia giudiziaria, è la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Sez. 6^, n. 1896 dell'8.5.1997, Mauro, rv. 209311; Sez. 5^, n. 1376 del 25.3.1999, Arcolin, rv. 213522 e molte altre conformi).
Per le esposte ragioni non si possono condividere quelle pronunce che affidano alla competenza del Giudice del riesame anche le questioni attinenti alla esecuzione del provvedimento di sequestro probatorio (Cass. Sez. 3^ , n. 2293 del 15.5.1991, Di Paola, rv. 187455), o che avverso le modalità di attuazione di un sequestro preventivo ritengono esperibile solo il ricorso per Cassazione (Cass. Sez. 5^, n. 484 del 25.1.2000, P.M. in proc. Fusaro, rv. 215967). 7 - Il ricorso va pertanto rigettato. Consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali. Considerato il contenuto dell'impugnazione, non si ritiene di comminare anche la sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2006