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Cass. Sez. III sent.26406 del 18 luglio 2005 (Ud. 15 giugno 2005)
Pres. Savignano Est. De Maio Ric. Ranieri

Beni ambientali - Interventi precari
Ai fini della configurazione del reato ambientale è irrilevante la temporaneità dell'opera

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Sez. 3, Sentenza n.26406 del2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 15/06/2005
Dott. VITALONE Claudio - Consigliere - SENTENZA
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - N. 1314
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - N. 12070/2005
Ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) RANIERI ANTONIO N. IL 17/01/1961;
avverso SENTENZA del 29/10/2004 CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO;
Udito il P.M. in persona del Dott. IZZO Gioacchino che ha chiesto l'annullamento con rinvio.
MOTIVAZIONE
Con sentenza del 29.12.04 la Corte d'Appello di Torino confermò la sentenza 18.10.2001 del Tribunale di Alba, con la quale Ranieri Antonio era stato condannato, con le attenuanti generiche e la sospensione condizionale, alla pena di gg. 40 di arresto e lire 14 milioni di ammenda, perché riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 163 D.L.VO 490/90 ("per avere, su terreni siti all'interno della fascia di rispetto di m. 150 dal torrente Tallona, classificato corso d'acqua pubblico e, come tale, zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza la previa autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, realizzato: posa di un container, costruzione in aderenza di tettoia in legno con copertura in lamiera zincata, posa di altra baracca in lamiera zincata delle dimensioni di m. 4 x 2,5 circa", in Diano d'Alba acc. il 29.6.2000). Con la sentenza stessa il Ranieri venne assolto perché il fatto non sussiste dal reato di cui all'art. 20 lett. C l. 47/85 in relazione all'addebito di realizzazione delle stesse opere senza la previa concessione edilizia, sulla base del rilievo che non vi era prova certa che non si trattasse di manufatti aventi funzione temporanea (baracca a servizio di cantiere).
Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso l'imputato e il suo difensore, i quali denunciano, con il primo motivo, violazione ed erronea applicazione dell'art. 161 co. 4 in relaz. al co. 2 c.p.p. per l'omesso rilievo della nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello, notificato per l'appunto a norma del cit. co. 4, dopo che era risultata vana la notifica al precedente domicilio. I ricorrenti precisano che "l'imputato ha risieduto sino al 23.6.2004 in Montelupo Albese, emigrando poi in Diano d'Alba"; che "i giudici di appello, con l'ordinanza che ha respinto l'eccezione sollevata dalla difesa, hanno elevato al rango di domicilio determinato il luogo in cui l'imputato risiedeva in Montelupo Albese sulla base di una erronea interpretazione della norma che detta i criteri per la sua individuazione e di un palese travisamento dei fatti"; che la Corte di merito aveva basato il proprio convincimento sulla precedente notifica all'imputato il 3.7.2001 a Montelupo, ma tale notifica doveva ritenersi inidonea a determinare il domicilio, sia perché l'imputato non aveva mai fornito indicazione alcuna in proposito, sia perché detta notifica all'imputato era avvenuta non "nel luogo di propria residenza, domicilio e dimora di Montelupo Albese, ma in Alba e a mani proprie del destinatario". La censura è infondata, pur risultando che effettivamente la notifica citata dalla Corte territoriale è avvenuta in Alba e a mani proprie dell'attuale ricorrente. Infatti, resta valido il principio affermato dai giudici di merito secondo cui, poiché precedenti notifiche ai coimputati (l'attuale ricorrente e la moglie convivente) nel domicilio di Montelupo Albese, via Mortizzo 25, contenevano l'invito e l'avvertenza di cui al 2^ co. art. 161 c.p.p. e pertanto, non risultando avere l'imputato fatto successive comunicazioni di elezione, dichiarazione o mutamento di domicilio, quello di cui sopra restò e resta tuttora domicilio determinato: solo va precisato (e in tal senso deve essere rettificata, a norma dell'art. 619 c.p.p. la motivazione dei giudici di merito) che si tratta non della notifica 3.7.2001, effettivamente inidonea ai fini che qui interessano proprio per il motivo indicato dal ricorrente, ma quelle successive, entrambe effettuate ai coimputati nel domicilio indicato di Montelupo Albese:
quella 31.10.01 (f. 14) a mezzo raccomandata ritirata dalla moglie convivente Mazzeo e quella 15.12.2001 per la moglie anzidetta (f. 16), pure questa a mezzo raccomandata ritirata dal marito convivente, per l'appunto l'attuale ricorrente.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione ed erronea applicazione dell'art. 163 D.L.VO 490/99 in relazione al manufatto cd. baracca di cantiere e difetto di motivazione sul punto, in quanto i giudici di appello avrebbero "erroneamente escluso nel caso di specie la rilevanza del carattere temporaneo del manufatto", natura di cui gli stessi giudici di merito hanno dato atto. Secondo il ricorrente "la precarietà rappresenta un significativo indice di non pregiudizio per il bene ambientale" e incombe al giudice di merito la relativa verifica, la cui omissione (rilevabile nella specie) determina carenza di motivazione. La censura è infondata, dovendo ritenersi decisivo quanto rilevato al riguardo in linea di fatto dai giudici di merito: da un lato, che "la tettoia insisteva su un basamento in cemento armato" e, dall'altro, che "la realizzazione delle opere di cui si discute fu accertata il 29 giugno 2000 e la loro demolizione il 18 luglio successivo". Su tali basi, i giudici di merito hanno fatto ineccepibile applicazione del principio (consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, cfr. Sez. 3^, 25.8.2000 n. 9222; 1.12.99 n. 13716, Di Tommaso, rv. 214980) secondo cui, ai fini della sussistenza del reato ambientale, è irrilevante la temporaneità dell'opera 1^) perché anche dalle modifiche temporanee allo stato dei luoghi può derivare un pregiudizio al bene ambientale tutelato; 2^) perché, in ogni caso, il controllo pubblico preventivo è essenziale per l'accertamento e la garanzia che le opere precarie e temporanee abbiano realmente quelle caratteristiche e, in ogni caso che si rispettino le necessarie cautele anche nella fase dell'esecuzione e della rimozione. È vero che il reato di cui all'art. 163 D.L.VO 490/99 presuppone comunque che l'intervento incriminato immuti in modo rilevante ed apprezzabile, anche sotto il profilo temporale, le caratteristiche del luogo sottoposto alla speciale tutela ambientale; ma i giudici di merito hanno esattamente rilevato al riguardo che nel caso concreto "la realizzazione delle opere di cui si discute fu accertata il 29.6.2000 e la loro demolizione il 18.7 successivo..., sicché non può dubitarsi della rilevanza, anche temporale, di tali opere sul piano dell'impatto ambientale"; che, inoltre, "il fatto che la tettoia insistesse su un basamento di cemento fa ritenere che essa era destinata a perdurare, se non per tutta la durata del cantiere, certo per un apprezzabile lasso di tempo, e, quindi, con significativa alterazione dello stato dei luoghi". Deve, in definitiva, essere ribadito che il reato di cui all'art. 163 D.L.VO 490/99 è integrato dalla realizzazione senza autorizzazione, in zona sottoposta a vincolo, anche di una struttura di non modeste dimensioni e destinata a permanere per un apprezzabile lasso di tempo (nella specie, un container, una tettoia in aderenza insistente su un basamento di cemento, una baracca di cantiere di m. 4 x 2,50, il tutto rimasto in piedi per circa due mesi); che anche da opera siffatta deriva un vulnus per il paesaggio di apprezzabile durata ed entità, tale da imporre la preventiva valutazione da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo (così, anche, la già citata sent. 2000 n. 9222).
Con la memoria presentata in questa sede il difensore ha sollecitato anche declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione, essendo dalla data di accertamento (29.6.2000) decorsi (alla data del 29.12.2004) i quattro anni e sei mesi della prescrizione ex artt. 157 co. 5 e 160 u.c. c.p. e non potendosi tenere conto della sospensione del corso della prescrizione disposta dalla Corte d'Appello di Torino con ordinanza del 7.5.2004 su istanza di rinvio per impedimento del difensore. Anche tale motivo è infondato, non potendosi in questa sede ridiscutere, in mancanza di specifica impugnazione, la citata ordinanza di sospensione del corso della prescrizione. Anche infondata è, peraltro, la tesi che la sospensione non potrebbe avere la durata dell'intero lasso di tempo (cinque mesi e 24 giorni) intercorso tra l'udienza rinviata (7.5.2004) e quella successiva (29.10.2004). Va, infatti, rilevato (anche in relazione alle ulteriori deduzioni difensive sul punto) che proprio la sentenza di questa Corte citata dal ricorrente (Sez. Un. 11.1.2002 n. 1021, Cremonese, rv. 220510) ha chiarito che: 1^) l'ordinanza di sospensione del corso della prescrizione deve essere collegata a provvedimento di sospensione dei termini della custodia cautelare solo "quando non consegua a un provvedimento di sospensione o di rinvio del procedimento o del dibattimento, disposto per impedimento dell'imputato o del suo difensore ovvero su loro richiesta"; 2^) il rinvio del dibattimento disposto a seguito di istanza del difensore per suo impedimento (nel caso della sent. Cremonese si trattava dell'adesione del difensore all'astensione collettiva dalle udienze proclamata dall'associazione di categoria, ma identica resta la sostanza della questione, vertendosi pur sempre in ipotesi di rinvio dell'udienza per impedimento del difensore) comporta la sospensione del corso della prescrizione per tutto il periodo complessivo della durata dei rinvii.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2005.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2005

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 15/06/2005 Dott. VITALONE Claudio - Consigliere - SENTENZA Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - N. 1314 Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. MANCINI Franco - Consigliere - N. 12070/2005 Ha pronunciato la seguente: SENTENZA/ORDINANZA sul ricorso proposto da: 1) RANIERI ANTONIO N. IL 17/01/1961; avverso SENTENZA del 29/10/2004 CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, la sentenza ed il procedimento; udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO; Udito il P.M. in persona del Dott. IZZO Gioacchino che ha chiesto l'annullamento con rinvio. MOTIVAZIONE Con sentenza del 29.12.04 la Corte d'Appello di Torino confermò la sentenza 18.10.2001 del Tribunale di Alba, con la quale Ranieri Antonio era stato condannato, con le attenuanti generiche e la sospensione condizionale, alla pena di gg. 40 di arresto e lire 14 milioni di ammenda, perché riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 163 D.L.VO 490/90 ("per avere, su terreni siti all'interno della fascia di rispetto di m. 150 dal torrente Tallona, classificato corso d'acqua pubblico e, come tale, zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza la previa autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, realizzato: posa di un container, costruzione in aderenza di tettoia in legno con copertura in lamiera zincata, posa di altra baracca in lamiera zincata delle dimensioni di m. 4 x 2,5 circa", in Diano d'Alba acc. il 29.6.2000). Con la sentenza stessa il Ranieri venne assolto perché il fatto non sussiste dal reato di cui all'art. 20 lett. C l. 47/85 in relazione all'addebito di realizzazione delle stesse opere senza la previa concessione edilizia, sulla base del rilievo che non vi era prova certa che non si trattasse di manufatti aventi funzione temporanea (baracca a servizio di cantiere). Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso l'imputato e il suo difensore, i quali denunciano, con il primo motivo, violazione ed erronea applicazione dell'art. 161 co. 4 in relaz. al co. 2 c.p.p. per l'omesso rilievo della nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello, notificato per l'appunto a norma del cit. co. 4, dopo che era risultata vana la notifica al precedente domicilio. I ricorrenti precisano che "l'imputato ha risieduto sino al 23.6.2004 in Montelupo Albese, emigrando poi in Diano d'Alba"; che "i giudici di appello, con l'ordinanza che ha respinto l'eccezione sollevata dalla difesa, hanno elevato al rango di domicilio determinato il luogo in cui l'imputato risiedeva in Montelupo Albese sulla base di una erronea interpretazione della norma che detta i criteri per la sua individuazione e di un palese travisamento dei fatti"; che la Corte di merito aveva basato il proprio convincimento sulla precedente notifica all'imputato il 3.7.2001 a Montelupo, ma tale notifica doveva ritenersi inidonea a determinare il domicilio, sia perché l'imputato non aveva mai fornito indicazione alcuna in proposito, sia perché detta notifica all'imputato era avvenuta non "nel luogo di propria residenza, domicilio e dimora di Montelupo Albese, ma in Alba e a mani proprie del destinatario". La censura è infondata, pur risultando che effettivamente la notifica citata dalla Corte territoriale è avvenuta in Alba e a mani proprie dell'attuale ricorrente. Infatti, resta valido il principio affermato dai giudici di merito secondo cui, poiché precedenti notifiche ai coimputati (l'attuale ricorrente e la moglie convivente) nel domicilio di Montelupo Albese, via Mortizzo 25, contenevano l'invito e l'avvertenza di cui al 2^ co. art. 161 c.p.p. e pertanto, non risultando avere l'imputato fatto successive comunicazioni di elezione, dichiarazione o mutamento di domicilio, quello di cui sopra restò e resta tuttora domicilio determinato: solo va precisato (e in tal senso deve essere rettificata, a norma dell'art. 619 c.p.p. la motivazione dei giudici di merito) che si tratta non della notifica 3.7.2001, effettivamente inidonea ai fini che qui interessano proprio per il motivo indicato dal ricorrente, ma quelle successive, entrambe effettuate ai coimputati nel domicilio indicato di Montelupo Albese: quella 31.10.01 (f. 14) a mezzo raccomandata ritirata dalla moglie convivente Mazzeo e quella 15.12.2001 per la moglie anzidetta (f. 16), pure questa a mezzo raccomandata ritirata dal marito convivente, per l'appunto l'attuale ricorrente. Con il secondo motivo viene denunciata violazione ed erronea applicazione dell'art. 163 D.L.VO 490/99 in relazione al manufatto cd. baracca di cantiere e difetto di motivazione sul punto, in quanto i giudici di appello avrebbero "erroneamente escluso nel caso di specie la rilevanza del carattere temporaneo del manufatto", natura di cui gli stessi giudici di merito hanno dato atto. Secondo il ricorrente "la precarietà rappresenta un significativo indice di non pregiudizio per il bene ambientale" e incombe al giudice di merito la relativa verifica, la cui omissione (rilevabile nella specie) determina carenza di motivazione. La censura è infondata, dovendo ritenersi decisivo quanto rilevato al riguardo in linea di fatto dai giudici di merito: da un lato, che "la tettoia insisteva su un basamento in cemento armato" e, dall'altro, che "la realizzazione delle opere di cui si discute fu accertata il 29 giugno 2000 e la loro demolizione il 18 luglio successivo". Su tali basi, i giudici di merito hanno fatto ineccepibile applicazione del principio (consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, cfr. Sez. 3^, 25.8.2000 n. 9222; 1.12.99 n. 13716, Di Tommaso, rv. 214980) secondo cui, ai fini della sussistenza del reato ambientale, è irrilevante la temporaneità dell'opera 1^) perché anche dalle modifiche temporanee allo stato dei luoghi può derivare un pregiudizio al bene ambientale tutelato; 2^) perché, in ogni caso, il controllo pubblico preventivo è essenziale per l'accertamento e la garanzia che le opere precarie e temporanee abbiano realmente quelle caratteristiche e, in ogni caso che si rispettino le necessarie cautele anche nella fase dell'esecuzione e della rimozione. È vero che il reato di cui all'art. 163 D.L.VO 490/99 presuppone comunque che l'intervento incriminato immuti in modo rilevante ed apprezzabile, anche sotto il profilo temporale, le caratteristiche del luogo sottoposto alla speciale tutela ambientale; ma i giudici di merito hanno esattamente rilevato al riguardo che nel caso concreto "la realizzazione delle opere di cui si discute fu accertata il 29.6.2000 e la loro demolizione il 18.7 successivo..., sicché non può dubitarsi della rilevanza, anche temporale, di tali opere sul piano dell'impatto ambientale"; che, inoltre, "il fatto che la tettoia insistesse su un basamento di cemento fa ritenere che essa era destinata a perdurare, se non per tutta la durata del cantiere, certo per un apprezzabile lasso di tempo, e, quindi, con significativa alterazione dello stato dei luoghi". Deve, in definitiva, essere ribadito che il reato di cui all'art. 163 D.L.VO 490/99 è integrato dalla realizzazione senza autorizzazione, in zona sottoposta a vincolo, anche di una struttura di non modeste dimensioni e destinata a permanere per un apprezzabile lasso di tempo (nella specie, un container, una tettoia in aderenza insistente su un basamento di cemento, una baracca di cantiere di m. 4 x 2,50, il tutto rimasto in piedi per circa due mesi); che anche da opera siffatta deriva un vulnus per il paesaggio di apprezzabile durata ed entità, tale da imporre la preventiva valutazione da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo (così, anche, la già citata sent. 2000 n. 9222). Con la memoria presentata in questa sede il difensore ha sollecitato anche declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione, essendo dalla data di accertamento (29.6.2000) decorsi (alla data del 29.12.2004) i quattro anni e sei mesi della prescrizione ex artt. 157 co. 5 e 160 u.c. c.p. e non potendosi tenere conto della sospensione del corso della prescrizione disposta dalla Corte d'Appello di Torino con ordinanza del 7.5.2004 su istanza di rinvio per impedimento del difensore. Anche tale motivo è infondato, non potendosi in questa sede ridiscutere, in mancanza di specifica impugnazione, la citata ordinanza di sospensione del corso della prescrizione. Anche infondata è, peraltro, la tesi che la sospensione non potrebbe avere la durata dell'intero lasso di tempo (cinque mesi e 24 giorni) intercorso tra l'udienza rinviata (7.5.2004) e quella successiva (29.10.2004). Va, infatti, rilevato (anche in relazione alle ulteriori deduzioni difensive sul punto) che proprio la sentenza di questa Corte citata dal ricorrente (Sez. Un. 11.1.2002 n. 1021, Cremonese, rv. 220510) ha chiarito che: 1^) l'ordinanza di sospensione del corso della prescrizione deve essere collegata a provvedimento di sospensione dei termini della custodia cautelare solo "quando non consegua a un provvedimento di sospensione o di rinvio del procedimento o del dibattimento, disposto per impedimento dell'imputato o del suo difensore ovvero su loro richiesta"; 2^) il rinvio del dibattimento disposto a seguito di istanza del difensore per suo impedimento (nel caso della sent. Cremonese si trattava dell'adesione del difensore all'astensione collettiva dalle udienze proclamata dall'associazione di categoria, ma identica resta la sostanza della questione, vertendosi pur sempre in ipotesi di rinvio dell'udienza per impedimento del difensore) comporta la sospensione del corso della prescrizione per tutto il periodo complessivo della durata dei rinvii. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 15 giugno 2005. Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2005