Cass. Sez. III n. 33625 del 13 settembre 2022 (UP 21 apr 2022)
Pres. Rosi Est. Cerroni Ric. Vincenti
Ambiente in genere.Occupazione senza titolo di area demaniale marittima

La fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav., che sanziona la condotta di occupazione senza titolo di un’area demaniale marittima, impedendone o limitandone la fruibilità, si applica anche a chi abbia protratto l’abusiva occupazione da altri precedentemente iniziata. Né, data la pacifica natura permanente del reato, può esservi questione alcuna di prescrizione, atteso che detta permanenza si protrae fino a che l’occupazione perdura e, pertanto, il termine di prescrizione non decorre dalla data dell’accertamento, ma da quella della data di rilascio della concessione o da quella dello sgombero, individuandosi in tale momento la cessazione dell’illegittimo uso e godimento di fatto del bene demaniale.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 febbraio 2021 la Corte di Appello di Lecce ha confermato la sentenza del 16 gennaio 2018 del Tribunale di Lecce, in forza della quale Luigi Vincenti, nella qualità di amministratore unico della s.r.l. Kariff, era stato condannato alla pena di mesi due di arresto, con i doppi benefici e subordinando la sospensione condizionale al ripristino dei luoghi, per il reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav. consumato in Torre Rinalda di Lecce.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su tre congiunti motivi di impugnazione.
2.1. E’ stata infatti dedotta violazione del codice della navigazione in relazione agli artt. 54 e 1161 cod. nav.. In particolare, secondo il ricorrente sarebbe stata travisata la prova documentale quanto all’oggetto della concessione demaniale del 2003, nella quale era subentrato nel 2015 il ricorrente, parimenti subentrato anche nella richiesta di autorizzazione stagionale all’installazione di pedana rimovibile, siccome formulata dal dante causa dell’imputato nel marzo 2015. Non vi era stato alcun pregiudizio al paesaggio, tant’è che l’intera struttura balneare risaliva a periodo anteriore al 1967 e in specie vi sarebbe stata occupazione precaria del demanio marittimo, né si era verificata alcuna sottrazione alla fruibilità della collettività, laddove le strutture risalivano al 2009.
In tal senso andava considerata l’eventuale prescrizione, mentre comunque le risultanze processuali non andavano interpretate in malam partem.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In relazione al motivo di censura, il ricorso per vero neppure si confronta appieno con l’analitica e coerente ricostruzione dei fatti siccome operata dalla Corte territoriale, in esito alla quale – ed alla puntuale descritta verifica documentale - era stata smentita l’impostazione difensiva, secondo cui il manufatto di cui era contestata la legittimità sarebbe stato allocato su area demaniale oggetto di concessione, prima al dante causa dell’odierno ricorrente ed infine allo stesso imputato. Né, in questa sede, possono riproporsi questioni di fatto che ormai hanno avuto completo e definitivo sfogo nella competente sede di merito.
 Al riguardo, lo stesso Procuratore generale ha invero osservato che “la Corte di appello, con una motivazione completa ed immune da vizi logici, ha affermato che la concessione demaniale non riguardava l’area antistante al bar. Tra l’altro, questa conclusione si fonda anche sul comportamento tenuto nel tempo dall’imputato, il quale ha chiesto all’amministrazione pubblica preposta il rilascio di autorizzazione alla realizzazione di una pedana”.
4.1.1. A questo proposito è infine nozione comune, già richiamata dalla sentenza impugnata, che la fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav., che sanziona la condotta di occupazione senza titolo di un’area demaniale marittima, impedendone o limitandone la fruibilità, si applica anche a chi abbia protratto l’abusiva occupazione da altri precedentemente iniziata (Sez. 3, n. 25984 del 02/07/2020, Muscarà, Rv. 279901; Sez. 3, n. 2879 del 14/11/2013, dep. 2014, Anfuso e altro, Rv. 258379). Né, infine, data la pacifica natura permanente del reato (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 6732 del 09/01/2019, Guazzolini, Rv. 275837), può esservi questione alcuna di prescrizione, atteso che detta permanenza si protrae fino a che l’occupazione perdura e, pertanto, il termine di prescrizione non decorre dalla data dell’accertamento, ma da quella della data di rilascio della concessione o da quella dello sgombero, individuandosi in tale momento la cessazione dell’illegittimo uso e godimento di fatto del bene demaniale.
5. La manifesta infondatezza dell’impugnazione, che (v. supra) neppure si confronta appieno con l’iter argomentativo della decisione, non può che comportare l’inammissibilità del ricorso (cfr. ad es., Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611).
5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 21/04/2022