Cass. Sez. III n. 39049 del 23 settembre 2013 (Ud. 20 mar 2013)
Pres. Teresi Est. Grillo Ric. Bortini ed altro
Beni Ambientali. Interventi di minima entità
Nel testo dell’art. 181 del D. L.vo 42/04, non si fa alcun riferimento alla nozione di “interventi di minima entità", concetto elaborato in via giurisprudenziale ed attualmente ritenuto l'unico criterio valido di riferimento al fine di distinguere i casi di totale irrilevanza, come tali non punibili, da quelli, certamente modesti, ma inclusi nell’area della punibilità penale per quelle ragioni connesse alla prioritaria esigenza di salvaguardia del territorio sotto il profilo ambientale e paesaggistico nel suo complesso.
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 20/03/2013
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. GRILLO Renato - rel. Consigliere - N. 837
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - N. 29289/2012
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
BORTINI CLAUDIO N. IL 14/08/1970;
FIORONI SIMONE N. IL 20/10/1977;
avverso la sentenza n. 2917/2011 CORTE APPELLO di GENOVA, del 02/02/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/03/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fraticelli Mario, che ha concluso per l'inammissibilità.
udito il difensore avv. Pedullà Riccardo di Genova.
RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza del 2 febbraio 2012 la Corte di Appello di Genova, per quanto qui rileva, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di detta città del 9 luglio 2010 pronunciata nei confronti di BORTINI Claudio e FIORONI Simone (soggetti imputati dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 bis), revocava - per quanto qui di interesse - il concesso beneficio ad entrambi della sospensione condizionale della pena, che dichiarava interamente condonata e concedeva il beneficio della non menzione della condanna, confermando, nel resto, la sentenza impugnata con la quale i due imputati erano stati condannati per i detti reati alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione ciascuno.
1.2 Avverso la detta sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati a mezzo del loro difensore di fiducia deducendo, con un unico, articolato, motivo, violazione di legge per avere la Corte distrettuale ritenuto - quanto al reato di violazione della legge paesaggistica - il reato de quo come fattispecie di pericolo astratto, senza attribuire alcun valore scriminante al certificato di compatibilità paesaggistica postumamente ottenuto ed attestante l'insussistenza del danno paesaggistico. Osserva inoltre la difesa, nell'ambito del detto motivo, l'erronea applicazione della legge penale con riferimento alla violazione edilizia contestata la capo a), per avere escluso che le opere edilizie eseguite sul preesistente immobile (consistenti in alcune variazioni essenziali rispetto al progetto approvato comportanti aumenti di superfici utile e di volumi e la realizzazione di alcune "bucature" nella parti esterne dell'edificio) integrassero un intervento manutentivo di carattere straordinario come, invece, prospettato con l'atto di impugnazione. In questo senso viene censurata come erronea l'affermata inapplicabilità del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter stante la realizzazione di nuovi volumi e/o superfici in difformità al progetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato per le ragioni qui di seguito indicate. Va premesso, per una migliore comprensione del contenuto del ricorso, che ai due prevenuti, nelle rispettive vesti di esecutore dei lavori (BORTINI) e di direttore dei lavori (FIORONI), è stata contestata la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 in relazione alla esecuzione in variazione essenziale rispetto al progetto approvato di alcuni lavori edili consistiti: a) nella parziale sostituzione di muri perimetrali; b) nello spostamento e modifica di alcune bucature già approvate; c) nella sopraelevazione delle quote di imposta alla linea di gronda (circa 20 cm.) ed alla linea di confine (cm. 30) rispetto alle corrispondenti indicazioni progettuali; d) nella mancata realizzazione del muretto di coronamento previsto sulla copertura a falde in abbadini di ardesia. La seconda contestazione afferisce alla violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 bis in relazione alla realizzazione delle opere suddette in zona assoggettata a vincolo paesaggistico senza la prescritta autorizzazione da parte della competente autorità amministrativa.
2. La prima questione che questo Collegio è chiamato a risolvere riguarda la qualificazione della condotta contestata al capo a) della imputazione e, in particolare, la configurabilità del reato edilizio in caso di variazioni essenziali.
2.1 Va, sul punto, ricordato che la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente pacifica nel ritenere che, rispetto alle figure delle c.d. "varianti leggere o minori" (assoggettate alla mera denuncia di inizio dell'attività da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori) e delle "varianti in senso proprio" (le quali, in relazione alla loro caratteristica intrinseca necessitano del rilascio del c.d. "permesso in variante", complementare ed accessorio rispetto all'originario permesso a costruire), le c.d. "varianti essenziali" sono caratterizzate da incompatibilità quali- quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32 e sono soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo ed autonomo rispetto a quello originario, in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante (in termini, tra le tante, Cass. Sez. 3A 24.3.2010 n. 24236, Muoio ed altro, Rv. 247686; Cass. Sez. 3A 27.4.2011 n. 21781, Grop ed altro, Rv. 250476 nella quale si fa riferimento alla sanzione prevista dall'art. 44, lett. c) del cit. T.U. laddove si tratti di interventi su immobili insistenti in area paesaggisticamente vincolata). 2.2 In materia urbanistica, infatti, la nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire, di cui al menzionato D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32, costituisce una tipologia di abuso intermedia tra la difformità totale e quella parziale, di regola sanzionata, dal cit. cit. D.P.R., art. 44, lett. a) tranne che non si versi in una delle ipotesi disciplinate dall'art. 32, comma 3 al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 32, comma 3, (Cass. Sez. 3A 17.4.2012 n. 41167, Ingrosso, Rv. 253599; conforme, Cass. Sez. 3A 25.1.2005 n. 8316, Guida ed altri, Rv. 230977).
2.3 Ciò precisato, nel caso in esame alcune delle varianti apportate al preesistente manufatto rientrano certamente nel novero delle varianti essenziali in quanto modificative - come correttamente ritenuto dalla Corte distrettuale - della sagoma, altezza, volume e superficie dell'edificio, tanto da escludersi l'ipotesi di un intervento di tipo manutentivo di minima rilevanza (vds. per i richiami sul punto, pag. 3 della sentenza impugnata). 3. Altra questione affrontata dai ricorrenti è poi quella riguardante la violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis che costituisce il principale motivo di ricorso sotto il profilo di una asserita inosservanza della legge penale in cui sarebbe incorsa la Corte genovese.
3.1 Il testo del cit. D.Lgs., art. 181, comma 1 bis prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni nel caso in cui i lavori di qualsiasi genere eseguiti sui beni paesaggistici riguardino immobili od aree che (ai sensi dell'art. 136) per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; ovvero immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'art. 142 ed abbiano comportato, in quest'ultima ipotesi, un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.
3.2 Correttamente la Corte distrettuale ha qualificato la condotta nell'ambito di previsione dell'art. 181, comma 1 bis, lett. b), ricordando che si trattava, anzitutto, di un immobile preesistente ubicato sull'arenile demaniale marittimo e, dunque, entro i 300 metri dalla battigia, sottolineando la non applicabilità dell'art. 181, comma 1 ter in ragione della particolare tipologia degli interventi, indipendentemente dalle superfici volumetriche menzionate nella lett. b) del citato art. 181, comma 1 bis, stante la differenza di regime tra le due condotte.
3.3 La giurisprudenza di questa Corte ha sempre considerato il reato contemplato da tale norma come una tipica ipotesi di reato formale di pericolo astratto che si consuma con la sola realizzazione di lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica e che prescinde dal verificarsi di un evento di danno (il pregiudizio ambientale o l'avvenuta alterazione del paesaggio): per la sua configurabilità, quindi, è sufficiente che l'agente faccia del bene protetto dal vincolo un uso diverso da quello cui esso è destinato, in quanto il vincolo apposto su parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al governo del territorio. L'unica deroga alla sanzionabilità penale di tale condotta è costituita da quegli interventi "di entità talmente minima ed irrilevante" tali da risultare inidonei, in via astratta a porre in pericolo il paesaggio e a pregiudicare il bene paesaggistico- ambientale (tra le tante, Cass. Sez. 3^ 17.11.2005 n. 564, Villa, Rv. 233012; più di recente, Cass. Sez. 3A 20.10.2009 n. 2903, Soverini, Rv. 245908).
3.4 Sotto altro diverso aspetto, specificamente rilevante in questa sede atteso il genere di censura sollevata dalla difesa collegata alla minima entità delle alterazioni plano-volumetriche effettuate sull'immobile esenti, a dire dei ricorrenti, da rilievi penali, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il significato di "superficie utile" di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, comma 1 ter, è diverso da quello attribuito nell'ambito della disciplina urbanistica, dovendosi avere riguardo all'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio con conseguente inapplicabilità della c.d. "sanatoria ambientale" di cui all'art. 181, comma ter, laddove la creazione o aumento di superfici utili e/o volumi sia comunque idonea a compromettere il paesaggio (Cass. Sez. 3^ 29.11.2011, Falconi e altri, Rv. 251641).
3.5 La Corte territoriale si è uniformata ai detti criteri, in particolare evidenziando la compromissione paesaggistica creata dall'esecuzione di una serie variegata di interventi che, seppure non particolarmente consistenti o eclatanti, non potevano considerarsi di minima entità nel senso ritenuto dalla pacifica giurisprudenza di questa Corte.
3.6 Come precisato dalla norma più volte ricordata, la portata scriminante dell'accertamento (postumo) della compatibilità paesaggistica può trovare ingresso soltanto in ipotesi tassativamente predeterminate che riguardano i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; ovvero i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 cit.. Da tale rigida previsione normativa è derivato il concetto di minima entità come elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte nei termini dianzi enunciati.
3.7 Secondo la prospettazione difensiva il legislatore, con la L. 4 aprile 2012, n. 35 (modificativa ed integrativa del D.L. n. 5 del 9.1.2012) ha ampliato all'art. 44 la portata scriminante del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter, estendendo l'area della non punibilità alle ipotesi di interventi di lieve entità su immobili siti in zona paesaggisticamente vincolata: in altri termini l'originaria nozione (di derivazione giurisprudenziale) di minima entità sarebbe stata abbandonata dal legislatore perché troppo rigida per far posto ad un criterio più flessibile normativamente predeterminato riferito alla categoria della lieve entità di più ampia portata.
3.8 Tale tesi, peraltro poggiante su una classificazione o indicazione degli interventi di lieve entità ancora da venire (e dunque non certamente applicabile rebus sic stantibus), non significa però l'abbandono del concetto di minima entità, proprio perché manca qualsiasi riferimento normativo specifico atto a definire la categoria normativa di nuovo conio, non senza aggiungere che non è affatto da escludere la coincidenza del concetto di minima entità di origine giurisprudenziale con quello di lieve entità normativamente definita.
3.9 Che sia evidente l'intento del legislatore di tutelare in modo particolarmente rigoroso il territorio e, in generale, il patrimonio paesaggistico nel suo complesso, lo si evince, del resto, dall'iter legislativo che ha caratterizzato il testo della L. n. 35 del 2012, art. 44 della, intitolato "Semplificazioni in materia di interventi di lieve entità". Esso recita testualmente che "Con regolamento da emanare ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali, d'intesa con la Conferenza unificata, salvo quanto previsto dal D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 3, sono dettate disposizioni modificative e integrative al regolamento di cui all'art. 146, comma 9, quarto periodo, (del codice di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), e successive modificazioni, (al fine di precisare) le ipotesi di interventi di lieve entità, nonché allo scopo di operare ulteriori semplificazioni procedimentali, ferme, comunque, le esclusioni di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 19, comma 1, e art. 20, comma 4, e successive modificazioni".
3.10 L'originaria previsione normativa dell'art. 44 contenuta nel decreto legge, poi convertito, includeva un comma 2 del seguente tenore: "All'art. 181, comma 1 ter, primo periodo, del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, dopo le parole: "la disposizione di cui al comma 1" sono aggiunte le seguenti: "e al comma 1 bis, lettera a)" "poi soppresso in sede di conversione".
3.11 Tale soppressione consente di escludere qualsiasi ipotesi di depenalizzazione per gli abusi paesaggistici inclusi nella previsione dell'art. 181, comma 1 bis, sicché il concetto di lieve entità, comunque non ancora precisato nelle sue linee attuative concrete, non basta a ritenere superato il criterio interpretativo della minima entità indispensabile ai fini della non punibilità della condotta in caso di accertata compatibilità paesaggistica. Invero va, ancora una volta, chiarito che nel testo del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, non si fa alcun riferimento alla nozione di "interventi di minima entità", concetto elaborato in via giurisprudenziale ed attualmente ritenuto l'unico criterio valido di riferimento al fine di distinguere i casi di totale irrilevanza, come tali non punibili, da quelli, certamente modesti, ma inclusi nell'area della punibilità penale per quelle ragioni dianzi precisate connesse alla prioritaria esigenza di salvaguardia del territorio sotto il profilo ambientale e paesaggistico nel suo complesso.
3.12 Quanto, poi, al profilo di possibile incostituzionalità adombrato dalla difesa del ricorrente con riferimento all'inquadramento del reato di cui all'art. 181 comma 1 bis nella categoria dei reati di pericolo formale astratto, indipendentemente dalla genericità della censura (non essendo stato nemmeno indicato il precetto costituzionale violato), va ricordato che questa Corte si è già espressa per la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 181, comma 1 ter per contrasto con l'art. 3 Cost., art. 25 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 3 nella parte in cui non prevede che, nonostante il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'opera, non siano comunque applicabili le sanzioni penali contemplate nel comma 1 bis del medesimo articolo, attesa la diversità delle situazioni disciplinate dalle norme testè richiamate (Cass. Sez. 3A 17.11.2010 n. 7216, Zolesio e altro, Rv. 249527). Innegabile i riflessi di tale decisione anche sulla (prospettata) questione di illegittimità costituzionale dell'art. 181, comma 1 bis che, conseguentemente deve reputarsi altrettanto manifestamente infondata.
3.13 Anche in questo caso la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato il principio che il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del delitto paesaggistico previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis (Cass. Sez. 3A 7216/10 cit. conformi, Cass. Sez. 3^21.6.2011 n. 34764, Fanciulli, Rv. 251244; Cass. Sez. 3A 15.1.2013 n. 6299, Simeon e altro, Rv. 254493), in considerazione della natura di reato di pericolo astratto della fattispecie indicata nell'art. 181 citato, comma 1 bis. 4. Conclusivamente va detto che, ferma restando la natura del reato di pericolo formale della figura delittuosa prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, laddove sia stato accertato un intervento edilizio su area paesaggisticamente vincolata, la condotta deve ritenersi sempre punibile tranne che nelle residuali ipotesi di interventi di minima entità, senza che possa assumere rilevanza il concetto di lieve entità come enunciato nella L. n. 35 del 2012, art. 44, attesa la mancanza di specifiche indicazioni illustrative di tale concetto, ancora di là da venire e comunque tale da non escludere l'applicabilità, allo stato attuale, del criterio della minima entità degli interventi così come elaborato pacificamente dalla giurisprudenza di questa Corte.
5. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2013