Cass. Sez. III n. 4567 del 31 gennaio 2018
Pres.Savani Est. Aceto Imp. Airò
Beni Ambientali.Reato paesaggistico e irrilevanza condizioni dell'area
Ai fini della configurazione del reato paesaggistico, non ha rilevanza alcuna il fatto che l’opera sia stata realizzata in zona fortemente abitata e urbanizzata, servita da pubblica illuminazione e fornitura idrica. Una simile deduzione si fonda sull’erroneo presupposto che il vincolo paesaggistico comporti sempre e comunque l’inedificabilità assoluta delle aree che ne sono oggetto o che comunque non possa riguardare luoghi già urbanizzati o addirittura “compromessi” e ciò al fine di evitarne l’ulteriore “compromissione”.
RITENUTO IN FATTO
1. La sig.ra Rosetta Airò Farulla ricorre per l’annullamento della sentenza del 10/03/2017 della Corte di appello di Palermo che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di un mese di arresto e 31.000,00 euro di ammenda inflittale dal Tribunale di Agrigento per i reati di cui agli artt. 81, 110, cpv., cod. pen., 44, lett. c), 95, d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, d.lgs. n. 42 del 2004, a lei ascritti perché, quale proprietaria e committente e in concorso con gli ignoti esecutori, in assenza di permesso di costruire e dell’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, senza il necessario preavviso, senza presentare il relativo progetto e senza l’autorizzazione del competente ufficio del Genio civile, aveva realizzato, in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico, un manufatto di circa 130 mq. interamente tramezzato e diviso in sei ambienti rifiniti, dotato di veranda aperta su due lati, alto 3,90 metri al colmo, con struttura portante costituita da pilastri e travi in legno, con copertura a due falde spioventi, completo di grondaia e pluviali, con tamponature in muratura. Il fatto è contestato come accertato in Agrigento il 16/03/2013.
1.1. Con il primo motivo, deducendo che le prove dichiarative e documentali assunte nel corso giudizio escludono che il manufatto si trovi all’interno della fascia di trecento metri dalla battigia e che dall’esame del loro contenuto tale circostanza non può essere affermata al di là di ogni ragionevole dubbio, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui afferma che il manufatto ricade all’interno della cd. fascia di rispetto. Lamenta, inoltre, che non è stato svolto alcun accertamento sull’offensività in concreto della condotta (sotto il profilo della sua attitudine a porre in pericolo il bene tutelato) trattandosi di manufatto collocato in un contesto ampiamente urbanizzato.
1.2. Con il secondo motivo, deducendo che l’opera realizzata è in legno, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 95, d.P.R. n. 380 del 2001.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile perché proposto al di fuori dei casi consentiti nel giudizio di legittimità e perché manifestamente infondato.
3. Il primo motivo è di natura fattuale e costituisce una sostanziale riedizione dell’appello dal quale mutua l’inammissibile richiamo al contenuto delle prove dichiarative e documentali a supporto dell’eccepita insussistenza del vincolo paesaggistico. La ricorrente non eccepisce il travisamento delle prove indicate dalla Corte di appello a sostegno della decisione assunta, sicché il fatto, in questa fase di legittimità, resta esclusivamente quello descritto nella motivazione della sentenza che dà ampiamente conto delle ragioni della infondatezza della tesi difensiva e della effettiva realizzazione del manufatto all’interno della fascia di 300 metri dalla battigia.
3.1. Più volte questa Corte ha spiegato (e deve ribadire) che il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l’indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando (e sopratutto quando) è strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici della ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata. L’esame può avere ad oggetto direttamente la prova solo quando se ne eccepisca il travisamento, purché l’atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e sempre che possa scardinare la logica del provvedimento impugnato creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali. L’intero ricorso, come detto, è volto a sollecitare non tanto l’esame critico della logica che sorregge il provvedimento impugnato, quanto un inammissibile (ri)esame, nel merito, delle prove utilizzate dal Tribunale e dalla Corte di appello per affermare la realizzazione dell’opera in area sottoposta a vincolo paesaggistico.
3.2. Quanto alla eccepita inoffensività della condotta integrante il reato di cui all’art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004, è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il reato di cui all'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 è di pericolo formale ed astratto per la cui sussistenza non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente. Ne consegue che non sono penalmente rilevanti solo le condotte relative ad interventi di entità talmente minima da non potere dare luogo, neppure in astratto, al pericolo di un pregiudizio ai beni protetti e che dunque si prospettano inidonee, anche in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e dell'ambiente in quanto la fattispecie tutela l'ambiente in via anticipata, sanzionando la violazione degli adempimenti formali, quali la richiesta di autorizzazione, che devono assicurare che la P.A. preposta al controllo sia posta in condizioni di svolgere tale funzione in maniera efficace e tempestiva (in questo senso, Sez. 3, n. 37337 del 16/04/2013, Ciacci, Rv. 257347; Sez. 3, n. 39049 del 20/03/2013, Bortini, Rv. 256426; Sez. 3, n. 38051 del 03/06/2004, Coletta, Rv. 230038; Sez. 3, n. 40862 del 02/10/2001, Fara, Rv. 220356).
3.3. Nel caso in esame è escluso che l’intervento edilizio descritto nella premessa possa essere definito di “minima entità” ed inidoneo in astratto a compromettere i valori tutelati dal vincolo. Nè ha rilevanza alcuna il fatto che l’opera sia stata realizzata in zona fortemente abitata e urbanizzata, servita da pubblica illuminazione e fornitura idrica. Una simile deduzione si fonda sull’erroneo presupposto che il vincolo paesaggistico comporti sempre e comunque l’inedificabilità assoluta delle aree che ne sono oggetto o che comunque non possa riguardare luoghi già urbanizzati o addirittura “compromessi” e ciò al fine di evitarne l’ulteriore “compromissione”.
4. Il secondo motivo è manifestamente infondato, considerato che anche le opere edilizie con strutture in legno, allorché realizzate in una zona dichiarata sismica, sono sottoposte alla disciplina di cui alla L. 2 febbraio 1974 n. 64, in quanto l'utilizzo di elementi strutturali di minore solidità rende ancora più necessari i controlli e le cautele prescritte dalla citata legge in materia di costruzioni in zona sismica (Sez. 3, n. 10205 del 18/01/2006, Solis, Rv. 233671). Ciò sul rilievo che ai fini della configurabilità dei reati previsti dalla disciplina in tema di costruzioni in zone sismiche, le norme dettate dagli artt. 93, 94 e 95, d.P.R. n. 380 del 2001 si riferiscono a tutte le costruzioni, sopraelevazioni e riparazioni edili, a prescindere dal materiale con cui vengono realizzate (Sez. 3, n. 9126 del 16/11/2016, Aliberti, Rv. 269303; Sez. 3, n. 48950 del 04/11/2015, Baio, Rv. 266033; Sez. 3, n. 34604 del 17/06/2010, Todaro, Rv. 248330; Sez. 3, n. 28514 del 29/05/2007, Libonati, Rv. 237656). Per tale ragione, non sono escluse dall’orbita applicativa della fattispecie in questione nemmeno le opere precarie (Sez. 3, n. 37322 del 03/07/2007, Borgia, Rv. 237842; Sez. 3, n. 24086 del 11/04/2012, Di Nicola, Rv. 253056, che ritenuto soggetta a regime autorizzatorio antisismico l'installazione di pannelli autostradali a messaggi variabili).
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 10/10/2017.