Cass. Sez. III n. 40677 del 29 settembre 2016 (Cc 23 giu. 2016)
Pres. Amoresano Est. Di Nicola Ric. La Sala ed altra
Beni Ambientali.Violazioni paesaggistiche e sequestro preventivo
Nel caso del sequestro preventivo impeditivo occorre accertare, per il legittimo uso dello strumento cautelare, se l'uso della cosa, realizzata in violazione dei vincoli paesaggistici, sia idoneo o meno, nell'ipotesi di condotta del tutto esaurita, ad incidere sulle conseguenze dannose prodotte dall'intervento abusivo sull'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, con la conseguenza che l'uso della cosa a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo deve formare oggetto, in tale caso, di un esame particolarmente approfondito da parte del giudice di merito, il quale deve ritenere o escludere l'ulteriore lesione del bene protetto a seconda che accerti, in concreto, l'incompatibilità o la assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, avuto riguardo alla natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera.
RITENUTO IN FATTO
1. Giuseppe La Sala ed Antonietta Cirillo ricorrono per cassazione impugnando l'ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale del riesame di Salerno ha parzialmente riformato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari in data 16 ottobre 2015, annullandolo in relazione ai reati di cui ai capi B), C), D) e F) dell'imputazione provvisoria limitatamente alle seguenti opere: posizionamento, nel terrazzamento agricolo al piano terra di tavolato in legno di metri 4 x metri 3,70 adibito a solarium; realizzazione di forno-barbecue in muratura; tenda da sole in alluminio e sovrastante telone di metri 4 x metri 3 di altezza; realizzazione di un pergolato lungo metri 12 x metri 3 in pali di castagno coperto da incannucciato; tavolato il legno poggiato sul terreno di metri 8 x metri 3 con sopra tavoli e sedie, confermando nel resto l'impugnato decreto di sequestro preventivo.
Il provvedimento cautelare era stato emesso per il reato previsto dall'articolo 181, comma 1-bis del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 in relazione all'articolo 136 dello stesso decreto per avere eseguito, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza la preventiva autorizzazione, oltre alle opere in precedenza indicate, la demolizione della parete sud del locale deposito con istallazione, in suo luogo, di un infisso avvolgibile in pvc di metri 3,60 x metri 2,40.
Sono stati poi contestati in via cautelare anche il reato previsto dall'articolo 44, comma 1, lettera e), d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 per aver eseguito i predetti lavori in assenza di permesso di costruire nonché i reati previsti dagli articoli 64-71,65-72,93-95 d.p.r. n. 380 del 2001 per aver realizzato dette opere senza la redazione di un progetto e la direzione di un tecnico incaricato; per non averne fatto preventiva rinuncia allo sportello unico per l'edilizia; per avere eseguito l'opera in zona sismica omettendo la relativa comunicazione allo sportello unico ed il deposito dei relativi progetti ed infine del reato previsto dall'articolo 734 del codice penale per aver alterato con tali opere le bellezze naturali di località soggetta a speciale protezione dell'autorità.
2. Per l'annullamento dell'impugnata ordinanza i ricorrenti, tramite il comune difensore, sollevano due motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell'articolo 324 del codice penale, il difetto di motivazione ed il travisamento dei fatti con conseguente violazione dell'articolo 321 del codice di procedura penale e degli articoli 3, 6, 10, 22, 31, 44, lettera e), 64, 71, 65 e 72 del d.p.r. n. 380 del 2001 nonché degli articoli 149 e 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, sul rilievo che l'ordinanza impugnata non recherebbe alcuna motivazione sul primo motivo di gravame di cui alla richiesta di riesame presentata dai ricorrenti, nella quale si denunciava il travisamento dei fatti, la carenza istruttoria ed il difetto di motivazione in quanto si assumeva la realizzazione di opere, quelle con rilevanza edilizia, ambientale ed urbanistica giammai eseguite dagli indagati ed anzi insussistenti sui luoghi de quibus e si evidenziava che l'erronea applicazione della realtà e la riferita maggiore entità delle opere sequestrate, ma inesistenti, avevano inciso sull'intero iter motivazionale del decreto di sequestro, minandolo alle fondamenta anche con riferimento, quindi, agli interventi effettivamente eseguiti.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell'articolo 321 del codice penale e degli articoli 3, 6, 10, 22, 31, 44, lettera e), 64, 71, 65 e 72 del d.p.r. n. 380 del 2001 nonché degli articoli 149 e 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004 nonché il difetto di motivazione, il travisamento dei fatti e carenza istruttoria, sul rilievo che il tribunale del riesame, con l'ordinanza impugnata, ha parzialmente annullato il sequestro preventivo, mantenendolo tuttavia nella sua interezza con riferimento al reato paesaggistico senza considerare che, avuto riguardo ai lavori effettivamente eseguiti, la loro natura e le loro caratteristiche tecnico-costruttive consente di sostenere che si è in presenza di elementi di arredo o di interventi irrilevanti dal punto di vista urbanistico e paesaggistico o di impianti tecnologici. Con specifico riferimento alla parete, la sostituzione di essa non avrebbe comportato modifiche di un parametro edilizio, rientrando l'intervento tra quelli di manutenzione ordinaria non necessitante di alcun titolo abilitativo per cui anche per essa, così come per le altre opere indicate nell'ordinanza gravata, non sussistono, neanche in astratto i reati di cui ai capi da A) ad F) e derivando da ciò la mancanza del fumus criminis in relazione a tutti i reati configurati.
Assumono i ricorrenti infine come il tribunale del riesame abbia ritenuto la sussistenza delle esigenze cautelari sul presupposto che "quanto al periculum in mora il dato che la zona sia soggetta a vincolo paesaggistico rende di per sé legittimo il sequestro preventivo disposto dal Gip, indipendentemente dall'effettivo aggravio del carico urbanistico, in quanto il rischio di offesa al territorio e all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio e dell'incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata ... ".
Sostengono i ricorrenti che alcun lavoro era in corso e che si era in presenza solo di opere di arredo, inidonee, anche in astratto, di portare aggravamento del carico urbanistico ed essendo inconcepibile che la disponibilità di tali arredi potesse aggravare o comunque protrarre le conseguenze dei reati ipotizzati cui la misura cautelare reale tende perché, contrariamente a quanto riferito nel decreto di sequestro non può ragionevolmente sostenersi che interventi così modesti abbiano recato offesa al territorio e all'equilibrio ambientale.
Ne consegue che disporre il sequestro preventivo a prescindere dalla tipologia degli interventi eseguiti implica la violazione del primo comma dell'articolo 321 codice di procedura penale secondo il quale è possibile disporre sequestro preventivo solo "quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati".
Non sussistendo nel caso di specie tali presupposti, non poteva essere disposto il sequestro dei beni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati nei termini di seguito precisati.
2. Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
Il Collegio cautelare, diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, ha preso in carico il motivo di gravame, espressamente enunciandolo (a pagina 2 dell'ordinanza impugnata), e si è pronunciato su di esso affermando che le violazioni relative alle opere indicate nell'imputazione provvisoria e riportate nel decreto di sequestro preventivo (non anche nella richiesta cautelare formulata dal pubblico ministero) - ossia massetto in calcestruzzo a copertura di preesistente locale; massetto di calcestruzzo di mq 60 a copertura di preesistente immobile con istallazione di nuova impiantistica elettrica e idrica; impermeabilizzazione lastrico solare di circa mq 50 - non erano state perpetrate dai ricorrenti, in quanto da costoro non poste in essere, tant'è che, in relazione ad esse, non era stato eseguito alcun sequestro.
Ne consegue, da un lato, la manifesta infondatezza della censura sollevata in ordine al presunto vizio di omessa pronuncia e, dall'altro, anche la mancanza di interesse dei ricorrenti a dolersi, in sede di riesame cautelare, della loro estraneità alla realizzazione delle opere erroneamente indicate nell'imputazione provvisoria, posto che l'assenza di un vincolo sulle cose, che i ricorrenti stessi ammettono inesistenti in rerum natura, non legittimava, in partenza, alcuno a reclamare la restituzione di cose mai sequestrate ed anche a prescindere se il riferimento ad esse contenute nel decreto di sequestro fosse dovuto o meno ad un refuso di stampa.
Va ribadito, a tal proposito, che le impugnazioni cautelari non costituiscono fasi di anticipazione del giudizio di merito, esclusivamente innescando procedimenti incidentali diretti a risolvere questioni che incidono sulla libertà personale o reale di coloro che si ritengano lesi da un provvedimento cautelare ed in ciò assolvono ed esauriscono la loro funzione.
3. Il secondo motivo è fondato per quanto di ragione.
3.1. Del tutto priva di giuridico fondamento è la doglianza riguardante il fumus delicti, avendo il tribunale cautelare dapprima depurato i reati edilizi ed urbanistici di taluni interventi correttamente catalogati nell'ambito dell'attività edilizia libera e poi ha spiegato come detti interventi, singolarmente e nel loro complesso, radicassero il fumus del reato paesaggistico (l'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell'art.181, comma 1-bis, stesso decreto a seguito della sentenza n. 56 del 2016 della Corte costituzionale) per essere stata ampiamente superata la soglia di offensività del pericolo richiesto ai fini dell'integrazione del reato ipotizzato.
Al cospetto di un completo apparato argomentativo sul fumus criminis, rilievi dei ricorrenti si incentrano su vizi della motivazione, peraltro ictu oculi non sussistenti, il cui ingresso è comunque precluso nel giudizio di legittimità, essendo ammesse, in materia di impugnazioni cautelari reali, le sole doglianze dirette a denunciare il vizio di violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).
3.2. E' invece fondata la doglianza con la quale si censura la ritenuta sussistenza del periculum in mora.
Come i ricorrenti hanno sottolineato, il Collegio cautelare ha sostenuto che "il dato che la zona sia soggetta a vincolo paesaggistico rende di per sé legittimo il sequestro preventivo disposto dal Gip, indipendentemente dall'effettivo aggravio del carico urbanistico, in quanto il rischio di offesa al territorio e all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio e dell'incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata ... ".
3.2.1. Nel pervenire a tale conclusione, il Collegio cautelare si è attenuto ad un orientamento, peraltro prevalente, della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la sola esistenza della struttura abusiva, realizzata senza autorizzazione e in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, integra il requisito della concretezza e dell'attualità cautelare, che sussiste proprio perché l'offesa al territorio è destinata in tal modo a perdurare ed a consolidarsi (Sez. 3, n. 5954 del 15/01/2015, Chiacchiaro, Rv. 264370; Sez. 3, n. 42363 del 18/09/2013, Colicchio, Rv. 257526; Sez. 3, n. 24539 del 20/03/2013, Chiantone, Rv. 255560; Sez. 3, n. 30932 del 19/05/2009, Tortora, Rv. 245207; Sez. 2, n. 23681 del 14/05/2008, Cristallo, Rv. 240621; Sez. 3, n. 43880 del 30/09/2004, Macino, Rv. 230184).
Tale indirizzo fonda sul presupposto che, anche nel caso di ultimazione dei lavori, l'esecuzione di interventi edilizi in zona vincolata ne protrae nel tempo e ne aggrava le conseguenze, determinando e radicando il danno all'ambiente ed al quadro paesaggistico che il vincolo ambientale mira a salvaguardare (Sez. 3, n. 30932 del 19/05/2009, cit.).
La conseguenza, enunciata più diffusamente nella sentenza Macino, sarebbe che qualunque lavoro, in zona soggetta al vincolo paesaggistico, può costituire un'offesa al bene protetto, tale essendo quello dell'armonia paesaggistica, e ciò sarebbe sufficiente ad integrare il requisito della concretezza e della attualità cautelare, sussistenti poiché l'offesa al bene protetto è destinata a perdurare proprio in virtù della semplice esistenza e mantenimento in essere della struttura abusiva.
Ne deriva che, in ogni caso, sussiste la necessità di inibire all'indagato la concreta utilizzazione del bene affinché sia impedita l'ulteriore protrazione della lesione dell'equilibrio paesaggistico e, se del caso, anche urbanistico e latu sensu ambientale.
Secondo tale impostazione, scontata la legittimità del sequestro preventivo in caso di aggravio del carico urbanistico (in tal senso, e condivisibilmente, sono tutte le pronunce del filone suindicato), l'esigenza cautelare va ravvisata in relazione, da un lato, alla specifica natura vincolata della zona e, dall'altro, nella accentuata necessità di impedire l'utilizzazione di ciò che consolida l'offesa inferta al territorio, essendo incontestabile che in zone di rilevante e spiccata peculiarità l'utilizzazione di opere abusivamente realizzate consolidi la lesione dell'interesse protetto e, quindi, si risolva in ulteriore aggravamento della stessa.
Da ultimo, la sentenza Chiacchiaro, dopo aver richiamato tutte le pronunce affermative di tale indirizzo giurisprudenziale, ha ribadito il principio, condiviso dai Giudici salernitani, secondo il quale la circostanza della ubicazione dell'intervento edilizio abusivo in area sottoposta a vincolo paesaggistico rende di per sé legittima la misura reale applicata indipendentemente dall'effettivo aggravio del carico urbanistico, stante la persistente incidenza sull'assetto del territorio vincolato determinata dall'esistenza stessa dell'opera abusiva e dalla sua utilizzazione.
3.2.2. Tuttavia, a latere di questo indirizzo, si è sviluppato, nella giurisprudenza della Sezione, un diverso orientamento rimasto, in un certo senso, "sottotraccia" e recentemente ripreso dalla sentenza Giordano che ha affermato, in maniera più netta, il principio di diritto secondo il quale, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa implicare una effettiva lesione dell'ambiente e del paesaggio (Sez. 3, n. 48958 del 13/10/2015, Giordano, Rv. 266011).
In precedenza, è stato affermato come dovesse ritenersi insussistente il presupposto del "periculum in mora" per il sequestro preventivo di un immobile abusivo sito in zona paesaggisticamente vincolata, ove detto immobile fosse stato utilizzato compatibilmente agli interessi tutelati dal vincolo ambientale, precisandosi che l'esclusione dell'idoneità dell'uso della cosa a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo dovesse formare oggetto di un esame particolarmente approfondito da parte del Giudice di merito (Sez. 3, n.40486 del 27/10/2010, Petrina, Rv. 248701).
Così argomentando, la sentenza Petrina ha dato atto del consolidato indirizzo interpretativo della Corte in materia di violazioni paesaggistiche secondo il quale, pur esaurendosi la fattispecie contravvenzionale con il completamento delle opere realizzate senza la necessaria autorizzazione ovvero con la cessazione della condotta (Sez. 3, n. 28338 del 30/04/2003, Grilli, Rv 225385), permangono comunque gli effetti dannosi delle opere abusive per il paesaggio o l'ambiente ritenuto dal legislatore meritevole di particolare tutela (Sez. 3, n.30932 del 19/05/2009, cit.) ed ha, quindi, coerentemente affermato che anche l'uso dell'immobile, realizzato in violazione di vincoli, si palesa idoneo ad aggravare le conseguenze dannose prodotte dall'opera abusiva sull'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico o di altra natura e giustifica pertanto l'applicazione della misura cautelare diretta ad impedire la protrazione o l'aggravamento delle conseguenze dannose del reato.
Tuttavia, la sentenza Petrina - nella misura in cui ha affermato che la esclusione della idoneità dell'uso della cosa a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo deve formare oggetto di un esame particolarmente approfondito da parte del giudice di merito, avendo la valutazione sul punto ad oggetto l'incidenza negativa della condotta su un più delicato equilibrio rispetto a quello riguardante genericamente il carico urbanistico sul territorio - si è posta in collisione con il precedente orientamento in base al quale la semplice presenza della struttura abusiva in zona paesaggisticamente vincolata integrava il periculum in mora, collisione maggiormente accentuata dall'affermazione secondo la quale "l'ulteriore lesione del bene protetto, derivante dall'uso dell'opera abusiva, deve essere, infatti, esclusa solo ove si accerti la assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, tenendosi conto della natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera", dovendo il giudice del merito valutare "l'aggravamento delle conseguenze del reato derivante dall'uso dell'immobile anche con riferimento all'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, oltre che sotto il profilo urbanistico" (Sez. 3, n. 40486 del 27/10/2010, cit.).
Su questa scia la giurisprudenza successiva, sul presupposto che il pericolo, attinente alla libera disponibilità del bene, deve presentare i caratteri della concretezza e dell'attualità, ha sostenuto che i principi, pacificamente applicati per i reati urbanistici, dovessero essere affermati anche in relazione ad opere realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, rientrando, nella finalità del sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 321, comma primo, cod. proc. pen., che il pericolo debba essere effettivo e concreto, sicché, pur confrontandosi con il diverso indirizzo giurisprudenziale e disattendendolo, ha ritenuto, comunque, necessario un accertamento in concreto che l'uso dell'immobile, abusivamente realizzato in zona vincolata, determini un aggravamento delle conseguenze del reato; senza quindi che possa esserci una sorta dì "automatismo" tra detto uso e la alterazione dell'ecosistema tutelato dal vincolo (Sez. 3, n. 15802 del 07/02/2013, Russo ed altri non mass.; Sez. 3, n. 40866 del 20/09/2012, Salati non mass.), precisando comunque che anche l'uso dell'immobile, realizzato in violazione dì vincoli, sì palesa idoneo ad aggravare le conseguenze dannose prodotte dall'opera abusiva sull'ecosistema protetto da vincolo paesaggistico o di altra natura giustificando l'applicazione della misura cautelare diretta ad impedire la protrazione e l'aggravamento delle conseguenze dannose del reato in presenza però di una accertata incompatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo.
La sentenza Giordano, in precedenza richiamata, ha ribadito tale approccio interpretativo contrastando l'indirizzo secondo il quale, in relazione agli interventi eseguiti in zona sottoposta a vincolo, sarebbe sempre possibile disporre il sequestro dell'opera, dal momento che la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemente dall'essere l'edificazione illecita ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione alla utilizzazione della costruzione ultimata, contestando a tale orientamento di ritenere l'attualità del periculum "in re ipsa", stante la idoneità del mero uso del manufatto realizzato in zona vincolata a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo, senza alcuna indicazione del motivo per cui sì debba "differenziare" l'individuazione dell'aggravamento delle conseguenzedel reato a seconda che si tratti di un reato edilizio oppure di un reato paesaggistico(Sez. 3, n. 48958 del 13/10/2015, cit.).
Alle pronunce che condividono l'orientamento prevalente (per tutte, di recente, Sez. 3, n. 30999 del 27/04/2016, Cardone, non mass.; Sez. 3, n. 9950 del 21/01/2016, Ministero Difesa, non mass. sul punto; Sez. 3, n. 4646 del 09/12/2015, dep. 2016, Colangelo, non mass.), ne sono seguite altre che si innestano nel solco tracciato dalla sentenza Giordano e ritengono incomprensibile la ragione per la quale la valutazione dell'attualità delle esigenze, da ancorare in concreto, con riguardo agli illeciti urbanistici, una volta ultimate le opere, ad una effettiva lesione del bene giuridico, dovrebbe, in caso di opere realizzate in zona vincolata, e per il solo fatto che, dunque, la lesione attingerebbe anche il profilo paesaggistico, esaurirsi nella sola constatazione di opera insediata in un tale contesto, pervenendo alla conclusione che, in adesione all'orientamento espresso dalla sentenza Giordano e rifiutato ogni automatismo tra uso del bene ed alterazione dell'ecosistema, ribadisce la necessità che il giudice dia specifica motivazione, in caso di opere ultimate, dell'attualità delle esigenze cautelari in presenza del reato paesaggistico.
4. Il Collegio ritiene di aderire a tale ultimo orientamento nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.
La prevalente e consolidata giurisprudenza di legittimità, partendo dal presupposto che la previsione di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen. riconosce al giudice il potere di disporre il sequestro preventivo quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarne o protrarne le conseguenze ovvero agevolare la commissione di altri reati, giunge a ritenere che il pericolo rilevante, ai fini dell'adozione del sequestro, deve essere inteso in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro, connessa all'effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa o al suo uso, e deve essere concreto e attuale (per tutte, Sez. 4, n. 36884 del 23/05/2007, Vathaj, Rv. 237592), con la conseguenza che al giudice spetta di accertare in concreto l'effettiva e non la generica possibilità che il bene, avuto riguardo alla sua natura e alle circostanze del fatto, assume carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o alla agevolazione di altri reati (per tutte, Sez. 3, n. 11769 del 23/01/2008, Trulli, Rv. 239250), fornendo quindi un'adeguata motivazione sul pericolo inteso in senso oggettivo come probabilità di danno futuro in conseguenza dell'effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa. Il pericolo, così inteso, può derivare non solo dalla potenzialità della "res" oggetto del sequestro preventivo di recare una lesione all'interesse protetto dalla norma penale, ma anche dalla semplice possibilità di contribuire al perfezionamento del reato. Pertanto, il problema della delimitazione dell'applicazione del sequestro preventivo - perché non comporti un'indiscriminata ed esasperata compressione dei diritti individuali di proprietà e di libera iniziativa economica privata, in un necessario bilanciamento di interessi, avuta comunque presente, in una gerarchia dei valori costituzionali, la natura di diritti "condizionati" di quelli su indicati - si risolve nelle sue peculiarità e quindi nel pericolo che la libera disponibilità della cosa costituisca un pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato o dell'agevolazione della commissione di altri (per tutte, Sez. 3, n. 490 del 02/02/1996, Morandi, Rv. 205404).
Pertanto, nella logica del sequestro preventivo cd. impeditivo, il pericolo non può essere ravvisato nella semplice presenza della struttura abusiva realizzata in zona paesaggisticamente vincolata o in una qualsiasi opera eseguita senza autorizzazione in dette zone perché ciò non integra necessariamente il periculum in mora, dovendosi verificare in concreto la sussistenza del pericolo cautelare inteso, come innanzi precisato, come probabilità di danno futuro in conseguenza della effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa pertinente al reato.
Il reato paesaggistico è integrato dalla messa in pericolo del bene giuridico protetto, ossia il paesaggio inteso in senso ampio come quella parte del territorio, normativamente individuata, che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela.
La salvaguardia del bene paesaggistico non è tuttavia limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata, ma richiede, per ragioni di effettività, che si debba tenere conto di un articolato sistema di controlli, cosicché la tutela del bene giuridico investe, sia pure in via strumentale e mediata, anche l'interesse della pubblica amministrazione al previo esercizio della funzione di governo del territorio e ciò spiega la ragione per la quale ogni modificazione dell'assetto territoriale, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione, la cui mancanza integra la fattispecie incriminatrice ma non necessariamente quella cautelare cristallizzata nel primo comma dell'art. 321 cod. proc. pen.
Quindi, se la condotta criminosa non si è esaurita, il sequestro preventivo è legittimo perché, con il vincolo imposto sulla cosa, si evita che il reato sia portato ad ulteriori conseguenze ma quando invece la condotta si è esaurita il pericolo cautelare si realizza stricto iure solo se, come recita l'art. 321, comma 1, cod. proc. pen. dalla libera disponibilità della cosa pertinente al reato sia (concretamente ed attualmente) prevedibile un aggravamento o una protrazione delle conseguenze del reato stesso o sia prevedibile la ripetizione criminosa sicché, vincolando la res, si evitano i pericoli che l'adozione del sequestro preventivo è destinato a scongiurare.
Recentemente, una chiara presa di posizione, in linea con i principi affermati nella sentenza Giordano, si riscontra nella sentenza Menti di questa Sezione (Sez. 3, n. 28233 del 03/03/2016, Menti non ancora mass.) che ha osservato come non sia infatti "dato comprendere perché la valutazione dell'attualità delle esigenze, da ancorare in concreto (. .. ) con riguardo agli illeciti urbanistici, una volta ultimate le opere, ad una effettiva lesione del bene giuridico, dovrebbe, in caso di opere realizzate in zona vincolata, e per il solo fatto che, dunque, fa lesione attingerebbe anche il profilo paesaggistico, esaurirsi nella sola constatazione di opera insediata in un tale contesto.
Né si comprende, sotto il profilo logico, se il parametro di valutazione è quello della concreta lesione del bene in rapporto alla avvenuta consumazione della condotta illecita, perché la sola diversa natura del bene (ambientale - paesaggistico in luogo di quello meramente urbanistico) dovrebbe comportare una diversa soluzione rispetto a quella, sostanzia/mente incontrastata, adottata da questa Corte con riguardo ai reati edilizi, salva restando, naturalmente, la necessità di verificare in maniera più penetrante la compatibilità dell'uso dell'opera rispetto agli interessi tutelati dal vincolo proprio in ragione del peculiare bene giuridico tutelato (Sez. 3, n.40486 del 27/10/2010, P.M. in proc. Petrina ed altro, Rv. 248701)".
5. Non si può tuttavia ignorare che l'assenza di una tutela cautelare "ulteriore" per la salvaguardia degli interessi paesaggistici nella proiezione di assicurare il risultato finale costituito dal ripristino dello status quo ante rispetto all'attuazione della condotta criminosa, ossia l'assenza di una tutela cautelare che non si arresti alla soglia del sequestro impeditivo, sembra stridere con la collocazione che la Carta costituzionale ha riservato al paesaggio, posto tra i principi fondamentali della Costituzione, nell'ottica di tutela della persona umana in tutte le articolazioni nelle quali essa si sviluppa, ciò legittimando anche la funzione anticipata di tutela affidata al diritto penale in tale nevralgico settore della vita della comunità, attraverso il preciso riconoscimento della valenza costituzionale attribuita al bene "ambiente - territorio" secondo una concezione dinamica del "paesaggio" (art. 9 Cost., comma 2), la cui protezione esige, nell'ottica bidirezionale della tutela penale in precedenza segnalata, il controllo e la sorveglianza degli interventi che, ricadendo sul territorio stesso, influiscono sul paesaggio, da intendersi quale "bene comune" che non può essere assolutamente confinato in forma statica, quale mera conservazione del visibile (Sez. 3, n. 15419 del 29/01/2014, Comune Tremosine, in motiv.).
Quindi - in presenza di abusi urbanistici e paesaggistici, sovente anche di rilevante gravità, e pur registrandosi (in itinere iudicii e spesso anche dopo il giudicato) l'assicurazione del profitto che l'autore del reato consegue attraverso l'uso del bene - non esiste, nell'ipotesi di condotta esaurita, una tutela cautelare strumentale ai provvedimenti ripristinatori (demolizione e rimessione in pristino) che l'ordinamento prevede in aggiunta al sistema sanzionatorio penale.
Da tempo infatti la giurisprudenza di legittimità ha risolto la questione circa l'inapplicabiltà de iure condito, in materia edilizia e paesaggistica, della confisca del manufatto abusivo di cui all'art. 240 cod. pen. a seguito di sentenza di condanna per i rispettivi reati, sul rilievo che la demolizione e la rimessione in pristino costituiscono, secondo casi, l'unico rimedio percorribile per l'eliminazione degli effetti del reato (per tutte, Sez. 3, n. 4965 del 28/11/2007, dep. 2008, Irti, Rv. 238781) e dunque anche l'unico rimedio per impedire all'autore del reato di assicurarsi il profitto, cosicché il ricorso alla tutela cautelare rimane interdetto ai sensi dell'art. 321, comma 2, cod. proc. pen.
La conseguenza è che, improponibile in parte qua una questione di legittimità costituzionale, solo eventuali e future scelte di politica criminale, alle quali la giurisdizione è estranea, possono "allargare", con il ricorso a schemi conosciuti e adottati per altre materie, l'area della sequestrabilità a situazioni nelle quali l'uso della cosa, pur non incidendo negativamente sulle conseguenze del reato, consente comunque a colui che, sulla base del fumus delicti, ne è l'autore di assicurarsi, sia pure transitoriamente, l'ingiusto profitto, che consegue, pur nella conclamata assenza di esigenze cautelari impeditive, all'uso della cosa stessa la quale, in caso di condanna, dovrà essere demolita o rimossa per consentire il ripristino dello stato dei luoghi devastati dall'abuso.
6. Allora, per quanto in precedenza delineato, resta fermo che la presente vicenda cautelare rientra nella corsia riservata al sequestro preventivo impeditivo, nel qual caso occorre accertare, per il legittimo uso dello strumento cautelare, se l'uso della cosa, realizzata in violazione dei vincoli paesaggistici, sia idoneo o meno, nell'ipotesi di condotta del tutto esaurita, ad incidere sulle conseguenze dannose prodotte dall'intervento abusivo sull'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, con la conseguenza che l'uso della cosa a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo deve formare oggetto, in tale caso, di un esame particolarmente approfondito da parte del giudice di merito, il quale deve ritenere o escludere l'ulteriore lesione del bene protetto a seconda che accerti, in concreto, l'incompatibilità o la assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, avuto riguardo alla natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera.
Nel caso in esame, il tribunale cautelare, incorrendo in un errar in iudicando con riferimento all'interpretazione dell'art. 321, comma primo, cod. proc. pen., ha ritenuto sussistente il periculum in mora sul solo rilievo che gli interventi abusivi sono stati eseguiti in zona soggetta a vincolo paesaggistico, ritenendo che ciò, in uno con l'uso della cosa, rende legittimo, di per sé, il sequestro preventivo, senza tuttavia spiegare se, nel caso in esame, l'installazione di un infisso avvolgibile in luogo di una parete demolita, il posizionamento, nel terrazzamento agricolo, di un tavolato in legno adibito a solarium, la realizzazione di un forno-barbecue in muratura, la messa in opera di una tenda da sole in alluminio e sovrastante telone, la realizzazione di un pergolato in pali di castagno coperto da incannucciato e di un tavolato il legno poggiato sul terreno, il tutto nelle dimensioni precisate nell'impugnata ordinanza, avessero comportato, considerate tutte le violazioni unitariamente, un uso delle cose idoneo a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo e se tale uso fosse o meno compatibile con gli interessi tutelati dal vincolo stesso, avuto riguardo alla natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera.
7. A ciò dovrà quindi porre riparo il Giudice del rinvio che si atterrà ai principi in precedenza esposti ed al quale, previo annullamento dell'impugnata ordinanza, vanno trasmessi gli atti per nuovo esame sul punto.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Salerno.
Così deciso il 23/06/2016