Cons. Stato Sez. V sent. 6875 del 23 novembre 2006
Reiezione sanatoria ed ordine di demolizione opere abusive in
zona vincolata
REPUBBLICA ITALIANA
N. 6875/06 REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
N. 4115 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta
ANNO 2003
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello nr. 4115/2003 R.G., proposto dal sig. Riccardo
GORI, rappresentato e difeso dall’avv.to Paolo Malasoma con
domicilio eletto presso lo studio dell’avv. C. Staderini in
Roma, via della Giuliana, n. 80;
CONTRO
- il Comune di ORBETELLO n.c..
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Toscana Sezione III n. 420 del 26 febbraio
2002.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2005, relatore il consigliere
Nicola Russo.
Udito, altresì, l’avv. Malasoma come da verbale
d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con l’appello in esame è stata chiesta la riforma
della sentenza del Tar della Toscana che ha respinto i ricorsi proposti
avverso il provvedimento di reiezione della domanda di sanatoria,
emesso su conforme parere della C.B.A., e il conseguente ordine di
demolizione di opere edilizie, costruite abusivamente in zona vincolata.
Si sostiene, preliminarmente, il vizio di violazione di legge per
errata applicazione della L. n. 431/89 e degli artt. 7 e 15 della L. n.
1434/39, la contradditorietà della sentenza e
l’illogicità manifesta in quanto le opere oggetto
della domanda di sanatoria
sarebbero state realizzate prima dell’entrata in vigore della
L. n. 431/85, che ha esteso alla zona il vincolo ambientale, e
pertanto, la domanda non avrebbe dovuto essere sottoposta al parere
della C.B.A..
Inoltre, vengono richiamati i seguenti motivi di appello,
già proposti nel gravame di primo grado:
- violazione di legge, eccesso di potere per difetto di istruttoria e
travisamento dei fatti;
- difetto di motivazione, disparità di trattamento e
sproporzione tra il fatto e la sanzione;
- violazione di legge ed eccesso di potere per ingiusto procedimento;
- illegittimità dell’ordinanza di demolizione e
riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
In particolare, si sostiene che la C.B.A. ha proceduto ad un sommario
esame della documentazione, senza effettuare alcun sopralluogo che
avrebbe permesso di accertare la mancanza di degrado estetico nei
manufatti realizzati; si afferma, inoltre, la genericità dei
provvedimenti impugnati, la mancata valutazione e indicazione dei
criteri che hanno portato alla scelta della più grave
sanzione della demolizione, anziché di quella pecuniaria e
la mancata indicazione di prescrizioni che avrebbero permesso un
soddisfacente inserimento del manufatto nel contesto paesaggistico.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Preliminarmente, devono ritenersi inammissibili quelle censure,
proposte in primo grado e genericamente richiamate, rispetto alle quali
non sono stati specificati i motivi di appello e non sono state
censurate le argomentazioni contrarie svolte dalla sentenza impugnata.
Ci si riferisce, in particolare, alle censure procedurali proposte nei
confronti dell’ordinanza di demolizione.
Va, anche, dichiarata l’inammissibilità della
censura secondo la quale le opere abusive oggetto del diniego di
sanatoria non sarebbero dovute essere sottoposte alla valutazione della
C.B.A., perché realizzate prima della apposizione del
vincolo, in quanto tale motivo risulta proposto, per la prima volta, in
appello; lo stesso, comunque, è anche infondato nel merito,
dato che, per costante giurisprudenza, in sede di rilascio di
concessione edilizia in sanatoria, ai sensi della L. n. 47/85, si deve
tener conto del vincolo esistente al momento in cui viene esaminata la
domanda di condono, a prescindere dall’epoca di introduzione
del vincolo stesso, e quindi, della sua vigenza al momento della
commissione dell’abuso (fra le tante, cfr. C.S.,VI n.
6259/2003).
Privi di pregio sono gli ulteriori motivi di appello, che richiamano
quelli già proposti in primo grado.
Il ricorrente afferma, sostanzialmente, che l’opera non
recherebbe alcun danno per l’ambiente in considerazione della
notevole antropizzazione dei luoghi, che la motivazione della C.B.A.
sarebbe stata resa in forma stereotipata per tutti i casi esaminati,
senza sostanziale motivazione e senza alcuna indagine volta a
verificare l’effettiva situazione dei luoghi, che
l’atto non conterrebbe prescrizioni estetiche volte a rendere
compatibile l’opera abusiva con il contesto ambientale, ed
infine, che arbitrariamente, l’Amministrazione avrebbe
disposto la più grave sanzione della demolizione,
anziché quella della sanzione pecuniaria.
Nessuno di tali motivi può ritenersi fondato.
Il parere della C.B.A., di diniego di autorizzazione paesistica, ha
fatto riferimento al pregiudizio che gli interventi costruttivi, per le
modalità e le caratteristiche con cui erano stati
realizzati, rappresentano per il valore paesaggistico tutelato
attraverso il vincolo.
Avverso tale motivazione parte ricorrente deduce che, se
l’Amministrazione avesse preventivamente condotto
un’adeguata istruttoria, sarebbe emerso che il manufatto non
arrecava alcun danno o pericolo per l’ambiente tutelato,
anche in considerazione del fatto che la zona risultava già
interessata da un rilevante tasso di urbanizzazione.
Al riguardo, può rilevarsi che, ad un giudizio discrezionale
dell’Amministrazione, l’appellante contrappone un
giudizio di compatibilità sfornito di riferimenti a concrete
verifiche o ad elementi idonei ad evidenziare le sostenute
caratteristiche di compatibilità dell’intervento,
posto che il disordine costruttivo e le modifiche dell’area
circostante conseguenti a nuove costruzioni, ben possono costituire,
secondo la normale esperienza, fattori di pregiudizio dei valori
paesaggistici protetti.
Inoltre, il provvedimento impugnato ha fornito adeguata motivazione a
sostegno dell’atto di diniego, atteso che
l’intervento effettuato risulta caratterizzato da strutture
che impediscono il suo inserimento nella bellezza paesaggistica
tutelata; nè l’affermazione di parte ricorrente,
secondo cui il territorio sarebbe già urbanizzato, appare
idonea a legittimare interventi edilizi non rispettosi degli interessi
sottesi ai vincoli imposti nella zona, in quanto il nuovo edificato
contribuisce, comunque, ad aggravare, sotto il profilo quantitativo e
qualitativo, il danno arrecato dalle costruzioni non rispettose di tali
finalità, rafforzando, pertanto, la necessità di
provvedere alla tutela dei luoghi.
Sulla base di tali considerazioni, deve ritenersi inammissibile la
censura di mancanza di istruttoria che, oltre che generica, risulta non
provata in quanto non desumibile dalla documentazione in atti, e
comunque irrilevante, in considerazione del fatto che il provvedimento,
oltre che sul degrado estetico del manufatto, si basa sulla
necessità di tutela ambientale e paesistica e sul
degrado che deriverebbe dal carico antropico.
Inoltre, come rilevato dalla sentenza di primo grado, non
può aver rilievo il fatto che la motivazione adottata
dall’autorità preposta alla tutela del vincolo sia
analoga a quella di vari altri casi, atteso che ciò, se da
un lato, non costituisce indice di mancanza di istruttoria e,
dall’altro, conferma la coincidenza degli elementi
pregiudizievoli accertati dall’Amministrazione con
riferimento al contesto di particolare pregio del territorio vincolato,
e pertanto, il provvedimento, al di là della occasionale
coincidenza, delle espressioni verbali usate in altri provvedimenti,
deve considerarsi corrispondente alla fattispecie di volta in volta
presa in considerazione, con conseguente pretestuosità
dell’affermazione secondo cui il parere della C.B.A. non
corrisponderebbe al caso esaminato.
Va precisato, poi, che nessun obbligo aveva l’Amministrazione
di porre in essere prescrizioni per rendere l’abuso
esteticamente compatibile con la zona, perché tale
finalità non rientra nei compiti di istituto, dovendo la
stessa limitarsi a valutare il contenuto della domanda di sanatoria
allo scopo di accertarne la compatibilità paesaggistica e
non già per suggerire ulteriori attività volte a
legalizzare comportamenti “contra legem”.
Infine, va respinta la censura secondo cui l’Amministrazione,
illegittimamente, avrebbe disposto la demolizione dell’opera,
anziché l’erogazione di una sanzione pecuniaria.
Al riguardo, va rilevato che la demolizione di un’opera
abusiva in zona di rispetto ambientale, costituisce atto vincolato
dell’Amministrazione nel caso in cui, come quello in esame,
sia stata accertata la sua non compatibilità con il vincolo
esistente.
Soltanto nell’ipotesi in cui si ritenga che l’opera
possa armonizzarsi con il contesto ambientale, e quindi, sia stata
preventivamente accertata l’esclusione di un
“vulnus” sostanziale al vincolo, dovrà
erogarsi la sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della L.
n. 1437/39, che ha finalità e presupposti diversi.
Nessuna facoltà di scelta, quindi, può
riconoscersi all’Amministrazione in presenza di
incompatibilità dell’opera abusiva con il vincolo
ambientale.
In relazione a tutto quanto esposto, i motivi di appello devono essere
in parte dichiarati inammissibili ed in parte devono essere respinti,
con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese di
onorario di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge
l’appello sul ricorso n. 4115/2003 meglio specificato in
epigrafe; nulla spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28
ottobre 2005, con l’intervento dei signori:
Raffaele Iannotta
Presidente
Giuseppe Farina
Consigliere
Corrado Allegretta
Consigliere
Marzio Branca
Consigliere
Nicola Russo
Consigliere estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
f.to Nicola Russo
f.to Raffaele Iannotta
IL SEGRETARIO
f.to Luciana Franchini
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 23 novembre 2006
(Art. 55 L. 27/4/1982, n. 186)
p. IL DIRIGENTE
f.to Livia Patroni Griffi
Beni Ambientali. Demolizione opere abusive
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