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Consiglio di Stato sez. VI sent. 2653 del 15 maggio 2003
Violazioni paesaggistiche e sanatoria.

REPUBBLICA ITALIANA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso (n. 676/1997 R.G.) proposto dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n.12 è per legge domiciliato;

contro

Russo Apollonia e Della Cioppa Vincenzo, non costituiti in giudizio;

e nei confronti

del Comune di Pollena Trocchia, in persona del Sindaco in carica, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sez. II n. 437 del 29 ottobre 1996.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 28 maggio 2002 il Consigliere Alessandro Pajno ed udito, altresì, l’Avv. dello Stato Aiello per l’Amministrazione appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

I signori Apollonia Russo e Vincenzo Della Cioppa, titolari di una villetta unifamiliare sita in Pollena Trocchia, decidevano di effettuare un complesso di lavori per la ristrutturazione e l’adeguamento funzionale del loro fabbricato, non implicanti l’alterazione dell’aspetto esterno, né la creazione di volumi residenziali aggiuntivi.

Al riguardo i medesimi inoltravano al Comune una unica istanza di concessione edilizia per i lavori da realizzarsi, e, avendo erroneamente già ritenuto formato il silenzio-assenso, provvedevano alla relativa messa in opera.

In data 10 gennaio 1991 veniva notificata una ordinanza sindacale di sospensione dei lavori e di demolizione delle opere, ritenute abusive, avverso la quale gli interessati proponevano ricorso straordinario al Capo dello Stato.

In data 1 febbraio 1991 i Sigg. Russo e Della Cioppa avanzavano istanza di concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1987 n. 45; ed a seguito dell’inerzia dell’Amministrazione Comunale, impugnavano il silenzio serbato dal Comune, con ricorso al TAR della Campania n. 4562/1991 R.G..

Dopo una serie di provvedimenti istruttori e la nomina di un architetto quale consulente d’ufficio, ai fini delle necessarie verificazioni e dell’eventuale rilascio della concessione edilizia in sanatoria, il Tribunale, con ordinanza del 3 marzo 1993, accoglieva l’istanza cautelare proposta dagli interessati.

Nel giudizio si costituiva, peraltro, il Comune di Pollena Trocchia, che con apposita memoria deduceva di non potere rilasciare la concessione edilizia in sanatoria, avendo il Ministro dei Beni Culturali annullato il provvedimento sindacale di nulla osta ambientale ex art. 7 l. n. 1497 del 1939, nel frattempo rilasciato, per l’intervento edilizio in questione.

Con successivo ricorso (n. 7023/92 R.G.) i Signori Russo e Della Cioppa impugnavano, pertanto, il decreto ministeriale del 12 marzo 1992, notificato il 22 maggio successivo, di annullamento del nulla osta paesaggistico.

Con sentenza n. 437 del 29 ottobre 1996 la II Sezione del TAR della Campania, dopo aver disposto la riunione dei due ricorsi, procedeva preliminarmente all’esame di quello riguardante l’annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico e, dopo averlo dichiarato inammissibile nei confronti della Regione, lo accoglieva. Osservava il Tribunale che illegittimamente il Ministero aveva proceduto all’annullamento del nulla osta senza alcuna valutazione della natura e della qualità delle opere, rilevando che il nulla osta ex art. 7 l. n. 1497 del 1939 non poteva concernere i casi di concessione edilizia in sanatoria; che nella fattispecie risultava insussistente o comunque non dimostrata la presenza del danno ambientale, indefettibile presupposto per l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15 l. n. 1497 del 1939; che l’assunto ministeriale muoveva da un presupposto fallace, consistente nell’affermazione secondo cui non sarebbe stato possibile rilasciare una autorizzazione per opere già realizzate; che il procedimento di cui all’art. 13 l. n. 47 del 1985 rispondeva a quelle esigenze di semplificazione che avevano, talvolta, consentito al privato di intraprendere lavori dandone comunicazione, sicché non appariva richiesta l’esistenza previa del nulla osta paesaggistico; che una vicenda come quella sottesa al procedimento ex art. 13 l. n. 47 del 1985 implicava un giudizio di impatto ambientale sulle opere; che appariva, infine, fondato il terzo motivo del ricorso, nella parte in cui la repressione dei soli abusi edilizi formali era trattata in termini diversi da quelli sostanziali.

Il Tribunale accoglieva, altresì, il ricorso avverso il silenzio del comune sull’istanza volta al rilascio della concessione edilizia in sanatoria.

La sentenza di primo grado è stata, adesso, impugnata dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali il quale, dopo aver precisato che il decreto ministeriale impugnato è del 12 marzo 1992 (al di fuori, quindi, dall’applicazione dei decreti legge che hanno parzialmente innovato la materia), e che non risulta che gli interessati si siano avvalsi della facoltà di cui all’art. 39 della legge n. 724 del 1994, ha fatto presente quanto segue:

a) la legge n. 47 del 1985 ha previsto momenti di raccordo tra la disciplina ambientale e quella urbanistica, disponendo che, nel caso di costruzioni completate dopo il 1° ottobre 1983 su aree sottoposte a vincolo paesaggistico, che siano sprovviste di concessione edilizia e di assenso dell’autorità preposta al vincolo, si proceda alla demolizione o all’acquisizione coattiva da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo;

b) la legge non ha disposto alcunché per il rilascio della concessione in sanatoria; l’art. 13 - che riguarda la concessione in sanatoria – non trova applicazione con riferimento agli abusi perpetrati nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico;

c) per gli immobili anteriori al 1° ottobre 1993 la legge ha previsto la sanatoria edilizia che ha esteso, pur con differenti limitazioni, alle costruzioni situate in aree vincolate, subordinando, peraltro il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria al parere dell’autorità preposta al vincolo. Soltanto per tale eccezionale e temporaneo caso di condono edilizio la legge ha previsto la sostituzione dell’autorizzazione paesaggistica ab initizio non esistente con un parere vincolante rilasciato ex post dall’Amministrazione competente. Nei casi previsti dall’art. 13 della legge n. 47 del 1985 l’autorizzazione paesistica non potrebbe, pertanto, essere rilasciata in sanatoria;

d) essendo stato l’annullamento ministeriale pronunciato per violazione dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, non sarebbe stato necessario effettuare alcuna valutazione di merito della compatibilità ambientale.

Nel secondo grado del giudizio non si sono costituiti né i ricorrenti in primo grado, né il Comune di Pollena Trocchia.

DIRITTO

1. Va, innanzi tutto, ricordato che con il decreto del 12 marzo 1992 il Ministro dei Beni Culturali ed Ambientali ha annullato il provvedimento n. 17 del 3 giugno 1991 con cui il Sindaco di Pollena Trocchia aveva rilasciato l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 17 della legge n. 1497 del 1939 in relazione alla costruzione, di ambienti interrati, con riferimento ai quali gli odierni appellati avevano chiesto di conseguire la concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1985 n. 47. Con il decreto il Ministro dei Beni Culturali ed Ambientali ha osservato che l’autorizzazione di cui all’art. 7 della legge n. 1497 del 1939 “non può sanare ex post opere già realizzate e che la dichiarazione di conformità urbanistica di cui all’art. 13 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ai fini della quale è stata richiesta l’autorizzazione suddetta, non può incidere su beni ed aree soggette a vincolo di tutela ambientale”. Il Ministro dei Beni culturali ha, altresì, ritenuto che nella fattispecie debba trovare applicazione l’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 il quale prevede, per il caso di violazione degli obblighi in materia ambientale, ed a prescindere dalle sanzioni penali, a carico del trasgressore, la sanzione della demolizione a proprie spese delle opere abusivamente eseguite, ovvero il pagamento di una indennità equivalente alla maggior somma tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione.

2. Deve, altresì, essere ricordato che il Tribunale nell’accogliere il ricorso proposto dagli interessati avverso il decreto ministeriale di annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato dal sindaco, ha ritenuto invece che illegittimamente il Ministero aveva proceduto all’annullamento del nulla osta sindacale senza alcuna valutazione della natura e della qualità delle opere, in base all’esclusivo rilievo che l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 7 della legge n. 1497 del 1939 non poteva riguardare casi di concessione edilizia in sanatoria.

Il TAR riteneva, altresì, che nella fattispecie risultava insussistente, e comunque, non dimostrata la presenza del danno ambientale, ritenuto presupposto indefettibile per l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15 della legge n. 1497 del 1939: con ciò escludendo che, in concreto, sulla fattispecie, dovesse farsi applicazione della disciplina di cui al predetto art. 15 della legge n. 1497 del 1939.

Con i diversi profili del gravame, l’Amministrazione da una parte deduce che l’autorizzazione ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939 non potrebbe essere mai rilasciata in via successiva, e dall’altra che la disposizione di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 non potrebbe essere mai utilizzata per consentire o giustificare una autorizzazione paesaggistica in sanatoria.

L’Amministrazione ribadisce, altresì, che nel caso di specie avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939.

4. Il Collegio osserva che l’appello proposto dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali deve essere accolto nella parte in cui deduce che erroneamente il giudice di primo grado ha escluso l’applicabilità nella fattispecie, della disciplina dell’art. 15 della legge n. 1497 del 1939. Il gravame non può, invece, trovare accoglimento nella parte in cui, con esso, si esclude la possibilità di una autorizzazione ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939 successiva, valevole ai fini del procedimento di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 1487 del 1985.

5. La Sezione ha, infatti, già da tempo proceduto ad un analisi sistematica dei rapporti fra gli artt. 7 e 15 della legge n.1497 del 1939 e l’art. 13 della legge n. 47 del 1985, e dalle indicazioni in proposito già fornite il Collegio non ha ragione di discostarsi.

E’ stato, infatti, in proposito chiarito che dottrine e giurisprudenza già da tempo ammettono la possibilità di autorizzazioni postume a carattere totalmente o parzialmente sanante, con le quali si duplichino, in un lasso di tempo successivo, le medesime valutazioni che, secondo una sequenza fisiologica, avrebbero dovuto costituire oggetto di verifica a carattere preventivo; e che l’affermazione dell’ammissibilità, in linea di principio, di una autorizzazione postuma deve essere temperata con l’osservazione che il differimento, nel tempo, del momento nel quale il legislatore colloca l’atto di assenso legittimamente, è subordinata, oltre all’assenza di un veto normativo, alla possibilità che, in relazione alla specificità della materia ed alla particolarità degli elementi di fatto e degli interessi toccati, la verifica alla base del titolo legittimamente possa realizzarsi in un momento successivo (Sez. VI, 31 ottobre 2000 n. 5851; 21 febbraio 2001 n. 912).

Applicando tali principi alla fattispecie dell’autorizzazione paesaggistica, la Sezione ha, così, affermato che la possibilità di una autorizzazione successiva, oltre a non essere contraddetta dalle caratteristiche precipue all’atto di assenso, è implicitamente ammessa dallo stesso Legislatore. Ed infatti, la tesi della non assentibilità a posteriori dell’intervento avrebbe avuto ipotesi una reale consistenza sul piano positivo laddove la procedura sanzionatoria ex art. 15 della legge n. 1497 del 1939, prevedendo l’esito vincolato della demolizione anche in ordine a violazioni di carattere formale, non avesse posto l’alternativa tra la demolizione a spese del trasgressore delle opere abusivamente eseguite ed il pagamento di una indennità equivalente alla maggior somma tra danno arrecato ed il profitto conseguito (Sez. VI, n. 5851 del 2000; n. 912 del 2001).

E’ stato, così affermato che l’esame sistematico della disciplina di cui agli artt. 7 e 15 della legge n. 1497 del 1939 e dell’art. 13 della legge n. 47 del 1939 consente di “concludere nel senso della possibilità di formalizzare attraverso una autorizzazione postuma, in parte equipollente alla fattispecie di cui all’art. 7, la verifica di compatibilità ambientale implicita nel meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 15, così conferendo alla legittimazione paesaggistica una veste formale spendibile ai fini della favorevole definizione del separato procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985. L’assunto appare rispettoso del coacervo degli interessi, pubblici e privati, in rilievo, oltre che coerente con il principio di economia dei mezzi giuridici, essendo irrazionale sotto ambo i profili un meccanismo che, per via dell’impossibilità di favorevole definizione del procedimento di cui all’art. 13, imponga la demolizione di un edificio conforme alla normativa urbanistica ed al contesto paesaggistico e quindi realizzabile tal quale in un torno di tempo successivo per effetto del conseguimento di titoli formali originariamente omessi (Cons. Stato, Sez. VI, n. 5851 del 2000 e n. 912 del 2001, cit.).

6. La Sezione ha, altresì, espressamente chiarito che l’autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale non preclude la possibilità di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, dal momento che “un’autorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo nell’esito, il residuo potere-dovere dell’autorità competente di procedere all’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilità ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione dell’obbligo, discendente dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo dell’assetto territoriale” (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.).

La Sezione ha, poi, più volte ribadito che la misura pecuniaria prevista dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, nonostante il riferimento al termine “indennità”, non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale ma rappresenta una sanzione amministrativa, applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, ovvero in caso di compromissione dell’indennità paesaggistica, sia nell’ipotesi di illeciti formali, quale è, appunto, da ritenersi il caso di violazione dell’obbligo di conseguire l’autorizzazione a fronte di un intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit. n. 3184 del 2000).

In questo contesto, il danno ambientale non costituisce, pertanto, il “presupposto sostanziale indefettibile” – come ha ritenuto il Tribunale - per l’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1487 del 1939, ma un elemento che viene in rilievo ai fini del diverso profilo della quantificazione della sanzione (ai sensi del cennato art. 15 della legge n. 1497 del 1939 l’indennità è infatti “pari alla maggiore somma tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione”). Il danno ambientale non è, pertanto, criterio esclusivo di commisurazione dell’indennità, essendo alternativo al profitto conseguito dalla violazione; con la conseguenza che, nel caso di realizzazione di un’opera senza la prescritta autorizzazione paesistica, ove tale opera sia conforme alle prescrizioni ambientali, e dunque non sia produttiva di danno, l’indennità dovrà essere commisurata al profitto conseguito con l’abuso (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.).

Sulla scorta di tali principi, è stato, pertanto, affermato che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente definizione del procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 non escludono l’applicabilità della sanzione pecuniaria; e che, in presenza di una valutazione di tal fatta, l’Amministrazione ha il potere-dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo ovviamente preclusa la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell’importo alla luce dei criteri cristallizzati dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.).

7. Alla luce delle ragioni sopra esposte l’appello si palesa privo di fondamento nella parte in cui, con esso, si afferma l’illegittimità della autorizzazione rilasciata dal Comune in via successiva ai fini della definizione del procedimento di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985, e la conseguente legittimità del provvedimento ministeriale di annullamento, fondato sull’asserita contrarietà alla legge delle autorizzazioni paesaggistiche postume; l’appello appare, invece, fondato, nella parte in cui censura la sentenza di primo grado per aver escluso l’applicabilità della sanzione (pecuniaria) di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, risultando insussistente o non dimostrato il danno ambientale. Quest’ultimo, non costituisce, infatti, il presupposto necessario per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, ma un semplice criterio di commisurazione della sanzione, e dovendo, invece, in caso di illecito meramente formale, trovare applicazione la sanzione pecuniaria commisurata al profitto realizzato con l’abuso.

Ed infatti, l’illecito paesistico che risulti compatibile con l’ambiente, non viene sanato integralmente dalla sanatoria edilizia, ma deve trovare sanzione nelle misure di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, e segnatamente con il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.).

8. In conclusione, l’appello deve essere accolto per quanto di ragione, e cioè nella parte in cui censura la pronuncia di primo grado per aver erroneamente escluso l’applicabilità delle sanzioni di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939. Deve, invece, per il resto, essere confermata, per le ragioni in precedenza espresse, la sentenza di primo grado.

Non essendosi costituite le parti intimate, nel presente grado del giudizio, non vi è luogo a provvedere sulle relative spese processuali.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, accoglie in parte l’appello in epigrafe, secondo quanto precisato in motivazione, confermando per il resto l’impugnata sentenza di primo grado.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Mario Egidio SCHINAIA Presidente

Alessandro PAJNO Consigliere Est.

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere

Giuseppe MINICONE Consigliere

Rosanna DE NICTOLIS Consigliere