SCIA, DIA alternativa e certificato di agibilità

di Massimo GRISANTI

 

Questo scritto costituisce un ulteriore contributo teso a gettare luce sulle procedure amministrative edilizie che, a mio avviso, dovrebbero essere osservate dagli operatori del Settore all’indomani degli approdi giurisprudenziali del Consiglio di Stato e della Corte costituzionale in tema di SCIA e DIA alternativa al permesso di costruire1.

 

Innanzi tutto preme ricordare che la materia dei titoli abilitativi è esclusivo appannaggio della competenza legislativa dello Stato nella più ampia materia concorrente del “governo del territorio” ex art. 117, terzo comma, della Costituzione2. Di conseguenza sono palesemente incostituzionali le disposizioni legislative regionali (come quelle della Regione Toscana) che ampliano l’ambito applicativo della SCIA agli interventi edilizi che il D.Lgs. n. 378/2001 ammette, tutto al più, per la DIA alternativa al permesso di costruire3.

 

Peraltro, le Regioni sembrano, curiosamente, dimenticare che ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 378/2001 le disposizioni del Testo Unico dell’Edilizia continuano ad applicarsi in presenza di leggi regionali non adeguatesi ai principi fondamentali ivi desumibili4. Quindi, le leggi regionali che ampliano l’ambito applicativo della SCIA confinato dal legislatore statale sono disapplicabili direttamente dagli operatori e non solo dal Giudice ricorrendo, appunto, all’art. 2 del D.P.R. n. 380/2001.

 

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Orbene, sia il Consiglio di Stato, sia la Corte costituzionale, hanno deciso che la SCIA e la DIA alternativa al permesso di costruire costituiscono atti oggettivamente e soggettivamente privati, non promananti dalla Pubblica Amministrazione, e rispetto ai quali il silenzio serbato dagli organi comunali non si atteggia come assenso (ficto iuris approvativa provvedimentale).

 

In sostanza, con la mera presentazione della SCIA o della DIA l’allegato progetto edilizio non viene mai approvato dal Comune.

 

Ciò porta, necessariamente, ad approfondire le disposizioni degli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380/2001 – inerenti il certificato di agibilità – le quali presuppongono l’esistenza di un progetto approvato (non di un progetto presentato).

 

Ci aiuta, nell’esegesi, l’interpretazione autentica5 delle disposizioni statali in tema di agibilità contenuta nel Ricorso per legittimità costituzionale 18 giugno 2012, n. 95 (che verrà discusso, salvo rinvio, il 27 marzo p.v. – rel. Mattarella) ove il Governo si esprime in questi termini:

“Secondo l'art. 24 del d.P.R. n. 380/2001, il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di igiene, sicurezza, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi istallati. Il certificato e' richiesto, oltre che per le nuove costruzioni e per le ricostruzioni e sopraelevazioni, per tutti gli interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di igiene, salubrità, sicurezza e risparmio energetico, a prescindere dalla qualificazione giuridica dell'intervento. La disposizione regionale, limitando l'obbligo del certificato di agibilità in base alla tipologia degli interventi edilizi realizzati, restringe arbitrariamente l'ambito di applicazione dell'art. 24 del testo unico, escludendo da esso interventi che comunque vi sarebbero soggetti in base alla legislazione statale.

Né può ritenersi che la verifica delle condizioni di igiene, salubrità, sicurezza e risparmio energetico venga comunque effettuata in sede di rilascio del certificato di collaudo finale.

Infatti, se e' vero che il comma 10 dell'art. 26 della L.R. 6-6-2008 n. 16, richiamato dall'art. 28, comma 3, della L.R. 9/2012, prevede che il certificato di collaudo finale redatto dal progettista o da un tecnico abilitato debba attestare la conformità dell'opera al progetto presentato nonché la rispondenza dell'intervento alle norme di sicurezza, igienico - sanitarie, di risparmio energetico previste dalla normativa vigente, tuttavia tale certificazione non può assolutamente sostituire il certificato di agibilità, atteso che mentre il certificato di collaudo e' redatto da un tecnico di parte, invece il certificato di agibilità, a norma dell'art. 24 d.P.R. n. 380/2001 «viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale»: si tratta dunque, di un atto dell'Amministrazione comunale, che effettua una valutazione tecnica super partes su quanto rappresentato dai tecnici di parte. Tale circostanza non appare di secondaria importanza, atteso che solo l'intervento di un'Amministrazione pubblica, che vigila e controlla quanto rappresentato dai privati, può fornire idonee garanzie sull'effettiva tutela di interessi pubblici di fondamentale importanza quali la sicurezza, il rispetto della normativa in materia igienico - sanitaria, il risparmio energetico.

Tale e' stata l'intenzione del legislatore nazionale ed il legislatore regionale, ai sensi di quanto disposto dall'art. 117, 3° comma Cost., e' tenuto a rispettare i principi fondamentali posti, nella materia, dal legislatore nazionale.

Non vi e' dubbio, infatti, che la fattispecie in esame rientri nella materia «governo del territorio», che l'art. 117, 3° comma, Cost. riserva alla competenza concorrente di Stato e Regioni.

Per quanto esposto, l'art. 28 e' da ritenersi costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 117, co. 3 (governo del territorio) della Costituzione, in considerazione del mancato rispetto della norma statale di principio sul certificato di agibilità di cui all'art. 24, d.P.R. 380/2001.”.

 

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L’art. 25 del D.P.R. n. 380/2001 richiede, ai fini del rilascio del certificato di agibilità da parte del competente Ufficio comunale, una dichiarazione di conformità dell’opera eseguita rispetto al progetto approvato.

 

Il Testo Unico dell’Edilizia ha confermato la delegificazione del procedimento amministrativo volto all’ottenimento del certificato di agibilità già introdotto con il D.P.R. n. 425/1994, ma permane l’obbligatorietà dell’approvazione del progetto edilizio in quanto derivante dalla disposizione legislativa di principio già contenuta nell’art. 220 del T.U.L.S. (R.D. n. 1265/1934).

 

Pertanto, le Regioni non possono – e se lo hanno fatto le relative norme si pongono in palese contrasto con l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 378/2001 (come confermato dal Governo nel testo del ricorso alla Consulta) – prevedere la conformità al progetto edilizio contenuto nel generico “titolo abilitativo”, in quanto, come detto dal Consiglio di Stato e dalla Consulta, quello facente parte delle mere SCIA o nella DIA non viene approvato dalla P.A.

 

Lo Scrivente ribadisce quanto già contenuto nel precedente intervento6 ovverosia che escluso gli interventi di edilizia libera tutti i procedimenti relativi agli altri interventi devono iniziare, sempre, con l’istanza di permesso di costruire.

 

Se si aderisse alla tesi che per gli interventi edilizi assoggettabili a SCIA nonché a DIA alternativa, o sostitutiva, del permesso di costruire non sia necessario presentare l’istanza di permesso di costruire (su cui si può formare, alle condizioni di legge, il provvedimento approvativo per silentium ai sensi dell’art. 20 della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii.), avremmo – per paradosso – il risultato che sarebbero automaticamente esclusi dall’obbligo di richiedere ed ottenere il certificato di agibilità la maggior parte degli interventi edilizi sul patrimonio edilizio esistente che incidono sulle “condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.” (cfr. art. 24 del D.P.R. n. 380/2001), in quanto interventi per il cui inizio ed ultimazione dei lavori il legislatore non ha mai prescritto un progetto da approvarsi da parte della P.A. (in via preventiva o in corso d’esecuzione).

 

Non dimentichiamoci che il certificato di agibilità costituisce un elemento talvolta essenziale per le compravendite immobiliari, in quanto in assenza di esso non vi è prova dell’attitudine del bene a svolgere la propria funzione economico sociale e possono manifestarsi casi di aliud pro alio (con evidentissima alimentazione di quel contenzioso che il legislatore ha dichiaratamente voluto contrastare con le disposizioni sul procedimento amministrativo).

 

Ecco, in definitiva, che per mantenere coerenza all’intero corpo normativo del Testo Unico dell’Edilizia, così come influenzato dal novum normativo della SCIA, è essenziale che la presentazione della SCIA o della DIA sia contestuale o immediatamente successiva alla richiesta di permesso di costruire. E ciò affinché sull’istanza – e sul progetto ad esse allegato – si formi, quantomeno per silentium, un provvedimento approvativo della P.A. che stabilizza gli effetti dell’eventuale inizio dell’attività edilizia e che consenta di poter, successivamente, presentare l’istanza per l’ottenimento del certificato di agibilità (all’interno del cui procedimento diventa così possibile per poter attestare, quale documento essenziale ex art. 25 del D.P.R. n. 380/2001, la sussistenza della conformità tra quanto eseguito e quanto approvato).

 

Non a caso, infatti, l’art. 20 della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii. – assunto a livello essenziale delle prestazioni dall’art. 29-ter della legge medesima – ha, come incipit:

“1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.”.

In ciò ammettendo che l’istanza di parte per il rilascio del permesso di costruire possa contemplare anche l’inserimento della SCIA o della DIA quale facoltizzazione concessa dal legislatore al privato che, anticipando gli effetti del provvedimento richiesto, intende iniziare l’attività edilizia sulla scorta dell’asseverazione di un professionista che garantisca l’assenza di lesioni dell’interesse pubblico trasfuso negli strumenti di pianificazione e programmazione.

 

Si consideri, infine, che per espressa disposizione dell’art. 19 della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii.:

“Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, (…) il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato (…)”.

 

In definitiva, la SCIA sostituisce un provvedimento della P.A.

Ergo, la legge deve prevedere ab origine il provvedimento sostituito dalla SCIA perché altrimenti verrebbe meno l’applicabilità della SCIA (non essendovi in rerum natura un provvedimento da sostituire).

 

Quindi, non può che desumersi, pertanto, il principio fondamentale che l’applicazione in materia edilizia della SCIA sta a significare come, ad eccezione dei casi ex art. 6 del D.P.R. n. 380/2001, tutti gli interventi sono soggetti a permesso di costruire: quest’ultimo può essere sostituito o da SCIA o da DIA alternativa solamente per l’inizio dell’attività.

 

Invero, l’effetto sostitutivo non può essere integrale, perché diversamente niente differenzierebbe la SCIA dalla CIL (comunicazione di inizio lavori), essendo entrambe ad efficacia immediata e soggette ad asseverazione del professionista, nonché perché unicamente la P.A. può stabilizzare gli effetti di un’attività intrapresa potenzialmente lesiva dell’interesse pubblico.

 

Infine, la SCIA differisce dalla DIA alternativa o sostitutiva per il diverso termine a disposizione della parte privata per poter iniziare l’attività e, nel contempo, per il paritetico termine a disposizione della P.A. per inibirla (e ciò a tutela di quel fascio di interesse pubblici che, in via intermedia, stanno tra la SCIA e il permesso di costruire – ricordando che alla DIA alternativa non è possibile ricorrere laddove l’intervento determini un incremento del carico urbanistico, stante la necessaria valutazione di adeguatezza dello stato di urbanizzazione dell’area ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. n. 380/2001 che spetta unicamente al Comune e pertanto non asseverabile dal privato professionista).

 

Dunque, ancora una volta, si dimostra che la SCIA supplisce unicamente alla fase iniziale dell’attività, senza che sia venuto meno il potere-dovere della P.A. di assentire (in maniera espressa o per silentium) l’intervento, sempreché, ovviamente, il provvedimento venga richiesto (e da qui la necessità di avanzare l’accludente istanza di permesso di costruire).

 

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Infine, per mero tuziorismo, si fa presente come sia sempre necessario richiedere il certificato di agibilità, trattandosi di provvedimento proprio della P.A. non sostituibile ex se dall’attestazione di agibilità di un professionista.

 

Invero: “… solo l'intervento di un'Amministrazione pubblica, che vigila e controlla quanto rappresentato dai privati, può fornire idonee garanzie sull'effettiva tutela di interessi pubblici di fondamentale importanza quali la sicurezza …” (cfr. “Ricorso per legittimità costituzionale” 18 giugno 2012, n° 95).

 

 

 

Scritto il 21 gennaio 2013

 

1 Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, sentenza n. 15/2011.

Corte costituzionale, sentenze n. 164/2012.

2 Corte costituzionale, sentenze n. 303/2003 e n. 309/2011.

3 Art. 5, comma 2, punto c) del D.L. 13 maggio 2011, n° 70.

4 Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2/2008 resa in adunanza plenaria, mette in guardia rispetto alle leggi regionali emanate all’indomani del T.U.E. che si rivelino non adeguate ai principi fondamentali (“… non è questa la sede per argomentare in ordine alle problematiche che potrebbero porre norme regionali, di portata difforme rispetto alla norma del testo unico qui in esame, entrate in vigore successivamente rispetto ad essa …”).

5 L’interpretazione, per essere autentica, deve provenire dal medesimo soggetto titolare della potestà legislativa.

Non si può fare a meno di ricordare che il Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) costituisce l’unione delle disposizioni legislative (D.Lgs. n. 378/2001) e delle disposizioni regolamentari (D.P.R. n. 379/2001) delegificate, emanate ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, commi 1 e 2, della legge n. 50/1999.

Entrambi gli atti normativi costituiscono l’esercizio della potestà legislativa delegata al Governo dal Parlamento: pertanto lo Scrivente ritiene che le argomentazioni contenute nel Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri alla Consulta, avanzato previa deliberazione del Governo, costituiscano l’interpretazione autentica delle disposizioni contenute nel Testo Unico dell’Edilizia.

Infine si evidenzia che il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1466/2010, ha ascritto il D.P.R. n. 380/2001 ai testi unici innovativi e non a quelli compilativi.

Ciò conferma che autore dell’innovazione legislativa è il Governo, ancorché su delega, e non il Parlamento: parimenti spetta al Governo l’interpretazione autentica delle proprie disposizioni.

6 Cfr. http://lexambiente.it/urbanistica/184-dottrina184/8050-urbanistica-scia-e-tutela-del-terzo.html