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Sez. 3, Sentenza n. 3700 del 03/12/2004 Ud. (dep. 03/02/2005 ) Rv. 230665
Presidente: Grassi A. Estensore: Petti C. Relatore: Petti C. Imputato: Vania. P.M. Izzo G. (Conf.)
(Rigetta, App. Bari, 22 Febbraio 2002)
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO, STORICO O ARTISTICO NAZIONALE (COSE D'ANTICHITÀ E D'ARTE) - IN GENERE - Impossessamento di beni culturali - Reato di cui all'art. 167 del D.Lgs. n. 41 del 2004 - Riferibilità all'art. 624 cod. pen. - Conseguente perseguibilità a querela - Esclusione.

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Massima (Fonte CED Cassazione)

Il reato di cui all'art. 176 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 41, impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, precedentemente previsto dall'art. 67 della legge 1 giugno 1939 n. 1089, costituisce una fattispecie autonoma rispetto alla previsione codicistica di cui all'art. 624 cod. pen., richiamato esclusivamente "quod poenam", con la conseguente sua perseguibilità anche in difetto di querela. 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. GRASSI Aldo - Presidente - del 03/12/2004
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 2241
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 30331/2002
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Vania Costanzo, nato il 10 novembre 1978 a Canosa di Puglia;
Vania Antonio, nato il 5 febbraio 1954 a Canosa di Puglia;
avverso la sentenza della Corte d'appello di Bari del 22 febbraio 2002;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il sostituto procuratore generale Dott. IZZO Gioacchino, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
OSSERVA IN FATTO
Con sentenza del 22 febbraio 2002, la Corte d'appello di Bari, in parziale riforma di quella impugnata, pronunciata con il rito abbreviato, concesse le circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena inflitta in mesi quattro di reclusione ed euro 154 di multa per Vania Antonio ed in mesi tre di reclusione ed euro 103 di multa per Vania Costanzo, quali responsabili, in concorso tra di loro, del reato di cui all'art. 67 della legge n. 1089 del 1939 per essersi impossessati, a seguito di ricerche clandestine, di numerosi reperti archeologici.
Il fatto veniva ricostruito nella maniera seguente. Il 24 luglio 1998, a seguito di un sinistro stradale nel quale era rimasta coinvolta l'autovettura Peugeot 606 con a bordo i due imputati, gli inquirenti rinvennero all'interno dell'auto tre borsoni contenenti numerosi reperti archeologici. Recatisi presso l'abitazione dei Vania per una perquisizione, appresero da Caccavo Antonietta, moglie di Vania Antonio, che quest'ultimo era uscito di casa la sera prima per recarsi in campagna alla ricerca di reperti archeologici e che alle prime ore del mattino aveva telefonato al figlio perché lo raggiungesse. La corte ha ritenuto entrambi gli imputati responsabili del reato loro ascritto osservando che Vania Costanzo, prelevando il padre e trasportando i reperti, aveva con tale condotta partecipato al crimine.
Contro la sentenza ricorrono in cassazione gli imputati tramite il difensore con tre motivi d'annullamento.
DIRITTO
Con il primo motivo denunciano violazione di legge per avere il tribunale erroneamente ritenuto il delitto in questione perseguibile d'ufficio anziché a querela. Assumono che il reato ascritto, in base al rinvio all'articolo 624 c.p. contenuto nell'articolo 67 della legge n. 1089 del 1939, sarebbe punibile a querela.
Il motivo non è fondato poiché, come precisato da questa sezione con la sentenza n. 21580 del 2001, già citata dai giudici del merito, il reato di cui all'articolo 67 costituisce una fattispecie autonoma diversa da quella prevista dall'art. 624 c.p., il quale solo per la determinazione della pena viene richiamato. La riprova si trae dal fatto che in occasione dell'abrogazione della legge n. 1089 da parte del D. LEG.VO n. 490 del 1999, il contenuto dell'articolo 67 della legge abrogata, è stato riprodotto nell'articolo 125 del D. LEG.VO n. 490 del 1999 con un'autonoma sanzione senza alcun riferimento alla perseguibilità a querela. Il contenuto dell'articolo 125 è stato anch'esso riprodotto nell'articolo 176 D. LEG.VO n. 42 del 2004 ancora una volta senza alcun riferimento alla perseguibilità a querela. Al fatto in questione continua però ad applicarsi l'articolo 67 della legge n. 1089 del 1939 quale norma più favorevole al reo ex art. 2 c.p..
Con il secondo motivo si denuncia mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena ed alla riduzione per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, tanto più che tale riduzione non è stata effettuata nella misura massima.
La censura è inammissibile per la sua manifesta infondatezza. La determinazione della pena è stata congruamente motivata avendo la corte fatto riferimento al notevole numero dei reperti archeologici in sequestro ed alla diversa personalità dei due soggetti, tanto è vero che la sanzione è stata diversificata. D'altra parte, quando la pena è contenuta al di sotto della media edittale, non è necessaria una motivazione analitica.
Con il terzo motivo si denuncia mancanza di motivazione in ordine alla compartecipazione di Vania Costanzo, il quale era intervenuto quando l'impossessamento si era già verificato.
Anche tale censura è infondata. La Corte territoriale ha ritenuto che Vania Costanzo aveva offerto il proprio contributo alla perpetrazione del crimine perché, chiamato dal padre, si era recato a prelevarlo e ad aiutarlo a trasportare la refurtiva. Siffatta motivazione non presenta vizi logici o giuridici giacché l'attività di compartecipazione è rappresentata da un qualsiasi contributo materiale o psicologico consapevolmente apportato a tutte o ad alcune delle varie fasi di ideazione, organizzazione ed esecuzione del crimine. Contrariamente a quanto si assume nel ricorso, Vania Costanzo ha contribuito all'impossessamento del bene perché ha aiutato il padre nel prelevare e sistemare nella macchina i reperti. L'impossessamento non si è verificato nel momento in cui i beni sono stati riportati alla luce, ma allorché sono stati sistemati nell'autovettura.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2005