Cass. Sez. III n. 8988 del 8 marzo 2011 (Cc. 9 feb. 2011)
Pres. Ferrua Est. Amoresano Ric. Famà
Beni culturali. Impossessamento illecito
Per l’impossessamento illecito di beni appartenenti allo Stato, non è necessario che i beni siano qualificati come tali da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della sua natura culturale dalle stesse caratteristiche dell’oggetto, non essendo richiesto neppure un particolare pregio. Non occorre quindi alcun provvedimento formale che dichiari l’interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico delle cose di cui il privato sia stato trovato in possesso. Ed è quindi sufficiente un interesse culturale oggettivo, derivante a tipologia , localizzazione, rarità o altri analoghi criteri, e la cui prova può desumersi dalla testimonianza di organi della P.A. o da una perizia disposta dall’autorità giudiziaria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi
Dott. Giuliana Ferrua Presidente
Dott. Mario Gentile Consigliere
Dott. Silvio Amoresano Consigliere Rel.
Dott. Luca Ramacci Consigliere
Dott. Elisabetta Rosi Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
1) Fama Giovanni nato il 24.6.1929
- avverso l'ordinanza del 24.3.2010 del Tribunale di Messina
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano
- sentite le conclusioni del P.G., dr. Guglielmo Passacantando, che ha chiesto rigettarsi il ricorso
OSSERVA
1) Con ordinanza in data 24.3.2010 il Tribunale di Messina rigettava la richiesta di riesame proposta nell'interesse di Famà Giovanni avverso il decreto di sequestro emesso dal P.M. presso il Tribunale di Messina il 2.3.2010, eseguito in data 10.3.2010, ed avverso il sequestro operato dalla p.g. in data 8.3.2010.
Premetteva il Tribunale che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina, essendo stata segnalata la presenza di una statuetta di Sant'Antonio Abate, risalente al XVIII secolo, presso l'abitazione dell'indagato Famà Giovanni ex sacrestano della omonima chiesa, disponeva la perquisizione ed il conseguente sequestro della predetta statua e di altri eventuali beni costituenti corpo di reato, ipotizzando il reato di cui all'art.176 D.L.gs.n.42/2004.
La p.g., in sede di esecuzione in data 8.3.2010, non riveniva la statuetta ma solo il suo basamento, che veniva sottoposto a sequestro unitamente ad altri 75 oggetti chiesastici. Il giorno successivo l'indagato comunicava che la statuetta era ritornata in sua disponibilità, per cui la stessa era sottoposta a sequestro in data 10.3.2010.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale che fosse infondata l'eccezione relativa alla mancata notifica del decreto di perquisizione e sequestro, trattandosi di atto a sorpresa.
Il sequestro della statuetta, pur se eseguito in un momento successivo, era, poi, avvenuto in esecuzione del decreto del P.M., per cui non necessitava di convalida. Quanto ai 75 oggetti chiesastici sequestrati per iniziativa della p.g. era intervenuta convalida, per cui era tale provvedimento che andava impugnato davanti al riesame. Infine, riteneva il Tribunale, non condividendo le allegazioni difensive, che allo stato sussistesse il fumus del reato di cui all'art.176 D.L.vo 42/04, essendo il legislatore recentemente intervenuto sulla disposizione di cui aIl'art.10 d.Igs 42/04 con il D.Igs.62/08, estendendone l'ambito di applicazione ai beni appartenenti agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.
2) Ricorre per Cassazione Famà Giovanni, a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli artt.252, 262, 263, 125 comma 3 c.p.p., 111 comma 6 Cost., 176 b.L.vo n.42/2004, nonché ai canoni 1254, 1256, 1291, 1296, 1377 e 1311 del Codice di Diritto Canonico.
I giudici del riesame hanno riconosciuto che né la statua di Sant'Antonio né le altre 14 opere catalogate, di cui al decreto di perquisizione e sequestro del P.M., erano state rinvenute, per cui l'operazione con effetto a sorpresa, come sostenuto dallo stesso Tribunale, si era rivelata infruttuosa per gli oggetti ricercati.
La statua venne consegnata spontaneamente dal Famà solo successivamente, per cui sarebbe stata necessaria la convalida del sequestro effettuato dalla p.g.; il P.m. avrebbe dovuto valutare, infatti, gli eventi successivi riferiti dalla p.g..
Si sarebbe dovuto, inoltre, espletare su tali eventi accertamenti (in particolare sul luogo in cui era stata custodita e sulla persona da cui il Famà aveva dichiarato di aver acquistato la statua) che avrebbero portato alla restituzione al legittimo possessore. La statua, ancorchè schedata, potrebbe essere stata legalmente venduta con assenso delle autorità ecclesiastiche.
La informale ricognizione eseguita dalla p.g. in data 10.3.2010, con l'intervento di tre funzionari della Soprintendenza dei Beni Culturali ed Ambientali, non prova che la statua sia stata sottratta alla Chiesa di Sant'Antonio Abate di Messina ed è comunque priva di efficacia perché non effettuata secondo le previsioni di cui al I'art.215 c.p.p..
Mancano i presupposti per ritenere che la statua e gli altri oggetti chiesastici sequestrati siano corpo di reato o pertinenti al reato: essi non rientrano tra i beni culturali appartenenti allo Stato. La statua lignea dorata è di proprietà della Chiesa della Diocesi di Messina a cui andrà restituita. Non sussistendo alcuna ipotesi di reato, non è possibile procedere a confisca ex art.240 c.p..
In ogni caso, non sussiste il fumus commissi delicti ed il periculum in mora e la motivazione, sul punto, dell'ordinanza impugnata è assolutamente superficiale.
La statua sequestrata, non eccedendo il limite del valore fissato dal diritto canonico, poteva essere alienata o donata dal parroco dell'epoca, senza incorrere nelle sanzioni comminate dal codice di diritto canonico. In ogni caso, se delitto è stato commesso, esso appartiene alla giurisdizione della Chiesa.
La Suprema Corte ha negato che l'imputato di furto di cose d'arte debba fornire la prova della proprietà del bene; una diversa interpretazione della norma di cui all'art.67 L.1089/1939 violerebbe l'art.42 Cost..
3) Il ricorso è infondato.
3.1) Va premesso che la polizia giudiziaria non ha un generale ed autonomo potere di sequestro. Si legge nella relazione al codice di procedura penale in vigore che la legge delega del 1974, pur avendo accolto la tesi, emersa nel corso dei lavori parlamentari, di chi riteneva impossibile togliere ogni funzione alla p.g., concentrando sempre e subito ogni attività nelle mani del P.M., aveva comunque limitato notevolmente l'attività di iniziativa della polizia giudiziaria. Tale limitazione determinò numerose critiche per l'eccessivo restringimento dei poteri. Il legislatore delegante, intervenuto successivamente, facendosi carico di siffatte critiche, prefigurava un sistema nel quale la polizia giudiziario ha poteri-doveri molto più estesi ed analiticamente indicati nelle direttive 31,32 e 33. Gli artt.352-354 c.p.p., attuando la direttiva 31 quinta parte della legge delega, prevedono il potere dovere della polizia giudiziaria di procedere, in casi predeterminati di necessità e di urgenza, quando cioè non sia possibile un intervento tempestivo del P.M., a perquisizioni e sequestri.
Il legislatore ha previsto, però, un rigoroso e penetrante potere di controllo da parte dell'autorità giudiziaria per verificare la legittimità dell'operato della polizia giudiziario. L'art.355 c.p.p„ riproducendo l'art.224 bis (introdotto con l'art.21 L.12.8.1982 n.532) del codice di rito abrogato, stabilisce che il P.M, cui spetta funzionalmente il potere di disporre il sequestro, convalidi il sequestro o restituisca le cose sequestrate. Tale controllo successivo ha ovviamente la funzione di verificare che il potere discrezionale riconosciuto in materia alla polizia giudiziaria sia stato esercitato nei limiti circoscritti previsti, sia sotto il profilo dei presupposti che della natura dell'oggetto sequestrato (corpo del reato e cose a questo pertinenti).
Il legislatore ha voluto, cioè, adottare ogni cautela per impedire possibili arbitri in presenza dell'esercizio di un potere discrezionale.
E' necessario, quindi, il controllo dell'Autorità giudiziaria quando la p.g. agisca discrezionalmente.
Non può minimamente revocarsi in dubbio, invero, che si verta nella medesima situazione sia che la polizia operi di sua iniziativa ex art.354 c.p.p. sia che intervenga su delega del P.M. senza che sia circoscritto e delimitato il suo potere di intervento. Anche nel secondo caso ci si troverebbe in presenza dell'esplicazione di una discrezionalità quantomeno ai fini di stabilire se le cose da ricercare siano corpo del reato o cose a questo pertinenti.
Di guisa che va considerato sostanzialmente sequestro di polizia giudiziaria (come tale necessitante di convalida) anche quello eseguito in esecuzione di un decreto del P.M. tutte le volte in cui siano indeterminate le cose da rinvenire e sia quindi rimessa alla discrezionalità dell'organo esecutivo la individuazione del rapporto pertinenziale con il delitto. Laddove, invece, il decreto dell'autorità giudiziaria sia motivato in ordine alle ragioni in forza delle quali l'oggetto del sequestro sia da considerare come corpo di reato ovvero dei motivi che determinino un collegamento tra le cose, indicate specificamente, da sequestrare ed il reato per cui si procede, risulta rispettata l'esigenza sopra evidenziata. Sicché, quando, nel decreto del P.M., sia stato individuato, con sufficiente certezza e concretezza l'oggetto del sequestro, non è necessario un ulteriore intervento di controllo (esercitato già preventivamente).
Si impone, invece, la convalida "ogniqualvolta il decreto dell'organo dell'accusa non specifichi l'oggetto della misura ma contenga generica indicazione di corpo e/o pertinenza delle cose (eventualmente) rinvenute rispetto al reato ipotizzato: poiché siffatta indeterminatezza rimette al giudizio degli operanti l'individuazione del presupposto fondamentale del sequestro, il relativo accertamento non può che essere provvisorio e richiede tempestivo controllo dell'autorità giudiziaria" (cfr.Cass.pen.sez.5 n.5672 del 2000-Cogni).
3.1.1) Tanto premesso, nel caso di specie, come ha già puntualmente evidenziato il Tribunale del riesame, il decreto del P.M. delegava alla polizia giudiziaria l'esecuzione della perquisizione e dell'eventuale sequestro di un bene specificamente indicato ("una statuetta in legno dorato raffigurante Sant' Antonio Abate..") e, genericamente, di "cose costituenti corpo di reato e/o pertinenti al reato di cui in rubrica..".
Non c'è dubbio, quindi, che la indeterminatezza della indicazione di tali altri beni rimettesse alla discrezionalità della p.g. l'iniziativa del sequestro, per cui si rendeva necessaria la convalida.
La convalida dei 75 beni chiesastici sequestrati ad iniziativa della p,.g. era ritualmente disposta (come ormai non è più contestato).
L'effettuata convalida determinava, però, per altro verso, che davanti al riesame andasse impugnato il decreto di convalida medesimo a norma dell'art.355 comma 3 c.p.p., per cui era inammissibile la richiesta di riesame del provvedimento di sequestro della p.g, come ha, correttamente, ritenuto il Tribunale.
In ordine ai 75 beni chiesastici sequestrati per iniziativa della p.g. ogni questione è, a maggior ragione preclusa in questa sede, per "vizio genetica" dell' impugnazione.
La statua lignea, invece, come si è visto, era stata indicata specificamente e dettagliatamente nel decreto di perquisizione e sequestro.
La p.g., quindi, non aveva alcuna discrezionalità e, conseguentemente, non vi era necessità di un controllo "successivo" da parte del P.M..
Irrilevante è, pertanto, che l'apprensione del bene non sia avvenuta nel giorno in cui venne eseguita la perquisizione e che esso stato stato consegnato dall'indagato due giorni dopo.
3.2) Altrettanto correttamente il Tribunale ha ritenuto, alla luce delle acquisizioni probatorie, sussistente il fumus del reato di cui all'art.176 D.L.vo 42/04 ed infondate le doglianze difensive.
Riconosce lo stesso ricorrente che la statua lignea era un bene catalogato. E tanto è sufficiente, allo stato, per ritenere legittimo il sequestro.
Peraltro, quanto alla "culturalità" dei beni, secondo l'indirizzo interpretativo, già formatosi sotto la vigenza dell'abrogato D.L.vo 29.10.1999 n.490 (Cass.sez.3 200347922, Petroni, RV226870; sez,.3, 200145814, Cricelli, RV 220742; cass.sez.3 200142291, Licciardello, RV 220626) ed anche successivamente con riferimento al D.L.vo 42/04 (Cass.sez.3 n.39109 del 2006, ric.Palombo), per l'impossessamento illecito di beni appartenenti allo Stato, non è necessario che i beni siano qualificati come tali da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della sua natura culturale dalle stesse caratteristiche dell'oggetto, non essendo richiesto neppure un particolare pregio.
Non occorre quindi alcun provvedimento formale che dichiari l'interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico delle cose di cui il privato sia stato trovato in possesso. Ed è quindi sufficiente "un interesse culturale oggettivo, derivante da tipologia , localizzazione, rarità o altri analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi della P.A. o da una perizia disposta dall'autorità giudiziaria" (Cass.pen.sez.3 n.35226 del 28.6.2007 Signorella).
Il Tribunale ha, altresì, evidenziato che il d. l.gs 62/08 ha esteso l'ambito di applicazione dell'art.10 dIgs 42/04, richiamato dall'art.176, agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.
I funzionari della Soprintendenza hanno riconosciuto la statua lignea come quella catalogata ed appartenente alla Chiesa di Sant' Antonio Abate. Si tratta di sommarie informazioni rese da soggetti che avevano personale conoscenza della statua medesima. E, secondo la giurisprudenza di questa Corte "Per il riconoscimento della refurtiva da parte del derubato non devono essere necessariamente osservate le formalità stabilite per la ricognizione di cose; in questo caso, infatti, il derubato, avendo avuto il possesso delle cose rubate, è in grado di identificarle direttamente, come chiunque altro ne avesse avuto per ragioni analoghe personale conoscenza, e quindi la relativa operazione, costituendo un mero accertamento di fatto e non un atto processuale formale, può essere liberamente utilizzato dal giudice nella formazione del suo convincimento" (cfr.ex multis Cass.pen.sez. 1 n.5926 del 15.4.1998) cose appartenenti. Infine, gli accertamenti richiesti in ordine alla presunta legittimità dell'acquisto non sono pertinenti alla fase cautelare, essendo riservati all'eventuale giudizio di cognizione.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 9 febbraio 2011
DEPOSITATO IN CANCELLERIA 08 Mar. 2011