Cass. Sez. III n. 9458 del  8 marzo 2016 (Cc 6 nov 2015)
Presidente: Grillo Estensore: Aceto Imputato: Cappuccini
Rifiuti. Attività di gestione dei rifiuti contenenti amianto

In tema di smaltimento dell'amianto, non si applicano le disposizioni dettate dal DM 6 settembre 1994 per la rimozione, l'incapsulamento e il confinamento dell'amianto quando non vi sia più la struttura incorporante da bonificare per essere andata distrutta e, pertanto, in tale ipotesi, viene in rilievo l'attività di mero smaltimento di rifiuti pericolosi.

 RITENUTO IN FATTO

1. Il sig.  Giovanni Cappucini ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 20/03/2015 del Tribunale di Ancona che ha respinto l'appello cautelare proposto avverso il provvedimento del 11/02/2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Urbino che, sulla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di cui agli artt. 56, 323 e 351 c.p. e dell'esigenza special- preventiva di impedirne la reiterazione, aveva applicato nei suoi confronti la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di dirigente del servizio igiene e sanità pubblica dell'Azienda Sanitaria ASUR n.1.

Si contesta al ricorrente di aver posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare intenzionalmente alla società "La Galvanina S.p.a." un ingiusto vantaggio patrimoniale mediante la revoca dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 23 del 05/08/2013 con cui il Sindaco del Comune di Apecchio aveva ordinato alla società suddetta di rimuovere e smaltire i rifiuti contenenti amianto, dalla stessa precedentemente interrati. La condotta ascritta al ricorrente è stata posta in essere, secondo l'editto accusatorio provvisorio convalidato dai Giudici della cautela, attraverso comportamenti (interventi diretti e personali) e atti (l'adozione di una nota, datata 26/08/2013, indirizzata al Sindaco) volti a indurre quest'ultimo a revocare l'ordinanza suddetta e a procurare, di conseguenza, alla "La Galvanina S.p.a." (al cui legale rappresentante era legato da rapporti di frequentazione documentati e non contestati) l'ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dal risparmio di spesa ottenuto evitando l'esecuzione dei lavori.

Al ricorrente viene altresì contestato di essersi attivato per ostacolare le indagini del N.O.E. C.C. e, in particolare, di aver consegnato la documentazione amministrativa, rilevante ai fini delle indagini, a persona estranea alla Pubblica Amministrazione (nella specie il proprio difensore).

La sussistenza delle esigenze cautelari, infine, è stata tratta dalla gravità della condotta complessivamente tenuta, ritenuta indice di un modo di interpretare il "munus publicum" tale da rendere concreto il pericolo di reiterazione del reato.

1.1.Con il primo motivo il Cappuccini eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'erronea applicazione dell'allegato 3, D.M. 6 settembre 1994 e illogicità della motivazione sul punto.

Sulla premessa che il proprio comportamento è successivo all'interramento dei rifiuti, all'intervento del N.O.E. e all'ordinanza sindacale n. 23 del 2013, lamenta l'interpretazione che della vicenda è stata data dal Tribunale di Ancona secondo il quale, trattandosi di mero smaltimento di rifiuti (e non di bonifica), non si applicherebbe alla fattispecie il citato decreto ministeriale che consente invece il confinamento dei rifiuti nel sito sotterraneo allo stabilimento, come da lui coerentemente proposto nella nota del 26 aprile 2013.

1.2.Con il secondo motivo eccepisce l'erronea applicazione degli artt. 323 e 351 c.p., e vizio di motivazione apparente in ordine alla loro astratta configurabilità.

Denuncia, quanto all'ipotizzato tentativo di abuso d'ufficio, che il Tribunale ha ritenuto penalmente rilevante un parere dato a procedimento ormai concluso, con il quale aveva invitato il sindaco a modificare i presupposti e le motivazioni dell'ordinanza. Ma quand'anche quest'ultima fosse stata revocata, il relativo provvedimento sarebbe rimasto atto proprio del sindaco, e ciò a prescindere dal fatto che in ogni caso manca la prova dell'elemento intenzionale.

Quanto al reato di cui all'art. 351 c.p., eccepisce che si era semplicemente limitato a consegnare i documenti al proprio avvocato, circostanza del resto nota all'intero ufficio.

1.3.Con il terzo motivo eccepisce la mancanza di motivazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari, non assolta dal generico riferimento al fatto che egli potesse (testualmente) "tornare alla carica" con il Sindaco.


CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso, pur fondato, è tuttavia inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

3.A1 fine di comprendere meglio la vicenda in esame è necessario ricostruirne - secondo quanto incontestabilmente risulta dal provvedimento impugnato e dalle stesse allegazioni difensive - i passaggi più importanti, che possono essere così sintetizzati:

a)con ordinanza n. 53 del 08/11/2012 il Sindaco del Comune di Apecchio aveva ordinato alle società "La Galvanina S.p.a." e "Elle S.r.l." (e ad altre società) lo smaltimento delle macerie, contenenti amianto, residuate dal crollo dei tetti dei relativi stabilimenti, crollo provocato dalle abbondanti nevicate di quell'anno;

b) tale smaltimento avrebbe dovuto essere realizzato mediante la raccolta manuale delle lastre di eternit e il tombamento del residuo materiale, secondo modalità - si legge nell'ordinanza impugnata - stabilite dal C., ancorchè non condivise dagli Enti componenti il tavolo tecnico che doveva occuparsi della vicenda, ed anzi ad esso contrarie (anche se, annota il Tribunale di Ancona, dell'adozione di tale ordinanza risponde il solo Sindaco di Apecchio e non anche il ricorrente);

c)il NOE CC di Ancona accertò che, invece, la società "La Galvanina S.p.a." aveva interrato i rifiuti senza separarli dall'amianto, e sollecitò di conseguenza l'adozione dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 23 del 05/08/2013 con cui il Sindaco di Apecchio avrebbe poi ordinato alla "La Galvanina S.p.a." la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti;

d)il successivo 26/08/2013, con un documento indirizzato alla Regione Marche e al Sindaco di Apecchio, il ricorrente (facendo leva - si legge nell'ordinanza impugnata - su riferimenti normativi imprecisi) aveva sollecitato la revoca o comunque la modifica dell'ordinanza sindacale.

Questo atto integra, a parere dei giudici cautelare, l'ipotizzato tentativo di abuso di ufficio.

3.1. Il ricorrente deduce l'applicabilità alla fattispecie dell'allegato 3, D.M. Min. Sanità 6 settembre 1994 che descrive le tecniche di bonifica dell'amianto (dalla sua rimozione, all'incapsulamento, al confinamento) e fornisce le indicazioni per la scelta del metodo da utilizzare.

3.2.Osserva il Collegio che tali soluzioni presuppongono l'incorporazione dell'amianto nella struttura fissa da bonificare e non si applicano ai casi in cui non vi sia più nulla da bonificare per essere andata distrutta, come nel caso in esame, la struttura incorporante. In tal caso, infatti, l'amianto costituisce rifiuto speciale pericoloso, soggetto solo a smaltimento e non più a "bonifica".

3.3. Il rilievo, dunque, è infondato.

3.4.E' invece fondata l'eccezione relativa alla non configurabilità, nel caso in esame, del tentativo di delitto di abuso d'ufficio.

3.5.1n termini generali ed astratti il reato di abuso di ufficio tentato sussiste ogni volta che il pubblico ufficiale (o l'incaricato di pubblico servizio) ponga in essere, in violazione di legge o di regolamento o del dovere di astensione, atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare ad altri un danno ingiusto o beneficiare altri di un vantaggio patrimoniale ingiusto che non si realizzano per cause estranee alla volontà dell'autore della condotta (cfr. sul punto Sez. 6, n. 10136 del 24/06/1998, Ottaviano, Rv. 211567; Sez. 6, n. 26617 del 01/04/2009, Masella, Rv. 244465).

3.6.Non v'è dubbio, pertanto, che integra il reato (anche nella forma tentata se l'evento non si realizza) consentire a un privato di smaltire rifiuti con modalità vietate dalla legge che gli consentono di lucrare sui relativi risparmi.

3.7.L'ordinanza, peraltro, dà ampiamente conto dei rapporti personali che intercorrevano tra il pubblico ufficiale ed il privato (rapporti che il ricorrente nemmeno menziona, quantomeno per confutarli) per cui non è affatto irragionevole desumerne l'intenzionale asservimento del pubblico ufficio agli interessi privati del beneficiario della condotta.

3.8.Quando però, il pubblico ufficiale non sia l'autore del provvedimento che attribuisce direttamente al beneficiario l'ingiusto vantaggio (o l'ingiusto danno) la sua condotta può essere valutata, anche ai fini del tentativo, solo sotto il profilo del concorso nel reato che può assumere la forma del concorso materiale (se egli confeziona o predispone materialmente la minuta del provvedimento ovvero il provvedimento stesso poi sottoposto alla firma del pubblico ufficiale competente ad emetterlo) o di quello morale, poichè il pubblico ufficiale concorre in tal modo a manifestare la volontà della pubblica amministrazione mediante l'adozione degli atti del procedimento prodromici alla emissione del provvedimento finale.

3.9. In quest'ultimo caso, però, non è sufficiente che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio adotti un atto del procedimento finalizzato ad orientare la decisione finale nella segreta speranza del successo della propria iniziativa; è necessario che il proposito criminoso sussista anche nel pubblico ufficiale autore principale (Sez. 6, n. 36125 del 13/05/2014, Minardo, Rv.260235; Sez. 6, n. 15116 del 25/02/2003, Gueli, Rv. 224690). Ove il pubblico ufficiale competente a emettere il provvedimento finale non sia già animato da alcun intento criminoso, il parere o la proposta di adozione del provvedimento stesso, ove non accolta, dovrà essere valutata alla stregua di un'istigazione non accolta. In mancanza di prova dell'accordo collusivo la proposta di adozione del provvedimento illegittimo resta tale, non integra il tentativo punibile di abuso d'ufficio ed è penalmente irrilevante.

3.10.Sono invece infondate le censure relative alla insussistenza del reato di cui all'art. 351 c.p.. Non ha a tal fine alcun rilievo la circostanza (peraltro di natura fattuale) che la documentazione fosse stata consegnata al proprio difensore, sia perchè si tratta di persona comunque estranea alla pubblica amministrazione, sia perchè - ove con tale deduzione si voglia sottintendere la liceità del fine - il reato è punito a titolo di dolo generico. Nemmeno rileva la circostanza (anche essa fattuale) che tutti fossero a conoscenza della "sottrazione" della documentazione perchè ciò non esclude l'offensività della condotta integrata ogniqualvolta il bene sia sottratto per un periodo di tempo apprezzabile dal luogo in cui è custodita.

4.E' fondato l'ultimo motivo di ricorso.

I giudici del riesame ricavano la sussistenza delle esigenze cautelari special-preventive dalla gravità della condotta e dal modo con cui il ricorrente interpreta il proprio ufficio pubblico.

Non v'è dubbio (e questa Corte lo ha detto più volte) che il pericolo, attuale e concreto, di reiterazione del reato possa essere ricavato anche dalle sole modalità della condotta; occorre tuttavia una motivazione adeguata che non si limiti a ricavare l'esigenza cautelare dal sol fatto di aver commesso il reato. Si tratterebbe, come nel caso in esame, di una motivazione tautologica.

Tanto più che deve essere esclusa la sussistenza di uno di essi.

Sennonchè, l'intera misura interdittiva risulta già eseguita alla data dell'odierna udienza, rendendo del tutto superfluo l'annullamento del provvedimento impugnato, non sussistendo alcun interesse del ricorrente all'accertamento "postumo" della legittimità del titolo cautelare, atteso che alle misure interdittive non si estende l'istituto della riparazione per ingiusta detenzione di cui all'art. 314 c.p.p., il quale giustifica la persistenza di uno specifico e concreto interesse all'impugnazione in caso di cessazione dell'operatività della misura (Sez. 5, n. 42839 del 16/05/2014, Oliani, Rv. 260761; Sez. 6, n. 9479 del 10/11/2009, Barnabà, Rv. 246523).

Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile senza condanna del ricorrente al pagamento delle spese e dell'ammenda (Sez. 6, n. 19209 del 31/01/2013, Scaricaciottoli, Rv. 256225; Sez. U, n. 7 del 25/07/1997, Chiappetta, Rv. 208166).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2016