Cass. Sez. III n. 31337 del 17 luglio 2019 (UP 13 giu  2019)
Pres. Ramacci  Est. Cerroni Ric. Purpura
Beni culturali. Reato di cui all’art. 169 d.lgs. 42\2004

In tema di beni culturali, integra il reato di cui all’art. 169 cit. anche la condotta di chi esegue senza autorizzazione interventi su cose mobili che, costituendo pertinenza di un immobile vincolato, contribuiscono a salvaguardare l’interesse storico ed artistico del bene


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’8 novembre 2018 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza del 4 aprile 2017 del Tribunale di Termini Imerese, in forza della quale Massimiliano Purpura, nella qualità di parroco della Chiesa parrocchiale Maria SS. Immacolata Anime Sante di Bagheria, era stato dichiarato non punibile attesa la particolare tenuità dei fatti a lui contestati a norma degli artt. 81 capoverso cod. pen. e 169, comma 1, lett. a) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione con un articolato motivo di impugnazione.
2.1. In particolare, il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale, osservando che la norma invocata postulava quantomeno l’esistenza di un minimo di idoneità offensiva del bene giuridico tutelato, nel senso di una diminuzione del godimento estetico dei beni oggetto di intervento.
Le attività contestate al parroco non avevano invece compromesso in alcun modo la godibilità estetica d’insieme e l’integrità artistica della chiesa e delle opere d’arte ivi contenute, ed anzi avevano avuto l’effetto opposto. In tal senso militava la documentazione prodotta, che al contrario aveva dato conto di alcuna diminuzione in tal senso, ed anzi di un rafforzamento del valore liturgico e di sicurezza dell’edificio.
La carenza di offensività rendeva insussistente il reato, laddove la petizione di non punibilità aveva ad oggetto la declaratoria di insussistenza giuridica del reato, e non l’invocata applicazione dell’ipotesi di cui all’art. 131-bis cod. pen., già ravvisata dallo stesso primo Giudice. Mentre l’interesse dello Stato all’esercizio di controlli preventivi era un bene solo collateralmente tutelato dalla fattispecie.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. La norma incriminatrice contestata all’odierno ricorrente prevede la punizione di “chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell’articolo 10”, ossia – tra gli altri – “le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”. Non vi è contestazione al riguardo, circa il fatto che la Chiesa parrocchiale ricadente in territorio di Bagheria avesse queste caratteristiche, oggetto precipuo di tutela a norma del d.lgs. 42 cit..
4.1.1. Ciò posto, è stato già osservato anzitutto che, in tema di beni culturali, integra il reato di cui all’art. 169 cit. anche la condotta di chi esegue senza autorizzazione interventi su cose mobili che, costituendo pertinenza di un immobile vincolato, contribuiscono a salvaguardare l’interesse storico ed artistico del bene (Sez. 3, n. 45149 del 08/10/2015, Pisu e altro, Rv. 265445). Del pari, anche in ragione della struttura del presente provvedimento ed in puntuale replica alle argomentazioni ribadite del ricorrente, è appena il caso di ricordare che questa Corte ha già avuto modo di osservare – con pronuncia richiamata dallo stesso Giudice distrettuale - che il reato d’abusivo intervento su beni culturali, previsto dall’art. 169 cit., è un reato formale di pericolo, integrato dal compimento dei lavori e delle opere senza il preventivo controllo amministrativo, diretto ad evitare possibili pericoli e danni, che si consuma anche se non si produce una concreta lesione del valore storico-artistico della res, sempre che, secondo una valutazione ex ante, non si tratti di interventi talmente trascurabili, marginali e minimi da escludere anche il solo pericolo astratto di lesione dell’interesse protetto (Sez. 3, n. 47258 del 21/07/2016, Tripi e altro, Rv. 268495).
Del tutto corretto è quindi il percorso motivazionale seguito dalla Corte siciliana, che da un lato ha escluso che gli interventi in contestazione fossero di poco momento, marginali, temporanei e reversibili (cfr. elencazione di pag. 6 della sentenza impugnata), e dall’altro ha censurato l’attività posta autonomamente in essere dall’imputato, che in definitiva è intervenuto su beni appartenenti allo Stato senza consentire a quest’ultimo alcuna forma di interlocuzione e di controllo preventivo, in tal modo pienamente integrando la fattispecie di reato.
4.2. Del tutto manifesta è l’infondatezza della proposta impugnazione.
5. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 13/06/2019