Fresato d’asfalto “sottoprodotto”: il Consiglio di Stato impone condizioni e limiti non previsti dall’art. 184-bis del TUA.
(Nota a Consiglio di Stato, n. 4978 del 6 ottobre 2014)

di Alfredo SCIALÒ e Stefania GIAMPIETRO

 

SOMMARIO

 

1. Premessa.

2. La vicenda amministrativa all’origine dell’appello.

3. Il percorso motivazionale seguito dal Collegio.

4. Le condizioni aggiuntive imposte per la qualifica del fresato d’asfalto come sottoprodotto.

5. Conclusioni.

 

 

1. Premessa.

Con la recente sentenza n. 4978 del 6 ottobre 20141, il Consiglio di Stato, a distanza di poco più di un anno dalla sua precedente e innovativa pronuncia n. 4151/20132 - che aveva (finalmente e con lucidità) affermato la possibile qualificazione come sottoprodotto del fresato d’asfalto3 - è tornata sul tema per ribadire questo condivisibile principio di diritto.

 

Il decisum del Supremo Consesso amministrativo, in esame, ha dunque il merito di aver inequivocabilmente confermato come la (possibile) natura di sottoprodotti di tali materiali, che residuano dalla demolizione della pavimentazione stradale, costituisca ormai un dato acquisito del nostro ordinamento; e da tale approdo - cui si è giunti all’esito di un travagliato processo di elaborazione culturale, normativa e giurisprudenziale4 - difficilmente potrà prescindersi in futuro.

 

Le esigenze economico-produttive a favore di uno sviluppo del mercato del fresato-sottoprodotto, che consenta di realizzare nuovi conglomerati bituminosi senza ricorrere a materie prime vergini, con conseguente spreco di risorse, sono oggi avvertite, non più dai soli operatori del settore, ma anche sostenute e sorrette da un sistema di disposizioni specifiche - in tema di distinzione tra rifiuti e sottoprodotti - che non lascia più spazio a dubbi interpretativi sul fatto che il fresato d’asfalto, così come qualsiasi altro residuo produttivo, deve essere qualificato, sin dalla sua origine, come sottoprodotto qualora rispetti le condizioni fissate dall’art. 184-bis del d.lgs. 152/2006 e s.m.i. e, come tale, può essere gestito e reimpiegato (al pari di qualsiasi altra merce liberamente commerciabile) per la produzione di nuovo conglomerato bituminoso.

 

Per un’effettiva diffusione del fresato-sottoprodotto, restano però ancora da superare alcuni ostacoli e resistenze non di poco conto: all’evocata affermazione di principio (configurabilità del fresato come sottoprodotto) dovrebbe, infatti, conseguire, da parte delle Amministrazioni, una verifica, nei singoli casi concreti, della ricorrenza delle condizioni ex art. 184 bis del TUA, scevra da ogni pregiudizio nei confronti di tale materiale, che ne favorisca il reimpiego, senza imporre cautele (condizioni) ulteriori rispetto a quelle già fissate in via generale (per qualsiasi altro sottoprodotto) dal legislatore comunitario e statale.

 

Ma, nelle prassi amministrative e nelle elaborazioni giurisprudenziali dello stesso Consiglio di Stato (si fa qui riferimento alla citata sentenza n. 4151/2013), si registra ancora l’erronea tendenza ad imporre, in via interpretativa, alcune peculiari modalità di gestione e impiego, aggiuntive rispetto a quelle prescritte dall’art. 184-bis, come il riutilizzo in loco e l’assenza di fasi di stoccaggio provvisorio.

 

E, a questa (non condivisibile) tendenza, non si sottrae neanche la sentenza in commento, la quale, piuttosto che chiarire e superare definitivamente i nodi irrisolti per una corretta qualificazione del fresato, ricade in quegli stessi errori e carenze motivazionali già riscontrate nel citato precedente sul tema, allorquando, partendo da corrette premesse concettuali sulla distinzione rifiuto/sottoprodotto, arriva ad imporre ulteriori limiti per l’impiego del fresato, del tutto arbitrari, perché contrari al dettato dell’art. 184-bis, cit.

 

2. La vicenda amministrativa all’origine dell’appello.

L’occasione per tornare ad interrogarsi sul regime giuridico del fresato d’asfalto è stata offerta, alla quarta sezione del Consiglio da Stato, da un ricorso contro una sentenza del T.A.R. Calabria (Catanzaro, Sez. I, n. 1115/20135) che aveva confermato la validità di un provvedimento di esclusione per “offerta anomala” di un’impresa da una gara per l’affidamento di taluni lavori di messa in sicurezza stradale.

 

Per giustificare l’anomalia dell’offerta e, in particolare il suo elevato ribasso rispetto all’importo posto a base di gara, l’impresa esclusa aveva sostenuto - in sede di ricorso avverso il provvedimento di estromissione - che detto ribasso si era reso possibile per effetto del “risparmio ottenuto mediante il riuso del fresato di asfalto derivante dalla scarificazione del manto stradale esistente, costituente sottoprodotto e non rifiuto, ceduto gratuitamente al fornitore dei conglomerati bituminosi, disposto ad effettuarne lo stoccaggio presso un terzo operatore a ciò autorizzato” (come si legge nella sentenza di primo grado).

 

La tesi sostenuta dall’impresa ricorrente non veniva però condivisa dal Tribunale amministrativo di Catanzaro il quale, pur non disconoscendo la possibilità, in astratto, che il fresato d’asfalto potesse essere qualificato come sottoprodotto, nella sussistenza delle relative condizioni di legge, osservava come, nella specie, non ricorrevano i requisiti ex art. 184 bis del TUA alla luce delle modalità (indicate in sentenza come “processo”) con cui si sarebbe pervenuti al riuso del fresato.

 

In base a quanto indicato dal ricorrente, tale “processo” per il riuso prevedeva infatti:

  1. il prelievo e il trasporto del fresato da parte della ditta che avrebbe dovuto poi fornire il conglomerato bituminoso (c.b.) occorrente ai lavori;

  2. la consegna dello stesso ad una distinta impresa che avrebbe provveduto al relativo stoccaggio provvisorio;

  3. infine, l’immissione, nel ciclo produttivo, del “nuovo” conglomerato bituminoso presso l’impresa fornitrice del fresato.

 

Ebbene, nella motivazione del TAR, le ragioni ostative alla configurabilità del fresato come sottoprodotto (con i conseguenti risparmi di spesa nella gestione dello stesso), andrebbero individuate nella previsione di una fase di stoccaggio del fresato e nel suo riuso, non già in loco (nel cantiere di origine) ma presso l’impresa produttrice del nuovo conglomerato bituminoso.

 

I Giudici di prime cure ritenevano infatti che, in linea con l’orientamento già espresso dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 4151/2013 (citata in premessa), fosse indispensabile, per poter classificare il materiale in questione come sottoprodotto, che “l’operazione di recupero” (o meglio di utilizzo) dello stesso avvenisse “… sul luogo, senza necessità di stoccaggio e deposito”.

Le conclusioni del TAR, sono state quindi condivise, in sede di appello, dal Consiglio di Stato, il quale conferma l’impossibilità di qualificare come sottoprodotto detto materiale per le descritte modalità di utilizzo, che non sarebbero previste dai requisiti elencati dall’art. 184 bis cit.. Le sue scarne ed apodittiche affermazioni si discostano, solo per aspetti marginali, dalle motivazioni tracciate dalla pronuncia di primo grado.

 

3. Il percorso motivazionale seguito dal Collegio.

In prima battuta, il Collegio aderisce all’orientamento già espresso nell’appellata sentenza n. 4151/2013, secondo cui “… il fresato d’asfalto può essere annoverato come un sottoprodotto in presenza delle specifiche condizioni tecniche” di legge dettate dall’art. 184 bis, comma 16.

Ma subito dopo rileva che le modalità di gestione del fresato (trattamento, stoccaggio e impiego), così come indicate dall’impresa nella sua offerta “… non fornivano elementi idonei a far ritenere che le condizioni tecniche necessarie per il riuso del fresato d’asfalto nel processo fossero pienamente soddisfatte”, in considerazione delle seguenti circostanze:

 

  1. la società indicata come preposta al prelievo, trasporto e riutilizzo del fresato, “non risultava essere in possesso del titolo abilitativo a trattare tale materiale”;

  2. “lo stesso dicasi per la Società (omissis), pure indicata come preposta allo stoccaggio provvisorio, ma non in possesso di idoneo titolo”;

  3. “infine in sede giurisdizionale, e solo in tale sede, viene indicato come impianto in grado di assolvere al compito (di stoccaggio) quello della Società (omissis)”.

 

Innanzitutto, questi lacunosi, preliminari rilievi della motivazione non consentono di conoscere, con assoluta certezza, a quali titoli abilitativi intenda fare riferimento il Collegio.

 

E’ verosimile però che, verificando la ricorrenza in concreto dei singoli requisiti per la configurabilità di un sottoprodotto, esso abbia voluto riferirsi ai titoli necessari affinché il riutilizzo del fresato potesse dirsi “legale”, ai sensi dell’art. 184-bis, comma 1, lett. d) e tale da non determinare impatti complessivi negativi sull’ambiente e sulla salute umana.

 

Così (ipoteticamente) inteso, il ragionamento seguito da quel Collegio si presenterebbe dunque prima facie condivisibile, poiché l’esclusione della natura giuridica di sottoprodotto del fresato risulterebbe ancorata alla non ricorrenza di una delle condizioni prescritte dall’art.184-bis (di cui al comma 1, lett. d) e cioè: la legalità dell’utilizzo (anche se dal tenore testuale dell’art. 184-bis, la “legalità” risulta strettamente connessa e riferita alle modalità di utilizzo del materiale come “sottoprodotto” – e non alle modalità del suo prelievo, trasporto o stoccaggio – oltre che ai suoi requisiti intrinseci di qualità - “pertinenti i prodotti” - e agli impatti complessivi negativi per l’ambiente).

 

Sennonché, proseguendo nella lettura della motivazione, ci si imbatte in ulteriori argomenti che, per la loro non pertinenza, finiscono per viziare l’intero percorso argomentativo della pronuncia.

 

Si legge, infatti, che il fresato de quo non potrebbe essere qualificato sottoprodotto anche considerato (testualmente,“…. non senza considerare”) “… che l'operazione di recupero deve avvenire in loco, senza necessità di stoccaggio o deposito, modalità operativa che nella specie non è possibile rilevare come sussistente”.

 

Con queste poche ed apodittiche battute - che concludono l’esposizione della parte motiva - il Collegio ribadisce dunque la tesi sostenuta dal TAR in primo grado7 secondo la quale perché il fresato d’asfalto possa configurarsi come sottoprodotto e dunque sottratto al regime dei rifiuti:

 

- deve essere utilizzato in loco e cioè nel luogo di produzione (cantiere di origine);

- e non deve essere sottoposto a fasi di stoccaggio e deposito.

 

4. Le condizioni aggiuntive imposte per la qualifica del fresato d’asfalto come sottoprodotto.

L’assunto non convince affatto, poiché - come sopra anticipato e già sottolineato a commento della sentenza n. 4151/138 cit.- si presenta svincolato dal vigente dato normativo.

 

Si è già detto (e del resto è stato ribadito anche nella sentenza qui annotata, v. pag. 2) che affinché al fresato possa attribuirsi la natura giuridica di (sotto)prodotto, deve rispettare i requisiti di origine, trattamento e impiego indicati nell’art. 184-bis del TUA9.

 

Ma, esaminando con attenzione tali presupposti, da nessuno di essi può farsi discendere, in via interpretativa, un obbligo di reimpiegare il fresato d’asfalto soltanto nel cantiere di origine e senza fasi di stoccaggio come vorrebbe il Collegio d’appello.

 

All’opposto, nell’art. 184-bis, cit., comma 1, alla lettera b), viene oggi esplicitamente previsto che il sottoprodotto (e dunque il residuo-fresato) possa essere utilizzato:

 

  • sia nello stesso “processo di produzione” (di origine) che in diversi e “successivi” cicli produttivi;

  • e che detto reimpiego possa essere effettuato “da parte del produttore o di terzi”.

L’argomento addotto nelle due pronunce di rigetto, nei due gradi di giudizio, pare quindi voler disconoscere - o non conoscere - il diritto positivo vigente (sulla distinzione tra rifiuti e sottoprodotti), nel momento in cui ripercorre un’impostazione ormai superata, frutto del precedente regime giuridico che guardava, con sfavore, ai sottoprodotti, limitandone, di fatto, la diffusione.

 

Infatti, mentre in passato - nella versione originaria del Testo Unico Ambientale, antecedente alla direttiva rifiuti 2008/98/CE - per la qualifica giuridica dei sottoprodotti era prescritto che i residui produttivi fossero “… impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati” da quest’ultima10; oggi è espressamente ammesso un impiego del sottoprodotto in un “ciclo produttivo diverso da quello di origine” e, anche qualora avvenga ad opera di soggetti terzi rispetto al produttore del residuo (sottoprodotto).

 

E lo stesso art. 5, della Dir. 2008/98/CE, nel codificare la figura del sottoprodotto fornendone la definizione, si limita a richiedere che lo stesso venga, con certezza, “ulteriormente utilizzato” (v. comma 1, lett. b), senza dunque:

 

  • specificare (ed imporre) chi debba essere l’utilizzatore (produttore o terzo);

  • né precludere impieghi del sottoprodotto in cicli produttivi distinti, diversamente allocati e cronologicamente successivi rispetto a quelli di origine del residuo.

 

Quanto poi al preteso divieto di fasi di stoccaggio, deposito e trasporto del fresato-sottoprodotto, è evidente che tale (insussistente) preclusione si presenta:

- non solo assente - cioè non prevista né dall’art. 5 della Dir. 2008/98/CE, né dall’art. 184-bis del TUA, i quali, all’opposto, consentono l’impiego del sottoprodotto da parte del produttore o di terzi, autorizzando, implicitamente, fasi di trasporto del materiale, di stoccaggio e/o deposito (da parte del produttore, del mediatore, del terzo) necessarie e strumentali al suo trattamento (secondo la “normale pratica industriale”) e reimpiego, nel ciclo produttivo di destinazione (in altra località, dove il fresato dovrà essere trasferito ovvero nello stesso luogo in cui è stato generato);

- ma anche del tutto avulsa dalle attuali realtà ed esigenze economico-produttive che, per l’avvio al ciclo produttivo di qualsiasi materiale (sia esso vergine, sottoprodotto o proveniente da fasi di recupero del rifiuto) richiedono frequentemente - e necessariamente - fasi di stoccaggio e/o deposito prima del trasferimento (della merce, sottoprodotto o materia prima secondaria) in altri siti, nel mercato unico (interno ed) europeo (nella specie: del fresato ‘asfalto)11.

 

Del resto, al suddetto ampliamento delle modalità di utilizzo del sottoprodotto da parte dei relativi produttori o di terzi, si è giunti all’esito di una lenta e tortuosa evoluzione giurisprudenziale e normativa12 – il cui passaggio finale è rappresentato dalla citata codificazione comunitaria (ex art. 5, della direttiva del 2008, cit.) che pare essere sfuggita – o comunque poco approfondita – dal Collegio giudicante.

 

Si consideri poi che l’introduzione, per via giurisprudenziale, di questi requisiti e/o divieti “aggiuntivi”, rispetto a quelli tassativi di legge, per la qualifica del fresato come sottoprodotto – oltre a risultare in contrasto con il diritto vigente, interno e comunitario - presenterebbe rilevanti risvolti, non solo sul piano della disciplina amministrativa di tale materiale, ma anche sotto il profilo penale.

 

Aderendo alla prospettazione del Collegio, il fresato non utilizzato in loco e/o sottoposto a fasi di stoccaggio e deposito, nonostante rispetti i requisiti dell’art. 184-bis cit., ricadrebbe nel regime giuridico dei rifiuti e la sua gestione sarebbe sanzionata penalmente, con evidente violazione dei principi di tassatività e determinatezza della norma incriminatrice, in quanto rifiuto abusivamente gestito (recuperato).

 

5. Conclusioni.

In definitiva, la recente sentenza in esame fornisce la conferma di quanto l’evoluzione normativa e quella giurisprudenziale, in tema di qualificazione giuridica del fresato d’asfalto, corrano ancora su binari distinti e divaricati.

 

Se la normativa comunitaria e interna non preclude oggi ma anzi favorisce la configurabilità di tale materiale come sottoprodotto, la giurisprudenza amministrativa, “rincorrendo” e accreditando un’erronea prassi amministrativa, sembra non volerne prendere atto… finendo così, con una singolare opera di “rimozione” o demolizione degli approdi legislativi in materia, per ricacciare il fresato nel novero dei rifiuti piuttosto che dei sottoprodotti, con tutte le conseguenze prevedibili, in termini di oneri di gestione degli stessi e relative responsabilità amministrative e penali.

 

Non resta dunque che attendere un più approfondito e radicale ripensamento del giudice amministrativo che tenga in maggiore considerazione e valorizzi le novità normative sopra enucleate, al fine di portare a compimento quel graduale processo di “emersione” della nuova categoria giuridica del “sottoprodotto” (e dunque, nella specie, del fresato d’asfalto che soddisfa “le condizioni” poste dall’art. 184-bis, e non altre, del tutto estranee e surrettiziamente imposte in via ermeneutica), timidamente avviato con la sentenza n. 4151/2013.

 

Innanzitutto, affrancandosi dai retaggi di una giurisprudenza fondata su presupposti normativi abrogati dal diritto comunitario, sin dal…. 2008 (e dal diritto interno, a partire dal 2010), e, finalmente, mettendo in risalto, superandoli, i consolidati pregiudizi che ancora impediscono o ritardano una corretta gestione di questo “residuo produttivo” come “merce”, di grande rilevanza, economica e commerciale, per l’economia privata e per il vasto settore delle opere pubbliche.

 

Nell’attesa, potrebbe risultare, comunque, opportuno un intervento del Governo, che individui, con apposito regolamento (così come avvenuto per altre specie di “residui sottoprodotti”: si pensi alle terre e rocce da scavo disciplinate dal D.M. 161/12), ai sensi dell’art. 184 bis, comma 213, gli specifici criteri qualitativi e quantitativi da soddisfare per il riconoscimento della qualifica di sottoprodotto.

 

Tale soluzione “normativa”, consentendo di valutare più agevolmente se i residui della fresatura stradale rispettino o meno le condizioni di legge, potrebbe di fatto, limitare le arbitrarie e restrittive interpretazioni di cui si è detto e favorirne in tal modo l’utilizzo (nel ciclo produttivo dei conglomerati bituminosi), in un quadro di maggiore certezza, anche in considerazione della preventiva fissazione dei presupposti per valutare l’assenza di rischi ambientali connessi al loro impiego.

 

 

Alfredo Scialò

Stefania Giampietro

1 Reperibile in www.giustizia-amministrativa.it.

2 Per una disamina critica della sentenza del Consiglio di Stato n. 4151/2013 si rinvia a P. Giampietro, A. Scialò, Il sottoprodotto, il fresato d’asfalto e la normale pratica – nota a Consiglio di Stato n. 4151/2013, in www.lexambiente.it.

3 Vale a dire il materiale generato dalla rimozione (tramite fresatura) degli strati superficiali del manto di asfalto, in occasione di interventi di manutenzione stradale. In particolare, il fresato stradale è costituito dallo stesso "conglomerato bituminoso" degli strati di rivestimento stradale. Esso assume la struttura di un aggregato, con una sua curva granulometrica generalmente caratterizzata da un’elevata percentuale di fini, e contiene bitume invecchiato (dall’uso della superficie stradale da cui proviene). Per una definizione tecnica del “conglomerato bituminoso” (fondata sulla normativa di settore e sulla terminologia della norma UNI 13108-1) - propedeutica ad una più rigorosa classificazione giuridica - si riportano di seguito le seguenti nozioni.

Conglomerato bituminoso: miscela di aggregati e leganti bituminosi; conglomerato bituminoso di recupero (come “sottoprodotto”): conglomerato bituminoso ottenuto mediante fresatura degli strati di rivestimento stradale, frantumazione delle lastre provenienti da squarci di pavimentazioni asfaltiche, blocchi provenienti da lastre asfaltiche; conglomerato bituminoso proveniente da scarti di produzione e sovra-produzione (rif. UNI 13108- 1 e 8).

La composizione del conglomerato bituminoso: il c. b. è un conglomerato artificiale costituito da una miscela di:

• inerti (materiali rocciosi di diversa granulometria quali filler, sabbia e pietrisco);

• legante di tipo bituminoso;

• conglomerato bituminoso di recupero come sottoprodotto (fresato) .

Nel confezionamento di conglomerati bituminosi vengono impiegati inerti, di origine naturale, industriale, o di riutilizzo di sabbie, ghiaie e pietrischi, ecc. provenienti dalla estrazione e frantumazione nelle cave alluvionali; dalla frantumazione delle rocce; da processi industriali o da materiali da demolizione, aventi granulometria variabile. I materiali molto fini che hanno il compito di riempire gli spazi lasciati liberi dagli aggregati più grossi vengono chiamati filler o additivi minerali. Come il cemento, nei conglomerati cementizi, così i leganti bituminosi hanno la funzione di legare gli inerti fra di loro nei conglomerati bituminosi.

 

4 Fatta salva la sentenza del T.A.R. Lombardia n. 2182/2012, poi confermata dal Consiglio di Stato, con la citata pronuncia n. 4151/2013, la giurisprudenza penale e amministrativa, riferendosi alla normativa antecedente, aveva affermato: a) la riconducibilità del fresato nella categoria del rifiuto recuperabile; b) eccezionalmente, nel novero delle terre e rocce da scavo, al fine di sottrarlo al regime dei rifiuti (cfr. l’isolata Cass. pen. Sez. III, 11 febbraio 2003, n. 13314; in senso contrario, v.: Cass. pen. sez. III, 15 maggio 2007, n. 23788); c) ovvero la sua qualificabilità come “materia prima secondaria” (cfr. T.A.R. L'Aquila Abruzzo, sez. I, 08 giugno 2013, n. 549).

5 Reperibile in rete, dal sito www.giustizia-amministrativa.it.

6 L’art. 184-bis, comma 1, cit., introdotto dall'art. 12 del d.lgs. n. 205 del 2010 prevede che:

1. È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.

 

7 Ed elaborata dalla stessa Quarta sezione del CdS nella citata sentenza n. 4151 del 2013.

8 Si veda P. Giampietro, A. Scialò, “Il sottoprodotto, il fresato d’asfalto e la normale pratica – nota a Consiglio di Stato n. 4151/2013”, in www.lexambiente.it.

9 Per un esame dettagliato delle varie condizioni normative per la configurabilità del sottoprodotto si rinvia a P. Giampietro “Quando un residuo produttivo va qualificato “sottoprodotto” (e non “rifiuto”) secondo l’art. 5, della direttiva 2008/98/CE (Per una corretta attuazione della disciplina comunitaria)”, pubblicato in www.lexambiente.it., in data 08.11.2010. Sulla elaborazione della direttiva rifiuti, n.2008/98/CE, da parte del Consiglio, Parlamento e Commissione U.E, si veda David Röttgen, Capitolo II (“La nozione di rifiuto e di sottoprodotto”), pagg. 25-77, in “Commento alla direttiva 2008/CE sui rifiuti”, a cura di F. Giampietro, IPSOA, Milano, 2009. Sul “sottoprodotto” nella prima formulazione del T.U. ambientale n. 152/2006, cfr. L. Ramacci, “La nuova disciplina dei rifiuti”, Celt–La Tribuna, 2006, pagg. 44 e ss. In tema, da ultimo, per una rassegna critica delle sentenze più recenti e degli orientamenti dottrinari, cfr. di P. Giampietro: ”I trattamenti del sottoprodotto e la normale pratica industriale”, cit., in www.lexambiente.it), 15.5.2013 e in AmbienteDiritto.it 30.5.2013.

10 Si fa qui riferimento all’art. 183, comma 1, lett. n. del D.lgs. 152/2006 che, nella sua prima formulazione, individuava i sottoprodotti nei “materiali impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; a quest’ultimo fine, per trasformazione preliminare si intende qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si renda necessaria per il successivo impiego i un processo produttivo o per il consumo”.

11 Per un approfondimento sull’effettiva diffusione nel mercato europeo ed italiano del fresato quale componente del c.b., del suo valore commerciale e dei valori monetari del mercato indotto dal suo reimpiego, si veda, tra gli altri, lo studio dell’Università degli studi di Padova - Facoltà di Ingegneria – a firma dell’Ing. Nicola Baldo – “Tecniche di riciclaggio delle pavimentazioni stradali” reperibile sul web all’indirizzo:ww.webalice.it/orrione/File%20pdf/Work/Corsi/STRADE%20FERR.%20AEREOPORTI%20 2/RICICLAGGIO.pdf (si veda in particolare la tabella a pag. 11).

Inoltre, sul sito EAPA.org (European Asphalt Pavemenet Association), il principale referente e fonte più autorevole del settore, sotto la voce “asphalt” sono riportati, anno per anno, gli “Asphalt in figures” ovvero i documenti statistici elaborati dall’Associazione che, partendo dall’analisi dei singoli Paesi, arriva ad una posizione unitaria europea. Da tale sito si apprende che l’utilizzo del “fresato d’asfalto”, in Europa, è praticato da altre 30 anni. In particolare con riferimento all’impiego di fresato avvenuto nell’anno 2009, si apprende che l’Italia, subito dopo la Germania, è il paese che produce più fresato in assoluto 12.000.000 di t (da anni non si fanno più nuove costruzioni stradali ma si continua a lavorare su quelle esistenti che, essendo sottoposte a notevole traffico, subiscono una maggiore usura e necessitano di rifacimento mediante anche asportazione del vecchio). Ma, nonostante questa grande disponibilità di materiale, se ne recupera, al massimo, il 20%, contro l’82% della Germania. Anche l’Olanda riutilizza moltissimo il fresato, il 74% su una disponibilità di 4500.000 ton. (notevole per un paese grande quanto la Lombardia). Con percentuali molto alte troviamo altresì l’Austria, con l’ 85% e la Svezia, con il 75.

Le tecnologie (per il reimpiego) più sofisticate sono state messe a punto soprattutto in quei paesi dove la carenza di materie prime è notevole (Olanda). La pratica tuttavia è diffusa ovunque, perché ormai, il problema del risparmio delle risorse del pianeta è una priorità non rinviabile e riguarda tutti i paesi industrializzati. Detto sito riporta numerosi documenti tecnici che certificano l’uso di tale prodotto e ne promuovono le tecnologie di riutilizzo (si cita a titolo di esempio: Recycling of asphalt mixes .... -2004, Asphalt paving industry- 2009, Arguments to stimulate the governmet to promote asphalt reuse and recycling-2008, ecc), con un chiaro riferimento al reimpiego del fresato, senza alcuna distinzione tra reimpiego in loco o presso altri siti.

12 Basti qui richiamare le tappe principali dell’evoluzione - sia giurisprudenziale che legislativa - che ha condotto a non considerare più come ostativo, per la configurabilità del sottoprodotto, il suo utilizzo in un ciclo produttivo diverso da quello che lo ha generato (o la sua commercializzazione da parte di soggetti terzi rispetto al produttore dello stesso).

L’impulso a tale percorso evolutivo è stato impresso, in primo luogo, dalla giurisprudenza comunitaria la quale ha mostrato una graduale “apertura” verso la possibilità di comprendere nella nozione di sottoprodotto anche il riutilizzo presso terzi. Basti qui richiamare la giurisprudenza della Corte lussemburghese che ha riconosciuto la qualifica di sottoprodotto a materiali (combustibili, letame/fertilizzante, pet coke, ecc.) che venivano riutilizzati:

a) in distinto e diverso processo produttivo, rispetto a quello di origine;

b) in luogo diverso da quello di produzione del sottoprodotto;

c) a imprese distinte da quella del produttore (cioè da terzi; negli stessi termini si era espressa la Commissione CE, nella nota “Comunicazione interpretativa sui rifiuti e sottoprodotti” del 21 febbraio 2007, cit.).

Sulla scia delle elaborazioni della Corte di Giustizia Europea, è stata dunque modificata l’originaria definizione normativa di sottoprodotto, recata dal D.lgs. 152/2006 e, con il “secondo correttivo” del TUA (il D.lgs. 4/2008), si è introdotta una nuova nozione, affidata all’art. 183, comma 1, lett. p , nella quale si richiedeva che l’impiego (del sottoprodotto) avvenisse “direttamente nel corso del processo di produzione o utilizzazione preventivamente individuato e definito”.

Tale nuova formulazione, pur avendo eliminato il riferimento all’impiego direttamente nel consumo (per il consumo) del sottoprodotto, scontava il limite di non precisare però se il ciclo produttivo di reimpiego dovesse coincidere, sempre e comunque, con quello di origine e si esponeva così a diverse interpretazioni.

L’opzione ermeneutica che, nella lettura giurisprudenziale dell’art. 183 cit., andò progressivamente affermandosi fu quella di non ritenere necessario che “l’utilizzazione del materiale da qualificarsi sottoprodotto” avvenisse “nello stesso processo produttivo da cui ha avuto origine, essendo invece sufficiente che il processo di utilizzazione, peraltro integrale del sottoprodotto sia stato preventivamente individuato e definito”.

Nel solco di tale orientamento si è giunti poi all’espresso riconoscimento normativo (da parte del legislatore dapprima comunitario e poi nazionale) dalla possibilità di un utilizzo del sottoprodotto anche “nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi”. Questo è infatti quanto si legge sia nell’art. 5 della Dir. 19.11.2008 n. 2008/98/CE che nel citato art. 184-bis, recentemente introdotto nel TUA a seguito del terzo correttivo (il D.lgs. 205/2010).

 

13 Ai sensi dell’art. 184-bis comma 2 del TUA, “sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria”.