Dopo gli undici blitz contro il carbone, alla vigilia del anniversario dell'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, Legambiente presenta il dossier Stop al Carbone, per salvare il Pianeta file pdf
Si va dalle due centrali di Brindisi a quella di Fiume Santo in Sardegna. Dall'impianto di Vado Ligure in provincia di Savona a quelli di Fusina e Marghera a due passi da Venezia. Sono in totale 12 le centrali che in Italia bruciano carbone, contribuendo a poco meno del 15% della produzione elettrica nazionale. Le loro emissioni di anidride carbonica non passano ovviamente inosservate, visto che bruciano il combustibile fossile a maggior emissione specifica di CO2: secondo i dati del registro europeo Eper nel 2004 sono stati emessi oltre 44 milioni di tonnellate di CO2 (MtCO2), pari al 33% di quello emesso dalle grandi centrali termoelettriche (133 MtCO2) e al 7,5% del totale nazionale (583).
Un contributo, quello del carbone, tutt'altro che irrilevante in un contesto nazionale di forte ritardo dell'Italia rispetto agli obblighi di riduzione previsti dal Protocollo di Kyoto (-6,5% rispetto alle emissioni del 1990 - da raggiungere entro il 2012 - mentre al 2004 il dato italiano era +12,2%, obbligandoci quindi a ridurre del 18,7% totale nei 7 anni restanti).
Per invertire la rotta ci saremmo aspettati già negli anni scorsi una politica energetica nazionale diversa. In realtà non è andata così. E' per questo che il 10 febbraio 2007, dopo oltre due anni, Legambiente è scesa in piazza una seconda volta per ribadire il suo "No al carbone".
Sono stati 11 i blitz pacifici in tutta Italia e hanno riguardato le centrali in riconversione, come Civitavecchia, quelle il cui destino "nero" è stato già prefigurato dalla proprietà, come Rossano Calabro, Piombino o Milazzo, le centrali che da tempo bruciano carbone e che verranno addirittura ampliate, come quella sarda di Fiume Santo, quelle il cui progetto di riconversione a metano non decolla per lentezze burocratiche della procedura di Via, come la centrale di Monfalcone, o quella che da sola emette oltre un terzo della CO2 totale emessa da tutte le centrali a carbone attive nel nostro paese, e cioè Cerano - Brindisi Sud. Con l'aggiunta quest'anno di un nuovo blitz alla centrale di Gela, che non brucia il carbone ma il pet-coke prodotto dalla vicina raffineria dell'Eni.
Un contributo, quello del carbone, tutt'altro che irrilevante in un contesto nazionale di forte ritardo dell'Italia rispetto agli obblighi di riduzione previsti dal Protocollo di Kyoto (-6,5% rispetto alle emissioni del 1990 - da raggiungere entro il 2012 - mentre al 2004 il dato italiano era +12,2%, obbligandoci quindi a ridurre del 18,7% totale nei 7 anni restanti).
Per invertire la rotta ci saremmo aspettati già negli anni scorsi una politica energetica nazionale diversa. In realtà non è andata così. E' per questo che il 10 febbraio 2007, dopo oltre due anni, Legambiente è scesa in piazza una seconda volta per ribadire il suo "No al carbone".
Sono stati 11 i blitz pacifici in tutta Italia e hanno riguardato le centrali in riconversione, come Civitavecchia, quelle il cui destino "nero" è stato già prefigurato dalla proprietà, come Rossano Calabro, Piombino o Milazzo, le centrali che da tempo bruciano carbone e che verranno addirittura ampliate, come quella sarda di Fiume Santo, quelle il cui progetto di riconversione a metano non decolla per lentezze burocratiche della procedura di Via, come la centrale di Monfalcone, o quella che da sola emette oltre un terzo della CO2 totale emessa da tutte le centrali a carbone attive nel nostro paese, e cioè Cerano - Brindisi Sud. Con l'aggiunta quest'anno di un nuovo blitz alla centrale di Gela, che non brucia il carbone ma il pet-coke prodotto dalla vicina raffineria dell'Eni.