Il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante nel Decreto Sblocca Italia.

di Antonio VERDEROSA

La disciplina del cambio destinazione uso, con o senza opere, è da sempre caratterizzata da incertezze normative, intepretative ed applicative, purtroppo generate dalle svariate (e per nulla organiche) discipline regionali, in uno alla frammentazione delle regole locali contenute negli strumenti urbanistici comunali.

Il punto centrale della tematica è determinato dalla variazione dei carichi urbanistici e quindi dalla necessità di adeguamento degli standard che i cambi d’uso, anche in assenza di opere, possono generare.

È possibile modificare la destinazione d'uso di un immobile tramite opere ed interventi edilizi realizzati sulla base di una semplice denuncia di inizio attività qualora la nuova destinazione rientri tra quelle «compatibili» , cioè funzionalmente omogenee dal punto di vista urbanistico. La questione centrale è determinata dalla variazione dei carichi urbanistici, e quindi dalla necessità di adeguare gli standard urbanistici le dotazioni territoriali che il cambio destinazione uso (anche in assenza di opere), può generare. Prima della riforma introdotta dall’art. 17, comma1, lettera n) del Decreto Legge n°133/2014 (c.d. “sblocca Italia”) convertito con modificazioni dalla L. 11.11.2014, n°164 il D.P.R. 380/2001 la disciplina dei cambi d’uso era contenuta in due articoli :

1. l’art. 10, comma 2, per effetto del quale è attribuito alle Regioni stabilire quali mutamenti della destinazione d’uso, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio di attività (ora SCIA), con previsione comunque del permesso di costruire per i cambi d’uso connessi ad opere di ristrutturazione edilizia nei centri storici (comma 1 lett. c)).

2. l ’articolo 32, comma 1 lett. a) in virtù del quale è variazione essenziale al progetto approvato il cambio destinazione uso che implichi variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444 .

La legge n. 164/2014 ha inserito nel D.P.R. 380/2001 l’art. 23-ter1 titolato “Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante” il quale indica le regole sui cambi d’uso.  Obiettivo della norma è quello di uniformare le differenti normative regionali e semplificare l’applicazione della disciplina.

La nuova disposizione statale sui cambi d’uso è stata emanata quale norma di semplificazione e liberalizzazione e dunque determina livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da assicurare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, a termine dell’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione.

Tale norma introduce infatti disposizioni di dettaglio che “trovano applicazione diretta” dopo 90 giorni dalla loro entrata in vigore, e quindi dal 10 febbraio 2015 in assenza di una legge regionale di recepimento.

L’art. 23-ter si articola in tre commi. Il primo comma definisce quale mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante2 ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, con o senza opere, che comporti il passaggio ad una diversa categoria funzionale, tra le cinque seguenti: 1) residenziale 2); turistico-ricettiva; 3) produttiva e direzionale; 4) commerciale; 5) rurale. La novità introdotta è che il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante si può effettuare anche con SCIA (onerosa) pur comportano un incremento delle dotazioni territoriali.

Sul punto è opportuno fare i dovuti approfondimenti in quanto, la legislazione urbanistica statale non contiene una disciplina organica delle destinazioni d'uso, ma si limita a dettare singole disposizioni.

L'articolo 10 del D.P.R. n. 380/2001 dispone che ….le Regioni stabiliscano con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso degli immobili o di loro parti sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività… .

L'articolo 19, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 prescrive che il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali o allo svolgimento di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari all'incidenza delle opere di urbanizzazione nonché una quota non superiore al 10% del costo documentato di costruzione. Il comma 3 dell’art. 23 ter prevede che qualora la destinazione d'uso delle costruzioni non destinate alla residenza, nonché quelle nelle zone agricole, venga comunque modificata nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori, il contributo di costruzione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento dell'intervenuta variazione.

Ai fini della determinazione del cambio d’uso urbanisticamente rilevante bisogna analizzare sia il D.M. n°1444/1968 che l’art. 32 del D.P.R. 380/2001.

Il D.M. indica i rapporti tra gli spazi pubblici e le differenti categorie di destinazione d'uso distinguendo tra insediamenti residenziali e produttivi comprensivi di quelli industriali, commerciali e direzionali.

Mentre l'articolo 32 del TU Edilizia ricomprende tra le variazioni essenziali il mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standard e delle dotazioni territoriali previsti dal D.M. n° 1444/1968.

Si può infatti notare che il legislatore statale propugni una complessiva semplificazione della disciplina delle destinazioni d’uso, richiedendo che si riconosca un diverso carico urbanistico solo in caso di passaggio da una all’altra delle categorie funzionali, e richieda di liberalizzare il passaggio da un uso all’altro all’interno della medesima categoria, ad esclusione dei casi in cui la pianificazione urbanistica introduca limitazioni e condizioni per specifiche esigenze di interesse pubblico. Tuttavia prendendo atto che una tale innovazione necessita di una complessiva riconsiderazione della disciplina urbanistica ed edilizia che attiene alle dotazioni territoriali e pertinenziali richieste, ma anche al contributo di costruzione dovute, il legislatore statale subordina la effettiva operatività delle auspicate semplificazioni in materia all’introduzione di una legge regionale di adeguamento, fatti salvi i casi in cui manchi una disciplina di dettaglio regionale o i piani non presentino una disciplina delle destinazioni d’uso ammissibili.

Sulla base di queste indicazioni sono state emanate numerose leggi regionali sulla materia nonché diverse delibere comunali (di dubbia interpretazione) che hanno portato ad una vasta diversificazione delle destinazioni d'uso.

Dunque il cambio destinazione uso urbanisticamente rilevante è solo quello che comporta il passaggio tra l’una e l’altra delle cinque categorie funzionalmente autonome indicate dal 1 comma dell’art. 23 ter, indipendentemente dalla realizzazione o meno di opere. In tal modo è assicurata tutela alla zonizzazione e controllo sull’adeguatezza degli standard in relazione all’incidenza dei diversi usi. All’interno della stessa categoria le destinazioni d’uso sono ritenute urbanisticamente omogenee, in quanto determinano carichi urbanistici sostanzialmente equivalenti. I Comuni possono dettagliare le tipologie delle destinazioni uso degli immobili all’interno della stessa categoria funzionale (es. prevedendo gli usi di studi professionali, ambulatori, palestre, artigianato, ecc.) ma non possono modificare le “categorie funzionali” che devono essere solo quelle (cinque) stabilite dalle legge.

Nel caso della modificazione della destinazione d’uso cui si correla un maggior carico urbanistico è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelle, se più elevati dovuti per la nuova destinazione impressa (cfr. C. di S. Sez. V, 30 agosto 2013, n° 4326) .

Il comma 2 dell’art. 23 indica il criterio per l’attribuzione della destinazione d’uso: “…La destinazione d’uso di un fabbricato o di unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile..”. In presenza quindi di una “destinazione mista” nell’ambito di uno stesso fabbricato o di una unità immobiliare, la norma statale chiarisce che la destinazione d’uso è quella che risulta prevalente in termini di quantità di superficie utile, ossia quella equivalente ad almeno il 50,1%. La superficie da considerare sarà quella autorizzata dal titolo abilitativo, ivi compreso eventuali accertamenti di conformità urbanistico-edilizia, non potendosi considerare usi in atto in contrasto con i titoli edilizi. In assenza di titolo abilitativo si farà riferimento alla classificazione catastale attribuita in sede di primo accatastamento ovvero ad altri documenti probanti . La definizione di superficie utile cui fare riferimento, nel silenzio della disposizione, sarà quella delle norme tecniche degli strumenti urbanistici comunali.

Il criterio della prevalenza ha il pregio, oltre di essere facilmente applicabile, anche di consentire che la restante parte del fabbricato o dell’unità immobiliare abbia una destinazione funzionale diversa, senza che ciò influisca sulla destinazione che assume rilievo ai fini di legge. Anche questa previsione, laddove indirettamente consente che utilizzi diversi convivano nel medesimo immobile ma che solo quello prevalente incida sulla qualificazione in termini di destinazione d’uso, è quindi da ricondurre all’intento del legislatore di agevolare, e quindi incentivare, gli interventi di trasformazione e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente.

Il comma 3 così dispone: “…Le regioni adeguano la propria legislazione ai principi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito…”. Alle Regioni è dunque assegnato il termine di giorni novanta dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (12 novembre 2014, ) entro il quale adeguare la propria legislazione ai principi della legge statale. Stante l’atavico immobilismo legislativo in materia delle Regioni, senza alcun adeguamento normativo nei termini indicati, trova diretta applicazione la disposizione statale contenuta nell’art. 23 ter a partire dal 10 febbraio, con l’automatica sostituzione delle differenti normative regionali e delle normative dei piani urbanistici comunali .

Si pensi che la Regione Campania su questa materia è inerte da un trentennio, cioè sin dall’entrata in vigore della Legge 28 febbraio 1985, n° 47 ”Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia. Sanzioni amministrative e penali, ” per non aver determinato (senza comprenderne le ragioni) le “variazioni essenziali” di cui all’art. 7 (norma poi trasfusa nell’art. 32 del D.P.R. 380/2001), generando a dismisura contenziosi amministrativi e penali.

L’ultima parte del comma, che se da un lato afferma il principio che il cambio destinazione uso all’interno della stessa categoria funzionale, è sempre ammesso, dall’altro fa salva la diversa previsione delle disposizioni regionali e degli strumenti urbanistici comunali. La contraddizione indebolisce la ratio di semplificazione della disposizione e non appare comprensibile considerato che solo poche regioni avrebbero legiferato in merito.

Il Decreto Legge n°133/2014, nella originaria versione, accorpava alcune categorie ai fini della destinazione d'uso. Infatti equiparava quella residenziale con la turistico-ricettiva e quella produttiva con la direzionale. Mentre mantenevano la propria individualità le destinazioni commerciale e rurale. In tal modo, si intendeva agevolare l'utilizzazione pluri-funzionale degli edifici nel tempo, che avrebbe dovuto avere effetti benefici anche sul consumo del suolo ai fini di una sua riduzione.

Si prospetta, ad avviso di chi scrive, la necessità di adeguamento degli standard urbanistici che deve trovare la sua soluzione immediata nella revisione degli strumenti generali di pianificazione al fine di un doveroso incremento delle dotazioni territoriali.

Dal punto di vista della corresponsione del contributo concessorio l'art. 19 del T.U.E. raggruppa le attività turistiche, commerciali e direzionali, distinguendole dal residenziale e dall'industriale, per cui si potrebbe porre un problema di conguaglio degli oneri nel caso di mutamento di destinazione d'uso ai sensi del 23 ter. In alternativa deve essere rivista la disciplina degli standard urbanistici e del contributo di costruzione alla luce del nuovo raggruppamento delle destinazioni d'uso.

In sede di conversione in legge del decreto è stata, ripristinata la differenziazione (doverosa ad avviso chi scrive) tra residenziale e turistico-ricettiva. Destinazioni che nel testo vigente non appartengono più alla stessa categoria funzionale rivestendo una disciplina autonoma e duale.

Le nuove categorie individuate risultano importanti anche ai fini della qualifica del mutamento d'uso, in quanto lo stesso è da considerarsi rilevante solo se l'utilizzazione comporti l'assegnazione ad una categoria funzionale diversa da quella originaria. Tale fattispecie è indipendente dall'esecuzione o meno di opere edilizie e può riferirsi all' immobile nella sua interezza od alla singola unità immobiliare. Ciò può porre problemi di coordinamento con quelle poche leggi regionali che disciplinano in modo diverso il mutamento d'uso, anche sotto l'aspetto del titolo abilitativo necessario a seguito dell'aumento del carico urbanistico, nonché relativamente all'utilizzazione diversa di una parte dell'unità immobiliare. Da ciò il decreto fa discendere che il mutamento di destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.

La nuova disposizione afferma che la destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superfici, senza specificare se ci si riferisce al 50, 1% o ad altri criteri3. Ciò vuol dire che la destinazione della parte residuale può essere diversa da quella della categoria principale, ma essere consentita, in quanto quella che rileva è la destinazione principale.

E’ principale la destinazione d'uso qualificante; è complementare od accessoria o compatibile qualsiasi ulteriore destinazione d' uso che integri o renda possibile la destinazione d'uso principale o sia prevista dallo strumento urbanistico generale a titolo di pertinenza o custodia.

Sul mutamento di destinazione d'uso urbanisticamente rilevante ed alla ammissibilità della variazione all'interno della stessa categoria funzionale, il decreto afferma che sono fatte salve disposizioni regionali diverse rispetto a quelle fissate a livello statale. In proposito si pone il problema interpretativo se tale previsione si riferisca alle normative regionali già emanate od a quelle da emanarsi.

Nel primo caso gli effetti innovativi del decreto sarebbero alquanto limitati, poiché quasi tutte le Regioni sono dotate di una autonoma disciplina. Nell'altro caso, la possibilità offerta alle Regioni potrebbe essere l'occasione per riconsiderare la disciplina vigente alla luce dei nuovi indirizzi statali che individuano i principi generali della materia da declinarsi da parte delle regioni con nuove disposizioni, operando nel frattempo le norme statali.

Nella conversione in legge del decreto è intervenuto un chiarimento sul tema accogliendo sostanzialmente il secondo indirizzo esposto. Difatti, si afferma che le Regioni adeguano entro novanta giorni la loro legislazione ai principi fissati nel decreto, i quali sono sospesi e trovano diretta applicazione solo se le Regioni non adempiono entro il termine assegnato.

È da sottolineare che è riconosciuta potestà ai comuni in merito all'ammissibilità dei mutamenti all'interno della stessa categoria funzionale, ma non relativamente all'individuazione del mutamento urbanisticamente rilevante. Ciò vuol dire diversificare di nuovo a livello territoriale le soluzioni operative, mettendo in discussione la portata innovativa del decreto in merito al regime delle destinazioni d'uso e della loro variazione che potrebbe, invece, avere effetti positivi sugli interventi di riqualificazione urbana.

In conclusione le novazioni introdotte dall’art. 23 ter del T.U.E. nel definire quale mutamento d’uso rilevante, quello subordinato a titolo edilizio (anche oneroso) dispongono, che è consentito solo verso usi ritenuti ammissibili dal piano urbanistico a condizione che sussistano le dotazioni territoriali e pertinenziali di standard derivanti dal maggior peso insediativo che si otterrà con la trasformazione dell’immobile.

Antonio Verderosa

architetto

1 Art. 23-ter

Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante

1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali,costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

  1. residenziale e turistico ricettiva;

  1. residenziale;

a-bis) turistico-ricettiva;

  1. produttiva e direzionale;

  2. commerciale;

  3. rurale.

2. La destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.

3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai principi del presente articolo entro 90 giorni dalla data della relativa entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni di cui al presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento del­ la destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.

2 Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (si veda ad esempio Consiglio di Stato, Sezione V, 1650/2010, 498/2009; Tar Lazio-Roma, 4622/2011; Cassazione penale, Sezione III, 20350/2010) ……il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico dovendosi in tal caso verificare la variazione del carico urbanistico e la rilevanza ai fini delle differenti dotazioni di standard riconducibili alle varie tipologie d'uso, posto che nell’ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico costruttivi, stante le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria. Peraltro, in questo caso, la modifica d’uso non dovrebbe comportare il pagamento di un ulteriore contributo di costruzione. …..



3 Relativamente alla modifica di destinazione d'uso da albergo a residenza, si deve sottolineare che l'articolo 31 del D.L. n° 133/2014 disciplina i “cond-hotel” che integrano gli esercizi aperti al pubblico ed unità a destinazione residenziale entro il limite del 40% della superficie. Con successivo decreto sono stabilite le modalità per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera limitatamente alla quota del 40% nei casi di interventi su edifici esistenti e per la restituzione di eventuali contributi pubblici percepiti.