Corte costituzionale n.160 del 31 ottobre 2025
Oggetto: Beni culturali - Uscita dal territorio nazionale - Previsione che consente all’ufficio di esportazione della Soprintendenza, all’atto di ricezione della autodichiarazione finalizzata al trasferimento di opera all’estero, di avviare il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 42 del 2004, solo nell’ipotesi in cui la medesima ricada nella fattispecie ex art. 10, c. 3, lett. d-bis), del medesimo decreto legislativo (vale a dire "le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione") e non anche nelle altre ipotesi di cui all’art. 10, c. 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 - Denunciata disciplina manifestamente irragionevole visto il confronto con gli artt. 13, c. 1, e 65, c. 1, del medesimo decreto legislativo i quali operano un richiamo omnicomprensivo al c. 3 dell’art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004, senza enucleare un regime differenziato per la fattispecie di cui alla lett. d-bis) del c. 3 dell’art. 10 di tale decreto legislativo - Normativa illogica che dà luogo a una disparità di trattamento - Assenza di una ragione per la quale, a fronte del medesimo concreto valore del bene, il suo regime di tutela dipenda esclusivamente dalla circostanza se sia stato o meno attivato il procedimento semplificato ex c. 4-bis del citato art. 65 - Introduzione di un novella legislativa che travalica la sua finalità di semplificazione procedimentale, divenendo strumento di parziale liberalizzazione del settore - Detrimento del primario bene costituzionale dell’integrità della cultura - Violazione del patrimonio storico e artistico della Nazione.
Dispositivo: non fondatezza nei sensi di cui in motivazione - inammissibilità
SENTENZA N. 160
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), come aggiunto dall’art. 1, comma 175, lettera g), numero 3), della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), promosso dal Consiglio di Stato, sezione sesta, nel procedimento vertente tra Ministero della cultura e M. L. srl, con ordinanza del 17 gennaio 2025, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visto l’atto di costituzione di M. L. srl;
udito nell’udienza pubblica del 24 settembre 2025 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;
udito l’avvocato Alfonso Celotto per M. L. srl;
deliberato nella camera di consiglio del 24 settembre 2025.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza del 17 gennaio 2025, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 2025, il Consiglio di Stato, sezione sesta, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 9, primo e secondo comma, e 97, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), come aggiunto dall’art. 1, comma 175, lettera g), numero 3), della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), nella parte in cui «consente all’ufficio di esportazione, all’atto della ricezione della autodichiarazione finalizzata al trasferimento di [un’]opera all’estero, di avviare il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale […] solo nell’ipotesi in cui la medesima ricada nella fattispecie ex art. 10, comma 3, lett. d-bis) […] e non anche nelle altre ipotesi di cui all’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004».
1.1.− L’art. 65, comma 4-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004 disciplina il procedimento per l’uscita dal territorio della Repubblica dei beni “di rilievo culturale” esclusi (art. 65, comma 4) dalla necessità della previa autorizzazione al trasferimento (art. 65, comma 3), richiedendo piuttosto a tal fine la presentazione all’ufficio di esportazione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio. A tale regime di esportazione semplificata soggiacciono gli oggetti d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni (art. 65, comma 4, lettera a, che richiama l’art. 11, comma 1, lettera d) nonché le cose – come quella oggetto di controversia nel giudizio a quo − che siano «opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore ad euro 13.500 […]» (art. 65, comma 4, lettera b, del d.lgs. n. 42 del 2004).
Nella parte censurata, la disposizione prevede che «[i]l competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d-bis), avvia il procedimento [per la dichiarazione dell’interesse culturale], che si conclude entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione».
A sua volta, il richiamato art. 10, comma 3, lettera d-bis), del d.lgs. n. 42 del 2004 dispone che, tra gli altri, sono beni culturali – quando sia intervenuta la «[d]ichiarazione dell’interesse culturale» prevista dall’art. 13 dello stesso decreto – «le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione».
1.2.− Il giudice amministrativo è chiamato a decidere dell’appello proposto dal Ministero della cultura avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione seconda quater, 15 dicembre 2023, n. 19029), con la quale era stata accolta l’impugnazione da parte della società proprietaria di una miniatura del XVI secolo raffigurante una Madonna con bambino («Madonna dei fusi»): 1) dell’atto con il quale l’ufficio esportazione aveva dato avvio al procedimento di dichiarazione d’interesse culturale; 2) del provvedimento del 4 gennaio 2022 del Segretariato regionale per la Liguria del Ministero della cultura di dichiarazione dell’interesse culturale del dipinto in quanto di interesse culturale particolarmente importante ex art. 10, comma 3, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004; 3) dell’art. 7, comma 3, del decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 17 maggio 2018, n. 246 (Condizioni, modalità e procedure per la circolazione internazionale di beni culturali), delle cui prescrizioni procedimentali i suddetti atti avevano fatto applicazione.
L’opera era stata acquistata ad un’asta al prezzo di euro 9.000 e, al fine del suo trasferimento all’estero la società aveva presentato all’ufficio di esportazione territorialmente competente la dichiarazione prevista dall’art. 65, comma 4-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004 e non la richiesta della previa autorizzazione in quanto da essa sottratta, ai sensi del precedente comma 4, lettera b), dell’art. 65 perché «opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risal[e] ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore ad euro 13.500».
Il dicastero appellante aveva lamentato l’erroneità della pronuncia di primo grado nella parte in cui, in accoglimento del primo motivo di ricorso, aveva ritenuto illegittima la disposizione di rango secondario laddove consente, in sede di esportazione dei beni culturali di valore inferiore a euro 13.500, l’adozione della dichiarazione di interesse culturale non solo nel caso − espressamente previsto dalla disposizione codicistica − dell’art. 10, comma 3, lettera d-bis), vale a dire delle «cose mobili di “interesse eccezionale”», ma anche, in via aggiuntiva rispetto alla norma primaria, «nelle altre ipotesi previste dal citato art. 10, co[mma] 3», compresa quella «di cui alla lett[era] a), relativa alle cose mobili di “interesse particolarmente importante”».
1.3.− In punto di rilevanza, il rimettente afferma di dover fare necessaria applicazione nello scrutinio dell’appello dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto esso ha costituito il parametro di legittimità che il TAR Lazio ha ritenuto essere violato dall’art. 7, comma 3, del d.m. n. 246 del 2018 conseguentemente annullato. L’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale condurrebbe a elidere il riscontrato contrasto tra la norma primaria e la norma secondaria e, dunque, a respingere – in riforma della sentenza di primo grado – la domanda di annullamento del regolamento. Ciò «salva la necessità dello scrutinio, nella prosecuzione del giudizio, dell’ulteriore profilo di doglianza dell’unico motivo di appello e dei motivi riproposti» dalla parte appellata ai sensi dell’art. 101, comma 2, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
1.4.− Il giudice a quo antepone all’illustrazione delle censure l’inquadramento normativo in cui si colloca la norma censurata e, dunque, la disciplina dettata dall’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004 in ordine all’«[u]scita definitiva» dal territorio della Nazione «dei beni che rivestono (ovvero possono rivestire) interesse culturale».
In proposito il Consiglio di Stato rammenta che, secondo la lettera della disposizione codicistica, deve distinguersi nell’ambito dei beni che «rivestono [o possono rivestire] interesse culturale»:
− una categoria di beni mobili di cui è sempre vietata l’uscita definitiva (art. 65, commi 1 e 2), tra i quali sono ricompresi i beni per cui è intervenuta la dichiarazione dell’interesse culturale (di cui al combinato disposto degli artt. 10, comma 3, e 13);
− i beni per i quali non sia intervenuto tale provvedimento dichiarativo, ma per i quali il trasferimento all’estero è condizionato all’ottenimento di una autorizzazione preventiva (art. 65, comma 3). Sono soggetti a questo regime, in particolare, le «cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore, fatta eccezione per le cose di cui all’allegato A, lettera B, numero 1, sia superiore ad euro 13.500»;
− ancora, i beni non vincolati che − a seguito delle modifiche apportate dalla novella di cui alla legge n. 124 del 2017 – possono essere esportati secondo un regime semplificato che prevede la presentazione da parte dell’interessato di «dichiarazione ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che le cose da trasferire all’estero rientrino nelle ipotesi per le quali non è prevista l’autorizzazione» (art. 65, comma 4-bis). Tale semplificazione è prevista, tra l’altro, per le «cose che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore ad euro 13.500, fatta eccezione per le cose di cui all’Allegato A, lettera B, numero 1» (art. 65, comma 4, lettera b).
Il rimettente si sofferma sul regime di esportazione “su dichiarazione dell’interessato” nel cui ambito applicativo rientra l’opera oggetto del giudizio principale, sottolineando anzitutto che si tratta di un procedimento marcatamente semplificato e non un settore liberalizzato.
In particolare, l’amministrazione avrebbe poteri di controllo sulla dichiarazione resa dall’interessato sullo status giuridico dell’opera che si sostanzierebbero non solo nella verifica della veridicità di quanto dichiarato, ma anche, e soprattutto, nell’apprezzamento dell’eventuale interesse culturale della res.
In sede di tale secondo riscontro, il censurato art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004 – con la dizione «[i]l competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d-bis), avvia il procedimento [per la dichiarazione dell’interesse culturale]» –, secondo il Consiglio di Stato, consentirebbe all’ufficio di esportazione di avviare il procedimento di dichiarazione di interesse culturale dell’oggetto solo nel caso in cui esso ricada nella categoria di «cose» di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), del d.lgs. n. 42 del 2004 e, dunque, se ricompreso tra quelle «a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione». Al contrario, l’ufficio di esportazione non potrebbe avviare il procedimento per imprimere il vincolo culturale se la «cosa» rientri tra le ulteriori tipologie elencate nell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004.
1.5.− Alla luce della effettuata ricostruzione normativa, il giudice a quo assume che la suddetta preclusione – nell’ambito del regime semplificato di esportazione − all’avvio del procedimento di dichiarazione culturale nelle ipotesi contemplate dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, diverse da quelle della fattispecie di cui alla lettera d-bis), contrasterebbe con gli evocati parametri costituzionali.
In particolare, la norma censurata darebbe luogo a «un regime illogico», produttivo di un’irragionevole disparità di trattamento, e lesivo della tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, prevista dall’art. 9, secondo comma, Cost. nonché del principio del buon andamento, cui l’art. 97, secondo comma, Cost., sottopone l’amministrazione.
1.5.1.− Anzitutto, la limitazione al potere dell’amministrazione di imprimere il vincolo culturale − nell’ambito del procedimento semplificato di esportazione – nella sola ipotesi di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), del d.lgs. n. 42 del 2004, e non anche nelle ulteriori altre ipotesi dell’art. 10, comma 3, darebbe luogo a un irragionevole regime differenziato.
Infatti, nella disciplina del codice dei beni culturali concernente la dichiarazione di interesse culturale e il divieto di esportazione non vi sarebbe distinzione tra le varie categorie di cose elencate dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004: da un lato, ai sensi dell’art. 13, comma 1, il provvedimento di apposizione del vincolo può avere ad oggetto tutte quelle fattispecie e, dall’altro, l’art. 65, comma 1, vieta l’esportazione di tutte le cose, una volta dichiarate beni culturali. Dunque, tali disposizioni opererebbero un richiamo onnicomprensivo all’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 senza enucleare − al contrario della norma censurata − un regime differenziato per i beni mobili di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), rispetto alle altre tipologie di beni di interesse culturale.
1.5.2.− Conseguentemente, la preclusione alla dichiarabilità dell’interesse culturale nei casi di cui all’art. 10, comma 3, diversi da quello della lettera d-bis), nell’ambito del procedimento semplificato di esportazione, consentirebbe l’uscita di opere d’arte dal territorio della Repubblica con detrimento dell’integrità del patrimonio storico-artistico.
1.5.3.− Soprattutto, secondo il giudice a quo, sarebbe priva di ragione la scelta di subordinare a diverso regime di tutela la medesima cosa − quella di interesse culturale, risalente a oltre settant’anni e di valore inferiore a euro 13.500 − a seconda delle evenienze di fatto date dall’avvio o meno del procedimento semplificato per l’esportazione di cui all’art. 65, comma 4-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004.
Infatti, la stessa res, al di fuori di quel procedimento, potrebbe essere soggetta alla dichiarazione vincolistica se annoverata in qualunque delle fattispecie elencate dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, mentre, se ne sia stata presentata la dichiarazione per l’esportazione, potrebbe essere vincolata solo se qualificata come cosa di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), del d.lgs. n. 42 del 2004.
In tal modo, dunque, il regime di tutela della cosa dipenderebbe dall’iniziativa dell’interessato.
Inoltre, in questo specifico caso, la riforma della legge n. 124 del 2017, travalicando la sua finalità di semplificazione procedimentale (esplicitata nei lavori preparatori), diverrebbe «strumento di parziale liberalizzazione del settore» a detrimento del primario bene costituzionale della integrità del patrimonio culturale.
1.5.4.− In ultimo, sarebbe vulnerato il principio di buon andamento dell’amministrazione «inteso dalla giurisprudenza costituzionale come parametro di legittimità delle scelte discrezionali effettuate dal legislatore nella organizzazione degli apparati e dell’attività amministrativa […]».
1.6.− Il Consiglio di Stato per rimediare al denunciato vulnus chiede a questa Corte di caducare l’inciso «lettera d-bis» presente nell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004.
1.7.− Il giudice a quo esclude, infine, la sussistenza di margini per l’esperimento di una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata.
Infatti, sarebbe insuperabile il tenore letterale dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004 che rinvia espressamente alla sola fattispecie di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), dello stesso d.lgs. n. 42 del 2004 e non anche alle altre ipotesi contemplate dal medesimo comma 3.
Il giudice amministrativo rimettente in proposito si premura di superare la possibilità di una lettura della disposizione, come espressiva di una norma sulla sola competenza, che, in «deroga[…] al disposto del comma 6, secondo periodo, dell’art. 14 (ad avviso del quale “Per le cose di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d-bis), la dichiarazione è adottata dal competente organo centrale del Ministero”)», assegnerebbe all’ufficio di esportazione il compito di dar «avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale», secondo quanto ipotizzato dallo stesso Consiglio di Stato nella fase cautelare del giudizio.
L’ordinanza di rimessione sottolinea, piuttosto, che tale interpretazione si scontrerebbe, da un lato, con la lettera dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004 in quanto «l’intrapresa del procedimento ex art. 14 risulta strettamente agganciata (“qualora reputi che le cose possano rientrare …”) alla sussistenza dell’ipotesi di eccezionale interesse ex art. 10, comma 3, lettera d-bis) e, dall’altro, con la circostanza che l’individuazione dell’“ufficio esportazione” come competente è, altresì, accompagnata dalla previsione di uno specifico termine procedimentale (“sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione”) con finalità acceleratoria rispetto a quello generale», che piuttosto lo stabilisce in centoventi giorni (art. 14, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004 e art. 1, comma 2, in combinato disposto con il numero 1 dell’Allegato 1 al d.P.C.m. 18 novembre 2010, n. 231, recante «Regolamento di attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attività culturali aventi durata superiore a novanta giorni»).
Tale differente esegesi sarebbe, infatti, a sua volta irragionevole in quanto assoggetterebbe «la più delicata tra le fattispecie» annoverate dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 − quella, di cui alla lettera d-bis) − a una disciplina speciale che comprime i tempi d’azione dell’amministrazione, rispetto a quella generale.
2.− Si è costituita in giudizio la società proprietaria dell’opera, chiedendo, in prima battuta, che questa Corte disponga il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea per accertare la compatibilità con il diritto dell’Unione dell’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004 o che restituisca gli atti al Consiglio di Stato affinché questo valuti se sollevare la medesima questione pregiudiziale alla CGUE.
In seconda battuta, la parte ha domandato la declaratoria di inammissibilità e, nel merito, di non fondatezza delle sollevate questioni.
2.1.− La parte, dopo avere illustrato gli accadimenti fattuali e processuali della vicenda, ha anzitutto ritenuto di ostacolo alla pronuncia di illegittimità costituzionale richiesta dal giudice a quo il contrasto della disciplina nazionale sulla circolazione dei beni culturali prevista «all’art. 65» del d.lgs. n. 42 del 2004 con il principio del libero scambio delle merci sancito dagli artt. 34 e 35 del Trattato sul funzionamento dellʼUnione europea, salve le deroghe espresse dal successivo art. 36.
La difesa in proposito premette di avere sollecitato il Consiglio di Stato rimettente, e prima ancora il TAR, allo stesso rinvio pregiudiziale, ma di non avere ricevuto risposta e di volerla, pertanto, reiterare a questa Corte.
In particolare, l’atto difensivo contesta la soglia eccessivamente bassa fissata dal legislatore italiano in euro 13.500 – inferiore di circa 20 volte a quella posta dalla Francia e circa 10 volte a quella fissata dalla Germania − per individuare i beni trasferibili all’estero su preventiva autorizzazione della p.a.
Argomenta a sostegno dell’istanza: 1) che i «beni culturali» devono essere equiparati alle «merci»; 2) che i limiti alla loro circolazione devono essere giustificati dalla presenza di interessi nazionali ritenuti eccezionalmente meritevoli di tutela, i quali nel settore del mercato dell’arte si sostanzierebbero in motivi di protezione del patrimonio culturale nazionale; 3) che tale «eccezione culturale», affinché non sia elusiva della regola del libero commercio da parte degli Stati membri, deve essere interpretata secondo i princìpi di proporzionalità, necessità e non discriminazione; 4) che i limiti posti dall’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004 all’uscita definitiva dei beni culturali dal territorio italiano concretizzano una barriera alla libera circolazione dei beni culturali, non giustificata.
Osservando, tuttavia, che il dubbio di compatibilità euro-unitaria riguarda un profilo diverso dal dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal rimettente a questa Corte, chiede in via subordinata di voler disporre la restituzione degli atti al Consiglio di Stato affinché sia quest’ultimo a valutare primariamente di sollevare rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
2.2.− Ancora in via preliminare, la società ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale relative alla violazione degli artt. 97, secondo comma, e 9, primo comma, Cost., ai sensi del quale «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura […]».
L’ordinanza di rimessione non offrirebbe, infatti, alcun argomento per spiegare le ragioni del contrasto con gli evocati parametri costituzionali.
2.3.− Nel merito, la parte ha sostenuto la non fondatezza di tutte le censure.
2.3.1.− In primo luogo, la società ha dedotto che la norma censurata non darebbe luogo ad alcuna lesione del principio di buon andamento che, per contro, sarebbe compromesso – in termini di dispendio delle risorse − dalla previsione di gravosi controlli anche sui beni privi di reale importanza per il patrimonio culturale.
Piuttosto, nel senso dell’alleggerimento del lavoro della macchina amministrativa, avrebbe propriamente operato la riforma di cui alla legge n. 124 del 2017 che, da un lato, avrebbe dato luogo a una piccola liberalizzazione della circolazione dei beni di valore artistico e, dall’altro lato, avrebbe attuato la semplificazione dei procedimenti amministrativi necessari per l’esportazione, sostituendo alla autorizzazione preventiva dell’amministrazione culturale la dichiarazione dell’interessato, salvo la verifica successiva della stessa pubblica amministrazione con possibile avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale se eccezionale.
2.3.2.− In secondo luogo, la parte ha resistito alla censura di violazione dell’art. 3, primo comma, Cost.
Non vi sarebbe, anzitutto, alcuna lesione del principio di ragionevolezza.
Il legislatore, secondo una precisa scelta discrezionale e in maniera non irragionevole, con le modifiche apportate all’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004 dalla predetta riforma del 2017, avrebbe inciso sulla circolazione dei beni di valore inferiore a euro 13.500 e, dunque, di valore pecuniario esiguo, con una attenuazione dell’approccio protezionistico a vantaggio del loro sfruttamento anche economico. Il regime differenziato integrerebbe, quindi, un ragionevole equilibrio tra la tutela del patrimonio culturale (art. 9 Cost.) e la tutela della proprietà privata (art. 42 Cost.).
Ragionare diversamente, e dunque consentire l’ampliamento dei casi in cui può essere avviato il procedimento di apposizione del vincolo, tramite l’intervento auspicato dal rimettente, darebbe luogo allo «svuota[mento] di contenuto» della riforma del 2017.
Inoltre, non sarebbe neppure ravvisabile una disparità di trattamento.
Infatti, ben potrebbe la legge apprestare diversi regimi di tutela per diverse categorie di beni e/o in base a diverse circostanze, come avviene in relazione alla loro vetustà nella disciplina di apposizione del vincolo culturale e come avverrebbe, nella specie, con la distinzione nel regime di circolazione dei beni artistici a seconda della «soglia economica».
Il regime differenziato a seconda del valore economico sarebbe giustificato, considerati «la ratio delle disposizioni censurate, le finalità perseguite dal legislatore e il più ampio contesto normativo in cui tali disposizioni si collocano».
Di converso, consentire all’ufficio esportazione di avviare la dichiarazione di interesse culturale in ogni ipotesi, significherebbe parificare irragionevolmente il procedimento di circolazione per i beni «sopra [s]oglia» e «sotto [s]oglia».
2.3.3.− In terzo luogo, la società assume la non fondatezza della violazione dell’interesse alla tutela del patrimonio storico e artistico: questo non subirebbe alcun pregiudizio, attesa la riconosciuta facoltà per l’amministrazione di imporre il vincolo al riscontro dell’eccezionale interesse culturale dell’opera.
La preclusione della declaratoria vincolistica nel caso di interesse culturale «particolarmente importante» – ripete la difesa – risponderebbe ad una precisa scelta discrezionale del Parlamento conforme a Costituzione tesa ad attuare una «moderata liberalizzazione».
Di contro, l’accoglimento delle questioni restituirebbe all’amministrazione gli stessi poteri riservati ai beni di valore superiore a euro 13.500, sconfessando la scelta legislativa della riforma del 2017.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio.
4.− In vista dell’udienza pubblica, M. L. srl ha depositato memoria illustrativa in cui ha ribadito e approfondito le proprie difese.
La parte, a integrazione di quanto dedotto nell’atto di costituzione: a) ha affermato che il mancato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe giustificato non già dalla sua intenzione di non avversare la pronuncia di illegittimità costituzionale della norma, originata da un meditato percorso di riforma a favore della semplificazione internazionale, ma dalla circostanza che dall’accoglimento delle questioni sollevate deriverebbe il rigetto dell’appello promosso dal Ministero della cultura dinanzi al Consiglio di Stato rimettente; b) ha dedotto che differente sarebbe il presupposto della disciplina della tutela dei beni presenti nel territorio nazionale (artt. 10 e 13 del d.lgs. n. 42 del 2004) da quello relativo alla circolazione internazionale, improntato – a suo dire – alla considerazione di tali beni come «merci». In tale ottica sarebbe ragionevole la scelta legislativa di circoscrivere il riscontro dell’interesse culturale di tipo eccezionale per i beni di scarso valore economico; c) ha, infine, assunto che le previsioni di cui all’art. 65, commi da 1 a 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 non potrebbero essere assunte a tertium comparationis in quanto avente portata derogatoria rispetto al principio generale della libera circolazione dei beni dei privati.
Considerato in diritto
1.− Il Consiglio di Stato, sezione sesta, con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 12 del 2025), solleva, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 9, primo e secondo comma, e 97, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004, come aggiunto dall’art. 1, comma 175, lettera g), numero 3), della legge n. 124 del 2017, nella parte in cui consentirebbe all’ufficio di esportazione, cui sia presentata una dichiarazione per il trasferimento all’estero di un’opera d’arte, di dare avvio al procedimento per l’apposizione del vincolo culturale nel solo caso in cui essa rientri nella tipologia delle «cose […] che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e completezza del patrimonio culturale della Nazione» (art. 10, comma 3, lettera d-bis) e non anche se rientri nelle altre tipologie di cose elencate dal medesimo art. 10, comma, 3.
1.1.− La disposizione censurata si inserisce nell’ambito della disciplina del cosiddetto procedimento semplificato di esportazione, dettata dall’art. 65, commi 4 e 4-bis del d.lgs. n. 42 del 2004, che permette il trasferimento all’estero di alcune categorie di «cose» “di rilievo culturale”, sulla base della presentazione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da parte dell’interessato, anziché sulla base della previa autorizzazione dell’amministrazione (art. 65, comma 3; autorizzazione costituita dall’«attestato di libera circolazione» di cui al successivo art. 68). Gli oggetti “esportabili su dichiarazione dell’interessato” sono gli oggetti d’arte di autore vivente o realizzati da meno di settanta anni (art. 65, comma 4, lettera a, che rinvia all’art. 11, comma 1, lettera d) e quelli – come la miniatura del ’600 oggetto di controversia nel giudizio a quo − che siano «opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore ad euro 13.500» (art. 65, comma 4, lettera b).
In tale contesto normativo, il secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 prevede che «[i]l competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d-bis), avvia il procedimento [per la dichiarazione dell’interesse culturale di cui agli artt. 13 e 14], che si conclude entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione».
Il rimettente ricava da tale disposizione una norma di limitazione al potere dell’amministrazione di apporre il vincolo culturale (il potere di emettere la «[d]ichiarazione dell’interesse culturale», ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 42 del 2004) in sede di esportazione: nel solo ambito del relativo procedimento semplificato, l’oggetto potrebbe essere vincolato esclusivamente se annoverabile nella categoria prevista dalla lettera d-bis) dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 («le cose […] che presentano un interesse [culturale] eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione») e non anche ove ricadente nelle altre categorie contemplate dalle ulteriori lettere (a, b, c, d, ed e) dello stesso art. 10, comma 3. Ciò sebbene l’art. 13 del d.lgs. n. 42 del 2004, nel disciplinare in via generale il potere di «[d]ichiarazione dell’interesse culturale», faccia un richiamo onnicomprensivo a tutte le fattispecie elencate nell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004.
1.2.− Secondo tale esegesi, la «Madonna dei fusi», oggetto di controversia nel giudizio a quo, sarebbe stata dichiarata bene culturale − in esito al procedimento di esportazione semplificata – illegittimamente, proprio perché qualificata come opera di «interesse artistico […] particolarmente importante» di cui all’art. 10, comma 3, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004, e quindi al di fuori dell’unico caso in cui l’apposizione del vincolo sarebbe consentita dal secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 (quale opera con interesse culturale eccezionale nei termini di all’art. 10, comma 3, lettera d-bis).
1.3.− Il rimettente lamenta il contrasto della norma così ricavata con i princìpi di ragionevolezza, di tutela del patrimonio culturale, della parità di trattamento e del buon andamento, come meglio precisato nel Ritenuto in fatto.
2.− L’esame di ogni profilo preliminare e di merito del presente giudizio richiede la definizione del thema decidendum.
Benché il Consiglio di Stato censuri, in termini generali, il secondo periodo dell’art. 65, comma 4-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, la lettura della complessiva motivazione dell’ordinanza di rimessione (tra le tante, sentenze n. 36 del 2025, n. 50 del 2024 e n. 164 del 2023) conduce a una duplice perimetrazione dell’oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale.
Da un lato, le doglianze sono rivolte a questa disposizione non in relazione a tutti i casi a cui è riferita (e dunque a tutte le cose di cui alle lettere a e b del comma 4), ma in relazione alla sola fattispecie corrispondente al comma 4, lettera b), vale a dire le opere di autore non più vivente, realizzate da oltre settanta anni e di valore inferiore a euro 13.500, perché a questa categoria è riconducibile l’opera in controversia nel giudizio a quo.
Dall’altro lato, le censure non riguardano anche l’ultima parte dello stesso secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004, quella che, per il procedimento di dichiarazione di interesse culturale di eccezionale importanza di cui alla lettera d-bis), originato nel procedimento di esportazione semplificata, stabilisce un apposito termine finale, fissato in sessanta giorni, in deroga a quello generale di centoventi giorni previsto per l’apposizione del vincolo culturale (art. 1, comma 2, del d.P.C.m. n. 231 del 2010 in combinato disposto con il numero 1 del suo Allegato 1).
3.− Tanto chiarito, in via preliminare, deve essere, anzitutto, esaminata l’istanza della società M. L. srl di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE per accertare la compatibilità con il diritto dell’Unione della disciplina dettata dall’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004 nella parte in cui, individuando una soglia ritenuta eccessivamente bassa (euro 13.500) per distinguere tra gli oggetti d’arte esportabili previa autorizzazione dell’amministrazione e quelli esportabili “su dichiarazione dell’interessato”, arrecherebbe una ingiustificata restrizione al regime di circolazione dei beni culturali.
L’istanza deve essere respinta.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato non attengono all’ambito di applicabilità del regime di esportazione semplificato (art. 65, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004) – in cui è pacifico che ricada l’opera della società, del valore di euro 9.000 –, ma concernono piuttosto i limiti alla dichiarabilità dell’interesse culturale di un oggetto d’arte, ai sensi degli artt. 13 e 14 del d.lgs. n. 42 del 2004, una volta avviato il procedimento semplificato di esportazione. Dunque, l’interrogativo che si sollecita di sottoporre al giudice dell’Unione non è pregiudiziale alla decisione della questione di legittimità costituzionale che questa Corte è chiamata a decidere (si vedano, tra le altre, sentenze n. 218 del 2021, n. 239 del 2018 e n. 110 del 2015).
D’altronde, la stessa parte ammette che la questione interpretativa del diritto unionale «[tratta] di un profilo diverso da quello rilevato dal Consiglio di Stato».
3.1.− Parimenti, va rigettata la domanda subordinata di restituzione degli atti al rimettente affinché questi valuti se sollevare la suddetta questione pregiudiziale alla CGUE.
Invero, il Consiglio di Stato ha già implicitamente ritenuto ininfluente, ai fini della sua decisione, la medesima questione euro-unitaria sollecitata dalla parte anche nel giudizio a quo.
4.− Ancora in via preliminare, la società proprietaria dell’opera ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate relative alla violazione degli artt. 9, primo comma, e 97, secondo comma, Cost. per carente motivazione sulla non manifesta infondatezza.
L’eccezione è fondata.
Le censure sono prive di qualsiasi illustrazione delle ragioni per le quali il secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004 contrasterebbe con i due parametri costituzionali evocati.
In particolare, quanto alla lesione del buon andamento, il giudice a quo richiama la definizione del principio data da alcune pronunce di questa Corte, ma non si preoccupa di esporre gli argomenti per i quali la norma censurata ne sarebbe effettivamente lesiva.
Quanto alla violazione del compito della Repubblica di promuovere lo sviluppo della cultura (art. 9, primo comma, Cost.), non vi è esposizione delle ragioni della sua violazione, al contrario di quanto l’ordinanza di rimessione faccia in relazione al principio di tutela del patrimonio culturale (art. 9, secondo comma, Cost.).
Dal che consegue l’inammissibilità di tali questioni (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2025, n. 112 del 2024, n. 198 e n. 108 del 2023).
5.− L’esame del merito delle ulteriori questioni sollevate (per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 9, secondo comma, Cost.) richiede una breve ricostruzione del quadro normativo relativo alla selezione dei beni culturali “per dichiarazione”, con specifico riguardo alla categoria di cose di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), del d.lgs. n. 42 del 2004, cui il censurato art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, si riferisce.
5.1.− In particolare, l’analisi del complesso intreccio di disposizioni che connotano l’individuazione dei beni culturali (per legge, art. 3 per “presunzione di legge, salvo l’esito dell’eventuale procedimento di verifica dell’interesse culturale” e per provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, secondo quanto previsto dagli artt. 2, comma 2, 10, 11, 12 e 13 del d.lgs. n. 42 del 2004) va perimetrata a quelle – di rilievo per la presente decisione – che riguardano l’attrazione nel patrimonio storico-artistico “per dichiarazione” e, tra queste, a quelle che concernono le sole cose mobili (le uniche esportabili), di interesse artistico (i cosiddetti oggetti d’arte) e di tipo individuale: vengono così in rilievo tre distinte fattispecie normative, enunciate dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, alle lettere a), d) e d-bis).
Anzitutto, il vincolo culturale può essere impresso: 1) alle cose che presentano un «interesse artistico […] particolarmente importante» (art. 10, comma 3, lettera a), e, dunque, a “beni con interesse culturale intrinseco”. La qualifica come beni culturali per questa tipologia di cose è, però, preclusa per gli oggetti di autore vivente o “recenti” (vale a dire realizzati da meno di settanta anni) per la precisa scelta legislativa di lasciare libera da limiti la produzione e la commercializzazione delle opere di artisti in vita o il mercato di opere di artisti deceduti, ma di recente esecuzione, di cui è prematura la valutazione artistica (art. 10, comma 5, prima parte); 2) alle cose che rivestono un «interesse particolarmente importante» non di “tipo intrinseco”, ma «a causa del loro riferimento con la storia [della cultura]» ovvero perché sono «testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose» (art. 10, comma 3, lettera d). Tali “beni culturali per relazione o testimonianza identitaria” possono essere attratti al patrimonio storico-artistico a prescindere dall’epoca di esecuzione.
Inoltre, per effetto delle modifiche apportate al codice dall’art. 1, comma 175, lettera a), numero 1), della legge n. 124 del 2017, il potere di dichiarare l’interesse culturale ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 42 del 2004 è stato esteso all’ulteriore tipologia delle cose «che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione» (art. 10, comma 3, lettera d-bis). Si tratta, dunque di oggetti, che non presentano un interesse culturale di tipo intrinseco o “autoevidente” (in ragione, ad esempio, della recente esecuzione, del valore esiguo, della serialità o perché di autore straniero), ma che lo hanno in relazione “al tutto”.
In questa categoria, denominabile dei “beni di completamento”, l’attrazione al patrimonio culturale è, invece, a sua volta esclusa per gli oggetti di autore vivente e per quelli di “arte contemporanea”, e cioè realizzati da meno di cinquanta anni (art. 10, comma 5, seconda parte).
La delineazione degli aspetti sostanziali e procedimentali di tale fattispecie − su cui il rimettente non si è soffermato – risulta essenziale per l’esatta interpretazione della disposizione censurata in quanto, come si è detto, ne costituisce il precipuo oggetto.
5.1.1.− La portata dell’addizione della lettera d-bis), nel suo aspetto sostanziale, si coglie in correlazione con un altro profilo della riforma del 2017.
In particolare, l’art. 1, comma 175, lettera a), numero 2), e lettera b), della legge n. 124 del 2017 ha posto in essere un limitato intervento di liberalizzazione di una parte delle cose di “interesse culturale intrinseco”, attuato tramite l’innalzamento della “soglia di vetustà”, da quella precedente individuata in cinquanta anni, agli attuali settanta anni (artt. 10, comma 3, lettera a, e 11, comma 1, lettera d).
Ma se, per un verso, così facendo, la legge n. 124 del 2017 ha voluto esonerare dal regime di tutela le opere “recenti”, e dunque limitare il potere di dichiarare l’interesse culturale intrinseco, per altro verso, e correlativamente, ha voluto recuperare l’attrazione al patrimonio culturale di alcune di queste opere nell’estremo caso in cui ricorra l’eccezionale interesse “estrinseco” previsto dalla contestualmente introdotta lettera d-bis) per i beni realizzati da almeno cinquanta anni (e sempre salvo l’interesse relazionale di cui alla non riformata lettera d, che prescinde dall’epoca di realizzazione).
Dunque – come è confermato anche dalle preoccupazioni espresse nei lavori preparatori della legge n. 124 del 2017 − la liberalizzazione in parola è stata attenuata, e in un certo senso compensata, proprio dalla introduzione della fattispecie di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), del d.lgs. n. 42 del 2004, che consente l’apponibilità del vincolo alle opere d’arte con interesse (culturale) “di completamento” di grado eccezionale e pur se realizzate da meno di settanta anni, ma da più di cinquanta anni (art. 10, comma 5, seconda parte, del d.lgs. n. 42 del 2004).
In altre parole, come rilevato anche dalla più recente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 27 dicembre 2023, n. 11204 e 30 agosto 2023, n. 8074), l’inserimento della fattispecie in parola ad opera della novella funge da «norma di salvaguardia» per l’integrità del patrimonio storico-artistico.
5.1.2.− La peculiarità della categoria dei “beni culturali di completamento” ha, inoltre, indotto il legislatore a stabilire una speciale competenza ad adottare il provvedimento finale di apposizione del vincolo.
In deroga alla generale attribuzione del potere in parola ad uffici periferici del Ministero della cultura − attualmente individuati nelle commissioni regionali per il patrimonio culturale (in virtù del combinato disposto dell’art. 14, comma 6, primo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004 e dell’art. 21, comma 3, lettera b, del d.P.C.m. 15 marzo 2024, n. 57, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero della cultura, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell’Organismo indipendente di valutazione della performance») –, esso è attribuito al «competente organo centrale» del Ministero (art. 14, comma 6, secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004), che, secondo la attuale ripartizione delle funzioni ministeriali da parte del suddetto regolamento organizzativo, è la direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio (art. 13, comma 2, lettera v, del d.P.C.m. n. 57 del 2024).
La ratio di questa ascensione di competenza si spiega con la natura e la logica della valutazione richiesta nel riscontro dell’interesse culturale “di completamento”: l’accertamento dell’interesse culturale riportato dal singolo bene non di per sé, ma rispetto al patrimonio nel suo complesso, non può che essere condotto dall’amministrazione culturale di livello centrale, l’unica dotata della necessaria visione di insieme.
6.− Alla luce di tale quadro normativo, possono essere esaminate le censure, mosse al secondo periodo dell’art. 65, comma 4-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, di irragionevolezza, violazione del principio di tutela del patrimonio culturale e disparità di trattamento.
Le questioni non sono fondate, nei limiti e nei termini che seguono.
6.1.− La disposizione, nella porzione censurata, recita che «[i]l competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d-bis), avvia il procedimento [per la dichiarazione dell’interesse culturale di cui agli artt. 13 e 14]».
Come si è detto, il Consiglio di Stato, nell’ordinanza di rimessione, ha ritenuto «chiaro» che la congiunzione «qualora» sia stata utilizzata dal legislatore per consentire l’avvio del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale “nel solo caso in cui” sia ravvisabile l’interesse storico-artistico di tipo «eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione». In questa ottica, il tenore testuale della disposizione porrebbe una norma sostanziale che limita l’an del potere di apposizione del vincolo. Con la conseguenza che, in sede di esportazione semplificata, l’amministrazione potrebbe adottare il provvedimento vincolistico esclusivamente per le cose che presentino un interesse culturale «eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio della Nazione» e non anche negli altri casi contemplati dall’art. 10, comma 3.
Una corretta esegesi della disposizione censurata non consente, tuttavia, tale conclusione.
6.2.− Va innanzi tutto considerato che dal punto di vista letterale la congiunzione «qualora» può significare “nel caso (tra gli altri) in cui”, con la conseguenza che la formula normativa starebbe a specificare, nella ipotesi (tra le altre) in cui l’oggetto rientri nella tipologia di cui alla lettera d-bis), delle apposite regole sull’esercizio del potere di vincolo. In questa diversa prospettiva − peraltro seguita dallo stesso Consiglio di Stato nella fase cautelare del giudizio a quo – la norma avrebbe, quindi, valenza procedimentale.
E questa Corte ritiene che tale sia la corretta interpretazione, diversa da quella data dal giudice rimettente, da attribuire alla disposizione censurata, alla luce del suo inquadramento sistematico e in considerazione della sua ratio, correlata alle descritte peculiarità della fattispecie di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), del d.lgs. n. 42 del 2004, che ne è oggetto. Tale diversa lettura, coerente con gli evocati canoni costituzionali, consente altresì di superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale (tra le altre, sentenze n. 87 del 2025, n. 47 del 2024, n. 101 del 2023 e n. 65 del 2022).
7.− Partendo dal dato sistematico, il significato della disposizione non può prescindere dal suo raccordo tanto alla disciplina dettata per l’esportazione in cui è inserita (art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004), quanto alla disciplina dei beni culturali “per dichiarazione” cui è connessa (artt. 10, commi 3 e 5, 11, commi 1, lettera d, e 1-bis, 13 e 14).
Ciò, tanto più considerando che tali diversi aspetti sono tra loro collegati nella sistematica del codice dei beni culturali e trovano il punto di caduta, con riferimento alla specifica dichiarazione di interesse culturale «eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio della Nazione» (art. 10, comma 3, lettera d-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004), nella disposizione censurata.
7.1.− In termini di contesto ordinamentale, va, infatti, evidenziato che la disciplina dell’individuazione dei beni culturali costituisce il presupposto delle regole dell’esportazione: ne deriva che il sistema delineato dal d.lgs. n. 42 del 2004 risulta intrinsecamente armonico e pienamente rispettoso dell’art. 36 TFUE, il quale consente divieti o restrizioni alla esportazione degli oggetti d’arte negli altri Stati membri dell’Unione in nome della «protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale».
Tale coerenza sistematica si coglie con riguardo a due aspetti fondamentali della vigente disciplina: da un lato, dalla sola qualifica della «cosa» d’arte come «ben[e] cultural[e]» deriva il divieto della sua uscita dal territorio della Repubblica (art. 65, comma 1) e, dall’altro lato − come già evidenziato da questa Corte (sentenza n. 88 del 2025) − il controllo sulla circolazione internazionale degli oggetti di “rilievo culturale” è espressamente finalizzato «a preservare l’integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti» (art. 64-bis, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004).
In particolare, tale controllo − che va ricondotto a pieno titolo nelle funzioni di tutela del patrimonio culturale – se esercitato sulle cose d’arte che si intendono far uscire dall’Italia, di cui non sia stato ancora verificato (art. 12) o dichiarato l’interesse culturale (art. 13), è ipotesi applicativa della specifica attività di tutela «dirett[a], sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale» (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004).
Ed è proprio l’accertamento della sussistenza dell’interesse culturale che le «cose possono presentare» a costituire la condizione di «sicura appartenenza al “patrimonio culturale”» (sentenze n. 45 del 2022 e n. 194 del 2013) per i beni culturali individuati non direttamente dalla legge (artt. 2, comma 2, e 10, comma 2), ma per provvedimento di verifica o di dichiarazione (artt. 12 e 13) in esito a «specifici procedimenti e […] dettagliate procedure di ricognizione e di riscontro delle caratteristiche dei beni», affidati ad apparati muniti di conoscenze altamente specializzate (ancora, sentenza n. 194 del 2013).
Nello specifico caso della selezione dei beni culturali “per dichiarazione” di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 42 del 2004, il codice richiede all’amministrazione statale la valutazione tecnico-discrezionale di specifici elementi sostanziali dati dalla tipologia di cosa, dalla sua appartenenza, dal grado di interesse culturale (art. 10, comma 3) e (in alcuni casi) dall’epoca di realizzazione (art. 10, comma 5, la cosiddetta “soglia di vetustà”), senza, invece, dare alcun rilievo al mero valore economico, né alle circostanze di fatto relative al momento, e conseguentemente ai procedimenti, in cui le «cose» sono “intercettate” dall’amministrazione culturale.
Dunque, nel sistema codicistico non si rinvengono limiti diversi al potere di dichiarare l’interesse culturale a seconda che il bene mobile sia individuato nelle tante e diverse occasioni di espletamento delle funzioni di tutela del patrimonio culturale sul territorio nazionale o all’atto di trasferimento all’estero. Il tutto, senza contraddizione e in piena assonanza con l’essere l’appartenenza al patrimonio culturale legata in via esclusiva al riscontro dei caratteri sostanziali delle cose (artt. 10, comma 3, e 13 del d.lgs. n. 42 del 2004).
Da tale coerente contesto sistematico non dimostra di divergere la disposizione censurata, che non esprime quindi una eccezionale previsione di limite al potere di vincolo correlato al suo contesto procedimentale, distonica rispetto al sistema, né offre ulteriori indizi in tal senso.
8.− Nello stesso senso depone l’analisi della ratio dell’introduzione del censurato secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004, quale aspetto della semplificazione della esportazione delle cose “di rilievo culturale” operata dall’art. 1, comma 175, lettera g), numeri da 1 a 3), della legge n. 124 del 2017.
Il motivo che giustifica lo specifico riferimento alla categoria dei “beni culturali per completamento” nel contesto della disciplina della esportazione senza autorizzazione si ritrova ancora nella lettura complessiva della riforma del 2017, nella quale non trova conferma, in parte qua, l’intento legislativo di limitare il potere di dichiarazione dell’interesse culturale, ma emerge, piuttosto, il contrario.
Come per la liberalizzazione, il timore dell’arretramento della tutela del patrimonio storico-artistico, dovuto in questo caso alla riduzione dei controlli sul trasferimento all’estero degli oggetti d’arte, ha indotto il legislatore a far leva sulla valvola di sicurezza costituita dal vincolo per l’interesse eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione (art. 10, comma 3, lettera d-bis) e a coordinare i diversi e peculiari procedimenti.
Si noti che, per effetto della novella in particolare, è ora consentito sulla base di una dichiarazione dell’interessato, soggetta a controllo, il trasferimento all’estero per due distinti gruppi di opere d’arte: 1) quelle “recenti” (gli oggetti d’arte di autore vivente o con esecuzione inferiore – dopo la novella del 2017 − a settanta anni di cui all’art. 65, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004 che richiama l’art. 11, comma 1, lettera d), e “tendenzialmente escluse dal patrimonio culturale, salvo le eccezioni” del riscontro dell’interesse culturale estrinseco” (art. 10, comma 3, lettere d e d-bis, secondo quando evidenziato al precedente punto 5.1.1.); 2) quelle di “valore esiguo”, perché inferiore a euro 13.500, seppur “vetuste”, perché di autore non vivente, realizzate da oltre settanta anni e, dunque, ordinariamente vincolabili ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettere a), d), e d-bis) (art. 65, comma 4, lettera b).
Si tratta, evidentemente, di categorie eterogenee quanto al regime di vincolo, ma che, significativamente, trovano il loro punto di incontro nel poter divenire beni culturali se presentino l’interesse culturale di completamento di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), purché ultracinquantennali.
9.− Inserita nel contesto sistematico ed evidenziata la sua ratio, è possibile cogliere nella formulazione della disposizione tre diversi elementi che comprovano, in via dirimente, la natura procedimentale e non sostanziale del secondo periodo del nuovo comma 4-bis dell’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004.
In primo luogo, la sua sedes materiae: la dizione censurata è collocata in un comma che detta le regole procedimentali sull’uscita dall’Italia delle categorie di oggetti sottratti alla previa autorizzazione (art. 65, comma 4), con rinvio ad un apposito decreto ministeriale quanto a «procedure e […] modalità».
In secondo luogo, il legame sintattico con la norma da cui è seguita: l’ultima parte del secondo periodo del comma 4-bis disciplina il procedimento per l’apposizione del vincolo (originato da un caso di esportazione semplificata) fissando un apposito termine di sua conclusione.
In terzo luogo, il suo ambito applicativo: la norma, come si è appena visto, riguarda categorie di cose che, pur sottoposte al medesimo regime di esportazione – ma con differenze procedurali specificate dal d.m. n. 246 del 2018 − non sono tra loro omogenee quanto all’aspetto sostanziale della possibile attrazione nei beni culturali “per dichiarazione”. All’eterogeneità di ambito oggettivo del potere vincolistico non può corrispondere una limitazione trasversale, sul piano sostanziale, di tale potere.
10.− In definitiva, deve ritenersi che l’intero secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65, riportato a sistema, esprima, nell’ambito della medesima disposizione, due norme sull’esercizio del potere di dichiarare l’interesse culturale e non contenga alcuna norma che limiti siffatto potere.
Con la prima parte del periodo, il legislatore chiarisce e ribadisce che, nell’ambito dell’attività di controllo all’uscita delle cose di rilievo culturale dal territorio italiano, la competenza a dare avvio al procedimento di vincolo spetta all’ufficio di esportazione non solo nella generalità dei casi in cui il potere di dichiarare l’interesse culturale è dell’organo periferico del Ministero della cultura, cui territorialmente l’ufficio di esportazione è “legato” (vale a dire la commissione regionale per il patrimonio culturale composta, tra gli altri, dal sopraintendente che dirige la struttura ove l’ufficio di esportazione è incardinato), ma, ancora, nello speciale caso dei “beni di completamento” in cui la competenza provvedimentale è assegnata all’organo centrale dello stesso dicastero.
Nella seconda parte del periodo, è espressa la norma di maggior rilievo: il dimezzamento del termine di conclusione del procedimento di dichiarazione di interesse culturale rispetto a quello stabilito in via ordinaria.
La riduzione temporale costituisce, infatti, il punto di equilibrio nel bilanciamento tra i contrapposti beni costituzionali nella specifica fattispecie: da un lato, la protezione del patrimonio storico-artistico è garantita pur nell’estrema ipotesi in cui la cosa non presenti un “interesse culturale intrinseco” di particolare importanza, ma solo – e con grado eccezionale − nel suo nesso con il patrimonio nel suo complesso; ma, dall’altro lato, il sacrificio massimo imposto al diritto di proprietà e alla libertà di impresa nel settore, con particolare riguardo alla circolazione del bene, trova un contrappeso nella prevista rapidità della “eccezionale decisione” sul vincolo, anche per non far svanire possibili occasioni di vendita dell’opera ad acquirenti oltre confine.
Infine, la congiunzione tra le due norme (quella sull’avvio del procedimento e quella sul tempo del provvedimento) ha anche valore di raccordo tra le diverse fasi del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, imponendo all’ufficio di esportazione di trasmettere con solerzia l’istruttoria compiuta al dicastero, ai fini della adozione della decisione vincolistica di sua competenza.
11.− Il corretto significato del secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004, quale attinente al procedimento e alla competenza, è stato, d’altro canto, recepito nella disciplina attuativa dettata dagli artt. 6 e 7 del d.m. n. 246 del 2018.
12.− La ricostruzione ermeneutica della disposizione censurata come norma sull’esercizio del potere di vincolo, e non come norma che lo limita, supera poi ogni profilo di contrasto con i parametri evocati (art. 3 Cost. nei profili di ragionevolezza “di sistema” e di parità di trattamento e art. 9, secondo comma, Cost.).
12.1.− In primo luogo, l’opera come quella in controversia nel giudizio a quo – di artista deceduto, realizzata da oltre settanta anni e di valore inferiore a euro 13.500 − risulta sempre assoggettabile a vincolo in tutte le diverse ipotesi contemplate dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, a prescindere dall’evenienza procedimentale che ha consentito all’amministrazione culturale di “intercettare” il bene. In particolare − senza contraddizione nel sistema codicistico − non vigono limiti diversi al potere di dichiarare l’interesse culturale a seconda che il bene mobile sia individuato nel procedimento di trasferimento all’estero o in altre occasioni di espletamento delle funzioni di tutela del patrimonio culturale. Ciò, in perfetta coerenza con la descritta scelta normativa (artt. 10, comma 3, e 13 del d.lgs. n. 42 del 2004) − più volte valorizzata da questa Corte (sentenze n. 45 del 2022 e n. 194 del 2013) − di fondare la dichiarazione di una cosa come bene culturale sul riscontro dell’interesse culturale che essa presenta e dunque, esclusivamente in base alla valutazione dei suoi caratteri sostanziali, a prescindere dal contesto che costituisce l’occasione di tale riscontro.
12.2.− In secondo luogo, la dichiarabilità dell’interesse culturale in tutti i casi elencati nell’art. 10, comma 3, anche nel contesto del regime semplificato di esportazione, impedisce il depauperamento del patrimonio culturale dalle sue componenti, in applicazione del principio di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, sancito dall’art. 9, secondo comma, Cost. Infatti, una volta che sia dichiarato l’interesse culturale di un oggetto, a prescindere se per l’una o l’altra fattispecie contemplata dall’art. 10, comma 3, scatta l’operatività del divieto di esportazione, stabilito dall’art. 65, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 anche, in via trasversale, per i beni culturali mobili “per dichiarazione”.
12.3.− In terzo luogo, il significato solo procedimentale della norma esclude la paventata sussistenza di differenze di trattamento tra le fattispecie contemplate dalle diverse lettere dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 nella disciplina (sostanziale) di apponibilità del vincolo culturale e del conseguente divieto di esportazione.
13.− In conclusione, la disposizione censurata si presta a una interpretazione, diversa da quella posta alla base dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale, orientata alla conformità a Costituzione; da qui la non fondatezza, nei sensi indicati, delle questioni sollevate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), come aggiunto dall’art. 1, comma 175, lettera g), numero 3), della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), sollevate, in riferimento agli artt. 9, primo comma, e 97, secondo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione sesta, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004, come aggiunto dall’art. 1, comma 175, lettera g), numero 3), della legge n. 124 del 2017, sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 9, secondo comma, Cost., dal Consiglio di Stato, sezione sesta, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI




