TAR Toscana Sez. I n. 288 del 23 febbraio 2021
Beni cuturali.Rapporto di pertinenzialità

La pertinenzialità relativa alla materia della tutela dei beni culturali assume finalità e sostanza giuridica diverse dalla pertinenzialità civilistica e deve essere valutata, non in ragione del regime dominicale dei beni interessati, ma alla luce delle finalità di tutela e, soprattutto, in ragione dei “nessi” che sussistono tra i beni sotto il profilo dell’interesse culturale

Pubblicato il 23/02/2021

N. 00288/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00150/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 150 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Fondazione Marino Marini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Piero Guido Alpa, Giuseppe Morbidelli, Roberto Righi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Morbidelli in Firenze, via La Marmora 14;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Firenze, domiciliataria ex lege in Firenze, via degli Arazzieri, 4;

nei confronti

Comune di Pistoia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesca Dello Strologo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Regione Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Nicola Gentini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

del decreto del Direttore Generale del Ministero per i Beni e le attività culturali e del turismo (MIBACT) n. 1340 dell'11.11.2019 - di cui a notifica ricevuta il 3 dicembre 2019 – con il quale: a) “il provvedimento n. 558/2012 del 24.9.12 relativo al bene denominato “Palazzo ed ex Chiesa del Tau”, emesso ai sensi dell'art. 10 comma 1 D.Lgs 42/2004 e ss.mm.ii. è integrato con la dichiarazione di pertinenzialità alla proprietà comunale del suddetto immobile denominato “Palazzo del Tau” della “Collezione Marino Marini di Pistoia” così come analiticamente individuata nella relazione storico-artistica e negli elenchi dei beni”; b) Inoltre, con lo stesso atto “la suddetta “Collezione Marino Marini di Pistoia” è (stata) dichiarata di eccezionale interesse storico artistico e di interesse particolarmente importante ai sensi dell'art. 10, comma 3, lettera d) e lettera e) del D.Lgs 42/2004 e ss.mm.ii. per le seguenti motivazioni, più estesamente illustrate nell'allegata relazione storico-artistica”;


per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 19 ottobre 2020:

del decreto n. 11/2020 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana a firma del Soprintendente – adottato il 9 luglio 2020 ma comunicato a mezzo di raccomandata a.r. il 14 luglio successivo - con il quale si è dichiarato “che l'archivio della Fondazione Marino Marini di Pistoia costituito come da elenco di consistenza allegato di proprietà della Fondazione Marino Marini di Pistoia detenuto dalla stessa conservato a Pistoia nella sede della Fondazione, Corso Silvano Fedi, 30 è di interesse storico particolarmente importante e pertanto sottoposto alla disciplina del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”;

nonché, ove lesiva, della relativa comunicazione di avvio del procedimento dello stesso organo del 10 marzo 2020 e, se ed in quanto occorrer possa ed in parte qua, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 novembre 2010 n. 231 (in Gazz. Uff., 4 gennaio 2011, n. 2) – recante il Regolamento di attuazione dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attività culturali aventi durata superiore a novanta giorni ove, dal suo art. 1 e dalla tabella che ne costituisce l'All. 1 se ne possa ricavare una norma implicita secondo la quale la conclusione dei procedimenti ivi previsti possa intervenire anche prima della scadenza del termine assegnato al destinatario per la presentazione di osservazioni decorrente dalla comunicazione di avvio del procedimento.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Pistoia e di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2021 il consigliere Luigi Viola e uditi per le parti o dati per presenti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con atto 29 novembre 1983 rep. 541 per notaio Rogantini Picco, la Sig. Mercedes Pedrazzini (vedova dell’artista Marino Marini) costituiva la Fondazione Marino Marini, con sede in Pistoia, costituendogli un fondo di donazione (poi successivamente integrato da una donazione di opere del Maestro nel 1992 e da un lascito testamentario), <<con lo scopo di assicurare la conservazione, la tutela e la valorizzazione dell’opera e del patrimonio artistico di Marino Marini>>; con decreto 27 agosto 1985 prot. 10026, il Prefetto di Pistoia attribuiva alla Fondazione Marino Marini la personalità giuridica ex art. 12 c.c.

A seguito soprattutto della donazione del 1992, si pose il problema di assicurare alle opere una sede espositiva adeguata ed a questo proposito, la Giunta comunale di Pistoia, con deliberazione 3 marzo 1998, n. 122, dispose la concessione in uso e godimento a titolo gratuito per trent’anni di una porzione del Palazzo costituente l’antica Magione dei Cavalieri del Tau, di sua proprietà; in tale sede, veniva pertanto allocato la Collezione Marino Marini di Pistoia (spesso indicata anche come Museo).

2. A seguito di ulteriori donazioni di opere d’arte all’Amministrazione comunale di Firenze (da parte dello stesso Marino Marini, prima e della Sig.ra Mercedes Pedrazzini, successivamente), nasceva l’esigenza di assicurare una sede espositiva a questo secondo gruppo di opere anche a Firenze; con atto 11 luglio 1988 rep. 12252 per notaio Caltabiano, l’Amministrazione comunale di Firenze e la Fondazione Marino Marini (rappresentata dalla Sig.ra Mercedes Pedrazzini) costituivano pertanto la Fondazione Marini San Pancrazio, con lo scopo di assicurare <<la conservazione, la tutela, la valorizzazione e l’esposizione al pubblico …..delle opere donate al Comune di Firenze…e di gestire il museo Marino Marini situato nella ex chiesa di San Pancrazio a Firenze>>; anche la Fondazione Marini San Pancrazio conseguiva il riconoscimento della personalità giuridica (con decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 17 febbraio 1989 n. 66) e diveniva pertanto operativo anche il Museo Marino Marini di Firenze, ubicato nell’ex chiesa di San Pancrazio.

3. Con deliberazione del 12 marzo 2019, il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Marino Marini di Pistoia approvava una <<proposta di diversa allocazione delle opere>> prevedente la generica disponibilità, <<qualora pervenisse da parte della Fondazione Marini San Pancrazio il progetto di un unico grande museo a Firenze, a prendere in esame tale progetto, eventualmente trasferendo le opere di proprietà della Fondazione Marino Marini, oggi custodite a Pistoia, presso la suddetta Fondazioni Marini San Pancrazio>>.

Con decreto 11 novembre 2019, n. 1340 (notificato il successivo 3 dicembre), il Direttore Generale della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo integrava il precedente decreto di vincolo 24 settembre 2012, n. 558/2012 relativo al bene denominato <<Palazzo ed ex Chiesa del Tau>> con la dichiarazione di pertinenzialità della porzione di proprietà comunale del suddetto immobile alla Collezione Marino Marini di Pistoia, così come analiticamente individuata nella relazione storico-artistica e negli elenchi dei beni; inoltre dichiarava di eccezionale interesse storico artistico e di interesse particolarmente importante, ai sensi dell’art. 10, 3° comma, lettere d) ed e) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio), la <<suddetta “Collezione Marino Marini di Pistoia”>> per le motivazioni più estesamente illustrate nell’allegata relazione storico-artistica.

Il decreto di vincolo sopra richiamato era impugnato dalla Fondazione Marino Marini di Pistoia che articolava censure di: 1) violazione artt. 42, 97 e 117 Cost., violazione art.1 del 1° Protocollo aggiuntivo alla Convenzione EDU, violazione art. 1 legge 7 agosto 1990 n. 241, violazione artt. 95, 96,98 e 99 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42., violazione dei principi desumibili dall’art. 817 cod.civ., eccesso di potere per violazione del giusto procedimento e per sviamento; 2) ulteriore violazione artt. 42 e 97 Cost., ulteriore violazione art. 1 legge 7 agosto 1990 n. 241, ulteriore violazione artt. 95-99 del d. lgs. 22 febbraio 2004 n. 42, violazione artt. 101 e 104 d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 112, violazione dei principi desumibili dagli artt. 112,113 e 113 bis del d.lgs. 18 agosto 2004 n. 267, violazione d.m. 21 febbraio 2018 n. 113, violazione art. 17 d.P.C.M. 19 giugno 2019 n. 76, ulteriore eccesso di potere per sviamento e per violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti nonché per illogicità manifesta, eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità; 3) ulteriore violazione art. 1 legge 7 agosto 1990 n. 241, violazione artt. 2 e 3 legge 7 agosto 1990 n. 241, violazione artt. 10 e 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, ulteriore eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, per violazione del principio di proporzionalità e per carenza di motivazione; 4) ulteriore violazione art. 1 legge 7 agosto 1990 n. 241, ulteriore eccesso di potere per sviamento e per carenza di motivazione.

4. Con i motivi aggiunti depositati in data 19 ottobre 2020, la Fondazione Marino Marini di Pistoia impugnava altresì il successivo decreto 9 luglio 2020 n. 11/2020 del Soprintendente archivistico e bibliografico della Toscana del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (comunicato il successivo 14 luglio) che aveva dichiarato di interesse storico particolarmente importante e sottoposto a tutela ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 anche l’archivio della Fondazione (la cui consistenza era specificata dall’elenco allegato), la relativa comunicazione di inizio procedimento del 10 marzo 2020 e il d.P.C.M. 18 novembre 2010 n. 231 (recante il Regolamento di attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attività culturali aventi durata superiore a novanta giorni), limitatamente alla sola ipotesi in cui, <<dal suo art. 1 e dalla tabella che ne costituisce l’All. 1 se ne possa ricavare una norma implicita secondo la quale la conclusione dei procedimenti ivi previsti possa intervenire anche prima della scadenza del termine assegnato al destinatario per la presentazione di osservazioni decorrente dalla comunicazione di avvio del procedimento>>.

A base della nuova impugnazione erano poste censure di: 1) violazione artt. 1, 7, 8 e 10 legge 7 agosto 1990 n. 241, in relazione agli artt. 103 del d.l. 17 marzo 2020 n. 87 come conv. con l. 24 aprile 2020 n. 27 e 37 del d.l. 8 aprile 2020 n. 23 conv. in l. 5 giugno 2020 n. 40, violazione art. 14 d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, violazione e falsa applicazione art. 1 del d.P.C.M. 18 novembre 2010 n. 23, eccesso di potere per violazione del giusto procedimento e per illogicità manifesta e contraddittorietà, eccesso di potere per sviamento; 2) violazione artt. 1 e 2 legge 7 agosto 1990 n. 241, violazione art. 14 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, violazione art. 103 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18 come conv. in legge 24 aprile 2020 n. 27 e art. 37 del d.l. 8 aprile 2020 n. 23 conv. in l. 5 giugno 2020 n. 40, eccesso di potere per violazione del giusto procedimento e per carenza di motivazione; 3) violazione artt. 1 e 3 legge 7 agosto 1990 n. 241, violazione artt. 10 e 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, ulteriore eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, per illogicità manifesta e per carenza di motivazione.

Si costituivano in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali ed il Comune di Pistoia, controdeducendo sul merito del ricorso; interveniva altresì ad opponendum la Regione Toscana, instando per il rigetto del ricorso.

All’udienza del 10 febbraio 2021, il ricorso era quindi trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve pertanto essere respinto.

Con riferimento al primo motivo di ricorso (indirizzato essenzialmente avverso la sola declaratoria di pertinenzialità della porzione di proprietà comunale del <<Palazzo ed ex Chiesa del Tau>> alla Collezione Marino Marini di Pistoia), la Sezione deve rilevare come non possa assolutamente trovare accoglimento la ricostruzione proposta da parte ricorrente e tendente a restringere la possibilità di apporre il vincolo pertinenziale ai soli beni di proprietà di uno stesso soggetto (requisito che mancherebbe ovviamente nel caso che ci occupa, trattandosi, da un lato, di immobile di proprietà comunale e, dall’altro, di una collezione di proprietà della Fondazione ricorrente).

A questo proposito, risulta del tutto indubbio come la giurisprudenza civilistica abbia seguito (e segua) percorsi ricostruttivi tesi ad ammettere l’apposizione del vincolo pertinenziale solo nella <<necessaria … presenza del requisito soggettivo dell'appartenenza del bene accessorio e del bene principale in proprietà al medesimo soggetto>> (in questo senso, si veda la Cass. civ. sez. II, 6 settembre 2002, n. 12983 citata dalla ricorrente); altrettanto indubbio è però come la giurisprudenza amministrativa relativa all’apposizione del vincolo pertinenziale relativo alla materia dei beni culturali abbia, ormai da tempo, abbandonato l’aggancio con la giurisprudenza civilistica (che sembra, in qualche modo, ancora sussistente in Cons. Stato sez. VI, 10 ottobre 1983, n. 723) per seguire percorsi ricostruttivi che prescindono del tutto da tale aggancio dominicale.

La conclusione risulta evidente ove si guardi alla stessa C.G.A. sez. giurisd., 15 maggio 2006, n. 220 citata da parte ricorrente che, certo risolve una problematica diversa da quella che ci occupa (quella del “distacco” da un immobile vincolato di beni mobili facenti parte dell’arredamento originario), ma sulla base di una motivazione assai perspicua che evidenzia ampiamente l’autonomia della nozione di pertinenzialità relativa alla materia della tutela dei beni culturali dal requisito, prettamente civilistico, della proprietà di ambedue i beni: <<questo Collegio ritiene che, per impostare correttamente sul piano giuridico la questione, bisogna affrancarsi sia dalle categorie tecniche della "amovibilità"/"inamovibilità" dei beni, sia da quelle civilistiche relative alla complementarietà delle cose e alla loro destinazione per volontà dei proprietari. Occorre invece assumere come unico criterio-guida la ratio della normativa pubblicistica sui beni culturali, che - specie nella sua più recente evoluzione - non è certamente quella di incentivare lo "smontaggio" delle opere d'arte per incrementare il commercio di singoli pezzi e l'improprio inserimento di essi in ambienti alieni, ma al contrario di mantenere il più possibile la integrità materiale e funzionale delle medesime e la loro ubicazione originaria. Proprio questa nuova filosofia di tutela spiega ad es. l'affermarsi negli ultimi decenni di movimenti e di politiche per la "restituzione" ai luoghi di origine di opere trasferite in passato nelle capitali e nei musei di altri Paesi; nonché la sempre maggiore diffusione (negli stessi anni) dei c.d. "vincoli di attività" (su antiche caffetterie, farmacie, altri luoghi di incontro), con i quali si cerca faticosamente di conservare e tramandare l'integrità materiale e funzionale di certi luoghi significativi per la memoria collettiva: attività, immobile, arredi (come ad es. tavoli, ceramiche, strumenti musicali, ecc.), considerati come un tutt’uno inscindibile>> (C.G.A. sez. giurisd., 15 maggio 2006, n. 220).

La pertinenzialità relativa alla materia della tutela dei beni culturali assume pertanto finalità e sostanza giuridica diverse dalla pertinenzialità civilistica e deve essere valutata, non in ragione del regime dominicale dei beni interessati, ma alla luce delle finalità di tutela e, soprattutto, in ragione dei “nessi” che sussistono tra i beni sotto il profilo dell’interesse culturale (si vedano, al proposito, le chiare precisazioni operate da C.G.A. sez. giurisd., 15 maggio 2006, n. 220 in ordine alla stretta complementarietà tra arredi e progettazione architettonica dell’immobile in determinati periodi storici e che viene ad integrare, nella fattispecie concreta, la giustificazione sostanziale dell’imposizione del vincolo di pertinenzialità tra beni caratterizzati da un diverso regime giuridico).

Tale conclusione è poi ancora più evidente in altro importante precedente giurisprudenziale assolutamente sovrapponibile alla fattispecie che ci occupa ed in cui la presenza di una collezione d’arte di interesse storico-artistico ha portato all’estensione del vincolo alla pertinenza costituita dall’immobile appartenente a diverso proprietario: <<né rileva la circostanza che il bene mobile possa appartenere a soggetto diverso del proprietario della cosa immobile. Il rapporto di non scindibile connessione fra bene immobile principale e bene mobile accessorio non va invero ricondotto, ai fini della verifica della legittimità della sua costituzione, nella nozione privatistica di “pertinenza” che si enuclea dall’art. 817 cod. civ., ma trae giustificazione, come in precedenza accennato, nella sfera dei poteri pubblicistici di tutela del patrimonio in questione che possono estendersi anche all’individuazione del sito di ubicazione ed al rapporto di non scindibile relazione fra beni riconducibili nelle categorie di cui agli artt. 2 della d.lgs. n. 490/1999, ove essi concorrano unitariamente ad esprimere gli interessi di rilievo pubblico che l’Amministrazione intende salvaguardare>> (T.A.R Lazio, sez. II 21 febbraio 2011, n. 4561).

Anche a livello locale, la giurisprudenza della III Sezione di questo T.A.R. (pienamente condivisa dalla Sezione), risulta poi aver seguito percorsi ricostruttivi assolutamente analoghi a quelli sopra richiamati, già a partire dalla sentenza 2 agosto 2011, n. 1285 (in fattispecie assolutamente sovrapponibile a quella che ci occupa), per arrivare alla più recente 2 novembre 2020 n. 1345 che, pur in un contesto sostanzialmente diverso da quello del museo Marini (ed in questo senso, risulta condivisibile la rilevazione di parte ricorrente), ha proposto una ricostruzione complessiva fondata sull’autonomia della dichiarazione di pertinenzialità relativa alla materia della tutela dei beni culturali, rispetto alla corrispondente categoria civilistica.

Il motivo di ricorso non può pertanto trovare accoglimento, non sussistendo per nulla quell’identità di significati tra nozione civilistica della pertinenzialità e pertinenzialità relativa alla materia della tutela dei beni culturali che ne costituisce la ragione fondante e l’unica giustificazione sistematica.

1.1. Il primo motivo di ricorso reca molte “anticipazioni” di censure poi sviluppate nei motivi successivi che saranno successivamente affrontate nelle parti della sentenza relative alle dette “aree problematiche”.

Rimane solo da affrontare l’isolata (e non sviluppata) censura relativa alla violazione del principio di partecipazione presuntamente derivante dal mancato <<adeguato coinvolgimento procedimentale degli organi vigilanti … (sulla Fondazione) ex art. 25 del Codice Civile>>; a questo proposito, appare però del tutto sufficiente rilevare come si tratti di censura che non individua (e non può trovare) alcun appiglio sistematico che possa giustificare il coinvolgimento degli organi di controllo nelle problematiche (anche diverse da quella che ci occupa) relative alla vita ed all’attività svolta dalle Fondazioni e trattandosi, peraltro, di una prospettazione che snaturerebbe del tutto la sistematica del codice civile, trasformando il controllo in una forma di “cogestione” che risulta del tutto aliena dal dettato civilistico.

2. Sulle orme del primo motivo di ricorso, il secondo motivo sviluppa poi la tematica relativa alla sostanziale natura espropriativa del vincolo in questione ed alla surrettizia <<municipalizzazione>> del patrimonio della Fondazione che ne deriverebbe.

Anche a questo proposito, risulta del tutto sufficiente rilevare come la vicenda che ci occupa non abbia nulla a che fare con l’espropriazione del bene culturale prevista dagli artt. 95 e ss. del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e non modifichi per nulla il regime dominicale della collezione o dell’immobile che oggi ospita il Museo Marini di Pistoia (che rimangono di proprietà dei rispettivi proprietari); con tutta evidenza, si tratta, infatti, le contestazioni relative all’apposizione del vincolo investono, infatti, l’aspetto conformativo della proprietà ex art. 42, 2° comma Cost. e non le vicende espropriative riportate, a livello costituzionale, alla previsione del 3° comma del già citato art. 42.

Del resto, la tesi proposta da parte ricorrente prova decisamente troppo e si risolve nell’evidente necessità di riscrivere l’intera materia della tutela dei beni culturali in termini che, piuttosto che attenere alla conformazione del regime proprietario del bene, finirebbero con il rifluire nella diversa tematica dell’espropriazione sostanziale dello stesso; in buona sostanza, non sussistendo ragioni reali per differenziare la vicenda che ci occupa da tutte le altre vicende di imposizione del vincolo storico-artistico che quotidianamente vedono la luce, per accogliere la censura occorrerebbe ravvisare un’espropriazione sostanziale del bene in ogni imposizione del vincolo, così sovvertendo le caratteristiche ricostruttive ormai stabilizzate della materia (e che risulta del tutto superfluo richiamare ulteriormente in questa sede).

2.1. La residua parte del motivo sviluppa ulteriormente le numerose argomentazioni articolate nella parte in fatto della sentenza in ordine al presunto difetto di istruttoria che deriverebbe dalla sostanziale inidoneità dell’attuale sede espositiva ad accogliere le opere, a permettere l’inserimento del museo nel sistema museale nazionale o ad assicurare adeguata collocazione espositiva all’enorme (2.790 opere) e veramente notevole patrimonio della Fondazione.

Anche in questo caso, si tratta di censura che, come la precedente, origina dall’evidente sovrapposizione di piani diversi; a questo proposito, il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, già dalla parte prima destinata alle <<disposizioni generali>>, distingue nettamente ed a vari fini (non ultimo, il sistema delle competenze), tra le funzioni relative alla << tutela del patrimonio culturale>> (art. 3 e ss.) e le funzioni attinenti alla <<valorizzazione del patrimonio culturale>> di cui agli artt. 6 e ss. del codice dei beni culturali e del paesaggio.

Come già rilevato, nel caso di specie, siamo in presenza di un provvedimento volto <<a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale>> (art. 3, 2° comma del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) e, pertanto, non ha alcun senso prospettare in questa sede problematiche relative all’aspetto (peraltro, anche logicamente successivo) relativo alla valorizzazione del bene; problematiche che, al contrario, nella prospettazione di parte ricorrente, tendono a “retroagire” per impedire o condizionare in qualche modo la fase preliminare relativa alla conformazione del regime giuridico del bene di interesse culturale.

Del resto e come è stato ben rilevato dalle Amministrazioni resistenti, l’imposizione del vincolo non esclude per nulla la possibilità di valorizzare i beni, anche attraverso modifiche delle attuali modalità espositive, trattandosi di “innovazioni” suscettibili di possibile autorizzazione ex art. 21 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ovvero ai sensi di una norma che costituisce un sostanziale (e fondamentale) punto di snodo e composizione tra la finalità di tutela e le altre esigenze connaturate alla natura del bene (tra cui anche quelle relative alla valorizzazione e fruizione), così impedendo che il vincolo possa trasformarsi in una sostanziale “cristallizzazione” dello stato del bene al momento della dichiarazione di interesse culturale.

Anche con riferimento a questo aspetto, vale poi quanto sopra rilevato in ordine alla sostanziale impossibilità di ravvisare una qualche particolarità della vicenda che ci occupa rispetto alle “ordinarie” vicende giurisdizionali che originano dall’imposizione del vincolo storico-artistico; anche in altre vicende, l’imposizione del vincolo impone, infatti, delle limitazioni che possono anche incidere sull’aspetto (logicamente secondario) relativo alla valorizzazione del bene, così come del tutto analoghe sono le coordinate di fatto (come l’enorme sproporzione tra spazi espositivi e opere presenti nei depositi che costituisce una costante di tutti i musei italiani); siamo pertanto in presenza di due aspetti fondamentali della vita del bene culturale che devono trovare equilibrata composizione nelle scelte relative alla valorizzazione, eventualmente anche attraverso il ricorso ad autorizzazioni ex art. 21 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

Conclusivamente, la Sezione non può poi mancare di rilevare come la prospettazione di parte ricorrente risulti inaccoglibile anche con riferimento ad altro (forse, meno centrale) aspetto, essendo evidentemente calibrata sulla sola possibilità di far rientrare il museo in questione nel sistema museale nazionale, quando le esigenze di valorizzazione possono essere assicurate anche dall’entrata nel sistema museale regionale (in questo senso, si vedano le considerazioni articolate dall’interveniente Regione Toscana in ordine alla possibilità che ambedue i Musei Marini, quello di Pistoia e quello di Firenze, possano, in futuro, entrare nel sistema museale regionale) o dal mantenimento dello statuto di museo privato (attraverso una di quelle forme di <<partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale>> previste dall’art. 6, 3° comma del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42).

Quanto sopra rilevato in ordine alla necessità di distinguere i due piani della tutela e della valorizzazione del bene rende poi del tutto inutile qualsiasi ulteriore considerazione in ordine alla rilevanza, nella vicenda che ci occupa, della deliberazione assunta in data 12 marzo 2019 dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione Marino Marini di Pistoia; circostanza che può aver forse costituito l’occasione, per gli Organi di tutela, di rivedere lo statuto della Collezione, ma non vale certamente ad infirmare l’esercizio di un potere di imposizione del vincolo che trova autonoma giustificazione nelle previsioni del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e che non risulta contestato da parte ricorrente con argomentazioni suscettibili di accoglimento.

3. Con riferimento al terzo motivo di ricorso, deve preliminarmente escludersi che una qualche limitazione all’apposizione del vincolo pertinenziale possa derivare dal precedente provvedimento del 2012 che ha apposto il vincolo sul <<Palazzo ed ex Chiesa del Tau>>, essendo, all’epoca, già presenti nell’immobile opere della Fondazione Marini; si tratta, infatti, di un decreto di vincolo determinato dal valore “intrinseco” dell’immobile e non sussiste alcun principio che escluda che detto valore possa, nel corso degli anni, aumentare e diversificarsi, per effetto della circostanza (per così dire “estrinseca”), derivante dal fatto che l’immobile, già di interesse storico-culturale, sia divenuto anche il “contenitore” della Collezione Marini, così assumendo ulteriore valore identitario della collettività pistoiese (si vedano, al proposito, le chiare rilevazioni contenute nella relazione allegata al decreto di vincolo).

Del tutto irrilevante risulta pertanto il fatto che, antecedentemente all’installazione al suo interno della Collezione Marini, l’immobile possa, <<per molti secoli .... (avere) avuto funzioni del tutto differenti da quelle di ospitare la sede della Fondazione Marino Marini>> e possa essere risultato già destinatario di un decreto di vincolo determinato da altre ragioni (in buona sostanza, la prima parte della propria vita).

3.1. Del pari inaccoglibile risulta poi l’ulteriore censura relativa alla presenza, all’interno della collezione, di opere che non soddisferebbero il requisito temporale (esecuzione risalente ad oltre cinquanta anni) di cui all’art. 10, 5° comma del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

Come già rilevato nella parte in fatto della sentenza, la dichiarazione di interesse pubblico della collezione è stata effettuata ai sensi dell’art. 10, 3° comma, lettere d (relativa alle <<cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivest(a)no un interesse, particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose>>) ed e (che contempla le <<collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse>>) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

La limitazione temporale di cui all’art. 10, 5° comma del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 risulta normativamente inapplicabile ai beni vincolati ai sensi dell’art. 10, 3° comma lett d) e pertanto anche alla vicenda che ci occupa, essendo stato apposto un vincolo che richiama, a propria giustificazione, anche la detta previsione.

Pur non risultando necessario, la Sezione deve poi rilevare come la prospettazione di parte ricorrente risulterebbe comunque inapplicabile (questa volta, per ragioni sistematiche) anche in presenza di un vincolo (eventualmente) giustificato solo dalla previsione di cui all’art. 10, 3° comma lett. e) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; il limite temporale massimo di cui alla previsione del 5° comma dell’art. 10 risulta, infatti, riferito alle singole <<cose>> astrattamente oggetto di vincolo ed è quindi strutturalmente inapplicabile alle ipotesi in cui risulti, al contrario, vincolata una <<collezione>> ovvero una universitas rerum che assume valore per effetto dell’eccezionale interesse rivestito <<come complesso>> e non per effetto del possesso in capo a ciascun elemento della collezione degli elementi necessari per l’imposizione del vincolo (in questo senso, si veda, una tradizione ricostruttiva ben espressa da T.A.R., Lazio, Roma, sez. II, 18 ottobre 1978, n. 809).

3.2. Non può poi trovare accoglimento neanche la parte finale del terzo motivo di ricorso relativa all’inutilità dell’adozione del provvedimento di vincolo, <<concludendosi che tutte le opere del Maestro siano ex lege beni culturali ex art. 10 1° comma del D.lgs. 42/2004, data la qualificazione giuridica della Fondazione ricorrente ed allora l’ulteriore vincolo si è tradotto in un aggravamento ingiustificato ed inutile del regime di tutela, anche in violazione degli artt. 1, 2 e 3 della L. 241/1990, dovendosi semmai compiere il procedimento di segno opposto di verifica ex art. 12 del D.lgs. 42/2004>>.

Non sussiste, infatti, alcun appiglio normativo che possa portare a ritenere esaustivo il regime di cui agli artt. 10, 1° comma, 12 e 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (applicabile anche ai beni di proprietà di persone giuridiche private senza fine di lucro) e che precluda, con riferimento ai relativi beni, il ricorso alla procedura “ordinaria” di imposizione del vincolo, ove ovviamente, ne ricorrano i relativi presupposti, come nel caso che ci occupa.

Del resto, l’argomentazione in questione risulta anche inevitabilmente contraddittoria; la rilevazione in ordine all’inutilità dell’adozione del decreto di vincolo risulta, infatti, in palese contrasto con la successiva valorizzazione della maggiore onerosità del regime imposto al bene dal provvedimento di vincolo; rilevazione che evidenzia come l’intervento del decreto di vincolo non sia stata per nulla inutile ed abbia reso più stringente e preciso il regime vincolistico, così evidenziando come la vera problematica sia, nel caso che ci occupa, non l’inutilità del vincolo (rilevazione che, per di più, importerebbe un dubbio radicale in ordine allo stesso interesse in capo alla ricorrente ad impugnare un provvedimento che risulterebbe manifestamente <<inutile>> e riproduttivo di un regime vincolistico pienamente operativo), ma la legittimità dell’imposizione dello stesso, alla luce della relativa normativa.

In questa prospettiva, nessuna rilevanza può poi essere attribuita al generico richiamo contenuto nella parte finale del motivo a T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 14 febbraio 1991, n. 393 e Cons. Stato, sez. VI, 19 ottobre 2018, n. 5986 che sottolineano la necessità che l’apposizione del vincolo risulti assistita da un’accurata istruttoria, ovvero una condivisibile esigenza che, risulta, ad avviso della Sezione, rispettata nel caso che ci occupa.

4. Il quarto motivo di ricorso ritorna poi sulla problematica (già approfondita nella parte in fatto del ricorso) relativa all’interpretazione della volontà della Fondatrice ed al fatto che costituisse o meno volontà della stessa preferire una sistemazione delle opere a Firenze piuttosto che a Pistoia.

A questo proposito, la Sezione non può però mancare di rilevare come la questione dell’interpretazione della volontà della Fondatrice costituisca una problematica squisitamente civilistica che non rileva per nulla in questa sede, in cui si discute, al contrario, della sola legittimità di un decreto di vincolo che risulta motivato (si veda, al proposito, la relazione allegata al decreto di vincolo) con riferimento a tre diverse serie motivazionali, costituite dal legame tra il Maestro Marino Marini e la Città di Pistoia, <<nell’azione congiunta attuata (dal 1981 al 1998) dalle istituzioni pistoiesi e dalla vedova di Marino al fine di istituire l’attuale Museo Marino Marini presso la Fondazione Marino Marini di Pistoia mediante la cessione in uso dell’ex Convento del Tau>> e nel <<carattere identitario che la collezione della Fondazione Marino Marini di Pistoia ha assunto per la città>>.

Siamo pertanto in presenza di tre diverse serie motivazionali che non risultano per nulla infirmate dalle considerazioni articolate in ricorso e che ruotano tutte intorno ad una (presunta) preferenza della Fondatrice per una sistemazione a Firenze delle opere (o di almeno una parte delle opere) attualmente a Pistoia; considerazioni che risultano peraltro forzate in un contesto che, sia a livello di atti di fondazione che di corrispondenza con le Amministrazioni interessate, evidenzia, al contrario, la forte volontà della Fondatrice di sviluppare in parallelo le due iniziative, peraltro assicurando un ruolo di supervisione e controllo alla struttura pistoiese (che, non a caso, ha costituito, unitamente all’Amministrazione comunale di Firenze, la Fondazione Marini San Pancrazio), che ha assunto indubbio valore di perno iniziale del processo di realizzazione di ambedue le strutture espositive.

Soprattutto, parte ricorrente non contesta praticamente sotto nessun aspetto la rilevazione relativa al valore identitario che il museo Marino Marini risulta aver assunto nel corso degli anni con riferimento alla comunità pistoiese, ovvero una circostanza idonea a giustificare, anche isolatamente presa, l’apposizione del vincolo, alla luce della previsione di cui all’art. 10, 3° comma lett. d) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (che attribuisce autonoma rilevanza, ai fini dell’apposizione del vincolo, alle <<testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose>>) e della giurisprudenza di questo T.A.R. che ha considerato del tutto legittima un’apposizione del vincolo motivata con riferimento al <<legame fra l’intera collezione e il luogo dove è stata raccolta e ospitata (sin dagli anni ’30 del novecento) come punto di riferimento per l’intero contesto territoriale cui la collezione appartiene. Il prolungato rapporto tra l’insieme delle opere in questione e l’edificio, su cui si è soffermata la relazione storico artistica costituente parte integrante della dichiarazione di interesse ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettere “a” e “d”, del d.lgs. n. 42/2004, costituisce idonea motivazione del vincolo pertinenziale>> (T.A.R. Toscana, sez. III, 2 novembre 2020 n. 1345).

In definitiva, il ricorso deve pertanto essere respinto.

5. Al contrario, risultano pienamente fondati e devono essere accolti i motivi aggiunti depositati in data 19 ottobre 2020 e rivolti avverso il decreto 9 luglio 2020 n. 11/2020 del Soprintendente archivistico e bibliografico della Toscana che ha dichiarato di interesse storico particolarmente importante e sottoposto a tutela ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 l’archivio della Fondazione.

In particolare, risulta ampiamente fondato il primo motivo di ricorso, relativo alla (peraltro pacifica) violazione del principio di partecipazione.

La comunicazione di inizio procedimento del 10 marzo 2020 della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana aveva, infatti, evidenziato alla ricorrente la possibilità di esercitare le facoltà procedimentali, partecipando al procedimento <<entro 80 giorni dalla data di ricezione della …. comunicazione>>, trattandosi peraltro di procedimento da definire entro 120 giorni dalla data di avvio.

Con tutta evidenza, si tratta di un termine che risulta espressamente interessato dalla sospensione dal 23 febbraio al 15 maggio 2020 di tutti i <<termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d'ufficio>> disposta dall’art. 103, 1° comma del 17 marzo 2020, n. 18 (conv. in l. 24 aprile 2020, n. 27) e prorogata dall’art. 37, 1° comma del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (conv. in l. 5 giugno 2020, n. 40); non risulta, infatti, in alcun modo condivisibile la prospettazione delle Amministrazioni statali resistenti tendente ad individuare, nella fattispecie, una semplice facoltà per le Amministrazioni di <<godere della sospensione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi ove le difficoltà dovute all’emergenza sanitaria non avrebbero consentito di concluderle nei termini ordinari, …(non precludendo) certamente all’amministrazione di concludere i procedimenti nel periodo dell’emergenza>>; con tutta evidenza, si tratta, infatti, di una sospensione dettata da esigenze eccezionali che deve trovare applicazione, non solo con riferimento alle esigenze delle Amministrazioni, ma anche dei privati interessati a partecipare al procedimento, secondo una tipica logica “bilaterale” che non può istituzionalmente attribuire prevalenza alle sole ragioni dell’Amministrazione.

La comunicazione di inizio procedimento risulta essere stata ricevuta dalla ricorrente in data 31 marzo 2020 e, quindi, l’atto finale risulta essere stato adottato in una data (precisamente, il 9 luglio 2020) in cui, avuto riferimento alla sospensione emergenziale dei termini dei procedimenti amministrativi, risultava ancora non spirato il termine per partecipare al procedimento, con conseguenziale ed evidente illegittimità del provvedimento impugnato.

Del resto, non può assumere alcuna rilevanza, nella fattispecie, il fatto che la ricorrente non abbia articolato osservazioni (essendo la stessa, al momento di intervento dell’atto impugnato, ancora pienamente in termine) e la previsione non può essere, in alcun modo, scriminata dalla disposizione di cui all’art. 21-octies, 2° comma della l. 7 agosto 1990, n. 241, in considerazione del carattere ampiamente discrezionale del potere esercitato.

Palesemente inutile ai fini che ci occupano risulta poi il riferimento d.P.C.M. 18 novembre 2010, n. 231 (regolamento di attuazione dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attività culturali aventi durata superiore a novanta giorni), tuzioristicamente (ed inutilmente) impugnato da parte ricorrente, con i motivi aggiunti; il detto d.P.C.M. si limita, infatti, a stabilire il termine finale del procedimento e non ha più riprodotto la previsione di cui al previgente art. 5, 2° comma del d.m. 13 giugno 1994, n. 495 (peraltro espressamente abrogato dall’art. 2 del d.P.C.M. 231 del 2001), relativa alla possibilità per i privati di partecipare al procedimento <<entro un termine pari ai due terzi di quello fissato per la durata del procedimento, sempre che il procedimento stesso non sia già concluso>> e che ha dato vita alla vicenda giurisdizionale citata nei motivi aggiunti e che risulta, in buona sostanza, ormai superata, non sussistendo più una qualche previsione generale che abiliti l’Amministrazione a concludere il procedimento prima che si spirato il termine finalizzato a rendere possibile la partecipazione del privato interessato.

La completa inutilità dell’impugnazione del d.P.C.M. 231 del 2001 esime poi la Sezione dall’esame dei profili di incompetenza territoriale che risulterebbero, al contrario, evidenti ed incontestabili ove detta impugnazione dovesse assumere un ruolo reale nell’esito del contenzioso.

5.1. La prima censura dei motivi aggiunti depositati in data 19 ottobre 2020 deve pertanto essere accolta e deve essere disposto l’annullamento dell’atto impugnato; il carattere assorbente del procedimento e la necessità di procedere alla rinnovazione del procedimento nel rispetto del termine assegnato per il contraddittorio al privato interessato permettono poi di procedere all’assorbimento delle altre censure articolate con i motivi aggiunti.

A seguito dell’annullamento, l’Amministrazione procedente dovrà pertanto assegnare a parte ricorrente un nuovo termine per l’eventuale formulazione delle proprie osservazioni, ferma restando l’applicazione delle misure cautelari già richiamate dalla comunicazione di inizio procedimento del 10 marzo 2020.

La particolare complessità della materia giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto e sui motivi aggiunti depositati in data 19 ottobre 2020:

a) respinge il ricorso, come da motivazione;

b) accoglie i motivi aggiunti depositati in data 19 ottobre 2020 e, per l’effetto, dispone l’annullamento del decreto 9 luglio 2020 n. 11/2020 del Soprintendente archivistico e bibliografico della Toscana del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze, a mezzo videoconferenza, nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2021 con l'intervento dei magistrati:

Manfredo Atzeni, Presidente

Luigi Viola, Consigliere, Estensore

Giovanni Ricchiuto, Consigliere