Sez. 3, Sentenza n. 10616 del 23/02/2006 Ud. (dep.
28/03/2006 ) Rv. 233677
Presidente: Onorato P. Estensore: Ianniello A.
Relatore: Ianniello A. Imputato: Romeo. P.M. Passacantando G.
(Parz. Diff.)
(Rigetta, App. Reggio Calabria, 6 Marzo 2004)
CACCIA - IN GENERE - Divieto di caccia all'interno delle aree protette
- Tabellazione perimetrale dell'area - Necessità -
Esclusione.
I parchi nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con appositi
provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale non necessitano della
tabellazione perimetrale prevista dall'art. 10 della L. 11 febbraio
1992 n. 157 al fine di individuarli come aree ove sia vietata
l'attività venatoria, gravando in tal caso su chi esercita
la caccia l'onere di individuazione dei confini dell'area protetta
all'interno della quale si configura il reato di cui all'art. 30, comma
primo lett. a), della citata L. n. 157.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 23/02/2006
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 00330
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 027679/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) ROMEO RENATO N. IL 14/03/1945;
avverso SENTENZA del 06/03/2004 CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott.
IANNIELLO ANTONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PASSACANTANDO G. che
ha concluso per inammissibile il ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell'8 novembre 2002, il Tribunale di Palmi - sezione
distaccata di Cinquefrondi - aveva assolto dal reato di cui alla L. 11
febbraio 1992, n. 157, art. 30, comma 1, lett. d) Romeo Renato,
imputato di esercizio della caccia all'interno del Parco Nazionale
dell'Aspromonte, in località Bosco Faraone nel Comune di
Parapodio, ritenendo l'assenza, alla stregua di quanto emerso
dall'istruttoria, di un sicuro e puntuale riscontro all'ipotesi
accusatoria formulata dall'accusa e comunque la mancanza nell'imputato
dell'elemento psicologico del reato contestato.
Su appello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Palmi, la decisione è stata riformata con sentenza del 16
marzo 2004 dalla Corte d'appello di Reggio Calabria, che ha ritenuto
l'imputato colpevole del reato contestatogli e lo ha condannato alla
pena di mesi due di arresto e di Euro 400,00 di ammenda, sulla base
dell'accertamento del fatto che lo stesso in data 18 ottobre 2001 era
stato sorpreso dalla Guardia venatoria con il fucile in spalla mentre
si aggirava all'interno del Parco in una zona in cui la caccia
è vietata e sulla base della considerazione che non era
sostenibile che non conoscesse sufficientemente la situazione dei
luoghi e quindi i limiti del Parco, da lui violati quantomeno per
colpa. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione l'imputato
a mezzo del proprio difensore, deducendo in primo luogo la violazione
di cui alla lettera b) del primo comma dell'art. 606 c.p.p. per avere
la cancelleria omesso, in violazione dell'art. 584 c.p.p., di
notificargli l'appello del P.M..
Con un secondo motivo di ricorso, l'imputato deduce la mancanza e la
manifesta illogicità della motivazione della sentenza, che
ha desunto la sua responsabilità nella commissione del fatto
di reato dalla mera circostanza che questi si trovasse armato
all'interno del Parco a distanza di cento metri dal preteso confine
dello stesso, senza tener conto che questo non era in alcun modo
segnalato in loco nè individuabile con precisione neppure
consultando le relative mappe, in ragione della dimensione di diverse
migliaia di ettari del parco e dell'assenza di capisaldi topografici
certi, tipo tabellazioni, canaloni, corsi d'acqua, strade, linee
ferroviarie, etc..
Ha quindi concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, il ricorrente lamenta la mancata notificazione allo
stesso, a cura della cancelleria del Tribunale di Palmi - sezione
distaccata di Cinquefrondi -, dell'atto di appello del P.M. avverso la
sentenza di assoluzione di primo grado, in violazione dell'art. 584
c.p.p..
Al riguardo, costituisce orientamento ormai consolidato di questa
Corte, a partire da Cass. S.U. 20 marzo 2003 n. 12878 (cfr., ex
ceteris, Cass. 4 giugno 2004 n. 31408), l'affermazione secondo la quale
l'omessa notificazione alla parte privata dell'impugnazione proposta da
altra parte non da luogo all'inammissibilità del gravame, ma
produce come unica conseguenza la mancata decorrenza del termine per
l'impugnazione incidentale da parte del soggetto cui questa sia
eventualmente consentita e salvo che non risulti altrimenti, in capo al
destinatario della notifica omessa, la conoscenza dell'atto di
impugnazione.
Nel caso in esame, data l'assoluzione con formula piena dell'imputato
nel giudizio di primo grado, questi non aveva alcun interesse
all'impugnazione incidentale e comunque ha avuto piena conoscenza del
contenuto dell'atto di appello attraverso il contraddittorio che si
è istaurato nel giudizio di impugnazione.
Da ciò consegue che il ricorrente non ha subito alcun
pregiudizio dalla mancata notificazione dell'atto di appello del P.M..
Il primo motivo di ricorso è pertanto infondato.
Altrettanto infondato è l'ulteriore motivo di ricorso, col
quale l'imputato deduce l'impossibilità di individuare con
esattezza i confini del parco e quindi afferma quantomeno l'assenza di
colpa nel preteso superamento di tali confini, considerazioni che la
sentenza impugnata avrebbe obliterato, con motivazione carente,
apodittica e comunque manifestamente illogica.
Al riguardo, va premesso che i parchi nazionali, come quello
dell'Aspromonte, essendo stati istituiti e delimitati con appositi
provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, non necessitano
della tabulazione perimetrale prevista dall'art. 10 della legge 11
febbraio 1992 n. 157 al fine di individuarli come aree ove sia vietata
l'attività venatoria (cfr., ex plurimis, Cass. 14 febbraio
2005 n. 5489; 6 giugno 2003 n. 24786; 8 aprile 2002 n. 13121; 20
febbraio 2002 n. 6793).
Corollario di tale principio è rappresentato dal fatto che
costituisce onere di chi esercita la caccia conoscere esattamente i
confini dell'area protetta onde evitare di incorrere nel divieto di cui
alla legge citata.
Nel caso in esame, la Corte Territoriale ha fatto buon governo di tali
regole, argomentando in maniera adeguata e priva di vizi logici che si
trattava di un parco nazionale, che i confini dello stesso erano
desumibili - e di fatto desunti dal teste esaminato nell'istruttoria
dibattimentale - dalle carte topografiche del luogo e infine che non
era ragionevolmente credibile che il ricorrente, esperto cacciatore da
molti anni, non li conoscesse o comunque non fosse in grado di
conoscerli, usando l'ordinaria diligenza richiesta. Sulla base delle
considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con la conseguente
condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2006.
Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2006
Caccia e animali. Attività venatoria in aree protette e tabellazione
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